Ramolaccio, (radice dei Toscani). — Radice alimentare originaria della China e che coltivata fra noi ha dato luogo a infinite varietà. Le radici, come si chiamano in Toscana, sono per molti indigeste e sviluppano flatulenze fetide o producono rinvii acri. Talvolta si riesce a vincere coll'abitudine questa idiosincrasia, ma in caso diverso non si deve ostinarsi nell'uso di un alimento, che del resto è piuttosto una leccornia del palato che un vero e proprio alimento. Sono da preferirsi le radici piccole e giovani, perchè più tenere, meno acri e quindi meno indigeste. Se avete una speciale simpatia per le radici, siatene fieri, perchè avete un gusto comune con Carlo Magno, il quale raccomandava sempre ai fattori delle sue campagne di coltivare le radici.
, come si chiamano in Toscana, sono per molti indigeste e sviluppano flatulenze fetide o producono rinvii acri. Talvolta si riesce a vincere coll'abitudine
Togliere allora i polpastrelli alle rane e metterli da parte, ponendo invece tutto il resto in una casseruola con acqua a bollire. Passare intanto alla preparazione dei gamberi, che devono essere d'acqua dolce, cuocendoli come d'abitudine. Levate loro le code e mettetele a parte assieme ai polpastrelli di rana. Pestare le ossa e unirle all'acqua che bolle, acqua che servirà per preparare intanto un risotto bianco comune. Sopra vi si metterà il seguente ragoût: In una rosolata di burro e pochissima cipolla fina, porre dei filetti di pesce persico o di sogliola, rinvenire un poco e bagnare con alquanto vino bianco. Appena evaporato unire un pomodoro meglio se fresco, un mestolo di sugo magro, funghetti, i gamberi, i polpastrelli delle rane, pochi pisellini ben teneri, coprire e lasciar cuocere pochi minuti.
alla preparazione dei gamberi, che devono essere d'acqua dolce, cuocendoli come d'abitudine. Levate loro le code e mettetele a parte assieme ai
34. Minestra di lenticchie. — Procuratevi buone lenticchie e di facile cottura perchè il tempo di questa varia da una a tre ore secondo la qualità. In ogni modo potrete sempre affrettarla mettendo nella pentola, insieme alle lenti, un sacchetto ben chiuso con entro 2-3 cucchiai di cenere. Le lenticchie si pongono al fuoco nell'acqua fredda (v'è chi ha l'abitudine di lasciarvele giacere prima alcune ore, ma esse perdono il sapore) dopo averle debitamente pulite e lavate che s'intende. Durante la cottura si levano via colla schiumarola quelle che vengono a galla, poi quando l'acqua è in parte evaporata, se si intende prepararle di grasso, ci si mette il brodo. Per allestirle di magro si prepara un battutino fino tritando un paio di cipollette, una carota, un pezzo di radice di sedano, un po' di prezzemolo e di santoreggia (peverella), se ne fa rosolare la metà nell'olio bollente e si diluisce questo soffritto con l'acqua fredda, in cui si faranno cuocere le lenticchie, alle quali va poi aggiunta l'altra metà del battutino crudo con pepe e sale. Potete calcolare per ogni persona una manata di lenticchie, un cucchiaio d'olio, verdure a discrezione. Volendo prepararle alla tedesca, le farete bollire nell'acqua, e vi unirete a metà cottura un po' di brodo di farina abbrustolita (vedi pag. 16 N.° 8), più alcuni cucchiai d'aceto che le lenti gradiscono assai. Una sardella lavata (per ogni persona), diliscata, pestata fina e rosolata nell'olio, dà pure un grato sapore a questa minestra. Servendovi delle sardelle ometterete il sale o per lo meno ne userete con molta cautela.
