Il risotto è una delle massime glorie della cucina milanese e per farlo bene esistono forse tante ricette, quante sono le teste degli abitanti di Milano. Accettate pure la ricetta che volete, ma applicate ai grani di riso il motto sublime di Visconti-Venosta: indipendenti sempre, isolati mai!
Il risotto è una delle massime glorie della cucina milanese e per farlo bene esistono forse tante ricette, quante sono le teste degli abitanti di
Il Magro, è sopra tutto, ciò che si prepara all'olio, è un oggetto molto importante per gli Italiani, e segnatamente per la Città di Roma, ove gli abitanti mangiano di magro una buona parte dell'anno. Dobbiamo per altro rallegrarsi sopra questo articolo, e ringraziare la Provvidenza, che avendoci posti fra due mari, o per dir meglio circondati dall'acque del Mediteraneo, e Adriatico abbondiamo di una infinita quantità di ottimi Pesci, che ci sollevano non poco nella Quadragesima, ed altri giorni magri dai salumi, o Pesci salati, o sfumati, dei quali facendone un'uso troppo frequente, non mancherebbe la salute di soffrine un danno non indifferente.
abitanti mangiano di magro una buona parte dell'anno. Dobbiamo per altro rallegrarsi sopra questo articolo, e ringraziare la Provvidenza, che avendoci
Osservazione sopra il Magro, IL Magro, è sopra tutto, ciò che si prepara all'olio, è un oggetto molto importante per gli Italiani, e segnatamente per la Città di Roma, ove gli abitanti mangiano di magro una buona parte dell'anno. Dobbiamo per altro rallegrarsi sopra questo articolo, e ringraziare la Provvidenza, che avendoci posti fra due mari, o per dir meglio circondati dall'acque del Mediterraneo, e Adriatico abbondiamo di una infinita quantità di ottimi Pesci, che ci sollevano non poco nella Quadragesima, ed altri giorni magri dai salumi, o Pesci salati, o sfumati, dei quali facendone un uso troppo frequente, non mancherebbe la salute di soffrine un danno non indifferente.
la Città di Roma, ove gli abitanti mangiano di magro una buona parte dell'anno. Dobbiamo per altro rallegrarsi sopra questo articolo, e ringraziare
Sono per altro i Bolognesi gente attiva, industriosa, affabile e cordiale e però, tanto con gli uomini che con le donne, si parla volentieri, perchè piace la loro franca conversazione. Codesta, se io avessi a giudicare, è la vera educazione e civiltà di un popolo, non quella di certe città i cui abitanti son di un carattere del tutto diverso.
In que' paesi dove si fa uso quasi giornaliero di paste d'uova fatte in casa, non vi è servuccia che non ne sia maestra; e molto più di questa che è semplicissima. Non è quindi per loro che la noto, ma per gli abitanti di quelle province ove non si conoscono, si può dire, altre minestre in brodo che di zuppa, riso e paste comprate.
semplicissima. Non è quindi per loro che la noto, ma per gli abitanti di quelle province ove non si conoscono, si può dire, altre minestre in brodo
Questa minestra riesce delicata e sostanziosa; ma io che coi morbidumi non me la dico punto, invece del cervello, in questo caso, supplirei con le animelle e in proposito vi dirò che in certe città, e m'intend'io, dove per ragione del clima non si può scherzar troppo coi cibi, a forza di mangiar leggero e, preferibilmente cose morbide e liquide, si sono gli abitanti di esse snervato lo stomaco in modo che questo viscere non può più sopportare alcun nutrimento un po' grave.
leggero e, preferibilmente cose morbide e liquide, si sono gli abitanti di esse snervato lo stomaco in modo che questo viscere non può più sopportare
SYBARITE (à la) alla sibarita, abitante di Sibari, antica città della Lucania, i cui abitanti (sibariti) erano noti come crapuloni e dediti alla lussuria. Perdreaux à la Sybarite, pernici farcite di fegatini di selvaggina e tartufi, indi arrostite allo spiedo.
SYBARITE (à la) alla sibarita, abitante di Sibari, antica città della Lucania, i cui abitanti (sibariti) erano noti come crapuloni e dediti alla
Vediamo ad esempio che gli abitanti delle maremme e delle paludi sono cupi, irritabili, neghittosi e spesso feroci, mentre al contrario i montanari sono franchi, gioviali e generosamente ospitali.
Vediamo ad esempio che gli abitanti delle maremme e delle paludi sono cupi, irritabili, neghittosi e spesso feroci, mentre al contrario i montanari
Ragno, dicono impropriamente gli abitanti della costa ligure o livornese, la spigola, a cui rimando il lettore, detta in Lombardia branzin. Ma il ragno di mare vero e proprio è il trachinus, di cui alcune specie si nascondono nelle sabbie dei bassi fondi, con molto pericolo dei bagnanti.
Ragno, dicono impropriamente gli abitanti della costa ligure o livornese, la spigola, a cui rimando il lettore, detta in Lombardia branzin. Ma il
Tali manifestazioni sono più frequenti negli abitanti di regioni dove usano cereali decorticati, legumi ridotti in poltiglia e passati, frutta ridotte in marmellate, carni ridotte in gelatine.
