Dividete il cavolfiore, lessato, a mazzetti e fatelo rosolare adagio con un po' d'olio e burro, sale e pepe; quando tutto il condimento sarà stato assorbito versate nel tegame i pomodori spellati e tagliuzzati col loro liquido di vegetazione. Lasciate stufare mezz'ora, servite in un piatto sul cui fondo avrete messo crostini di pane bagnati nel latte e fritti nel burro.
assorbito versate nel tegame i pomodori spellati e tagliuzzati col loro liquido di vegetazione. Lasciate stufare mezz'ora, servite in un piatto sul cui
Fate rinvenire dolcemente nel burro i due fegati schiacciandoli con una forchetta per farne una purea che renderete più morbida con l'uovo sodo finemente tritato, un poco d'olio versato goccia a goccia e condirete di sale, pepe e un buon pizzico di prezzemolo e origano finemente tritati. Riempite con questa miscela i pomodori che avrete divisi in due nel senso della larghezza e svuotati dei semi e del liquido di vegetazione; deponete su ognuno a guisa d'ornamento un'acciuga arrotolata, spolverizzate di prezzemolo trito e tenete al fresco fino al momento di servire.
con questa miscela i pomodori che avrete divisi in due nel senso della larghezza e svuotati dei semi e del liquido di vegetazione; deponete su ognuno a
Tagliate un'estremità ai pomodori, svuotateli dei semi e dell'acqua di vegetazione e riempiteli col seguente composto: mescolate la carne (già cotta) finemente tritata con un poco di cipolla e prezzemolo al riso cotto in acqua salata, condite con la metà del parmigiano, sale e pepe e legate con un uovo. Collocate i pomodori in un piatto imburrato che regga al fuoco, spolverizzateli col resto del parmigiano a cui avrete aggiunto un'eguale quantità di pangrattato fine, bagnate con burro fuso e fate cuocere mezz'ora in forno o tra due fuochi.
Tagliate un'estremità ai pomodori, svuotateli dei semi e dell'acqua di vegetazione e riempiteli col seguente composto: mescolate la carne (già cotta
Si spellano i pomodori, si mondano dai semi e dal liquido di vegetazione, si tritano grossolanamente e si mettono in un tegame, possibilmente di terra, con le acciughe nettate e tagliuzzate, il tonno tritato insieme all'aglio, al prezzemolo, al basilico e ai capperi. Si condisce il tutto con l'olio, poco sale e molto pepe e si fa cuocere una ventina di minuti a fuoco lento mescolando spesso perchè i pomodori si riducano più facilmente in purea.
Si spellano i pomodori, si mondano dai semi e dal liquido di vegetazione, si tritano grossolanamente e si mettono in un tegame, possibilmente di
Quando hanno perduta, per evaporazione, la loro acqua di vegetazione si riducono di volume, divengono duri, cartilaginei e possono così esser conservati in cartocci di carta od in sacchettini fino all'inverno ed alla primavera.
Quando hanno perduta, per evaporazione, la loro acqua di vegetazione si riducono di volume, divengono duri, cartilaginei e possono così esser
Tritate finemente le cipolle e fatele cuocere in acqua bollente salata. Scolatele. Pulite, lavate e affettate i funghi. In una casseruola mettete due cucchiaiate di olio e i funghi perfettamente asciugati. A fuoco lento fate loro evaporare tutta l'acqua di vegetazione. Quando sono quasi a secco, aggiungete le cipolle e per ultimo il battuto di prezzemolo con mezzo spicchio di aglio. Salate e lasciate cuocere a fuoco lento per una diecina di minuti prima di servire.
cucchiaiate di olio e i funghi perfettamente asciugati. A fuoco lento fate loro evaporare tutta l'acqua di vegetazione. Quando sono quasi a secco
Scegliete i funghi ben freschi e di grossezza più regolare possibile. Togliete la parte terrosa dai gambi e la pelle dai cappelli. Lavateli rapidamente, scolateli e asciugateli con una salviettina. I gambi potrete, se volete, spaccarli in mezzo. Oliateli leggermente e metteteli per qualche minuto al fuoco su di una gratella per far uscire l'acqua di vegetazione. Salate, pepate e servite come guarnizione di uno stufato o di un arrosto. Col sugo di uno o dell'altro, coprite carne e funghi.
al fuoco su di una gratella per far uscire l'acqua di vegetazione. Salate, pepate e servite come guarnizione di uno stufato o di un arrosto. Col sugo
Pulite, lavate e asciugate i funghi. Tagliateli in quattro pezzi, fateli passare in una casseruola col burro, salate, pepate e aggiungete il prezzemolo e il finocchio fresco. Lasciate prosciugare. Quando tutta l'acqua di vegetazione è evaporata, bagnate i funghi con una besciamella lunga e lasciate cuocere adagio per 20 minuti circa. Se la salsa è un po' liquida ritirate i funghi e lasciate ridurre la salsa. Disponete i funghi in un piatto, versatevi sopra la besciamella a nastro, disseminateli di finocchio crudo tritato.
prezzemolo e il finocchio fresco. Lasciate prosciugare. Quando tutta l'acqua di vegetazione è evaporata, bagnate i funghi con una besciamella lunga e lasciate
Lavate, scolate e asciugate i funghi. Tagliateli a dadi e metteteli in una padella con l'olio che avrete prima fatto riscaldare. Salate, drogate e lasciate cuocere fino a che non abbiano perduta tutta l'acqua di vegetazione. Levateli dal fuoco ma teneteli al caldo. Frullate sei uova e fatene una frittata comune. Al momento di servire rovesciate la frittata sul piatto di portata e copritela coi funghi preparati.
lasciate cuocere fino a che non abbiano perduta tutta l'acqua di vegetazione. Levateli dal fuoco ma teneteli al caldo. Frullate sei uova e fatene una
Togliete le foglie che si trovano in abbondanza sui cappelli dei funghi, lavateli, asciugateli, tagliateli a pezzi regolari. Fate scaldare in una padella metà del burro e mettetevi i funghi. Lasciate perdere una parte dell'acqua di vegetazione, poi spolverizzateli con la farina e bagnate con acqua calda mescolando continuamente in modo da ottenere una salsa un po' chiara e condite con sale e pepe. Lasciate bollire lentamente per circa 20 minuti.' Al momento di servire legate la salsa con la panna, i rossi d'uovo e il succo del limone. Servite in un piatto caldo con contorno di crostini di pane che avrete fatto friggere nel resto del burro.
padella metà del burro e mettetevi i funghi. Lasciate perdere una parte dell'acqua di vegetazione, poi spolverizzateli con la farina e bagnate con acqua
Distaccate i cappelli dal gambo, togliete loro, la pellicina rossa, puliteli con una salviettina e metteteli in una ciotola, salandoli. Dopo un poco avranno lasciato l'acqua di vegetazione. Risciacquateli rapidamente in acqua fredda, asciugateli con la salviettina e collocateli uno accanto all'altro in una tortiera nella quale avrete fatto fondere tre quarti del burro e un cucchiaio di olio senza farlo friggere. Sopra ciascun cappello, con qualche frasca di prezzemolo arrotolata su se stessa, formate come un nido. Nel centro mettetevi un uccelletto sventrato, lavato e avvolto in una fettina di pancetta e salato. Fate fondere il resto del burro e dell'olio, spruzzatene i funghi così preparati e mettete in forno moderato. Dopo mezz'ora circa saranno pronti per essere serviti ben caldi nel loro recipiente.
avranno lasciato l'acqua di vegetazione. Risciacquateli rapidamente in acqua fredda, asciugateli con la salviettina e collocateli uno accanto all
Togliete ai funghi i gambi e la pelle rossa. Lavateli rapidamente, metteteli su un piatto, salateli e quando avranno lasciata l'acqua di vegetazione toglieteli, asciugateli con una salviettina. Bagnateli di olio e metteteli sulla graticola al fuoco moderato di carbone o sulla graticola al gas. Rivoltateli presto e prima di passarli sul piatto di portata spolverizzateli con una presa di pepe e una cucchiaiata di prezzemolo tritato finemente con l'aglio. Servite con spicchi di limone.
