Prima di cuocerlo lasciatelo frollare diversi giorni, più o meno a seconda della temperatura. Prima d'infilarlo allo spiede battetelo ben bene con un mazzuolo di legno, poi spellatelo e levategli, senza troppo straziarlo, l'osso di mezzo. Dopo, perchè resti tutto raccolto, legatelo e dategli fuoco ardente da principio, e a mezza cottura diminuite il calore. Quando comincia a gettare il sugo, che raccoglierete nella leccarda, bagnatelo col medesimo e con brodo digrassato, nient'altro. Salatelo a cottura quasi completa; ma badate che non riesca troppo cotto nè che sanguini e servitelo in tavola col suo sugo in una salsiera e perchè faccia miglior figura involgete l'estremità dell'osso della gamba in carta bianca frastagliata.
ardente da principio, e a mezza cottura diminuite il calore. Quando comincia a gettare il sugo, che raccoglierete nella leccarda, bagnatelo col
Lavate bene le vongole e lasciatele per qualche ora in acqua corrente. Mettetele poi in una pentola senz'acqua e lasciatele al fuoco fino a che si saranno aperte. Togliete allora le vongole dalle valve e filtrate attraverso una tela la loro acqua, che raccoglierete a parte. Fate un soffritto con l'olio, la cipolla e il prezzemolo tritati, uno spicchio d'aglio, che toglierete quando sarà rosolato. Quando è dorato unitevi le vongole e i pomidoro spellati e sgocciolati. Bagnate con l'acqua delle vongole e lasciate cuocere fino a che si abbia una salsa ben ristretta. Lessate in abbondante acqua salata gli spaghetti e conditeli col suddetto intingolo.
saranno aperte. Togliete allora le vongole dalle valve e filtrate attraverso una tela la loro acqua, che raccoglierete a parte. Fate un soffritto con l
Scegliete un bel pezzo di manzo giovine (nel filetto o nella lombata); infilzatelo allo spiede, equilibrandone il peso all'intorno; ponetelo a girare ad un fuoco gagliardo, salatelo abbondantemente, ed ungetelo di sovente con olio, che raccoglierete in una ghiotta sottoposta, dove potrete far rosolare alcune patate, colle quali in tal caso guarnirete l'arrosto servendolo in tavola.
ad un fuoco gagliardo, salatelo abbondantemente, ed ungetelo di sovente con olio, che raccoglierete in una ghiotta sottoposta, dove potrete far
Dopo sventrato e pulito il tacchino secondo la regola, mettetegli nell'interno del corpo due cipolline, alcuni garofani ed un pizzico di sale; indi infilzatelo allo spiede, punzecchiatelo con una forchetta nelle parti più grasse, copritelo con sottili fette di prosciutto o di lardo, e fette di limone alternate, assicurando il tutto con refe, e finalmente avvoltolo in grossa carta bianca, che avrete prima unta con olio, fatelo girare presso un fuoco vivace, facendo attenzione di non lasciar abbruciare la carta. Dopo un'ora e mezza togliete tutto l'involucro, gettando via la carta e mettendo nella ghiotta le fette del prosciutto e del limone, e fate girare il tacchino così spogliato ancora per mezz'ora o più, onde lasciargli prendere un bel colore doralo, non tralasciando di ungerlo di sovente coll'unto stesso che raccoglierete dalla ghiotta sottostante.
colore doralo, non tralasciando di ungerlo di sovente coll'unto stesso che raccoglierete dalla ghiotta sottostante.
A questo scopo prendetene una piccola quantità — un pezzo come una noce — rotolatelo delicatamente sulla tavola leggermente infarinata e tuffatelo nell'acqua bollente. Dopo pochi minuti tiratelo su, potendo così verificare se la farcia si è ri-stretta al punto giusto e se il condimento non difetta in nulla. Se la farcia alla prova dell'acqua bollente risultasse leggiera bisognerà aggiungerci un rosso d'uovo in più. In caso contrario se cioè la farcia vi sembrasse soverchiamente compatta, bisognerà alleggerirla con qualche cucchiaiata di crema sciolta o anche di salsa besciamella fredda. Dopo questa verifica necessaria, raccoglierete la farcia in una piccola terrina, la coprirete con un foglio di carta imburrata e la terrete in luogo fresco fino al momento di adoperarla.