lenticchie si pongono al fuoco nell'acqua fredda (v'è chi ha l'abitudine di lasciarvele giacere prima alcune ore, ma esse perdono il sapore) dopo averle
Il pane è un elemento di prima necessità, gustoso, salubre e che mai non stanca. Occorre tuttavia ch'esso sia fatto con una qualità di farina pura e cotto a dovere. Il pane si può cuocere anche nelle tegghie sulla brace, ma questo non è che un sistema di ripiego. Chi possiede un forno apposito, come certi contadini di montagna, viventi in paesi isolati, ve lo allestisce con vantaggio, specie nella stagione del raccolto del fieno, anche tutto in una volta per il soggiorno alpestre. Per chi invece tiene a disposizione oltre il tempo necessario un focolare col forno, arnese comune nell'alta Italia, il cuocere il pane in casa può essere un'abitudine proficua di tutti i giorni. L'economia vi troverebbe anch'essa il suo vantaggio, qualora al piccolo ma continuo risparmio di spesa si aggiungesse la cura costante di misurare la quantità del pane come quando lo si compera dal fornaio. In ogni caso è sempre saggio consiglio che una buona massaia impari e si eserciti a preparare il pane ella stessa. È un'abilità che qualche volta potrà tornarle più che utile, necessaria. Ecco pertanto alcune buone ricette.
Italia, il cuocere il pane in casa può essere un'abitudine proficua di tutti i giorni. L'economia vi troverebbe anch'essa il suo vantaggio, qualora al
E non in fondo alla padella solo, ma in fondo alla teglia e in fondo alla casseruola. E che ci si trova dunque? Un piccolo tesoro che generalmente viene gettato via. Dopo aver cotto delle fettine in padella o delle «escaloppes» in teglia o anche dopo aver fatto dell'arrosto in casseruola, generalmente si ha la cattiva abitudine di rovesciare la carne sul piatto con tutto il grasso della cottura, il quale grasso il più delle volte è eccessivo e condisce in modo nauseabondo la carne preparata. Avrete osservato che nel fondo della padella o della teglia o della casseruola restano come dei piccoli grumi nerastri ai quali nessuno fa caso e che la donna di cucina lava e spreca. Ora proprio quei piccoli grumi nerastri rappresentano la parte veramente saporosa, con la quale voi potrete preparare una magnifica salsetta. Procedete dunque così: Cotta la carne, scolate via tutto il grasso e questo grasso non mandatelo in tavola, ma raccoglietelo in un tegamino, per utilizzarlo poi in qualche altra preparazione e versate nella padella o teglia o casseruola qualche cucchiaiata di brodo o d'acqua. Rimettete il recipiente sul fuoco, e con un cucchiaio di legno staccate bene i piccoli grumi. Vedrete che si scioglieranno facilmente e vi daranno un liquido nerastro che è appunto formato da una parte dei succhi della carne che si sono solidificati nel fondo durante la cottura. Se volete migliorare questo sugo potrete aggiungerci un piccolissimo pezzo di burro e un nonnulla di marsala. Ma, comunque, avrete arricchito la carne di una salsetta saporita, la quale non è certo da paragonarsi a quel lago di grasso, fatale allo stomaco, con cui molti portano in tavola la carne. Sono piccole cose, ma utili a sapersi: dei nonnulla che non vanno trascurati.
, generalmente si ha la cattiva abitudine di rovesciare la carne sul piatto con tutto il grasso della cottura, il quale grasso il più delle volte è eccessivo e
Gli antipasti caldi sono piccole preparazioni, le quali, in un pranzo, seguono immediatamente le minestre e servono di transizione tra queste e i grossi pezzi. La caratteristica assoluta di queste preparazioni deve essere la leggerezza. Come ebbe a dire il Maestro Escoffier, gli antipasti caldi, dal punto di vista della logica gastronomica, sono un pleonasmo e nulla, se non l'abitudine, ne ha giustificato l'uso. Non debbono quindi essere considerati che come una specie di piacevole intermezzo. Bisogna dunque studiarsi di fare delle preparazioni minuscole e graziose, qualche cosa come uno speciale petit-four, che, in un certo modo, possa solleticare gradevolmente l'appetito del convitato senza aggravarne lo stomaco. Infinite le preparazioni che possono figurare negli antipasti caldi, purchè si tenga presente quanto abbiamo già esposto nei riguardi della leggerezza, della grazia e della esattezza. La cucina moderna accoglie di preferenza tra gli antipasti caldi le barchette, riservate generalmente a guarniture di pesci, molluschi e crostacei, le tartelette, impiegate di preferenza per preparazioni a base di pollame, di caccia, ecc., le bouchées, più conosciute da noi col nome di petitspatés — ricordando che quando debbono servire per antipasti queste bouchées si faranno di misura assai più piccola dei soliti petits-patés — e i cannelloni, specie di cannoncini di pasta sfogliata, di cui le lettrici, come per le bouchées, troveranno il modo di esecuzione nel capitolo dei dolci.
