SALSIFIS (s. m.) scorzonera. Salade de Salsifis noir - Beignets de Salsifis, frittelle di Scorzonera - Salsifis à la béchamel, à la crème, au gratin, à la poulette, in salsa bianca, à la ménagère al burro e farina - Salsifis blanc, sassefrica, salsifis noir, detto di Spagna, salsifis sauvage, scorzonera selvatica, detta: barba di prete.
Quando sieno teneri, si devono in prima ripulire bene come sopra, e tagliati nel mezzo levata loro la barba o pelo interno, poi salat ed aspersi di un poco di olio di ulivo e messoci anche un poco di pepe si fanno cuocere sulla graticola, e si servono coll'aggiunta di una spremuta di limone.
Quando sieno teneri, si devono in prima ripulire bene come sopra, e tagliati nel mezzo levata loro la barba o pelo interno, poi salat ed aspersi di
Pianta le cui carnose radici sono molli, sugose e molto saporite. Nelle Romagne ne fanno gran consumo quale alimento. Dei barba gentili mangiansi le teneri messe e le radici succolenti e si condiscono come i cardi o le sassefriche.
Pianta le cui carnose radici sono molli, sugose e molto saporite. Nelle Romagne ne fanno gran consumo quale alimento. Dei barba gentili mangiansi le
In quanto al condimento esso è facoltativo, e può consistere tanto in parmigiano e burro (quest'ultimo naturale o fritto ad uso milanese) oppure, si possono condire con un buon sugo di carne e parmigiano od anche col così detto sugo d'umido, e, se dopo conditi li lascierete stufare un pochino, acquisteranno anche maggior gusto. [inserto pubblicitario: Acqua di RomaAntica rinomata specialità di provata efficacia, per ridonare ai capelli e barba bianchi in pochi giorni i primitivi colori biondi castano e nero morato senza macchiare la pelle e la biancheria.Bottiglia di 300 grammi franca per posta L. IO anticipate presso Unico DepositoDitta NAZZARENO POLEGGI di Raimondo PerlaVia della Maddalena, 50 ROMA 20 (vicino alla chiesa)Negozio adibito alla sola vendita di detta specialità ]
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Sarebbe bene che in settembre ogni madre di famiglia facesse la sua provvista di funghi porcini, ma funghi giovani, duri e senza barba, per seccarli in casa, e ci vuol poco:
Sarebbe bene che in settembre ogni madre di famiglia facesse la sua provvista di funghi porcini, ma funghi giovani, duri e senza barba, per seccarli
Il nome di Fungo — dal greco Sphongos, sponga, a cagione della loro sostanza spongiosa, d'onde il Fongus dei latini — è dato a certe vegetazioni che si allontanano dalla comune, per natura, sostanza, forma, mancanza di foglie, di fiori. Ve ne sono d'ogni grandezza, d'ogni forma, filamentosi, membranosi, schiumosi, tuberosi, a carne consistente, spongiosa, coriacea, sugherosa, compatta. Alcuni danno seme, altri no. Infinito il numero delle specie: se ne conoscono più di 3000 varietà, ve ne sono in famiglia, a gruppi, solitari. Aderiscono al suolo o sul corpo sul quale vengono, per mezzo di fibrille, che non sono radici. Esalano un odore particolare ed umido, che è comune a tutti, con alcune gradazioni fra le diverse specie. Il sapore non è meno variabile — ordinariamente è sapido, acre, bruciante, stittico acido nauseante, aromatico a seconda del sugo del quale sono imbevuti. Amano luoghi boschivi umidi e grassi, vengono sulle sostanze vegetali ed animali in decomposizione. L'umidità calda ne genera lo sviluppo e la moltiplicazione principalmente in Autunno e Primavera. Vogliono i climi delle zone temperate. Le stesse specie di funghi non compariscono indifferentemente in tutte le stagioni. L'Asia boreale, la Cina, l'America settentrionale abbondano di funghi. Ànno sviluppo rapido, istantaneo compariscono da prima come piccoli filamenti o fibre che poi si tumefanno e s'ingrossano e crescono tosto a vista d'occhio a formare il fungo perfetto. Questo primo stato si chiama carcite o bianco di fungo. Una sola notte vede apparire migliaja di funghi, alcune ore, alcuni minuti bastano, a diverse specie per pervenire