questa verifica necessaria, raccoglierete la farcia in una piccola terrina, la coprirete con un foglio di carta imburrata e la terrete in luogo fresco
Per sei persone misurate otto scodelle colme di acqua che raccoglierete in una pentola. Sbucciate nove patate di media grandezza e mettele a cuocere nella pentola preparata. Quando saranno cotte tiratele su con una cucchiaia bucata e mettetele da parte. Queste patate vi serviranno per contorno e potrete confezionarle in uno dei tanti modi che troverete nel presente volume. Nell'acqua in cui hanno cotto le patate mettete adesso tre cipolle, un paio di carote gialle e un piccolo sedano, il tutto grossolanamente tagliato, quattro pomodori fatti in pezzi e un chiodo di garofano. Potrete aggiungere anche una fettina di lardo e una corteccia ben raschiata di parmigiano. Ma queste ultime addizioni sono facoltative. Salate la pentola, copritela e lasciatela bollire dolcemente per almeno due ore. Trascorso questo tempo, passate il brodo raccogliendo i legumi nel colabrodo e pigiando energicamente con cucchiaio di legno per farne uscire tutto il sugo. Avrete ottenuto così un brodo aromatico nel quale potrete cuocere la consueta dose di minestra che finirete al momento di andare in tavola con qualche cucchiaiata di parmigiano.
Per sei persone misurate otto scodelle colme di acqua che raccoglierete in una pentola. Sbucciate nove patate di media grandezza e mettele a cuocere
I veri vermicelli con le vongole sono facilissimi, ma non tutti, specie i non napolitani, li sanno cucinare a perfetta regola d'arte. Questi vermicelli non tollerano elementi estranei di nessun genere: non debbono esser fatti che con olio, un po' d'aglio, vongole e pomodoro; e soprattutto niente alici, che taluni erroneamente aggiungono. Per riuscire bene, bisogna che i vermicelli abbondino in sugo e in vongole. Per quattro persone noi vi consiglieremmo quindi un chilogrammo di questi saporitissimi frutti di mare. Un nemico capitale da evitare a qualunque costo è la rena; quindi prima di ogni altra cosa mettete le vongole in una catinella piena d'acqua e lavatele energicamente; cambiando, se occorre, l'acqua. Fatto ciò passatele in una padella piuttosto grande con una cucchiaiata d'olio, copritele e mettetele sul fuoco. Fate saltellare le vongole affinchè possano sentire tutte ugualmente il calore. Vedrete che in due o tre minuti saranno aperte. Levate allora la padella dal fuoco e aiutandovi con un cucchiaino staccate a una a una le vongole dal guscio. I gusci li getterete, le vongole le raccoglierete in una scodella. Se vi accorgeste che le vongole contenessero ancora molta rena, potrete lavarle un'altra volta con un ramaiolo d'acqua appena tiepida, poi tirarle su, e passarle in un'altra scodella pulita. Quando avrete sgusciato tutte le vongole, vedrete che nella padella sarà rimasto un abbondante liquido dall'aspetto torbido. Guardate di non gettarlo via perchè è appunto quello che darà il profumo alla pietanza. Prima di adoperarlo però voi dovrete aspettare un pochino, per dar modo alla rena di posarsi sul fondo della padella. Soltanto allora inclinate leggermente questa e decantate il sugo in una tazza, avvertendo che il fondo terroso rimanga nella padella. Dopo questa operazione principale, prendete un tegame di terracotta o una padella o anche una casseruola di rame, ove metterete mezzo bicchiere d'olio e uno spicchio d'aglio. Portate sul fuoco, e appena l'aglio incomincia a soffriggere toglietelo, e aggiungete tre o quattro cucchiaiate di salsa di pomodoro in scatola o un chilogrammo abbondante di pomodori freschi passati dal setaccio. Condite con sale e pepe, aggiungete il sugo delle vongole, un pochino di acqua, se ce n'è bisogno, e fate cuocere la salsa. Quando questa sarà addensata aggiungete le vongole, e lasciatele bollire per due o tre minuti, affinchè non induriscano troppo. Avrete messo intanto a cuocere la quantità di vermicelli necessaria — per quattro persone circa mezzo chilogrammo. — Teneteli piuttosto duri di cottura, scolateli, conditeli con la salsa preparata, finiteli con un pizzico di pepe e una cucchiaiata o due di prezzemolo trito ben verde.