, dal punto di vista della logica gastronomica, sono un pleonasmo e nulla, se non l'abitudine, ne ha giustificato l'uso. Non debbono quindi essere
E torniamo in argomento. Molti, per indolenza o per un senso di malintesa economia di tempo, hanno l'abitudine di acquistare i piedi di porco già cotti, dai pizzicagnoli o dai così delti «norcini». Ciò che è da condannarsi, senz'altro, sia nei riguardi culinari come in quelli igienici. Il piede di porco è squisito, a patto di essere mangiato caldo e cotto in un «fondo» piuttosto aromatizzato. Tra parentesi notiamo qui che in termine di cucina si chiama «fondo» quel liquido — per lo più brodo — con una aggiunta maggiore o minore di condimenti che serve per cuocere una data vivanda. Ma più grave ancora è l'inconveniente igienico che offrono i piedi di porco venduti già cotti. Essi rimangono infatti in una vassoia, che non è sempre un modello di pulizia, esposti all'aria, alla polvere, e specialmente ai maneggiamenti del cliente e del negoziante. Il cliente, infatti, prima di decidersi per l'acquisto, incomincia un accurato esame palpabile dei vari pezzi che sono sul banco di vendita. A un certo punto il negoziante crede opportuno di far pesare la sua autorevole parola sulla decisione del cliente, ed anch'egli prende in mano il malcapitato piede e lo palpa, lo palleggia, vantandone il peso e l'abbondanza della parte carnosa. E intanto nel calore della discussione — ci perdonino le nostre lettrici — qualche atomo di qualcosa che non è lecito definire, pioviggina in non desiderata nebbiolina sulla vassoia... Il quadro non è purtroppo carico di tinte. È fedele come una fotografia, e noi più e più volte abbiamo assistito alla inverosimile compra-vendita. Ora, pensate voi, signore gentili, che razza di acquisto farà il cliente che comprerà qualcuno degli ultimi piedi in vendita, che possono essere lì da un giorno e più. Non certo potrebbe ripetersi il detto evangelico: Beati gli ultimi; e la polizia scientifica si troverebbe assai imbarazzata nel rilevare le molteplici impronte digitali accumulatesi intorno al piede, condito gratuitamente di tutti i più inopportuni condimenti. Comperate dunque i piedi di porco crudi, raschiateli, fiammeggiateli, lavateli in acqua bollente e poi metteteli a lessare in acqua aromatizzata di sedano.