Togliete ai funghi i gambi e la pelle rossa. Lavateli rapidamente, metteteli su un piatto, salateli e quando avranno lasciata l'acqua di vegetazione
Togliete ai funghi il gambo e la pellicola rossiccia che sovrasta il cappello. Spellate i gambi e lavate tutto rapidamente facendo poi ben scolare. Mettete i cappelli su di un piatto e salateli a dovere per far loro perdere l'acqua di vegetazione. Mentre riposano sotto il sale, fate un battuto, col prezzemolo e pochissimo aglio e mettetelo in un tegame con un cucchiaio di olio e una noce di burro. Appena il prezzemolo accenna a soffriggere, togliete il tegame dal fuoco e buttatevi i gambi prima triturati finemente con la lunetta. Fate rapidamente insaporire, aggiungete i pomidoro pure tritati e se occorre, due o tre cucchiai di acqua. Fate cuocere per un quarto d'ora circa, aggiungete il pepe, le spezie e due cucchiai rasi di pangrattato e rimestate finchè tutto sia amalgamato. Togliete dal fuoco il tegame e quando il contenuto è quasi freddo, aggiungete il parmigiano grattugiato e l'uovo. Disponete in una tortiera col burro e l'olio rimasti, i cappelli dei funghi e riempiteli con la farcia preparata, spolverizzate leggermente di pangrattato e mettete su ciascun cappello qualche fiocchettino di burro. Mettete al forno moderato per circa mezz'ora.
. Mettete i cappelli su di un piatto e salateli a dovere per far loro perdere l'acqua di vegetazione. Mentre riposano sotto il sale, fate un battuto, col
Togliete alle bietole le coste che vi serviranno per altro uso. Lavatele, fatele lessare in poca acqua salata. Quando sono cotte fatele scolare e premetele forte finchè perdano tutta l'acqua di vegetazione. Mettetele in una ciotola di terra, buttatevi sopra 2 uova, il formaggio, la ricotta, sale necessario, poco pepe e spezie. Impastate molto bene finchè non si sia tutto amalgamato e mettete in disparte. Sulla tavola mettete la farina, fate la fontana e mettetevi le 2 uova avanzate. Impastate aggiungendo acqua tiepida necessaria per fare una bella pasta solida da spianare sottile col matterello o a macchina. Con un tagliapasta formate tanti dischi grandi abbastanza per contenere una cucchiaiata colma del composto di bietole. Ripiegateli a metà e con le dita premete gli orli in modo che il ripieno non possa uscire e formate come una crestina. Avrete intanto messo al fuoco una pentola con acqua salata. A forte bollore tuffate i tortelli e attendete che vengano a galla. Mescolateli alcune volte in modo che cuociano uniformemente. Per la cottura basteranno pochi minuti. Se non avete una pentola grande abbastanza (ricordate che i tortelli crescono molto cuocendo) fateli cuocere in più volte. Toglieteli con una schiumarola e, ben scolati, deponeteli su un piatto fondo condendoli di mano in mano con abbondante formaggio e burro fuso. È questa una operazione che va fatta rapidamente. Meglio se avete la possibilità di mettere il piatto preparato per pochissimi minuti nel forno perchè i tortelli sono buoni molto caldi.
premetele forte finchè perdano tutta l'acqua di vegetazione. Mettetele in una ciotola di terra, buttatevi sopra 2 uova, il formaggio, la ricotta, sale
RAVANELLI. — Di solito, i ravanelli rossi si mangiano crudi, come contorno al lesso. Quel loro sapore piccante li fa, in generale, gustare assai da coloro che amano far rialzare il sapore della carne da mostarde, senape o erbaggi violentemente sàpidi. Oggi che il lesso è diventato piuttosto intermittente, nelle sue comparse alla mensa, e tutti gli orti domestici hanno i loro ramolacci o i ravanelli, potete sbollentarli in acqua e sale e servirli con salsa bianca: oppure, tagliarli per il mezzo, farli marinare nel sale che sciogliendosi al contatto dell'acqua di vegetazione secreta dai ravanelli conferirà loro una maggiore morbidezza, insaporirli ancora con pepe, poi avvolgerli in un poco di pastella (acqua e farina, o farina di riso) e friggerli nello strutto bollente.
con salsa bianca: oppure, tagliarli per il mezzo, farli marinare nel sale che sciogliendosi al contatto dell'acqua di vegetazione secreta dai
Il procedimento è semplice: uguale quantità di peperoni carnosi e cipolle bianche (quest'ultime lasciate a bagno in acqua per un'oretta), si tagliano le cipolle in fette sottili e si soffriggono in olio finchè non siano ben dorate, insieme ai peperoni tagliati a fettine. A cottura completata, si aggiungono dei pomodori, anch'essi tagliati a liste, pelati e privati dei semi. Si lascia che il fuoco consumi tutta l'acqua di vegetazione dei pomodori, e quando la salsa è ben ridotta, si aggiunge il sale necessario e si serve. È ottima anche fredda.
aggiungono dei pomodori, anch'essi tagliati a liste, pelati e privati dei semi. Si lascia che il fuoco consumi tutta l'acqua di vegetazione dei pomodori
Anzichè condire i vegetali dopo la lessatura, meglio vale immettere nei condimenti e negli aromi, i vegetali allo stato crudo, indi a fuoco moderato, anzi lento, procedere alla cottura a casseruola ben coperta. In tal modo, il calore svilupperà l'evaporazione dell'acqua di vegetazione che, rapprendendosi nella parte interna del coperchio, si condenserà per ritornare a sgocciolare nel vegetale, il quale, per effetto di questa parziale distillazione, conserverà con la cottura il profumo ed i sali tutti, rendendo le vivande, oltrechè più nutrienti, molto più saporose.
, anzi lento, procedere alla cottura a casseruola ben coperta. In tal modo, il calore svilupperà l'evaporazione dell'acqua di vegetazione che
Il Tartufo è il tubero dalla superficie oscura e scabra, dall'interno chiaro e scuro, a seconda della qualità, dall'odore aromatico, dal sapore superlativamente ghiotto. La storia del tartufo è d'una antichità pressochè biblica. Ma concesso pure che i Dudhaïm portati a Lia dal figlio Ruben non fossero tartufi, come pretendono Carduque e Daniel, è certo che gli Orientali, nelle loro regioni sabbiose, ànno conosciuto di bon' ora il tartufo del deserto, quello che i Siri di Damasco, al dire di Chabreus, trasportavano sui camelli e che è ancora, per gli Arabi dell'Algeria, un cibo ricercato. Le conquiste, le emigrazioni ed il comercio ne estesero l'uso ai Greci e poi ai Romani. Aristotile e il suo discepolo Teofrasto, tre secoli avanti l'êra volgare, divinaro la sua natura vegetale e autonomica, anzi quest'ultimo dice, che a Mitilene crescevano per le inondazioni del Tiaris che vi portava le sementi di queste produzioni sotterranee, ch'egli chiama mysi. Plinio, eco dei pregiudizii del suo tempo e di quelli di Plutarco, racconta che Laerzio Licinio Pretore di Spagna, in Cartagine si ruppe gli incisivi masticando un tartufo che conteneva una moneta e chiama il tartufo un bitorzolo, un'escremento della terra, vitium terrœ. E per molto tempo, suffragante la dottrina di Galeno, indusse l'errore, che i tartufi fossero l'effetto dell'azione combinata degli elementi e del tuono, e si chiamavano gênègès, ossia figli della terra e degli Dei. Una serie di spropositi accompagnarono il tartufo attraverso il Medio Evo fino a noi. Chi lo chiamò un fungo, chi asserì fosse una certa tuberosità di alcune radici, chi la trasudazione degli alberi, chi fosse una specie di galla, di muffa — chi infine insegnò fosse un prodotto del morso di certe mosche od insetti su organi vegetali. Non fu che dopo 2000 anni e coll'aiuto del microscopio, che gli scienziati giunsero a persuadersi che il tartufo è un vegetale vivente di vita propria, e che possiede grani, o semi vitali di riproduzione. Claudio Geoffroy nel 1711, fu il primo a darne all'accademia delle scienze in Francia la notizia, e Micheli pochi anni dopo ne dava il disegno. Ammessi i semi, naque naturalmente l'idea di ottenerne la riproduzione artificiale. I primi tentativi vennero fatti nel 1756 da Brandley in Inghilterra, dal Conte di Borch nel 1780 in Piemonte, da Bornholz in Germania nel 1825 e verso il 1828 dal Conte di Noè in Francia. La teoria della riproduzione artificiale, fu sostenuta tra gli altri dal Milanese Vittadini (Monographia tuberculorum. Milano 1831). «Se volete dei tartufi seminate delle ghiande di quercia.» Questo aforismo dal Conte de Gasparin riassume l'esperienza di oltre 60 anni. Nel 1834 un botanico, M. Delastre fece conoscere al Congresso scientifico di Poitiers, il fatto allora paradossale della riproduzione artificiale dei tartufi coi semi di quercia. La scoperta è dovuta ad un semplice contadino, Gaspare Talon, il cui figlio Ilarione è oggi, grazie ai tartufi, milionario. Il campo della scoperta è in Francia e precisamente la pianura detta di Scilla, vicino a Croagne, ove Scilla sbaragliò del tutto i Cimbri ed i Teutoni, dopo la grande vittoria che Mario aveva riportato su quei barbari nelle vicinanze di Aix. Tale scoperta consiste in ciò, che piantando dei semi di quercia, vale a dire rimboscando di quercie il terreno ove alligna il tartufo se ne ottiene una periodica e certa raccolta. Del come poi i semi vengono fecondati e nutriti, del come vengono portati, dove si sviluppano, è ancora l'X incognita degli scienziati. Questo solo si sa, che il tartufo nasce, vive e prospera dovunque prospera la vite, ove il terreno è argilloso calcareo e dove la quercia è la principale vegetazione arborescente del paese. Difficilmente lo si trova fuori del raggio degli alberi, sicchè pare, che se non parassita, trovi molto comodo passare la sua vita fra le loro radici. Teme la troppa ombra e l'asciutto. Le sue simpatie sono per la Quercus Alba, la Coccifera o Kermes, l'Ilex, la Peduncolata, la Ruber (rovere).