vongole dal guscio. I gusci li getterete, le vongole le raccoglierete in una scodella. Se vi accorgeste che le vongole contenessero ancora molta rena
La pizza alla Campofranco è una squisita specialità della cucina napolitana e se fino a un certo punto rientra nel campo delle famose «pizze» di questo genere, si distanzia per una maggiore finezza, la quale deriva dall'abbondanza del condimento e dall'essere fatta con una specie di pasta da brioche, anzichè con la consueta pasta lievitata da pane. Preparate anzitutto la pasta speciale che confezionerete nel modo seguente: Mettete sulla tavola di marmo di cucina 250 grammi di farina stacciata. Disponetela a fontana e metteteci in mezzo 150 grammi di burro, 2 uova intiere, un buon pizzico di sale e da 15 a 20 grammi di lievito di birra sciolto in un dito di latte o di acqua. L'acqua o il latte debbono essere appena tiepidi altrimenti il lievito si brucerebbe e non potrebbe più compiere il suo ufficio. Con la mano incominciate ad impastare il burro e le uova raccogliendo man mano la farina. Quando tutti gli ingredienti saranno amalgamati aggiungete altre due uova intere e incominciate a lavorare con forza la pasta sollevandola con la mano e sbattendola contro il tavolo finchè questa pasta sarà diventata ben sostenuta ed elastica e si staccherà in un sol pezzo dalla tavola. A questo punto unite alla pasta una mezza cucchiaiata scarsa di zucchero, impastate un altro pochino, e poi deponete la pasta ultimata in una insalatiera che avrete precedentemente spolverizzato di farina. La pasta non dovrà occupare che un terzo del recipiente. Coprite con una salvietta ripiegata e mettetela in luogo tiepido per farla lievitare. In un paio d'ore o poco più la pasta avrà raggiunto gli orli della terrinetta. Mentre la pasta lievita preparate il ripieno della pizza. Prendete tre ettogrammi di mozzarella napolitana o, in mancanza di questa, un eguale peso di formaggio fresco. Ritagliate questa mozzarella in fettine sottili che raccoglierete in una scodella. Prendete anche un ettogrammo e mezzo di prosciutto che ritaglierete in listerelle. Da ultimo provvedetevi di mezzo chilogrammo di pomodori lisci e carnosi, immergeteli per un minuto o due in acqua bollente, privateli della pelle, e ritagliateli in spicchi, togliendo via i semi. Mettete sul fuoco una padella con un poco d'olio e quando la padella sarà fumante, gettateci i pomodori e fateli scottare a fuoco fortissimo affinchè possano cuocere senza disfarsi. Debbono stare pochissimo al fuoco e non debbono essere troppo mescolati, altrimenti si sfasciano e invece di filetti di pomodoro si ottiene una poltiglia.