E torniamo in argomento. Molti, per indolenza o per un senso di malintesa economia di tempo, hanno l'abitudine di acquistare i piedi di porco già
La lingua allo scarlatto fatta in casa, riesce di sapore assai più delicato di quella che ordinariamente si vende dai pizzicagnoli e salsamentari, non solo, ma può costituire così un ottimo piatto caldo, come una eccellente riserva fredda. Il sistema di salatura è facilissimo e il risultato, anche economicamente, assai soddisfacente. Quindi, dopo averne fatto l'esperimento, prenderete l'abitudine di questa preparazione elegante e gustosa. Comperate una lingua di bue. I macellai vendono la lingua con tutta la parte posteriore attaccata. Voi tagliate col coltello questa parte in più, e servitevene pel bollito, coppiette, ecc. Tutto l'altro pezzo che costituisce la vera lingua la passerete un istante sulla fiamma per poterla spellare facilmente, e poi col pestello di legno incominciate a batterla, per slegarne le fibre. Questa battitura va fatta con garbo, in tutti i sensi, e non con troppa forza, altrimenti la lingua si spezzerebbe. Date dei piccoli colpi, fino a che constaterete che la lingua, prima dura e rigida, è ora pieghevole in tutti i sensi. Prendete un pugno di sale fino e fregando con la mano lo farete assorbire poco a poco alla lingua, girandola in tutti i sensi. Dopo che avrà assorbito il sale fate assorbire con lo stesso sistema una cucchiaiata di salnitro. Il salnitro facilita la conservazione della lingua e ne assicura il color rosso. È sostanza innocua e viene largamente usata nelle preparazioni delle carni conservate. Assorbito il salnitro, fate assorbire ancora un altro pochino di sale; poi prendete una terrinetta, mettete un po' di sale sul fondo e su questo disponete la lingua inciambellata. Sulla lingua mettete ancora del sale fino, copritela con una tavoletta e metteteci sopra un ferro da stiro o qualsiasi altro peso. Per evitare però che i ferri possano ossidarsi venendo a contatto con la salamoia, sarà meglio mettere sulla tavoletta, prima una scodella e dentro questa porre i ferri da stiro o un grosso sasso. Lasciate stare così la lingua per tre o quattro giorni in un luogo fresco. Poi levate i pesi e voltatela. Prima di ricoprirla con la tavoletta mettete sul fuoco in una casseruola mezzo bicchiere di vino rosso con due o tre chiodi di garofano, un paio di foglie d'alloro, un po' di pepe nero infranto e un pizzico di coriandoli. Appena il vino leverà il bollore, toglietelo dal fuoco e aspettate che si freddi. Allora rovesciatelo sulla lingua con tutte le droghe. Il sale della lingua, sciogliendosi, avrà fatto una salamoia liquida alla quale aggiungerete il vino aromatizzato. Rimettete la tavoletta e la scodella con i pesi e lasciate stare così per altri quattro o cinque giorni. Dopo i quali estraete la lingua dal suo bagno, risciacquatela in acqua fresca e mettetela a cuocere in acqua bollente, con i soliti legumi che si adoperano per il bollito. Procurate che la lingua bolla adagio e regolarmente per un paio d'ore e più, fino a che constaterete che è cotta senza però essere passata. Estraetela allora dal broro, e levatele la seconda pelle, che verrà via facilissimamente, come un guanto. Se questa lingua vorrete mangiarla calda affettatela e fatela portare in tavola con contorno di spinaci al burro o di patate mâchées, altrimenti tenetela in dispensa e servitevene come piatto freddo, contornandola di gelatina.
economicamente, assai soddisfacente. Quindi, dopo averne fatto l'esperimento, prenderete l'abitudine di questa preparazione elegante e gustosa
Per sei persone mettete sul fuoco una casseruola con un po' di burro e i consueti legumi, come cipolla, carota gialla, sedano, ecc., e fate imbiondire. Quando i legumi saranno biondi aggiungete un cucchiaino colmo di estratto di carne in vasetti, bagnate con un ramaiolo di brodo o d'acqua, e mescolando sciogliete l'estratto di carne. In questo «fondo» (così si chiama in linguaggio di cucina un sugo aromatizzato destinato alla cottura di carni, pollame, ecc.) mettete un pollo piuttosto grosso e bene in carne che avrete nettato come d'abitudine. Lasciatelo cuocere dopo averlo condito con sale e pepe voltandolo spesso e aggiungendo di quando in quando qualche cucchiaiata di brodo o di acqua se il bagno tendesse ad asciugarsi troppo.