al loro ultimo sviluppo. L'assenza della luce e un'atmosfera tranquilla accelerano singolarmente la loro moltiplicazione. Pervenuti alla maturità emettono de' piccoli corpuscoli tondi, chiamati seminoli, è l'ultimo loro prodotto, come i semi nei vegetali. Sono finissimi, quasi polvere e situati sia nell'intera superficie, sia nella superficie superiore, sia internamente e vengono alla luce per laceramento o morte del fungo. La pioggia li fà deperire facilmente. Sono preda degli insetti e di alcuni animali erbivori, e i più avanzati in età, sono preferiti dagli insetti. E annesso dai chimici che sono potentissimi agenti d'ossidazione, e d'azotazione. I commestibili contengono secondo le varietà da 84 a 94 parti d'acqua, il resto è un composto di sali e sostanze organiche, vale a dire olii essenziali, materie resinose, grasse, coloranti, zuccherine, acidi organici diversi, materie gelatinose, gommose, raramente fecula-cellulosa, di composti azotati albumine ecc. Altri sono eduli, altri velenosi. Teoreticamente è impossibile dare una ragione, un indizio che distingua sicuramente gli eduli dai velenosi. Bisogna affidarsi, più che al medico alla conoscenza pratica locale delle specie, della forma, taglio, colore, aspetto, odore e sapore. A migliaja sono gli scienziati che ne parlarono, e tra questi il milanese Vittadini (1), ma fin ora la scienza non à detto l'ultima sua parola. S'è bensì trovata la maniera di coltivarli, ma su tante specie di funghi saporiti, appena s'è riescito di coltivarne le meno pregiate. Il progresso verrà non dubitiamone. Ma frattanto occhio alla padella! In generale rifiutare tutti i funghi non sani, o che cominciano a decomporsi, quelli che rotti tramandano un'umore lattiginoso, che crudi sono acri, che tingono in rosso la carta azzurra, che presentano una superficie viscosa, od umida, o macchiata, o brinata, che cambiano di colore rompendosi. Non vi affidate mai ai volgari esperimenti, che i funghi velenosi anneriscono il cucchiale d'argento, la cipolla, ed il prezzemolo ecc. Non acquistate mai funghi secchi sulla piazza, nè dal droghiere. Non mangiate funghi alle osterie, alberghi, principalmente di campagna. Se la vostra golaccia vi à pigliato nel trabocchetto e avete mangiato funghi velenosi — eccovi la ricetta del Mantegazza. Prima di tutto sappiate che il più delle volte i sintomi dell'avvelenamento compajono molto tardi, magari sette od otto ore dopo il delitto. Appena v'accorgete vomitate, cercate liberarvi subito delle materie velenose col vomito e col secesso. Cacciatevi due dita in bocca, la barba di una penna, aqua tepida molta — e se non vi riesce: solfato di rame o di zinco: mezzo grammo in cento grammi di aqua comune, — a cucchiaj ogni 5 minuti: purganti forti. Calmate i dolori con cataplasmi sul ventre — e se vi coglie stupefazione, cognac, rhum e frizioni secche ed aromatiche. Non prendete mai latte, compireste l'opera del veleno.
bocca, la barba di una penna, aqua tepida molta — e se non vi riesce: solfato di rame o di zinco: mezzo grammo in cento grammi di aqua comune, — a
Non acquistate mai funghi secchi sulla piazza, nè dal droghiere. Non mangiate funghi alle osterie, alberghi, principalmente di campagna. Se la vostra golaccia vi à pigliato nel trabocchetto e avete mangiato funghi velenosi, eccovi la ricetta del Mantegazza. Prima di tutto, sappiate che il più delle volte i sintomi dell'avvelenamento compaiono molto tardi, magari sette od otto ore dopo il delitto. Appena v'accorgete, vomitate, cercate liberarvi subito delle materie velenose col vomito e col secesso. Cacciatevi due dita in bocca, la barba di una penna, acqua tepida molta, e se non vi riesce, solfato di rame o di zinco: mezzo grammo in 100 grammi di acqua comune, a cucchiai ogni cinque minuti, purganti forti. Calmate i dolori con cataplasmi sul ventre, e se vi coglie stupefazione, cognac, rhum e frizioni secche ed aromatiche. Non prendete mai latte, compireste l'opera del veleno.