dovunque prospera la vite, ove il terreno è argilloso calcareo e dove la quercia è la principale vegetazione arborescente del paese. Difficilmente lo
La Canella appartiene alla famiglia dei Lauri, è un albero sempre verde, ramosissimo (s'alza fino a 10 metri) del Ceylan, Borneo, Malabar e Martinica. È detta canella, quasi canna, del suo accartocciamento. Vien però chiamata Cinnamomo e Cinamo, che vuol dire legno odoroso. Quella del Malabar chiamasi pure Laurus cassia. La sua scorz o corteccia, privata di epidermide e di sottostante tessuto è la droga da noi conosciuta sotto il nome di canella, che verde sopra l'albero, diventa bruno- rossa essicando. À un odore aromatico, grato, penetrante, sapore caldo, piccante, zuccherino. Dà fiori in Gennajo piccoli, numerosi, profumati, biancastri in pannocchia terminale. Si moltiplica per margote e da noi è vegetazione di serra calda. Nel linguaggio dei fiori e delle piante, significa: Adorazione. I giardini o boschetti di canella somigliano i nostri boschi cedui. Nel Ceylan la raccolta ascende a 150 kil. ogni anno. La canella del Ceylan, i cui principi attivi sono solubili nell'aqua e nell'alcool, è giornalmente impiegata nella medicina, nella farmacia e nell'economia domestica. Nella medicina si associa utilmente alla china, all'assenzio, ecc., nella debolezza di stomaco, nelle diarree croniche, nell'ultimo periodo delle febbri atassiche o di tifo, nella salivazione spontanea, ecc. I farmacisti apprestano con essa gran numero di preparazioni, un decotto, uno sciroppo, una tintura, un'aqua distillata, ecc. di uso assai frequente, e bene spesso per coprire l'odore ed il sapore disaggradevole di altri farmachi. Tutti conoscono l'uso che ne fanno i profumieri, distillatori, caffettieri, ed i cuochi nel loro laboratorio gastronomico. La canella è droga che si unisce a molti manicaretti, sì di carne che di verdura e frutta. È eccitante, tonica, cordiale. In commercio generalmente si trova quella della China, di Sumatra, di Cajenna, e del Malabar, ma quella del Ceylan, (di colore cedrino-biondo, corteccia sottile, ravvolta in sè) detta anche della Regina, è la più apprezzata di tutte. Si falsifica mescolandola con qualità inferiori, o con false canelle, o vendendola già spoglia del suo aroma. Frodi più gravi si fanno colla canella in polvere, con farine, polvere d'altri legni, mattoni pesti, ocre, sabbia, ecc. Dalla canella si ricava un olio volatile, aromatico, che serve per liquori e confetture. Dai fiori pure e dalle foglie si estrae un'aqua spiritosa. Col nome di Cinnamomum, fu conosciuta dagli antichi ed era fra le altre droghe, articolo di commercio ricercato e prezioso. Tutti gli autori ne fanno menzione. Salomone parlando alla sposa, nei Sacri Cantici, le dice: Emissiones tuœ….. cinnamomum cum universis lignis Libani. Cap. IV, 14. — Plinio, dice che à ogni sua ricchezza nella corteccia «Omnem in cortice dotem habens. » Fu sempre ritenuto come un eccitante e riscaldante. S'adoperava per fare l'ippocrasso, detto quindi Cinamomites che è il nostro vin brulè. Si credeva corroborasse il cervello e giovasse alla vista. Gli Arabi la chiamano Querfe, i Persiani, Darsini. Gli Indiani ne usavano i rami a far corone per i vincitori. Lodovico Romano nel Libro VI Delle Navigazioni al cap. 4 dice che nell'Isola di Ceylan, patria originaria della Canella è credenza che «il Santo Adamo dopo del peccato commesso havere ivi col pianto et con l'astinenza, ricomperata la colpa, la qual cosa affermano con tale congettura che ivi si veggono ancora le vestigia dei piedi suoi di lunghezza di più di due palmi. » Il che si può credere pensando che da Adamo in poi l'umanità à sempre deperito.
Gennajo piccoli, numerosi, profumati, biancastri in pannocchia terminale. Si moltiplica per margote e da noi è vegetazione di serra calda. Nel
Il Noce è l'albero fruttifero più maestoso dei climi temperati. S'addatta a quasi tutti i terreni, tranne i molto umidi. Teme le brine, fiorisce a 12 gradi, matura il frutto da Agosto a Settembre. Si propaga per seme, e le varietà per innesto. Comincia a dar qualche prodotto a 8-10 anni, sino ai 25 non dà raccolto apprezzabile, lo dà dopo i 40. Ai 60 dà il massimo della produzione, ai 100 comincia a deperire — à vita di tre, quattro secoli. Se ne conoscono 16 varietà, a torto viene poco coltivata la nigra, oltre al rapido sviluppo, raggiungendo fino l'altezza di 50 metri, fornisce un legno nero durissimo che gli ebanisti preferiscono al noce comune. Il nome di juglans significa ghianda di Giove e, come dice Macrobio, prima si scriveva diuglandem, ghianda degli Dei, poi si lasciò il d, e restò juglandem, cibo di Giove, e a lui era dedicato il noce. La parola nux, da dove noce, viene da nocere perchè la sua ombra è nociva, perchè rompendone i frutti coi denti, questi si guastano. Nel linguaggio delle piante: Durezza. Si riconosce la noce matura quando il mesocarpo, o corteccia verde incomincia a screpolarsi e a staccarsi dal guscio. Si raccolgono e sbucciate si stendono in locali ben ventilati per farle asciugare e rimovendole due volte al giorno. Dopo un mese, sono stagionate. La noce fresca contiene una specie di emulsione, che poi si cangia in olio. Per cavarne l'olio bisogna pazientare fino all'inverno, perchè l'olio si forma lentamente colla stagionatura, rotti i gusci, si torchiano subito perchè soffrirebbero. Si conservano quasi per un anno, tenendole ben chiuse in luogo fresco. Per rinverdirle bisogna tenerle per 4, 5 giorni nell'acqua pura. Mantegazza suggerisce di metterle a macerare nel latte tepido e lasciarvele raffreddare. L'olio fresco è commestibile, ma col tempo diventa essicativo. È certo che la noce è migliore fresca, che secca, più digeribile spoglia della sua pellicola e che mangiandone in quantità si compromette la condotta degli organi digerenti e di quelli di secrezione, essicando diventa un po' acre. Ma la noce fresca è saporita e salubre e compare allegra al dessert. Pan e nôs, mangia de spôs dice un proverbio. Immatura ed intera, vien confettata collo zuccaro ed il miele e forma uno dei più grati componenti la mostarda. Brillat-Savarin ci racconta che le monache Visitandines di Bellay avaient pour les confire, une recette qui en faisait un tresor d'amour et de friandise. Infondendole nel vino bianco con erbe amare ed aromatiche se ne ottiene una particolare, delicata varietà di wermouth, e dietro infusione alcoolica se ne fabbrica un rosolio, o ratafià, che gode meritata fama di stomatico e roborante. Nella Virginia e nella Luigiana coi frutti di quelle noci si confeziona del pane. I Greci Mainotti, le fanno bollire col mosto del vino e ne compongono l'halvez che è uno dei più delicati loro manicaretti. In Francia ne fanno il nouga, espèce de conserve brulèe, avec les noix sèches et pelèe. Ed anche da noi, principalmente in campagna, ànno moltissimi usi in cucina ed in pasticcieria. Ricordo il pieno di noci che faceva la mia nonna ai capponi. Ma l'uso più grande delle noci secche, è di ricavarne olio, il quale estratto per pressione, è eccellentissimo in cucina, per certe fritture e per arrostire il pesce. Essendo essicativo è adoperato molto dai pittori, verniciatori e serve anche per fabbricare sapone. Irrancidisce facilmente. Il mollo o scorza verde, fresco, appena staccato facilmente annerisce e tinge in nero giallognolo la pelle di chi lo maneggia, è una vera ossidazione. «Un po' di scorza di noce mutò la mia pelle giallognola, in una gentil pelle brunetta » dice lo zio Tom nel romanzo della Beker. La fuliggine delle noci bruciate è uno dei principali ingredienti dell'inchiostro del Giappone. Fino dai tempi di Plinio era nota la maniera di tingere le lane colla scorza di noce. Se ne servono per conciare le pelli, per dar colore ai legnami. La decozione della scorza verde delle noci è specifico contro le cimici, libera i cani e i gatti dalle pulci, i cavalli, i muli ed i buoi dalle zanzare ecc. L'ombra del noce è dannoso alla vegetazione sottostante per lo sgocciolamento delle foglie e dei rami, impregnato di tannino e di sostanze non assimilabili, nuoce agli animali per l'esalazione graveolente e alquanto virosa delle foglie stesse — e produce, a chi vi