questa mozzarella in fettine sottili che raccoglierete in una scodella. Prendete anche un ettogrammo e mezzo di prosciutto che ritaglierete in
Scegliete dei calamaretti di media grandezza, calcolandone uno o due a persona. Spellateli, togliete loro la penna e risciacquateli accuratamente senza aprirli dividendo solo la parte carnosa dalle zampe. Tutte le zampe le raccoglierete e le triterete minutamente con un po' d'aglio, dei funghi secchi che avrete fatto rinvenire in acqua fredda, un pizzico d'origano, un bel ciuffo di prezzemolo e abbondante mollica di pane grattata. Condite questo impasto con sale, pepe e olio e riempitene i calamari a guisa di sacchetti, che cucirete poi con una passata di filo grosso. Aggiustate i calamari ripieni in una tortiera unta di olio, conditeli ancora con un po' di sale, pepe e un altro po' d'olio, e cuoceteli al forno. Se credete, potrete anche arrostirli sulla gratella, e in questo caso dovrete ungerli e voltarli spesso. Mandateli in tavola accompagnati da spicchi di limone. [immagine: particolare decorativo]
senza aprirli dividendo solo la parte carnosa dalle zampe. Tutte le zampe le raccoglierete e le triterete minutamente con un po' d'aglio, dei funghi
Intanto provvedetevi una diecina di bei fegatini di pollo, guardate di portar via tutte le parti state in contatto col fiele e metteteli in bagno in acqua fredda che rinnoverete spesso fino a che i fegati avranno perduto tutta la parte sanguigna e siano rimasti bianchi. A questo punto scolateli, asciugateli in un panno e poi metteteli a cuocere in una padellina con un po' di burro, le rifilature dei tartufi messe da parte, un pezzetto di lauro e una pizzicata di timo. Portate la cottura a fuoco forte in modo che i fegatini non abbiano a indurirsi, conditeli con sale e pepe e spruzzateli con una cucchiaiata di marsala. Toglieteli dal fuoco, lasciateli freddare e poi pestateli nel mortaio insieme con un ettogrammo di burro e una cucchiaiata colma di salsa besciamella piuttosto densa, che avrete preparato e lasciato freddare. Quando ogni cosa sarà bene amalgamata passatela dal setaccio in modo da avere una purè finissima e saporita che raccoglierete in una scodella e terrete al fresco. Quando la noce di vitello sarà fredda togliete via lo spago e affettatela in fette piuttosto sottili. Su ogni fetta spalmate un po' della purè di fegatini e su questa purè appoggiate una sottilissima fetta di prosciutto cotto, della stessa larghezza della fetta di carne. Continuate così a spalmare le varie fette inframezzandole di prosciutto cotto e ricomponendo man mano la noce come se fosse intiera. Quando avrete ultimato tutte le fette, pigiate leggermente le due estremità della noce affinchè le varie fette possano riunirsi per bene. In una parola la noce di vitello dovrà sembrare nuovamente completa come lo era prima di essere tagliata. Occorre adesso una stampa rettangolare di poco più grande della noce di vitello. Preparate un litro della gelatina sbrigativa (pag. 20) versatene un poco sul fondo della stampa e lasciatela rapprendere. Quando la gelatina sarà rappresa prendete con garbo la noce di vitello ricomposta e mettetela in un sol pezzo nella stampa, che finirete di riempire con la gelatina. Portate la stampa in ghiacciaia e lasciatela così per un paio d'ore. Al momento di servire immergete per pochi secondi la stampa in acqua tiepida e poi capovolgetela sul piatto di servizio. Contornate la noce di vitello con delle piccole tartelette ripiene di insalata russa, intramezzandole con crostoni di gelatina.
modo da avere una purè finissima e saporita che raccoglierete in una scodella e terrete al fresco. Quando la noce di vitello sarà fredda togliete via
I pomodori ripieni di riso hanno molto buone qualità: tra le quali quelle di costar poco, di essere appetitosi e di potersi preparare qualche ora prima, poichè son migliori freddi che caldi. Scegliete dei pomodori piuttosto grossi, tagliateli orizzontalmente in due parti, di cui la superiore, il coperchio, dovrà essere molto minore della inferiore. Servendovi di un cucchiaino, liberate i fondi dai semi e dal sugo che raccoglierete in una scodella, e ponete questi fondi in una teglia, uno vicino all'altro. Condite queste specie di scatole con sale, pepe, un pizzico di zucchero e un nonnulla di cannella in polvere, e metteteci poi il riso in modo da riempire i vuoti. Sul riso sgocciolate un po' d'olio, e mettete un pizzico di prezzemolo trito. Se credete potrete aggiungere anche qualche pezzetto di aglio tritato finissimo. Rimettete ad ogni pomodoro preparato il suo coperchio, spolverizzate un altro po' di sale, innaffiate con altro olio, e sopra a tutto versate il sugo dei pomodori raccolto nella scodella, facendolo passare a traverso un setaccio o un colabrodo. Si cuociono a forno di moderato calore, oppure sul fornello con poca brace sotto e fuoco piuttosto abbondante sul coperchio. Quando saranno cotti si prendono su con una cucchiaia bucata e si accomodano nel piatto. Invece della cannella, si possono aromatizzare i pomodori con un po' d'origano.