subito delle materie velenose col vomito e col secesso. Cacciatevi due dita in bocca, la barba di una penna, acqua tepida molta, e se non vi riesce
Per analogia di nome ne viene alla penna il Lupino, il quale è uno dei più scadenti legumi che si abbiano. (Lupinus albus, Lupinus vulgaris . Franc.: Lupin. Ted.: Wolsbohe. — Ingl.: Lupine. — Spagn.: Altramuz. Se ne contano 63 varietà. Serve meglio a concimare il terreno e ciò si usava fino ai tempi di Catone. I semi sono amari, ma lungamente macerati lasciano l'amarezza, sono farinosi ed insipidi. Nella Roma antica si vendeva sulle piazze come da noi i fagioli, e serviva di cibo agli schiavi ed ai poveri. Il Sangiorgio attesta che fino alla metà del secolo scorso si vendeva anche in Milano. Il lupino come sostanza alimentare è oramai quasi dimenticato. Le pie cronache narrano che il lupino era l'esclusivo cibo penitenziale di quaresima di S. Carlo Borromeo. Interrogato Zeno Ciprio, uno dei commensali quotidiani di Areneo, del perchè era più affabile e di facile conversazione dopo che aveva bevuto vino, rispose: «Perchè sono della natura dei lupini, quanto più stanno a molle, vengono più dolci.» La sua acqua amarissima combatte molte dermatosi erpetiche usata per lavanda. Era molto in credito per la pogoniasi, ossia per impedire lo sviluppo della barba nelle donne. Dà farina per toilette, che rende la pelle bianca e morbida. Presso gli Assiri il suo decotto si adoperava per curare la rogna.
dermatosi erpetiche usata per lavanda. Era molto in credito per la pogoniasi, ossia per impedire lo sviluppo della barba nelle donne. Dà farina per
perde di bontà. Gli uccelli sono assai ghiotti del suo seme. La specie humilis dà fiori dei quali si cava una tintura color nero. Alla prima specie (tropogon) appartiene quella così detta barba di becco barba di prete (tropogon pratense) in milanese barbabicch o erbabicch od anche bassabìcch. Alcuni la vogliono originaria dalla Siberia, ma pare invece che sia della Spagna, come lo indica anche il suo cognome hispanica, la quale si ritiene pure la sola vera scorzonera. Il suo nome viene dal colore della sua scorza. Il medico portoghese Nicolò Monardes, scrive che la scorzonera fu scoperta solo verso la metà del secolo XVI ad Urgel in Catalogna, in una località detta il Monte Bianco. E racconta che quel paese era molestato ed invaso da serpi velenose, dette scorzoni, e che un moro d'Africa curava i morsicati colla sua radice. Da qui il medico portoghese inferisce che venne il suo nome di scorzonera, cioè erba atta a guarire dagli scorzoni che, a sua detta, muoiono subito se si riesce a metterla loro in bocca. Ve la do come l'ò trovata su un libro stampato a Venezia appresso Francesco Zilletti nell'anno 1582.
(tropogon) appartiene quella così detta barba di becco barba di prete (tropogon pratense) in milanese barbabicch o erbabicch od anche bassabìcch
A' tempi di Svetonio, il bulbo dello zafferano durava 8 anni. Nell'Avignonese, oggi limitasi a due soli, nella Sicilia a tre, ad Aquila a quattro. Il bulbo è amato dai topi, gli steli dalle lepri. Quantunque originario dei paesi del mezzodì, è coltivato oramai in quasi tutta Europa, perfino in Inghilterra. In Italia tale coltura è antica, specialmente in Sicilia e nel Napoletano, e propriamente nella provincia di Aquila, che per aroma e qualità tintoria, dà lo zafferano migliore del mondo. Il suo prezzo medio è di L. 150 al kgr. Lo zafferano si usa dai tintori, dai caffettieri, dai pasticcieri, dai profumieri, dai pittori, pizzicagnoli, maniscalchi, farmacisti e cuochi. Per la cucina si dovrebbe provvederlo in fili e non in polvere, onde evitare la falsificazione. La frode più innocente è quella di esporlo per qualche tempo in luogo umido, affinchè cresca di peso. Lo si falsifica benissimo coi fiori dello Zaffranone o falso zafferano (carthamus tintorius), che dà un colore scarlatto, con l'Oricella (rocella tinctoria), che dà pure un color porpora, col Sommaco (rhus coriara), ecc. I vapori che sparge lo zafferano nei luoghi chiusi ove non si possano con facilità dissipare, sono all'uomo malsani e talvolta micidiali, perchè à virtù eminentemente narcotica, ed in medicina passa come rimedio stimolante, analogo all'oppio. La scoperta dello zafferano si perde nella nebbia dei tempi. La mitologia vuole che abbia avuto origine da un giovinetto chiamato Croco, che, innamoratosi perdutamente di una ninfa, chiamata Smilace, nè piacendo a Barba Giove tale matrimonio, fu da lui cambiato nella pianta dello zafferano; da qui il suo nome di Crocus. Et in parvos versum cum Smilace flores, et Crocon (Ovidio, 4.a Metam.). Dioscoride lo raccomanda come eccellente condimento e ne suggeriva un unguento, tanto che Properzio lodecanta:
perdutamente di una ninfa, chiamata Smilace, nè piacendo a Barba Giove tale matrimonio, fu da lui cambiato nella pianta dello zafferano; da qui il suo
La cosa non è facile a dirsi poichè i pareri di famosi ghiottoni sono stati, in tutti i tempi, discordi. Un celebre buongustaio si accontentava di spruzzare sulla testa dello sparagio qualche granello di sale. «Non c'è bisogno di salsa — diceva — per accompagnare lo sparagio: è un fondant». E a proposito di discordi pareri sulla migliore salsa per gli sparagi è famoso l'aneddoto degli sparagi di Fontenelle, l'illustre e irriducibile ghiottone, il quale smentì eloquentemente il vecchio adagio: «Ne uccide più la gola che la spada», perchè, in barba alle sue quotidiane incursioni nei regni della golosità, morì all'età rispettabilissima di cento anni. Del resto la fama di ghiottone dell'illustre segretario dell'Accademia delle Scienze non era un mistero: la duchessa di Grammont affermava che egli sarebbe stato capace di appiccare il fuoco al castello di Versailles per arrostire un'allodola. Una mattina un vecchio amico di Fontenelle, l'abate Garcin, altro buongustaio emerito, viene a chiedergli da colazione. Quale ispirazione quel Garcin! Proprio quella mattina, Fontenelle ha ricevuto in dono dall'Ambasciatore di Napoli un magnifico mazzo di sparagi. Aggiungete che si è in inverno, in pieno gennaio. Con quale salsa dovranno essere conditi questi rari, questi meravigliosi sparagi ? Fontenelle è propenso per l'olio e il limone, Garcin propone senz'altro la salsa bianca. Quale scegliere? Ognuno difende energicamente la sua salsa prediletta. I due vecchi discutono, si accalorano, alzano la voce. Ed ecco sopraggiungere Teresa, la valentissima cuoca di Fontenelle, la quale riesce a mettere facilmente d'accordo i due contendenti mediante la più saggia delle decisioni: una metà degli sparagi all'olio per Fontenelle, l'altra metà alla salsa bianca per l'abate. Lieti di questa soluzione così semplice, alla quale nondimeno non avevano pensato, i due vecchi amici, in attesa della colazione si siedono davanti al fuoco che scoppietta nell'alto camino. All'improvviso l'abate Garcin, una specie di botte vivente, leva le mani al cielo, straluna gli occhi, tenta d'alzarsi e rotola in terra fulminato da un colpo apoplettico. Allora Fontenelle, scavalca con giovanile vigore il monumentale corpo del suo vecchio amico, e, slanciandosi verso la cucina, grida con voce trionfante:
, il quale smentì eloquentemente il vecchio adagio: «Ne uccide più la gola che la spada», perchè, in barba alle sue quotidiane incursioni nei regni della
Il modo di seccare i funghi è dei più semplici. La migliore qualità è il fungo porcino. Trattandosi di funghi che si conservano per proprio uso è meglio mondarli con la massima cura togliendo via ogni più piccola traccia di terra, la barba verde e tutte le parti anche lievemente intaccate dai vermi. Sarà tanta fatica risparmiata quando si metteranno in bagno per adoperarli, poichè non ci sarà da riguardarli troppo nè da risciacquarli una infinità di volte come accade per i funghi che si comperano. Si tagliano dunque in fette grandi, poichè seccando diminuiscono assai di volume, si mettono su delle tavole e si espongono al sole rivoltandoli ad intervalli di cinque o sei ore. Vedrete che dopo la prima giornata di sole diminuiranno molto e si faranno leggeri. Potrete quindi, man mano, radunarli in una sola tavola e lasciarli bene asciugare. Quando saranno secchi fate dei piccoli sacchetti di velato bianco e conservateli lì dentro, appesi all'aria. Quando vorrete usarli non avrete che metterli in bagno per un po' di tempo in acqua fredda.