dormisse sotto, gravezza di capo e cefalalgia. Il legno di noce è assai pregiato per la sua durezza, forza, e colore. Alla medicina il noce tutto, fino da Galeno dà sicuri e riputati specifici. Col frutto, se ne fà infuso, decotto, unguento, ed un rimedio facile, sicuro, economico contro la scrofola principalmente. Colle foglie, ammaccate e ridotte in pasta, strofinandone la pelle agli scabbiosi se ne distrugge l'acaro. Se ne fanno detersioni, bagni astringenti fortificanti. Servono a falsificare il tabacco principalmente presso i nostri fratelli del Cantone Ticino. Dal tronco se ne può cavare con opportune incisioni sciroppo zuccherino. La corteccia della radice fresca, macerata in aceto, dà un rubefaciente e rivulsivo. L'olio è usato come antielmitico, e purgativo internamente, (il lungo uso però irrita gli intestini), esternamente nelle erpeti crostose ed ulcerose. Plinio e Columella accusavano le noci come callidœ. Dioscoride le chiamava biliosœ, tussientibus inimicœ, e generalmente infatti, sono facile cagione di saburre e sconvenienti ai catarrosi, sicchè la Scuola Salernitana ebbe a sentenziare della noce: Unica nux prodest, nocet altera, tertia mors est . Fu creduto per molto tempo che il noce fosse originario, della Persia, d'onde Plinio lo dice importato in Roma al tempo dei Re, e le migliori qualità, le chiama persica, ma secondo una memoria del Dott. Heer, da alcuni avanzi fossili risulterebbe che sia spontanea anche in Italia da tempi remotissimi. In Grecia avevano vanto le noci di Thaso in Tracia, e presso i Romani quelle di guscio fragile di Tarento, onde si chiamavano noci tarentinœ. È ricordata la noce nell'Esodo (c. 25, 37), e da Salomone nel Cantico (c. 6.). Virgilio menziona le castagne e le noci che piacevano tanto alla sua Amarille:
pulci, i cavalli, i muli ed i buoi dalle zanzare ecc. L'ombra del noce è dannoso alla vegetazione sottostante per lo sgocciolamento delle foglie e dei
Il Popone, volgarmente detto Melone, è una pianta erbacea, annua, indigena originaria dall'Asia. Vuol terreno sciolto, lavorato profondamente, grasso, fresco. Per la coltura forzata, si semina su letto caldo in Gennajo, Febbrajo, Marzo: solo in Aprile e Maggio all'aperto si trapianta. Ama la mezz'ombra e la pulitezza, il troppo umido gli è dannoso. Si svetta, a farlo più prolifico e ad impedirne una soverchia vegetazione. È maturo, quando il suo peduncolo è corto, grosso, à sapore amarognolo, e quando il frutto è pesante e resistente alla pressione. L'odore non deve essere molto pronunciato. La troppa sonorità del frutto, battuto colle dita, è indizio d'immaturità. Si conserva di più e riesce migliore quando non sia colto a maturanza innoltrata. Il cogliere un melone a suo tempo non è abilità di tutti — da qui il nostro proverbio: De melon ghe nè pocch de bon. Se si coglie acerbo non à sapore, se stramaturo lo à perso. Nel coglierlo si tagli un nodo sopra del frutto, non gli si sterpi la coda — il melone perde d'odore e traspira per quella parte. Vuolsi che colto e lasciato riposare 24 ore aquisti di bontà. Se affonda nell'aqua è buono. Il seme si conserva per sei o sette anni, anzi si pretende che quanto più sia vecchio, produce meloni migliori. Generalmente si sceglie quello dell'anno antecedente, maturato sul proprio stelo, si toglie dall'interno del frutto e si fa asciugare senza lavarlo. Moltissime le sue varietà tanto precoci, che tardive — àvvene a polpa rossa, bianca, verde, gialla e sono caratterizzate dalle loro coste. Boni anche i rampichini. Alcune varietà raggiungono enormi proporzioni e sono oltremodo profumate e gustose. La sua coltura riesce perfettamente in Italia, celebri quelli di Caravaggio, precoci, carnosi, tondi, a polpa gialla, ma non paragonabili a quelli dell'Italia Meridionale e singolarmente a quelli d'inverno, che ci vengono dalla Sicilia e dalla Basilicata. Fra le migliori specie si distinguono: il moscato di Spagna ed i cantaloup di Francia. Nel linguaggio dei fiori: Silenzio benevolo. La parola melone, da mela, quasi una grossa mela, ci venne dai Latini. Popone dal greco pepto, maturare. Il popone è frutto saporito, aromatico, ma non è digeribile da tutti. I ghiottoni lo mangiano con zuccaro e pepe, il che ne facilita la digestione — è utile l'accompagnarlo con vino generoso o rhum. Si serve a tavola, per antipasto coi salumi, per frutta da dessert, se ne fanno anche sorbetti. In cucina serve come la zucca (1), si taglia a bocconi in minestra e brodo grasso, si lega con ova e formaggio, e se di magro, si condisce con latte delle stesse sue mandorle. Le scorze si condiscono al miele, si candiscono e si confettano nell'aceto. Spogliate di quella prima pelle rustica tubercolosa, si fanno bollire col vino e fatte asciugare al sole o al forno, si mettono in conserva, in mostarda. A fette sottili, essicate, si conserva per l'inverno, che rinvenute nell'aqua tepida si conciano in minestra e se ne coprono i lessi. Dicesi che un pezzo di melone messo nella pentola acceleri la cottura delle carni. I semi si mangiano pure e sono dolcissimi, saporiti in confettura. Pestati, servono a fare lattate e la famosa semata la prediletta dei nostri nonni.
'ombra e la pulitezza, il troppo umido gli è dannoso. Si svetta, a farlo più prolifico e ad impedirne una soverchia vegetazione. È maturo, quando il suo
L'orto è quello spazio di terreno chiuso, in campagna od in città, ove nascono e crescono le piante fruttifere, ma più propriamente le verdure e le civaje. Il suo nome, pervenutoci dal greco orthos, o dal latino orior, è dal nascervi dentro i semi e dalla sue posizione preferita ad oriente. Si vuole, che il primo che costrusse l'orto, fosse Epicuro in Atene, dove, come nota Laerzio, teneva scola ed insegnava con molta licenza, rimproveratagli da Cicerone nel trattato De natura Deorum. Ma è a notarsi, che fin dalla più remota età, era il costume de' grandi orti nelle città celebratissimi. Tali gli Esperidi, gli Alcinoi, quelli di Jerone, Adone, Attalo, quelli pensili, di meravigliosa arditezza a Babilonia, attribuiti a Semiramide, ed a Siro, re degli assiri. Simili orti erano chiamati dai greci paradisi, dal vocabolo caldeo pardes, e pomaria e viridaria dai latini. La Bibbia ci parla del paradiso terrestre, ove il Creatore pose i nostri primi parenti, il quale, e per bellezza dei frutti e per lusso di vegetazione era appunto un orto. Vi vengono ricordati gli orti di Salomone, del re Accab, Ocozia, Manasse, che vi volle essere se sepolto (Reg., c. 21, v. 18), di Assuero, che nell'orto dava i suoi famosi conviti. Nel Nuovo Testamento è pure menzionato l'orto degli Ulivi, e il Redentore che comparì la prima volta, resuscitato, a Maddalena, in figura d'ortolano. E, passando alla storia profana, Epicuro filosofava nell'orto, Teofrasto legò il suo orto, perchè servisse di scola, Apollonio Teaneo, a gratificare il suo precettore Erixemo, donogli un bellissimo orto. La prima letteraria adunanza, fu nell'orto d'Accademo, dal quale Accademia fu detta, e il nome pervenne fino a noi. Nè vo' tacere dell'ortolano Abdolamino, che appunto per tale sua qualità, fu fatto re dei Sidoni. Pressoi Romani, una brava ortolana, si teneva in concetto di bona ed economa madre di famiglia.
paradiso terrestre, ove il Creatore pose i nostri primi parenti, il quale, e per bellezza dei frutti e per lusso di vegetazione era appunto un orto
Frutta, legumi e verdura, però, siano freschi. Il primaticcio, in generale, se non è malsano, à un gusto insipido ed il grave difetto di costar molto caro. Ciò che sorte dalla serra non à nè profumo, nè qualità nutritive. Il sole, la pioggia, il vento, il calor naturale, proprii a ciascuna stagione, infondono alla vegetazione sapore e vita. Zucc e melon, tutti frutti a sua stagion. Bando assoluto a tutto quello che incomincia a corrompersi, a ciò che chiamiamo passato. Quello che dobbiamo mangiare dev'essere assolutamente fresco, sano, puro. Cheche se ne dica, non sarebbero a raccomandarsi molto i legumi conservati nella latta, nè dal punto di vista gastronomico, nè da quello dell'igiene. Le radici, i legumi secchi procurano dei piatti migliori e più sani: il tutto sta nel sistema di applicarli e nel modo di ammanirli.