coperchio, dovrà essere molto minore della inferiore. Servendovi di un cucchiaino, liberate i fondi dai semi e dal sugo che raccoglierete in una
La base principale di questo dolce è costituita da una farina di mandorle che si ottiene pestando nel mortaio delle mandorle secche e dello zucchero. Preparate in due piatti separati, un ettogrammo di mandorle secche (s'intende sgusciate) e un ettogrammo e mezzo di zucchero in pezzi. Mettete nel mortaio un po' di mandorle alla volta con un pochino di zucchero e pestate col pestello per ridurre le mandorle in polvere. Le mandorle vanno pestate così come sono, senza toglier loro la buccia. Man mano che avrete pestato un po' di mandorle con lo zucchero passate questa farina da un setaccino di fil di ferro a maglie non troppo sottili. La farina che passerà la raccoglierete in un grande foglio di carta e i frantumi di mandorle che rimarranno sul setaccio li pesterete nuovamente insieme con altre mandorle e nuovo zucchero, finchè avrete esaurito tutte le mandorle e tutto lo zucchero. Badate di non adoperare troppo zucchero in principio perchè correreste il rischio di esaurire presto la dose messa da parte e di dover poi pestare le mandorle sole, col pericolo di far cavar loro l'olio. Ottenuta questa farina di mandorle zuccherata mettetela sulla tavola di marmo della cucina o sulla spianatoia di legno ed unitele due cucchiaiate colmissime di farina (65 grammi), due cucchiaini da caffè di cannella in polvere, un pezzo di burro come una grossa noce, un uovo intiero e la corteccia raschiata di mezzo limone. Da principio vi sembrerà che tutti questi ingredienti stentino ad unirsi, ma pian piano, impastando con pazienza otterrete una pasta omogenea. Guardatevi dall'aggiungere la più piccola quantità d'acqua che non ve n'è affatto bisogno. Ungete di burro una teglia piuttosto grande e velatela con un po' di farina capovolgendo e battendo poi la teglia per farne cadere l'eccesso. Rotolate la pasta con le mani leggermente infarinate e fatene un cilindro come un grosso maccherone che taglierete in tanti pezzetti come grosse nocciole. Schiacciate con le dita queste nocciole all'altezza di mezzo centimetro, dando loro una forma leggermente ovale, la forma presso a poco delle fave, e allineatele nella teglia, lasciando tra l'una e l'altra una piccola distanza, affinchè cuocendo e allargandosi un poco non si attacchino fra loro. Mettete la teglia in forno di calore moderato e date alle fave una ventina di minuti di cottura fino a che saranno diventate di un bel colore biondo. Staccatele con garbo dalla teglia, lasciatele asciugare su un setaccio grande e quando saranno fredde riponetele in una scatola chiusa, se volete che si conservino croccanti. Crediamo opportuno avvertirvi che all'uscita dal forno le fave sono molli e che solo col freddarsi acquistano quel croccante così piacevole. Con questa dose otterrete una cinquantina di fave, equivalenti in peso a due ettogrammi e mezzo e più.