meglio mondarli con la massima cura togliendo via ogni più piccola traccia di terra, la barba verde e tutte le parti anche lievemente intaccate dai vermi
La scorzonera è una pianticella erbacea, della famiglia delle cicorie, della quale si mangiano le radici. Se ne conoscono 8 varietà. Da noi due se ne coltivano. La bianca (tropogon porrifolium), che è annuale, e si semina in primavera, per raccoglierne le radici in Ottobre ed in seguito, e vuole terreno profondo e grasso. È dolce e si fa friggere e conciare con burro come i legumi ed in insalata. L'altra la nera, o salsifino (scorzonera hispanica) è meno coltivata delle precedenti, perchè meno preferibile. È bisannuale, e produce una lunga e carnosa radice a pelle nera e carne bianca, di gusto amaro, che mangiasi pure a mo' dell'altra. Si semina egualmente, à fiori violacei in Luglio. Nel linguaggio dei fiori: rozzezza. Benchè perdurino due anni nel secondo perdono di bontà. Gli uccelli sono assai ghiotti del suo seme. La specie humilis dà fiori dei quali si cava una tintura color nero. Alla prima specie (tropogon) appartiene quella così detta barba di becco o barba di prete (tropogon pratense) in milanese barbabicch o erbabicch od anche bassabicch. Alcuni la vogliono originaria dalla Siberia, ma pare invece che sia della Spagna, come lo indica anche il suo cognome hispanica, la quale si ritiene pure la sola vera scorzonera. Il suo nome viene dal colore della sua scorza. Il medico portoghese Nicolò Monardes scrive che la scorzonera fu scoperta solo verso la metà del secolo XVI ad Urgel in Catalogna in una località detta il Monte Bianco. E racconta che quel paese era molestato ed invaso da serpi velenose, dette scorzoni, e che un moro d'Africa curava i morsicati colla sua radice. Da qui il medico portoghese inferisce che venne il suo nome di scorzonera, cioè erba atta a guarire dagli scorzoni che, a sua detta, muoiono subito se si riesce a metterla loro in bocca. Ve la dò come l'ò trovata su un libro stampato a Venezia appresso Francesco Zilletti nell'anno 1582.
. Alla prima specie (tropogon) appartiene quella così detta barba di becco o barba di prete (tropogon pratense) in milanese barbabicch o erbabicch od
A' tempi di Svetonio, il bulbo dello zafferano durava 8 anni. Nell'Avignonese oggi limitasi a due soli, nella Sicilia a tre, ad Aquila a quattro. Il bulbo è amato dai topi, gli steli dalle lepri. Quantunque originario dei paesi del mezzodì, è coltivato oramai in quasi tutta Europa, perfino in Inghilterra. In Italia tale cultura è antica specialmente in Sicilia e nel Napoletano, e propriamente nella provincia di Aquila, che per aroma e qualità tintoria dà lo zafferano migliore del mondo. Il suo prezzo medio è di L. 150 al chilogrammo. Lo zafferano si usa dai tintori, dai caffettieri, dai pasticcieri, dai profumieri, dai pittori, pizzicagnoli, maniscalchi e cuochi. Per la cucina si dovrebbe provvederlo in fili e non in polvere, onde evitarne la falsificazione. La frode più innocente è quella di esporlo per qualche tempo in luogo umido, affinchè cresca di peso. Lo si falsifica benissimo coi fiori dello Zaffranone, o falso zafferano (carthamus tintorius) che dà un colore scarlatto, con l'Oricella (rocella tinctoria) che dà pure un color porpora, col Sommaco (rhus coriaria) ecc. I vapori che sparge lo zafferano nei luoghi chiusi, ove non si possano con facilità dissipare; sono all'uomo malsani e talvolta micidiali, perchè à virtù eminentemente narcotica, ed in medicina passa come rimedio stimolante analogo all'oppio. La scoperta dello zafferano si perde nella nebbia dei tempi. La mitologia vuole che abbia avuto origine da un giovinetto chiamato Croco che innamoratosi perdutamente di una ninfa, chiamata Smilace, nè piacendo a Barba Giove tale matrimonio, fu da lui cambiato nella pianta dello zafferano, da qui il suo nome di Crocus. Et in parvos versum cum Smilace flores, et Crocon . (Ovidio, 4, Mctam.). Dioscoride lo raccomanda come apposto. Sappi che le zucche più vuote di questo mondo, possono elevarsi alla più alta aristocrazia culinaria. Tu potresti apprestare