, infondono alla vegetazione sapore e vita. Zucc e melon, tutti frutti a sua stagion. Bando assoluto a tutto quello che incomincia a corrompersi, a
In generale tutti gli erbaggi dell'orto che voglionsi conservare, devono essere raccolti di recente e ben maturi. Le piante e le radici succose si devono prima scottare, immergendole nell'acqua bollente per qualche minuto, poi conviene gettarle nell'acqua fresca, asciugarle e farle disseccare o al sole, o al forno; preferite il forno. Gli erbaggi si tagliano a pezzi, si mondano, e si dispongono su graticci, così preparati si mettono ad essiccare, e si conservano in luogo fresco e ventilato. I legumi che si essicano per l'inverno, spesso vengono avariati dagli insetti. A riparare tal malanno lavate i vostri legumi nell'acqua fredda appena colti, e fateli seccare perfettamente al sole. Tutti gli insetti già sviluppati nei legumi ne sfuggiranno e quelli che non lo sono ancora non si svilupperanno altrimenti. A cocere più presto le rape e le carote, devono essere tagliate per il lungo, e a far perdere l'odore troppo forte delle cipolle, pei delicati, sarà bene metterle per un momento nell'acqua calda salata, avanti cucinarle. Finisco con due parole sulla digeribilità. Quante calunnie si son dette, si dicono e si tramandano sul valore digestivo di questi eccellenti prodotti della vegetazione! Il tale, la tale non può digerire i fagioli, il citriolo, l'aglio, la cipolla, le castagne, ecc.; dunque sono indigesti, e si dà la colpa a questi poveri innocenti che nascono per la salute e conservazione nostra! Nè solo si accontentano, quel tale e quella tale di calunniarli, ma li proscrivono dalla loro casa e ne predicano l'ostracismo ai figli, ai parenti, agli amici e guardano biechi chi fa loro orecchie da mercanti. No, la colpa è dello stomaco di questi tali signori e di queste tali signore. Ma lasciateli, se vi fanno male, non diteli indigesti. Lo sono per voi, per altri sono invece tanta bona nutrizione e beata salute. Come abbiamo tutti una faccia nostra, così tutti abbiamo il nostro stomaco, che è un vero laboratorio chimico, una vera officina di acidi e di sughi chilifici. E chi ne à bisogno uno e chi un altro — a chi ne sopravanza di quantità, a chi ne manca di qualità; e l'istinto, il gusto, l'appetito, ci suggeriscono appunto ciò che ci è necessario ad equilibrare ed ordinare le funzioni del nostro individuo. Perchè voi siete brutto non vuol dire che tutti sieno brutti. Ah! quel benedetto io, che è padre dell'assoluto e dell'intolleranza!
vegetazione! Il tale, la tale non può digerire i fagioli, il citriolo, l'aglio, la cipolla, le castagne, ecc.; dunque sono indigesti, e si dà la colpa a
La Canella appartiene alla famiglia dei Lauri, è un albero sempre verde, ramosissimo (s'alza fino a 10 metri) del Ceylan, Borneo, Malabar e Martinica. È detta canella, quasi canna, del suo accartocciamento. Vien però chiamata Cinnamomo e Chiamo, che vuol dire legno odoroso. Quella del Malabar chiamasi pure Laurus cassia. La sua scorza, o corteccia, privata di epidermide e di sottostante tessuto è la droga da noi conosciuta sotto il nome di canella, che, verde sopra l'albero, diventa bruno-rossa essicando. À un odore aromatico, grato, penetrante, sapore caldo, piccante, zuccherino. Dà fiori in gennaio piccoli, numerosi, profumati, biancastri in pannocchia terminale. Si moltiplica per margote e da noi è vegetazione di serra calda. Nel linguaggio dei fiori e delle piante, significa: Adorazione. I giardini o boschetti di canella somigliano i nostri boschi cedui. Nel Goylan la raccolta ascende a 140 chilogrammi ogni anno. La canella del Ceylan, i cui principi attivi sono solubili nell'acqua e nell'alcool, è giornalmente impiegata nella medicina, nella farmacia e nell'economia domestica. Nella medicina si associa utilmente alla china, all'assenzio, ecc., nella debolezza di stomaco, nelle diarree croniche, nell'ultimo periodo delle febbri atassiche o di tifo, nella salivazione spontanea, ecc. I farmacisti apprestano con essa gran numero di preparazioni, un decotto, uno sciroppo, una tintura, un'acqua distillata, ecc. di uso assai frequente, e bene spesso per coprire l'odore ed il sapore disaggradevole di altri farmachi. Tutti conoscono l'uso che ne fanno i profumieri, distillatori, caffettieri, e i cuochi nel loro laboratorio gastronomico. La canella è droga che si unisce a molti manicaretti, sì di carne che di verdura e frutta. È eccitante, tonica, cordiale. In commercio generalmente si trova quella della China, di Sumatra, di Cajenna e del Malabar, ma quella del Ceylan (di un colore cedrino-biondo, corteccia sottile, ravvolta in sè), detta anche della Regina, è la più apprezzata di tutte. Dopo quella del Ceylan viene in secondo rango, per bontà, quella di Cajenna: quella della China è l'infima. Si falsifica mescolandola con qualità inferiori, o con false canelle, o vendendola già spoglia del suo aroma. Frodi più gravi si fanno colla canella in polvere, con farine, polvere d' altri legni, mattoni pesti, ocre, sabbia, ecc. Dalla canella si ricava un olio volatile, aromatico, che serve per liquori e confetture. Dai fiori pure e dalle foglie si estrae un'acqua spiritosa. Col nome di Cinnamomum, fu conosciuta dagli antichi ed era, fra le altre droghe, articolo di commercio ricercato e prezioso. Tutti gli autori ne fanno menzione. Salomone parlando alla sposa, nei Sacri Cantici, le dice:
gennaio piccoli, numerosi, profumati, biancastri in pannocchia terminale. Si moltiplica per margote e da noi è vegetazione di serra calda. Nel
. Ed anche da noi, principalmente in campagna, ànno moltissimi usi in cucina ed in pasticcieria. Ricordo il pieno di noci che faceva la mia nonna ai capponi. Ma l'uso più grande delle noci secche, è di ricavarne olio, il quale, estratto per pressione, è eccellentissimo in cucina per certe fritture e per arrostire il pesce. Essendo essiccativo, è adoperato molto dai pittori, verniciatori e serve anche per fabbricare sapone. Irrancidisce facilmente. Il mollo o scorza verde, fresco, appena staccato, facilmente annerisce e tinge in nera giallognolo la pelle di chi lo maneggia, è una vera ossidazione. «Un po' di scorza di noce mutò la mia pelle giallognola in una gentil pelle brunetta,» dice lo zio Tom nel romanzo della Beker. La fuliggine delle noci bruciate è uno dei principali ingredienti dell'inchiostro del Giappone. Fino dai tempi di Plinio era nota la maniera di tingere le lane colla scorza di noce. Se ne servono per conciare le pelli, per dar colore ai legnami. La decozione della scorza verde delle noci è specifico contro le cimici, libera i cani e i gatti dalle pulci, i cavalli, i muli ed i buoi dalle zanzare, ecc. L'ombra del noce è dannosa alla vegetazione sottostante per lo sgocciolamento delle foglie e dei rami, impegnato dì tannino e di sostanze non assimilabili, nuoce agli animali per l'esalazione graveolente e alquanto virosa delle foglie stesse, e produce, a chi vi dormisse sotto, gravezza di capo e cefalogia. Il