fil di ferro a maglie non troppo sottili. La farina che passerà la raccoglierete in un grande foglio di carta e i frantumi di mandorle che rimarranno
Mettete in una piccola casseruola con acqua un ettogrammo di mandorle e portatele fino all'ebollizione. Sarà così facile levare loro la pellicola. Lasciate asciugare bene, passandole nel forno appena tiepido, e poi pestatele nel mortaio con cento grammi di zucchero in pezzi. Pestate poche mandorle e poco zucchero alla volta, e badate che le mandorle non facciano olio. Passate poi la farina ottenuta da un setaccio e pestate nuovamente la granella rimasta, fino a che avrete passato tutto. Adesso bisogna fare il color verde. Prendete un pugno di foglie di spinaci, pestatele bene nel mortaio, poi mettetele in una salvietta e strizzate forte. Ne uscirà un liquido verdastro che raccoglierete in un tegamino. Mettete il tegamino sul fuoco e al primo bollore vedrete che il liquido si sarà decomposto. Passatelo allora per un velo. La parte acquosa se ne andrà, e sul velo rimarrà una sostanza verde che è il colore richiesto. Mescolate questo verde con la farina di mandorle zuccherata, e se vedrete che l'impasto stenta a formarsi, uniteci poche goccie di acqua o meglio di maraschino. Guardate che la pasta deve riuscire ben sostenuta. Fendete per metà 40 datteri e togliete il nocciolo senza dividerli in due. Aprite il dattero, e nell'apertura mettete un po' di pasta di mandorle, procurando di disporla in modo regolare, cosicchè tra le due labbra — diciamo così — del dattero si veda una bella striscia di pasta di mandorle. Questo per i datteri. Le noci si schiacciano senza rovinarle, e con un coltellino si tagliano in due parti. Tra una parte e l'altra si mette una pallina di pasta di mandorle e si ricostruisce la noce.
mettetele in una salvietta e strizzate forte. Ne uscirà un liquido verdastro che raccoglierete in un tegamino. Mettete il tegamino sul fuoco e al
Per sei persone prendete sei pesche di media grandezza e di buona qualità, risciacquatele in acqua fresca, nettatele in un tovagliolo, e dividetele in due senza sbucciarle. Con un coltellino togliete l'osso, e poi con lo stesso coltellino togliete anche un po' di polpa dall'interno che raccoglierete in un piatto. Quando avrete così aperte e vuotate tutte le pesche, schiacciate la polpa estratta, aggiungendo ad essa anche un'altra pesca sbucciata e tagliata in fettine. Se si tratta di pesche spaccarelle molto tenere, basterà schiacciare la polpa con una forchetta, se si tratta invece di pesche dalla polpa dura converrà pestarle nel mortaio, o tritarle sul tagliere, avvertendo che coltello e tagliere non sappiano di grasso. Raccogliete la polpa preparata in una terrinetta ed uniteci due cucchiaiate colme di zucchero, un pezzo di burro come una grossa noce, quattro o cinque amaretti schiacciati e un rosso d'uovo. Mescolate ogni cosa e poi riempite con questo ripieno le pesche, dando loro bella forma con una lama di coltello. Ungete abbondantemente di burro una teglia in cui le pesche possano stare in un solo strato, e mettete la teglia in forno moderato per circa un'ora. Queste pesche, veramente squisite, offrono un dolce elegante e di poca spesa. Possono essere servite così calde come fredde. In mancanza del forno si possono cuocere con fuoco sotto e sopra.
raccoglierete in un piatto. Quando avrete così aperte e vuotate tutte le pesche, schiacciate la polpa estratta, aggiungendo ad essa anche un'altra pesca sbucciata
sommerse nel «brillante». Lasciatele così per nove ore senza mai toccarle. Trascorso questo tempo togliete il turacciolo alla «brillantiera» e lasciate che lo sciroppo (che raccoglierete naturalmente in un altro recipiente) esca fino
lasciate che lo sciroppo (che raccoglierete naturalmente in un altro recipiente) esca fino
asciutta, passatela dal setaccio. Otterrete circa quattrocento gr. di pasta di castagne, che raccoglierete in una terrinetta. Mettete adesso sul fuoco in un polsonetto di rame non stagnato 300 grammi di zucchero, inumiditelo con un poco d'acqua e poi cuocetelo alla «caramella». Appena lo zucchero è giunto a questo punto di cottura, fatelo cadere subito, in un filo continuo, sulla pasta di castagne, mentre con l'altra mano mescolerete la massa per unirla sollecitamente. Quando avrete versato tutto lo zucchero, mescolate ancora un poco per lisciare sempre meglio la marmellata: finitela con una puntina di vainiglina, e, appena tiepida, versatela nei vasetti. Quando la marmellata sarà completamente fredda, si copre con un dischetto di carta pergamena bagnata nell'alcool puro e poi si chiude il vasetto col suo coperchio. Aggiungendo lo zucchero vedrete che la marmellata vi sembrerà piuttosto colante, ma raffreddandosi tornerà ad una densità giusta. Questa marmellata è squisita e ricorda assai da vicino il gusto dei «marrons glacés». Con queste dosi otterrete circa due vasetti di marmellata.