, pollame, ecc.) mettete un pollo piuttosto grosso e bene in carne che avrete nettato come d'abitudine. Lasciatelo cuocere dopo averlo condito con sale e
Generalmente le indivie, cotte come d'abitudine, risultano scipite e molli: nel modo che vi insegnamo conservano invece tutto il loro sapore e rimangono ben sostenute e gradevolissime al palato. Dovrete provvedervi non di mazzi grandi, ma di piccoli mazzi di indivia, calcolandone un paio a persona. Spuntate un poco il torsolo ad ogni mazzo, togliete via le prime foglie esterne e risciacquate accuratamente in modo da togliere tutta la terra. Estraete i mazzi dall'acqua e metteteli diritti uno accanto all'altro in una casseruola nella quale porrete qualche cucchiaiata d'olio, uno spicchio d'aglio intiero e qualche foglia di basilico o di menta di campo, comunemente chiamata in Roma mentuccia. L'uno o l'altro degli aromi a seconda dei gusti. Coprite la casseruola con il suo coperchio e mettetela su fuoco debole per circa un'ora, affinchè le indivie abbiano il tempo di insaporirsi e cuocere. Sono veramente buone e possono venire servite da sole, o con il bollito e con l'arrosto.
Generalmente le indivie, cotte come d'abitudine, risultano scipite e molli: nel modo che vi insegnamo conservano invece tutto il loro sapore e
Rompete in una terrinetta un uovo intero e due rossi, sbatteteli con due cucchiaiate di zucchero in polvere e diluiteli con un bicchiere di latte tiepido aromatizzato con una corteccia di limone tenuta in infusione, o con un nonnulla di vainiglina. Il latte va versato sulle uova, una cucchiaiata alla volta mescolando con un cucchiaio di legno o con una frusta di ferro stagnato. Passate la crema a traverso un setaccino, levate con cura tutta la schiuma che si sarà formata e versate il composto in una stampa liscia imburrata e della capacità di mezzo litro. Mettete a cuocere la crema in un recipiente pieno di acqua caldissima — l'acqua deve arrivare a un dito dall'orlo della stampa — coprite con un coperchio, mettendo qualche pezzetto di carbone acceso sul coperchio stesso. Fate attenzione che l'acqua del bagnomaria, pure essendo per bollire, non bolla mai, altrimenti la crema si straccerebbe e rovinereste tutto. Al primo accenno di bollore, versate nell'acqua un po' d'acqua fredda, riportando così la temperatura del bagnomaria di qualche grado indietro. La crema dovrà cuocere per circa un'ora. Quando constaterete che si sarà rappresa, toglietela dal fuoco, lasciatela riposare una diecina di minuti, poi, dopo avere asciugato la stampa, rovesciatela su un piatto. Questa dose è per quattro o cinque persone. Se desiderate una cosa un pochino più complicata fate la crema al caramello. Il procedimento è identico, meno che invece di imburrare la stampa, vi si fa una camicia di zucchero caramellato, che poi fondendosi, forma una specie di salsa sul dolce, rendendolo più buono. L'operazione non presenta difficoltà. Mettete un paio di cucchiaiate di zucchero in un polsonetto, inumidite lo zucchero con un pochino d'acqua in modo che resti appena colante, e fate cuocere. Se in casa avete del cremor di tartaro mettetene una puntina di coltello, e sarete più sicuri che lo zucchero non granirà. Appena vedete che lo zucchero prende una leggera colorazione bionda toglietelo dal fuoco e versatelo nella stampa, che avrete tenuto in caldo vicino al fuoco. Girate sollecitamente la stampa in tutti i versi, così che lo zucchero caramellato possa velarne il fondo e le pareti, e lasciate che si freddi. Aggiungete poi la crema e procedete come si disse più innanzi. Lo zucchero caramellato deve essere appena biondo, e non bruciato. Alcuni hanno l'abitudine di velare la stampa con zucchero passato di cottura, che comunica uno sgradevole sapore amaro alla crema.