legno di noce è assai pregiato per la sua durezza, forza e colore. Alla medicina il noce tutto, fino da Galeno, dà sicuri e risultati specifici. Col frutto se ne fa infuso, decotto, unguento ed un rimedio facile, sicuro, economico contro la scrofola principalmente. Colle foglie, ammaccate e ridotte in pasta, strofinandone la pelle agli scabbiosi se ne distrugge l'acaro. Se ne fanno detersioni, bagni, astringenti fortificanti. Servono a falsificare il tabacco. I nostri fratelli del Cantone Ticino ve ne possono dire qualche cosa. Dal tronco se ne può cavare, con opportune incisioni, sciroppo zuccherino. La corteccia della radice fresca, macerata in aceto, dà un rubefaciente e rivulsivo. In medicina è usato come antiemetico e purgativo internamente (il lungo uso però irrita gli intestini), esternamente nelle erpeti crostose ed ulcerose. Plinio e Columella accusavano le noci come callidae. Dioscoride le chiamava biliosae, tussientibus inimicae, e generalmente infatti, sono facile cagione di saburre e sono sconvenienti ai catarrosi, sicchè la Scuola Salernitana ebbe a sentenziare della noce: Unica nux prodest, nocet altera, tertia mors est. Fu creduto per molto tempo che il noce fosse originario della Persia, d'onde Plinio lo dice importato in Roma al tempo dei re, e le migliori qualità le chiama persica, ma secondo una memoria del dottor Heer, da alcuni avanzi fossili risulterebbe che sia spontanea anche in Italia da tempi remotissimi. In Grecia avevano vanto le noci di Thaso in Tracia, e presso i Romani quelle di guscio fragile, di Tarento, onde si chiamavano noci tarentinae. È ricordata la noce nell'Esodo (c. 25, 37), e da Salomone nel Cantico (c. 60). Virgilio menziona le castagne e le noci che piacevano tanto alla sua Amarille:
, libera i cani e i gatti dalle pulci, i cavalli, i muli ed i buoi dalle zanzare, ecc. L'ombra del noce è dannosa alla vegetazione sottostante per lo
Si semina in febbraio su letto caldo e si trapiantano le pianticelle sviluppate quando non s' abbia più a temere il freddo e la brina. La troppa vegetazione è a scapito del frutto. Avvene molte varietà. Il pomodoro à germinazione fino ai 4 anni. Il rosso nano precoce, abbondantissimo di frutti grossi, succosi, saporiti, di lunga conservazione dopo colti. Il mostruoso conqueror, dà frutti enormi, da un chilogrammo. À fusto arboreo, così detto perchè si mantiene dritto e robusto a mo' di un alberetto senza sostegno e produce frutti grossi di un rosso assai intenso e si possono conservare più di qualunque altra varietà a frutti grossi. Il piccolo, a forma di pera, che à frutti a grappoli, sono i migliori per mettere in aceto e si conservano sospesi all'asciutto anche nel verno. Il rosso liscio, o senza coste, rimarchevole per la sua bellezza e grossezza. Il pomodoro è un frutto bello ed allegro. Ànno ragione i Francesi di chiamarlo Pomme d'amour. Ancor verde, a metà maturanza, se ne fa frittura aciduletta, si mangia in insalata, si mette nell'aceto per l'inverno. Maturo, rosso, se ne fa salsa gustosissima che oramai serve in cucina per pressochè tutti gli intingoli ed anche per confettura. Si può conservare il pomodoro per l'inverno, tagliandolo orizzontalmente, farlo così essiccare al sole dalla parte aperta e secchi infilarli collo spago e conservarli all'asciutto. Per servirsene, se ne prende la quantità bisognevole, e la si mette nell'aqua tiepida. Conserva così, meglio che altrimenti e la sua polpa e il suo profumo. Il pomodoro è meglio condimento, che cibo; non dà alcun nutrimento. È salubre, benchè contenendo molto acido ossalico, il suo uso troppo generoso e smodato, può disporre all'ossularia, produce vertigini, ronzìo, gastralgie ed altri disturbi nervosi. Il dottor Comi ce la dà molto grama pel pomodoro. Dice che tutte le sue varietà sono sospette, e parecchie nocive. La conserva del pomodoro, in forte dose, usata per condimento, conturba i sensi, agisce sul cervello, cagiona allucinazioni di vista, d'udito e di tatto, rallenta la circolazione, produce ronzìo negli orecchi, insomma un finimondo. Dicesi che una dose rilevante di questo estratto, può in alcuni individui produrre improvvisamente l'apanacea,ossia morte apparente misericordia! Ma, consolatevi, o ghiottoni di pomodoro, altri medici, come sempre, secondo il loro vizio, sono di parere contrario, e sostengono che il pomodoro agisce direttamente e vantaggiosamente sul fegato e valga a conservare la bella tinta del volto. Avviso alle donnine ! Dalle foglie del pomodoro se ne cava una tintura ocracea.
vegetazione è a scapito del frutto. Avvene molte varietà. Il pomodoro à germinazione fino ai 4 anni. Il rosso nano precoce, abbondantissimo di frutti
Il popone, volgarmente detto melon, è una pianta erbacea, annua, indigena, originaria dall'Asia. Depone, dal greco pepo, che significa maturo. Vuol terreno sciolto, lavorato profondamente, grasso, fresco. Per la coltura forzata, si semina su letto caldo in gennaio, febbraio, marzo: solo in aprile e maggio all'aperto si trapianta. Ama la mezz'ombra e la pulitezza, il troppo umido gli è dannoso. Si svetta, a farlo più prolifico e ad impedirne una soverchia vegetazione. I semi del popone germinano fino ai 5 anni. È maturo quando il suo peduncolo è corto, grosso, à sapore amarognolo, e quando il frutto è pesante e resistente alla pressione. L'odore non deve essere molto pronunciato. La troppa sonorità del frutto, battuto colle dita, è indizio d'immaturità. Il distico seguente ve lo insegna:
soverchia vegetazione. I semi del popone germinano fino ai 5 anni. È maturo quando il suo peduncolo è corto, grosso, à sapore amarognolo, e quando il
sostanziosa, compatta, fresca, ombrosa. Si propaga per le sue radici. È chiamato anche Barbaforte, dai Francesi Moutarde des capucins, senape dai Tedeschi e Rafano di cavallo dagli Inglesi. Nel linguaggio delle piante: Sdegno. La radice del cren è piccante assai ed acre, è gradevole ai sani. Grattugiata minutamente ed immersa nell'aceto è ottimo condimento per l'alesso, da sola può servire come la senape a condire certi manicaretti e a conciar l'insalata. I frati, molto intelligenti di gastronomia e di salse, posero il cren sotto la protezione celeste e la chiamarono Salsa di S. Bernardo. In Francia se ne prepara vino, birra ed una certa specie di sciroppo. I Romani lo chiamavano armoracea, nome che ancor conserva. Al dire di Plinio, i Greci lo chiamavano Pontici armon e gli Spartani Leucen. Era celebre il cren d'Arcadia. Il rafano selvatico è eminentemente anti-scorbutico, diuretico, antireumatico. Applicato esternamente è succedaneo ai vescicanti. Raschiato, supplisce la senape nei pediluvi e nei senapismi. Disseccato non perde la sua virtù. Non ultima qualità del rafano è questa, che raccomandasi specialmente alle signore e alle signorine: infusa la sua radice nel latte fa sparire le macchie dal volto. Il rafano è da mangiarsi a vegetazione completa e meglio nell'autunno e nell'inverno; in primavera, oltre all'essere meno bono, è molte volte nocivo.