asciutta, passatela dal setaccio. Otterrete circa quattrocento gr. di pasta di castagne, che raccoglierete in una terrinetta. Mettete adesso sul
Mettete a bollire in una casseruola stagnata o in un tegame di terraglia due ettogrammi di frutto di tamarindo con tre bicchieri e mezzo di acqua (800 grammi). Sciogliete bene il tamarindo nell'acqua e lasciatelo bollire sull'angolo del fornello per una ventina di minuti. Fate attenzione che la casseruola o il tegame non siano grassi, altrimenti otterreste uno stomachevole risultato. Quando il tamarindo avrà bollito il tempo prescritto, toglietelo dal fuoco, lasciatelo freddare un poco e poi, mettendo una salviettina sopra un imbuto, filtrate questa infusione di tamarindo, che raccoglierete in una terrinetta. Quando tutto il liquido sarà passato, rimarranno nella salviettina la pelle e le ossa del frutto, che voi strizzerete con forza per estrarne tutto il sugo. Fatto questo, pesate il liquido ottenuto ed aggiungeteci il doppio del suo peso di zucchero in pezzi. Rimettete sul fuoco questo liquido inzuccherato, mescolate con un cucchiaio di legno affinchè lo zucchero si sciolga perfettamente, e lasciate bollire pianissimo sull'angolo del fornello per un quarto d'ora circa, fino a che constaterete che lo sciroppo si è un po' addensato e vela il cucchiaio. È necessario schiumare accuratamente il liquido mentre bolle, perchè da questo dipende tutta la limpidità dello sciroppo. Quando sarà freddo imbottigliatelo.
, toglietelo dal fuoco, lasciatelo freddare un poco e poi, mettendo una salviettina sopra un imbuto, filtrate questa infusione di tamarindo, che raccoglierete
Pigliate un bel pezzo di manzo giovine, infilzatelo allo spiede, equilibrandone il peso all'intorno; ponetelo a girare ad un fuoco gagliardo, salatelo abbondantemente, ed ungete di sovente con olio, che raccoglierete in una ghiotta sottoposta, dove potrete far rosolare alcune patate, colle quali guarnirete l'arrosto.
, salatelo abbondantemente, ed ungete di sovente con olio, che raccoglierete in una ghiotta sottoposta, dove potrete far rosolare alcune patate, colle quali
Quando avrete sventrato e pulito il tacchino, mettete nell'interno del corpo due cipolline, alcuni garofani ed un pizzico di sale; infilzatelo allo spiedo, punzecchiatelo con una forchetta nelle parti più grasse, copritelo con sottili fette di prosciutto o di lardo, e fette di limone alternate, assicurando il tutto con refe, avvolgetelo in grossa carta bianca, già unto con olio, fatelo girare presso un fuoco vivace ba-dando di non lasciar abbruciare la carta. Dopo un'ora e mezza togliete tutto l'involucro gettando via la carta e mettendo nella ghiotta le fette del prosciutto e del limone, fate girare il tacchino così spogliato ancor per mezza ora per lasciargli prendere un bel colore dorato, ungendolo sovente coli'unto stesso che raccoglierete dalla ghiotta.