procedete come si disse più innanzi. Lo zucchero caramellato deve essere appena biondo, e non bruciato. Alcuni hanno l'abitudine di velare la stampa con
Non importa. Vinceremo meglio, vincendo tardi, come in tutte le buone rivoluzioni. La nostra, intanto, esprime il suo verbo, stabilisce la sua legge. Poiché gli Italiani hanno consentito al principio futurista di farsi quanto più possibile agili, desti, veloci, elettrici, furibondi, verrà bene il giorno in cui si persuaderanno che, a raggiungere un tale stato di grazia, nulla può meglio giovare del mangiar poco e scelto, del limitare i propri pasti alla stilla essenziale e alla briciola leonina. In verità quest'ultima propaganda tua, o Marinetti, è la più conseguente e logica fra tutte quelle derivate dal tuo manifesto cardinale di vent'anni fa: e non si capirebbero tante resistenze, se non ripensando, appunto, alla tenacia e caparbietà di certe abitudini dello stomaco. Non è la prima volta che un popolo c'insegna di saper rinunziare a tutto, fuorché a una ghiottoneria. Un francese che stimava i Tedeschi, il conte di Gobineau, soleva dire che di là dal Reno nessuno saprebbe commettere una viltà, fuorché per una salsiccia con crauti. È un giudizio che mi torna a mente, ripensando a quel Pulcinella che resisteva a tutto, fuorché a una manciata di vermicelli. Questo grande amore della pasta asciutta è una debolezza degli Italiani, e tu hai cento ragioni di batterla in breccia. C'è il tallone d'Achille, e c'è il palato del futurista. Ora, fra tutti i cibi ingozzanti e paralizzanti che contraddicono al tuo programma di rapidità, elasticità ed energia, la pasta asciutta è precisamente il più diffuso e calamitoso. Ma essendo il più nefasto, é anche il meno maledetto. Ed ecco la molla della tua rivolta riparatrice. Che vuol dire, quest'altra abitudine, quest'altro vizio, quest'altra abbiezione? Liberiamoci anche dalla pasta asciutta, ch'è anch'essa una schiavitù. Che ci gonfia le ganasce, come a mascherotti da fontana; che ci intoppa l'esofago, come a tacchini natalizi; che ci lega le interiora con le sue funi mollose; e ci inchioda alla scranna, repleti e istupiditi, apoplettici e sospiranti, con quella sensazione dell'inutilità che, a seconda degli individui, può dar piacere o vergogna, ma in ogni caso deve essere aborrita da chi vanti un'anima futurista, o soltanto giovine e sveglia.
, quest'altra abitudine, quest'altro vizio, quest'altra abbiezione? Liberiamoci anche dalla pasta asciutta, ch'è anch'essa una schiavitù. Che ci gonfia
Mettete in una casseruola un pezzo di burro, con fette di prosciutto ed egual quantità di lardo su cui sovraporrete dei pezzi di vitello magro, delle scarnature di manzo, di pollame e di selvaggina che vi fossero avanzate; bagnate con una mestola di brodo e fate ridurre a consistenza gelatinosa per poi aggiungervi due carote tagliate, un po' di basilico e di timo, una foglia di lauro, un chiodo di garofano ed una cipolla che irtirerete quando sarà cotta; bagnate con consumato; lasciate bollire, ed a suo tempo levate la carne, digrassate e passate allo staccio; legate col rosso al burro, tramenando diligentemente. Lasciate bollire finchè il grasso sornuoti alla superficie, digrassate di nuovo e passate alla stamigna in un'altra casseruola, riponetela al fuoco per farla ridurre alla necessaria consistenza, ma senza grumi. Alcuni hanno l'abitudine di aggiungervi del vino di Madera, Marsala, secondo le piccole salse che si vogliono allestire; ma giova osservare che nella grande spagnuola sarà meglio omettere il vino, tanto più se non se ne farà uso nella giornata, onde evitare il pericolo che s'inacidisca. Ben digrassata e ridotta, riponetela in una terrina verniciata, coprendola con un foglio di carta, attendendo il momento di servirvene.