a'tuoi amici, un abbondante, gustoso e variato pranzo, quasi colla sola zucca, vale a dire che essa formi d'ogni piatto, se non l'unico, almeno il principale coefficiente. Sono note le minestre di zucca d'ogni specie e fresche e secche. La si fa cuocere nel brodo, nell'aqua e burro, ovvero nel latte. Se ne rileva il sapore con erbuccie, ova, spezie e collo zuccaro. La polpa delle zucche ed anche i fiori si mangiano fritte, ripiene, accomodate, triffolate, in fricassèe, in stufato, ed in polpette. Se ne fanno torte, pasticci, e perfino salami. Colle piccole zucchette lessate o cotte alla brage, o colle tenere cime delle piante bollite nell'aqua si fa dell' insalata che si condisce coll'olio degli stessi semi della zucca. Il sugo di essa fermentato può fornire l'aceto. Colla zucca confettata con miele ed aromi, si provvede il dessert di saporite mostarde e confetture, che si rende ancor più vago abbellendole con piccole zucchettine imitanti le pera, le poma, gli aranci. Il pane si forma colla zucca ben cotta, impastata colla terza parte di farina. Finalmente coi semi di zucca, puoi comporre orzate e simili gustose bevande. Che se questo simposio, vuoi prepararlo a'tuoi amici all'aria aperta, lo potrai gentilmente offrire sotto un pergolato coperto colle foglie di una pianta di zucca. Che ne dirò poi delle zucche vuote? Colla scorza di esse puoi farne bottiglie, bicchieri, piatti, cucchiaj, forcine, coltelli, mestole, saliere, lucerne ove arda l'olio del seme suo, recipienti d'aqua, di vino, di liquori, tabacchiere, pipe e quello che vuoi. Le zucche vuote poi servono mirabilmente a sorreggere i mal pratici o novizi nuotatori. A questo proposito, vo' narrarti un aneddoto di Bellavitis e faccio punto. Bellavitis, mio illustre e celebre collega dell'Università di Padova, ora defunto, veniva un giorno supplicato da uno studente, perchè gli fosse propizio nell'esame: « Veda, professore, insisteva lo studente, se io non passo questo benedetto esame, ò l'inferno in casa mia! Sarei costretto a buttarmi in Brenta. » — A l che Bellavitis: « Oh no xe pericolo per hi, perchè el sa che le zucche i galleggia! » Insomma, io non mi perito a chiamare la zucca la più utile delle verdure ed è ingiusto adoperare il suo nome per insultare alle teste umane. Rispelta dunque le zucche e cava loro tanto di cappello, come lo cavi a tante nullità coperte coi galloni di prefetto, di senatore, di generale! Un bacio e vale. »
di una ninfa, chiamata Smilace, nè piacendo a Barba Giove tale matrimonio, fu da lui cambiato nella pianta dello zafferano, da qui il suo nome di
Soltanto osserveremo che le arselle si pongono intere, ben inteso dopo levato loro il guscio; delle ostriche non si pone che la polpa, tagliandola in due se sono grosse, e lasciandole intere se piccole; talvolta alcuni vi lasciano il solo callo, ch'è tra la polpa e la barba. Quanto ai granciporri o gamberi si pongono sole le code ben sguciate. Per gli astachi si usa tagliarli in piccole fette rotonde od ovali, sottilissime e grandi come un soldo. Prima di servire in tavola si aggiunge ai gamberi il burro di gamberi, e agli astachi il burro di astaco.
due se sono grosse, e lasciandole intere se piccole; talvolta alcuni vi lasciano il solo callo, ch'è tra la polpa e la barba. Quanto ai granciporri o
Fate cuocere a piccol fuoco tanto quanto una noce di burro. Intingetevi la barba di una penna ed ungete con essa il fondo di una casseruola; copritelo poi con fettine sottilissime di lardo bianco, e tappezzatene all'ingiro anche i lati. Sopra il primo suolo di lardo disponete un primo suolo di fettine di fesa di vitello ben battute della grossezza di uno scudo. Spargetevi sopra del prezzemolo ben tritato, del formaggio, spezie e sale. Fatto poi un altro suolo di fettine di vitello, tornate a spolverarlo di prezzemolo, formaggio, spezie e sale, e così via via fino a che avrete vitello. Col resto del burro ungerete l'ultimo suolo e farete cuocere il tutto per tre quarti d'ora con brace viva sotto e sopra. — Il fondo, a cottura finita, dev'essere tutto consumato e il lardo fatto fuso.