sparire le macchie dal volto. Il rafano è da mangiarsi a vegetazione completa e meglio nell'autunno e nell'inverno; in primavera, oltre all'essere meno
Il tartufo è un tubero dalla superficie oscura e scabra, dall'interno chiaro e scuro, a seconda della qualità, dall'odore aromatico, dal sapore superlativamente ghiotto. Nel linguaggio delle piante: Tesoro. La storia del tartufo è d'una antichità pressochè biblica. Ma, concesso pure che i Dudhaïm portati a Lia dal figlio Ruben non fossero tartufi, come pretendono Carduque e Daniel, è certo che gli Orientali, nelle loro regioni sabbiose, ànno conosciuto di bon'ora il tartufo del deserto, quello che i Siri di Damasco, al dire di Chabreus, trasportavano sui cammelli e che è ancora, per gli Arabi dell'Algeria, un cibo ricercato. Questo squisito tubercolo compariva già fra le più prelibate ghiottonerie dei Faraoni. Le conquiste, le emigrazioni ed il commercio ne estesero l'uso ai Greci e poi ai Romani. Aristotile e il suo discepolo Teofrasto, tre secoli avanti l'êra volgare, divinarono la sua natura vegetale e autonomica, anzi quest'ultimo dice, che a Mitilene crescevano per le inondazioni del Tiaris, che vi portava le sementi di queste produzioni sotterranee, eh' egli chiama mysi. Plinio, eco dei pregiudizii del suo tempo e di quelli di Plutarco, racconta che Laerzio Licinio Pretore di Spagna, in Cartagine si ruppe gli incisivi masticando un tartufo che conteneva una moneta e chiama il tartufo un bitorzolo, un escremento della terra, vitium terrae. E per molto tempo, suffragante la dottrina di Galeno, indusse l'errore, che i tartufi fossero l'effetto dell'azione combinata degli elementi e del tuono, e si chiamavano gènègès, ossia figli della terra e degli Dei. Et faciunt lautas optata tonitrua coenas, cantava dei tartufi il Poeta d'Aquino. Una serie di spropositi accompagnarono il tartufo attraverso il Medio Evo fino a noi. Chi lo chiamò un fungo, chi asserì fosse una certa tuberosità di certe radici, chi la trasudazione degli alberi, chi fosse una specie di galla, di muffa, chi infine insegnò fosse un prodotto del morso di certe mosche od insetti su organi vegetali. Non fu che dopo duemila anni e coll'aiuto del microscopio, che gli scienziati giunsero a persuadersi che il tartufo è un vegetale vivente di vita propria, e che possiede grani, o semi vitali di riproduzione. Claudio Geoffroy nel 1711, fu il primo a darne all'accademia delle scienze in Francia, la notizia, e Micheli, pochi anni dopo, ne dava il disegno. Ammessi i semi, nacque naturalmente l'idea di ottenerne la riproduzione artificiale. I primi tentativi vennero fatti nel 1756 da Brandley in Inghilterra, dal Conte di Borch nel 1780 in Piemonte, da Bornholz in Germania nel 1825 e verso il 1828 dal Conte di Noè in Francia. La teoria della riproduzione artificiale fu sostenuta tra gli altri dal milanese Vittadini (Monographia tuberculorum, Milano, 1831). «Se volete dei tartufi, seminate delle ghiande di quercia.» Questo aforismo del conte De Gasparin riassume l'esperienza di oltre sessantanni. Nel 1834 un botanico, M. Delastre, fece conoscere al Congresso scientifico di Poitiers il fatto, allora paradossale, della riproduzione artificiale dei tartufi coi semi di quercia. La scoperta è dovuta a un semplice contadino, Gaspare Talon, il cui figlio Ilarione è oggi, grazie ai tartufi, milionario. Il campo della scoperta è in Francia e precisamente la pianura detta di Scilla, vicino a Croagne, ove Scilla sbaragliò del tutto i Cimbri ed i Teutoni, dopo la grande vittoria che Mario aveva riportato su quei barbari nelle vicinanze di Aix. Tale scoperta consiste in ciò, che piantando dei semi di quercia, vale a dire rimboscando di quercie il terreno ove alligna il tartufo, se ne ottiene una periodica e certa raccolta. Del come poi i semi vengono fecondati e nutriti, del come vengono portati, dove si sviluppano, è ancora l'X incognita degli scienziati. Questo solo si sa, che il tartufo nasce, vive e prospera dovunque prospera la vite, ove il terreno è argilloso, calcareo e dove la quercia è la principale vegetazione arborescente del paese. Difficilmente lo si trova fuori del raggio degli alberi, sicchè pare che se non parassita, trovi molto comodo passare la sua vita fra le loro radici. Teme la troppa ombra e l'asciutto. Le sue simpatie sono per la Quercus Alba, la Coccifera o Kermes, l'llex, la Peduncolata, la Ruber (rovere). Ne à però di straforo anche per la noce, pel faggio, la betulla, il cedro, il ginepro, la rosa, il pino silvestre, la pescia (Abies), per il pruno, il biancospino, il sorbo, il carpine (Carpinus betula) e raramente pel castano. Due sorta di tartufi si ànno, l'oscuro ed il bianco. Il primo si vuole sia l'unico, vero tartufo, l'altro il falso tartufo delle sabbie e del deserto. Si vuole ancora che il tartufo sia sempre bianco allorchè non à raggiunto la sua maturanza, e che raggiungendola diventi oscuro. Pare invece sia questione di terreno e di alimentazione, come pure da ciò dipende l'abbondanza o deficienza del suo aroma, che da noi sono più saporiti e delicati i bianchi, degli oscuri.
quercia è la principale vegetazione arborescente del paese. Difficilmente lo si trova fuori del raggio degli alberi, sicchè pare che se non parassita
Friggere bene non è da tutti, e spesso, anzi, è proprio qui che vengono miseramente a naufragare così la pretensiosa prosopopea di tante cuoche, come i facili entusiasmi di qualche dilettante di cucina. Generalmente si frigge male perchè non si ha un'idea esatta dell'operazione della frittura, la quale è essenzialmente operazione di «concentrazione». Per lo più si frigge a tre gradi principali: a padella moderata, a padella ben calda, a padella caldissima; stadi, codesti, che si riconoscono assai facilmente. Nondimeno chi non fosse molto pratico potrà regolarsi così. La frittura è moderatamente calda quando gettandovi dentro un pezzetto di pane, questo provoca l'azione del grasso o dell'olio, che incominciano il loro ufficio: è ben calda quando lasciandovi cadere una goccia d'acqua si sente un crepitio secco; e finalmente è caldissima allorchè dalla padella si sprigiona un leggero fumo biancastro. Naturalmente ad ogni preparazione sottoposta all'operazione della frittura deve adattarsi uno di questi tre gradi. Così si frigge a padella moderata tutto ciò che contiene acqua di vegetazione, come patate o altri legumi, o frutta; oppure pesce e carni piuttosto voluminosi, che debbono cuocere interamente nella frittura, e nei quali la cottura completa deve arrivare insieme con il croccante e il color d'oro dell'involucro esterno. Si friggono invece a padella ben calda quelle cose le quali hanno già subito un principio di cottura o una cottura completa. Si tratta in questo caso di formare subito intorno agli oggetti immersi nella frittura uno strato solido affinchè l'interno rimanga compresso e non vada a passeggiare per la padella. Si friggono così le costolette e qualunque altra preparazione alla Villeroy, le supplì, le crocchette di diverse specie, le creme fritte, ecc. Il terzo grado, cioè la frittura a padella caldissima, si usa per piccoli pesci, per provature, e in genere per tutte le cose di limitate proporzioni di cui il calore deve subito impossessarsi. La quantità della frittura deve essere sempre proporzionata all'importanza e al volume delle cose da friggere. In ogni caso questi oggetti devono essere completamente immersi. La pretesa economia di coloro che friggono con pochissimo liquido si risolve in loro danno, poichè prima di tutto il fritto vien male: molle o carbonizzato, e poi il poco liquido adoperato brucia facilmente e deve essere gettato via, mentre se si dispone di abbondante grasso o olio, alla fine si passa attraverso un setaccino e si tiene in serbo per un'altra volta. Qual'è la miglior frittura? II burro, intanto, no, poichè non ha forza nè resistenza. Nelle trattorie e negli alberghi dove c'è molto lavoro si adopera il grasso di rognone di bue, ciò che rappresenta la frittura classica di grande resistenza. Ma il grasso di bue si fredda troppo facilmente e lascia subito una patina sulle cose fritte, la quale a sua volta insega la bocca di chi mangia. Per famiglia è meglio dunque non pensare al grasso di bue e adoperare lo strutto o meglio ancora l'olio, mediante il quale si ottiene una frittura croccante e dorata. L'olio infatti senza considerare che dal lato igienico è infinitamente superiore allo strutto, dove non si mai quel che ci sia — può raggiungere fino i 290 gradi di calore, ciò che non si ottiene con nessuna altra frittura. Molti hanno una ingiustificata avversione per friggere con l'olio. Prendano dell'olio di qualità buona e provino. Ne saranno soddisfatti. L'olio fine non comunica nessun sapore sgradevole alle cose fritte. Molte volte si tratta di pregiudizi e nulla più.
padella moderata tutto ciò che contiene acqua di vegetazione, come patate o altri legumi, o frutta; oppure pesce e carni piuttosto voluminosi, che debbono
Mondate i cetrioli e ritagliateli in fette finissime come carta (è questa la caratteristica). Raccogliete queste fettine finissime in una piccola insalatiera e cospargetele con un poco di sale fino, il quale ha l' ufficio di privare il cetriolo della molta acqua di vegetazione che contiene. Dopo una mezz'ora prendete un po' di fette alla volta, strizzatele con garbo e spandetele sopra un tovagliolo che poi arrotolerete piano piano in modo da rinchiudervi dentro le fette per lasciarle bene asciugare. Dopo un altro po' di tempo accomodate le fettine nei piattini da antipasto, conditele con pochissimo sale, pepe, olio, aceto e prezzemolo trito aggiungendo anche, se è possibile, una cucchiaiata o due di crema di latte sciolta. Mettete i piattini preparati in ghiacciaia per almeno un'ora affinchè i cetrioli possano essere serviti freddissimi.