, riponetela al fuoco per farla ridurre alla necessaria consistenza, ma senza grumi. Alcuni hanno l'abitudine di aggiungervi del vino di Madera, Marsala
L'abitudine che hanno certe padrone di casa d'esigere dalle loro cuoche che torcano il collo dei volatili, o che li scannino, mi sembra perniciosa. È un atto così poco conforme all'indole mite e dolce della donna ch'esso non può avere sul suo animo che una deplorevole influenza. Lasciamo possibilmente quest'incarico poco gradevole agli uomini che la natura ha chiamati per necessità alle parti forti e che non possono soffrirne. E anche gli uomini badino sempre che l'operazione sia fatta con la massima destrezza e rapidità e col dovuto riguardo di non tormentare la vittima. È questo uno dei primi principii di civiltà; difatti, nei moderni libri di cucina non si trovano più quelle ricette che insegnano a versare nel gozzo dei polli vivi del vino bollente perchè divengano subito frolli o di far digiunare le anitre, prima di scannarle, perchè si vuotino più facilmente. Pur troppo i ricercati pasticci di Strasburgo sono ancora dovuti, in gran parte, alla malattia che produce nel fegato delle oche il nutrimento forzato con le noci intere e l'immobilità a cui si costringono inchiodandone le zampe su apposite assicelle nelle stie.
L'abitudine che hanno certe padrone di casa d'esigere dalle loro cuoche che torcano il collo dei volatili, o che li scannino, mi sembra perniciosa. È
I polli si pelano, in genere, appena scannati, mentre sono ancora caldi; se sono freddi s'intingono tre volte di seguito per un secondo o due nell'acqua bollente, badando che non si scottino ; se non s'adoperano al momento vanno coperti, per quel po' che devono aspettare, con un pannolino umido a ciò la carne conservi il suo bel colore : più bianca ancora resterebbe se li immergeste nell'acqua fresca lasciandoveli due tre ore. Molti cuochi hanno quest'abitudine per togliere loro il nauseante odore di pollaio o di stia. Nel pelare i polli badate che la pelle non si rompa, ciò che le darebbe un aspetto disaggradevole. Gli altri volatili si pelano asciutti e al momento d'adoperarli. Alle anitre e alle oche leverete prima le piume leggere che possono servire per qualche uso, poi le cospargerete con della polvere fina di pece greca (colofonio) e le bagnerete con acqua bollente per levar loro con maggior facilità le penne, e la peluria, aiutandovi con uno strofinaccio e all'occorrenza anche con un coltellino. Tutti i volatili, dopo pelati, si fanno passare in fretta sovra una fiamma di spirito o di paglia asciutta, per abbrustiarli, a ciò restino puliti e appetitosi.
quest'abitudine per togliere loro il nauseante odore di pollaio o di stia. Nel pelare i polli badate che la pelle non si rompa, ciò che le darebbe un
Fate la fontana sulla spianatoia con 1332 gr. di farina, sovrapponetevi il lievito che sia bene in fiore, amalgamate questo con 333 gr. di burro, incorporate poi ogni cosa con 15 gr. di sale e 333 gr. di zucchero che avrete sciolto al fuoco con 3/4 di litro d'acqua. Il liquido dev'essere caldo in modo che una mano lo senta ma vi possa reggere. La sua quantità è approssimativa: qualche volta ne può occorrere un po' meno. Quando il composto è debitamente lavorato (vedi regole generali) fatelo lievitare, poi se ha molta forza aggiungetevi per migliorarlo un altro tuorlo e un po' di burro, nel caso contrario unitevi soltanto da ultimo un po' di uva malaga e di cedro candito tagliato a dadolini, sempre dopo averlo molto bene maneggiato e sbattuto contro la spianatoja. Quando la pasta è bella, liscia, elastica formate i panettoni nella nota forma di cupola. Essi devono reggersi da sè ma per chi non ha l'abitudine di prepararli sarà saggio consiglio quello di circondarli con un cerchiello di carta forte o di latta molto unto e spolverizzato di farina, cerchiello che a metà cottura si leva a ciò piglino un colore eguale. Entro il cerchiello li farete fermentare e, prima d'infornarli, vi praticherete nella parte superiore due tagli in forma di croce. Collo stesso composto si fanno le navicelle e i panettoncini.
chi non ha l'abitudine di prepararli sarà saggio consiglio quello di circondarli con un cerchiello di carta forte o di latta molto unto e spolverizzato