Fate cuocere a piccol fuoco tanto quanto una noce di burro. Intingetevi la barba di una penna ed ungete con essa il fondo di una casseruola
Uova di gelatina alle mandorle in cestelli o nel nido. Dapprima fa d'uopo raccogliere dei gusci d'uovo, a cui per vuotarne il contenuto si sia fatto un forellino a mezzo d'un coltello, diguazzandoli tosto. Per riempirli colla gelatina di mandorle, i gusci si ungono internamente coll'olio di mandorle mediante una barba di penna, e dopo adagiati sul ghiaccio, si riempiono. (Per servire quale uova pasquali possonsi riempire con una gelatina tinta in rosso). Poco prima di servirli in tavola si apre la buccia con una forbicina tagliente e sgusciatone l'uovo congelato, lo si adagia in una cestina di pasta di mandorle o in nidi fatti collo zucchero filato.
mandorle mediante una barba di penna, e dopo adagiati sul ghiaccio, si riempiono. (Per servire quale uova pasquali possonsi riempire con una gelatina tinta
Nel mondare i funghi bisogna per ragioni d'igiene procedere cautamente anche colle specie qualificate per mangerecce. Sono da ritenersi dannosi quei funghi d'aspetto vecchio, floscio o putrido, o che sono acquosi e molli, del pari quelli, la cui polpa apparisce sporca e di sgradevole odore ed i cui orli dopo tagliati cambiano il colore tra verde e bleu. S'eviterà pure d'adoperare quei funghi cresciuti in tempo di costante pioggia. I funghi si devono adoperare il più presto possibile. Essi vengono tagliati e separati da quelle Funghi mangerecci 1. Prataiuolo maggiore. 2. Fungo del salice. 3. Lattario dolce. 4. Latt. sanguinolento. 9. Spugnolo falso. 10. Spugnolo. 11. Boleto granulato. 12. Boleto bovino. 13. Boleto nero. 18. Maggiolino bruno. 19. Bubbola Funghi mangerecci 5. Prataiuolo comune mousseron. 6. Gallinaccio. 7. Porcinello. 8. Porcino. 14. Ditola gialla. 15 Steccherino (Dentino). 16. Ditola rossa. 17. Tartufo bianco di maggio. maggiore (Madonnina, Fungo parasole). parti che fossero verminose o intaccate; ai più grandi si raschia la pelle come pure la barba che si trova sotto il cappello, e si pone ogni singolo, appena mondato in acqua fresca fino a lavoro compiuto, badando però di non lasciarveli molto tempo immersi, perchè assorbirebbero tropp'acqua.
raschia la pelle come pure la barba che si trova sotto il cappello, e si pone ogni singolo, appena mondato in acqua fresca fino a lavoro compiuto, badando
Funghi in aceto. I piccoli funghetti si lasciano interi, separandone soltanto la parte terrosa. Ai più grandi non interamente provveduti di barba, si stacca il cappelletto. Le parti macchiate si gettano via.
Funghi in aceto. I piccoli funghetti si lasciano interi, separandone soltanto la parte terrosa. Ai più grandi non interamente provveduti di barba, si
30. Pulite il carcioffolo levandoci la gamba vicino al tronco e col cava verdura levatevi la barba nel mezzo ponetevi sale, pepe ed olio fino, fateli cuocere sopra della graticola per un quarto d'ora e serviteli con una spremuta di limone.
30. Pulite il carcioffolo levandoci la gamba vicino al tronco e col cava verdura levatevi la barba nel mezzo ponetevi sale, pepe ed olio fino, fateli
31. Levate tutte le foglie più grosse con tutto il verde del carcioffolo e la sua barba, tagliateli in quarto e nel taglio passatevi sopra un mezzo limone ad oggetto non inneriscono, indi poneteli nell'acqua fresca con altro mezzo limone, fatele imbianchire nell'acqua bollente e sale, abbiate una bianché per far cuocere, lasciateli colare ed asciugateli con una salvietta marinateli con sale, pepe, olio e sugo di limone ed asciugateli con panno, al momento di friggerli immergeteli in una pastina leggiera (capitolo 2 n.2), indi fateli friggere al grasso bianco o all'olio, fritti montateli sopra d'una salvietta e serviteli con presemolo fritto.
31. Levate tutte le foglie più grosse con tutto il verde del carcioffolo e la sua barba, tagliateli in quarto e nel taglio passatevi sopra un mezzo
34. Tagliate in mezzo i carcioffoli, puliteli dalle prime foglie e levategli la barba, tagliando la gamba un dito al disotto del tronco, untateli con limone affine non divengano neri, fateli imbianchire in acqua bollente salata e cuocere in bianco come sopra al n. 31, asciugateli con una salvietta, montateli al piatto, spolverizzateli con formaggio grattugiato versandovi sopra del butirro purgato, passate al sedaccio e serviteli.