Scegliete un bel pezzo di filetto, o lombata, di manzo giovine e infilzatelo allo spiede, equilibrandone il peso all' intorno; ponetelo a girare ad un fuoco gagliardo, salatelo abbondantemente, ed ungetelo di sovente con olio, che raccoglierete in una « ghiotta », dove potrete far rosolare alcune patate, con le quali, in tal caso, guarnirete l'arrosto, servendolo in tavola.
un fuoco gagliardo, salatelo abbondantemente, ed ungetelo di sovente con olio, che raccoglierete in una « ghiotta », dove potrete far rosolare alcune
Prendete dunque una coscia di castrato, frollato a dovere; battetela bene con un mazzuolo, indi spellatela e levategli l'osso di mezzo cercando di non straziare la carne. Poi legatela con uno spago, onde tenerla meglio raccolta; infilatela nello spiede e fatela arrostire, dapprima a fuoco ardente, poi, quando è a mezza cottura, diminuite il calore. Quando comincia a mandare fuori il sugo, che raccoglierete nella ghiotta, bagnate la carne col medesimo e con un poco di brodo. Salatela quando è quasi cotta, e servitela col suo sugo a parte in una salsiera.
, poi, quando è a mezza cottura, diminuite il calore. Quando comincia a mandare fuori il sugo, che raccoglierete nella ghiotta, bagnate la carne col
Dopo un'ora e mezzo togliete l'involucro, gettando via la carta e mettendo nella « ghiotta » le fette del prosciutto; quindi fate girare il tacchino, così spogliato, per mezz'ora, o più, onde lasciargli prendere un bel colore dorato, non tralasciando di ungerlo di sovente coll'unto stesso, che man mano raccoglierete dalla « ghiotta » sottostante, e salandolo ancora. Si può servire con contorno di polenta fritta.
mano raccoglierete dalla « ghiotta » sottostante, e salandolo ancora. Si può servire con contorno di polenta fritta.
8. Grasso di cappone. — Se lo leverete crudo dal cappone, potrete scioglierlo in una cazzarolina con un po' di latte; se lo raccoglierete dall'arrosto o con il brodo basta che lo riponiate in piccoli vasi.
8. Grasso di cappone. — Se lo leverete crudo dal cappone, potrete scioglierlo in una cazzarolina con un po' di latte; se lo raccoglierete dall
106. Minestra della Regina. — Rosolate nel burro, con un battutino di prosciutto e poche radici, che poi leverete, un pollo o una gallina non troppo vecchia. Quand'è all'ordine, levate la carne del petto e ponetela da parte, tagliata a filetti, pestate il rimanente della carne e anche i fegatini nel mortajo e poi passate allo staccio. Versate del brodo buono sopra gli ossi e lasciate bollire lungamente. Pestate pure nel mortajo 100 gr. di mandorle dolci e 5 gr. di mandorle amare tutte ben mondate, unitevi dell'acqua a poco a poco, in modo da cavarne una certa quantità di latte che raccoglierete tutto, spremendo le mandorle da un tovagliuolo.
raccoglierete tutto, spremendo le mandorle da un tovagliuolo.
30. Erbe per fare la minestra. — Quando il sole è cocente vi si possono seccare in poche ore le erbe e le radici, siccome però parecchie verdure maturano a stagione più fresca, vi converrà all'occorrenza servirvi del forno. Così raccoglierete a poco a poco una giusta miscela di bulbi di carote, di radici di sedano, di porri, di pastinache, di radici di prezzemolo, di rape, di cavoli verza e cavoli cappucci tagliati a listarelle, e di erbe aromatiche, le quali cose bene seccate conserverete in vasi di vetro per unirle poi alle minestre durante l'inverno.
maturano a stagione più fresca, vi converrà all'occorrenza servirvi del forno. Così raccoglierete a poco a poco una giusta miscela di bulbi di carote, di
Tale e quale mi fu mandata (e tanto raccomandata), ora ve ne darò la complicatissima ricetta, e se alla metà circa di giugno (cioè alla stagione adatta) al par di me raccoglierete noci acerbe, e se, al par di me, vi accingerete poscia a confezionarle in quella guisa che mi venne tanto decantata, potremo un dì giudicare, tutte quante assieme, se sarà o non sarà saggio raddoppiare, al prossimo anno, la raccolta di noci ancora verdi. La ricetta, complicata e lunga quanto lunga e complicata ne sarà la... fabbrica, eccola dunque qua:
adatta) al par di me raccoglierete noci acerbe, e se, al par di me, vi accingerete poscia a confezionarle in quella guisa che mi venne tanto decantata