insalatiera e cospargetele con un poco di sale fino, il quale ha l' ufficio di privare il cetriolo della molta acqua di vegetazione che contiene. Dopo
Questa zuppa, veramente sana, appartiene a quel tipo che la cucina francese chiama «paysanne». Il principio su cui si basano questa e le altre preparazioni consimili è quello di far subire ai legumi che compongono la zuppa una lentissima cottura col burro: e per favorire la evaporazione dell'acqua di vegetazione, e per ottenere il massimo profumo dai legumi, che s'impregnano di burro. Per la quantità dei legumi da adoperarsi regolatevi a secondo del numero delle persone. In questo caso un po' più o un po' meno non ha nessuna importanza.
di vegetazione, e per ottenere il massimo profumo dai legumi, che s'impregnano di burro. Per la quantità dei legumi da adoperarsi regolatevi a secondo
Mettete il ribes sopra un setaccio, spremetelo con le mani, e raccogliete in una terrina il sugo del grazioso frutto a grappoli. Pesate il sugo raccolto e uniteci lo stesso peso di zucchero; versate tutto in un caldaino di rame non stagnato e mettete sul fuoco. Lo stagno altera il colore di alcune qualità di frutta, e noi appunto vi consigliamo un caidaino non stagnato, che vi riuscirà utilissimo oltre che per cuocere le conserve di frutta, per montare le uova, le chiare in neve, ecc. Circa la cottura delle marmellate e delle gelatine, alcuni fissano un certo numero di minuti. Ora è facile comprendere come questo sistema sia assolutamente falso, poichè il punto giusto di cottura varia con l'intensità del fuoco. Una marmellata o una gelatina insufficientemente cotta fermenta, cotta troppo tende a cristallizzarsi. Occorre dunque procedere con sicurezza, specie quando si lavora un po' in grande, e si desidera fare una discreta provvista. La cottura delle confetture è regolata non da un tempo fissato, ma da un segno infallibile. Si può dire che la cottura passi per due fasi distinte: la evaporazione e la cottura propriamente detta. Nella prima fase l'ebollizione non ha altro ufficio che quello di evaporare l'acqua di vegetazione che le frutta contengono: qui dunque il fuoco può essere brillante. Nella seconda fase entriamo nella vera amalgama delle frutta con lo zucchero, e sarà prudente diminuire un poco la forza del fuoco. Man mano che la schiuma si forma alla superficie converrà toglierla accuratamente.
che quello di evaporare l'acqua di vegetazione che le frutta contengono: qui dunque il fuoco può essere brillante. Nella seconda fase entriamo nella
Prendete quella quantità di peperoncini che desiderate conservare, spuntatene con le forbici l'estremità del gambo, stendeteli su delle cestine o su dei setacci ed esponeteli per un paio di giorni al sole, affinchè l'umidità che contengono possa evaporare il più possibile. Accomodateli poi in vasi di terraglia, e gettate su essi dell'aceto bollente nel quale avrete messo abbondante sale. Lasciateli stare così una quarantina di giorni, poi scolate l'aceto, che in contatto con l'acqua di vegetazione dei peperoni si sarà molto diluito, e sostituitelo con dell'altro aceto di buona qualità non bollito. Coprite i vasi con carta pergamenata, e riponeteli in dispensa. I peperoni saranno buoni a mangiarsi dopo un paio di mesi.
scolate l'aceto, che in contatto con l'acqua di vegetazione dei peperoni si sarà molto diluito, e sostituitelo con dell'altro aceto di buona qualità non
13. — Brevi cenni per riconoscere i grani alterati o falsificati a) È frumento scadente quello che non ha prosperato durante la vegetazione, o per siccità, o per soverchia pioggia e quello che fu raccolto immaturo. Si distingue per la leggerezza (galleggia sull'acqua), rugosità, ruvidezza al tatto e per avere la scanalatura lunga ed aperta.
13. — Brevi cenni per riconoscere i grani alterati o falsificati a) È frumento scadente quello che non ha prosperato durante la vegetazione, o per
29. — Legumi erbacei od erbe mangerecce e loro conservazione. Il Regolamento di amministrazione e contabilità pei corpi (1885) al § 1422 dice: «Alle derrate componenti la razione-viveri saranno aggiunti erbaggi ed altri generi di condimento in ragione dell'importo di un centesimo per ogni razione o più, se così venga dal Ministero stabilito.» Conseguentemente la quantità dei legumi freschi concessa ordinariamente al soldato è assai limitata, mentre il bisogno di questi erbaggi nell'alimentazione militare è veramente imperioso, inquantochè, mentre servono a meraviglia per rendere più sapido, più gradito e più variato il modesto vitto della truppa, godono indiscutibilmente di una virtù antiscorbutica preziosissima, che proverrebbe loro, secondo il Fauvel ed altri osservatori, dall'abbondanza dei succhi complessi che contengono, intesi sotto il nome di acqua di vegetazione.
, secondo il Fauvel ed altri osservatori, dall'abbondanza dei succhi complessi che contengono, intesi sotto il nome di acqua di vegetazione.
Pianticella annua conosciutissima, originaria dall'America Meridionale e venuta tardi in Italia. La sua propagazione in Europa non conta più di due secoli. Cento anni fa era appena conosciuta da noi. Vuol terreno lavorato, piuttosto asciutto, non tanto pingue e molto soleggiato. Si semina in Febbraio su letto caldo e si trapiantano le pianticelle sviluppate quando non s' abbia più a temere il freddo e la brina. La troppa vegetazione è a scapito del frutto. Avvene molte varietà. Il rosso nano precoce, abbondantissimo di frutti grossi, succosi, saporiti, di lunga conservazione dopo colti. Il mostruoso conqueror, dà frutti enormi da un chilogrammo. À fusto arboreo, così detto perchè si mantiene dritto e robusto a mo' di un alberetto senza sostegno e produce frutti grossi di un rosso assai intenso e si possono conservare più di qualunque altra varietà a frutti grossi. Il piccolo, a forma di pera, che à frutti a grappoli, sono i migliori per mettere in aceto e si conservano sospesi all'asciutto anche nel verno. Il rosso liscio, o senza coste, rimarchevole per la sua bellezza e grossezza. Il pomodoro è un frutto bello ed allegro. Ànno ragione i francesi di chiamarlo Pomme d'amour. Ancor verde, a metà maturanza , se ne fa frittura aciduletta, si mangia in insalata, si mette nell'aceto per l'inverno. Maturo, rosso, se ne fa salsa gustosissima che oramai serve in cucina per pressochè tutti gli intingoli ed anche per confettura. Il pomodoro è meglio condimento che cibo, non dà alcun nutrimento. È salubre, benchè contenendo molto acido ossalico, il suo uso troppo generoso e smodato può disporre all'ossularia, produce vertigini, ronzío, gastralgie ed altri disturbi nervosi. Dalle foglie del pomodoro se ne cava una tintura ocracea.
Febbraio su letto caldo e si trapiantano le pianticelle sviluppate quando non s' abbia più a temere il freddo e la brina. La troppa vegetazione è a scapito
Un grande cilindro di gelato alla crema che porta in alto, come vegetazione di palme, banane sbucciate. Tra le banane sono nascoste uova sode senza tuorlo, riempite di marmellata di prugne.
Un grande cilindro di gelato alla crema che porta in alto, come vegetazione di palme, banane sbucciate. Tra le banane sono nascoste uova sode senza
Quando si hanno côlte le mele e le pera che si vogliono conservare, non bisogna immediatamente portarle nel locale dove devono passare il verno; si lasciano per uno o due giorni esposte sul pavimento di una stanza lasciando aperte porte e finestre, onde si stabilisca una forte ventilazione. Le frutta perdono in tal modo una parte della loro acqua di vegetazione, il che assicura meglio la conservazione. Innanzi di portare le frutta nella dispensa bisogna ben astenersi dall'asciugarle, onde non levar loro quel sottilissimo intonaco di sostanza ceruminoso che ne cuopre la superficie, e contribuisce efficacemente alla loro conservazione. La dispensa può essere una stanza a pianterreno, più lunga che larga, di cui si guarniscono le mura con scansìe di legno simili a quelle delle librerie, ma due volte tanto più larghe. Queste scansìe o intavolati devono essere munite sul dinanzi di orlo sporgente in su, alto circa due centimetri, onde impedire che le frutta non cadano. Quando si manchi di un locale conveniente per la dispensa, si può in una stanza qualsiasi, purchè sia sufficientemente asciutta e al riparo dal gelo, schierare una data quantità di casse piatte, senza coperchio, simili a tiratoî o cassettini, e poste in modo da poter essere accatastate le une sulle altre e cuoprirsi esattamente. Le frutta vi si depongono senza essere accumulate, e si conservano benissimo, al riparo dal contatto dell'aria esterna.
frutta perdono in tal modo una parte della loro acqua di vegetazione, il che assicura meglio la conservazione. Innanzi di portare le frutta nella dispensa