34. Tagliate in mezzo i carcioffoli, puliteli dalle prime foglie e levategli la barba, tagliando la gamba un dito al disotto del tronco, untateli con
39. Levate tutte le foglie più verdi di dieci o più carcioffi, rimondateli e tornateli, levategli la barba con cava verdura untandoli col sugo di mezzo limone e poneteli nell'acqua fresca, indi imbianchiteli con acqua bollente e sale, asciugateli con panno, allestite una falsa a canef (capitolo 21 n. 1), con questa empiteli, fate un fondo ad una cassarola di poco butirro, fette di giambone e di lardo, dissopra ponete i carcioffi falsiti e metteteli al fuoco, lasciateli gratinare un momento, bagnateli con poca sostanza facendoli cuocere al dolce fuoco sotto e sopra, levateli dalla cottura montateli sul piatto e versatevi sopra una buona sostanza.
39. Levate tutte le foglie più verdi di dieci o più carcioffi, rimondateli e tornateli, levategli la barba con cava verdura untandoli col sugo di
98. Pulite, imbianchite e colate come sopra la barba di becco, montatela sopra d'un piatto e al momento di servirla, versatevi sopra una sostanza di metà coulì e metà aglasse e un pezzo di butirro, e servitele con crostoni.
98. Pulite, imbianchite e colate come sopra la barba di becco, montatela sopra d'un piatto e al momento di servirla, versatevi sopra una sostanza di
97. Pulite la barba di becco con somma attenzione, tagliatela ove esiste il laccio, indi tagliate le cime delle radici levandovi le prime frasche che sono dure, gettate il fiocco in molt'acqua fresca lavandoli bene, fateli imbianchire nell'acqua salata colateli con un crivello, asciugateli con salvietta o panno, accomodandoli sopra d'un piatto unto di butirro, mettendovi le foglie sotto e la testa disopra e versatevi un poco di sostanza, copriteli con un foglio di carta unta di butirro, poneteli alla bornice o alla stuffa, cotti levate il foglio di carta e mettetevi un poco di formaggio gratuggiato e versateci sopra del butirro purgato e serviteli con crostoni di pane. Si potrà anche versarvi sopra un terzo di butirro e due terzi di sostanza e poco aglasse, facendo bollire il tutto insieme e serviteli con crostoni.
97. Pulite la barba di becco con somma attenzione, tagliatela ove esiste il laccio, indi tagliate le cime delle radici levandovi le prime frasche che
100. Prendete i grossi barba di becco, puliteli, imbianchiteli e colateli come sopra. Preparate una salsa qualunque legata in fricassé, immergete in questa salsa uno alla volta i barba becchi, imboraggiateli all'uovo e al pane, fateli friggere al grasso bianco, montateli sopra d'una salvietta e serviteli con presemolo fritto.
100. Prendete i grossi barba di becco, puliteli, imbianchiteli e colateli come sopra. Preparate una salsa qualunque legata in fricassé, immergete in
130. Nel modo che si è indicato di sopra si potranno pure fare dei sortreuse a seconda delle stagioni per le rispettive verdure, cioè con cime di sparagi, fette di carotte e fette di zucchette, marcate di triffole, a scheggia di pesce, ed anche con radice di rampogini, o con barba di becco, avvertendo di tenere il metodo che si è indicato con la medesima precisione, acciò il tutto resti di bell'occhio e di ottimo sapore.
sparagi, fette di carotte e fette di zucchette, marcate di triffole, a scheggia di pesce, ed anche con radice di rampogini, o con barba di becco
11. Mondate sei carcioffi, tagliateli curti, levandogli le foglie verdi, untateli con mezzo limone, tagliateli in quarti, levateli la barba, imbianchiteli nell'acqua salata e asciugateli con un panno, indi infarinateli e friggeteli all'olio, montateli sopra d'una salvietta e serviteli con presemolo fritto. Invece di infarinarli potrete impanarli, friggerli e servirli cerne sopra.
11. Mondate sei carcioffi, tagliateli curti, levandogli le foglie verdi, untateli con mezzo limone, tagliateli in quarti, levateli la barba
12. Prendete dei carcioffi e levategli i spini e la barba nel mezzo col cava-verdura, untate con un mezzo limone ove avete tagliato acciò non s'annerisca, metteteli alla graticola con sale, pepe ed olio, lasciateli cuocere al fuoco lento e serviteli con gli amolini in tavola.
12. Prendete dei carcioffi e levategli i spini e la barba nel mezzo col cava-verdura, untate con un mezzo limone ove avete tagliato acciò non s