Tali manifestazioni sono più frequenti negli abitanti di regioni dove usano cereali decorticati, legumi ridotti in poltiglia e passati, frutta
Avvi un'altra castagna, detta aquatica, frutto d'una pianta annua, che cresce negli stagni e che richiede almeno 20 pollici d'aqua. Si avvicina alla castagna usuale, è però acre ed astringente. Gli abitanti della Carinzia e del Limosino (Francia) ne fanno anche pane. Dall'Asia ci pervenne portata da Clusio verso la metà del secolo decimosesto, un'altra castagna detta d'India, o Ippocastano, cioè castagna cavallina. È la pianta dei pubblici passeggi, e dà frutti che somigliano le castagne, ma più grosse ed amarissime — vengono mangiate da alcuni animali: — nell'Annover si dà ai cavalli per cibo e nella Turchia a quelli affetti di bolsaggine e per rimedio. I chimici ne traggono un succedaneo della china. La sua corteccia gode virtù tonica febbrifuga. Se ne fà infuso vinoso, tintura ed amido. Raspate nell'aqua, servono assai bene ad imbiancare pannilini e nettare tessuti di lana. Se ne cava eccellente colla, che per la sua amarezza à la proprietà d'allontanare gli insetti. Ridotte in farina se ne può fare pasta cosmetica da toilette — rende la pelle netta e liscia. Il chimico Mousaint à trovato modo mercè una serie di bagni in aqua purissima, di spogliare questa castagna del suo principio amaro, e dissecata al forno, la sua farina è assai nutritiva e si presta a molti usi alimentari. L'Ippocastano fu portato a Vienna nel 1588 e a Parigi fu conosciuto solamente nel 1615.
castagna usuale, è però acre ed astringente. Gli abitanti della Carinzia e del Limosino (Francia) ne fanno anche pane. Dall'Asia ci pervenne portata
E che sia duro il legno di nocciolo, lo attesta anche Virgilio nella 2ª Georgica: «Plantis et durœ coryli nascuntar.» I Greci chiamavano la nocciola: nux pontica per essere stata portata, al dir di Plinio, in Asia e in Grecia da Ponto, come pure si chiamava a Roma nux prœnestina, perchè, secondo Macrobio, la nocciola abbondava a Preneste, l'attuale Palestrina su quel di Roma, sì che assediata da Annibale gli abitanti furono salvati dalla fame, dalle nocciole. E dai Latini furono poi dette avellane, od abellinœ da Abella, città della Campania, l'attuale Avellino, dove maturavano saporissime e assai rinomate. I nostri vecchi facevano un certo, decotto, colle foglie del nocciolo, che dicevano assai buono contro il morso degli scorpioni. In alcuni luoghi della Francia le nocciole erano buttate via dagli sposi come oggi da noi i confetti in segno d'allegria. Morte vita e miracoli della nocciola si leggono in questi versi barocchi di frate Giromino da Varese.
Macrobio, la nocciola abbondava a Preneste, l'attuale Palestrina su quel di Roma, sì che assediata da Annibale gli abitanti furono salvati dalla fame
Ogni anno si lamentano numerose vittime dei funghi, specie fra gli abitanti della campagna, i quali, allettati dalle forme, dai colori, dalla fallace lusinga che il prezzemolo e l'argento rimanendo inalterati diano garanzia sicura d'innocuità, li raccolgono e li cucinano spensieratamente
Ogni anno si lamentano numerose vittime dei funghi, specie fra gli abitanti della campagna, i quali, allettati dalle forme, dai colori, dalla fallace
Gli abitanti dell'Italia settentrionale hanno grande ripugnanza a servirsi dello strutto, mentre questo grasso, che si può preparare da sè con assoluta garanzia del risultato, nella maggior parte dei casi può sostituire efficacemente il burro. Necessita soltanto ch'esso sia bollente quando ci si mettono altri ingredienti.
Gli abitanti dell'Italia settentrionale hanno grande ripugnanza a servirsi dello strutto, mentre questo grasso, che si può preparare da sè con
Avvi un'altra castagna, detta acquatica, frutto d'una pianta annua, che cresce negli stagni e che richiede almeno 20 pollici d' acqua. Si avvicina alla castagna usuale, è però acre ed astringente. Gli abitanti della Carinzia e del Limosino (Francia) ne fanno anche pane. Dall'Asia, ci pervenne portata da Clusio, verso la metà del secolo XVI un'altra castagna detta d'India, o Ippocastano, cioè castagna cavallina. È la pianta dei pubblici passeggi, e dà frutti che somigliano le castagne, ma più grosse ed amarissime — vengono mangiate da alcuni animali: — nell'Annover si dà ai cavalli per cibo e nella Turchia a quelli affetti di bolsaggine e per rimedio. I chimici ne traggono un succedaneo della china. La sua corteccia gode virtù tonica febbrifuga. Se ne fa infuso vinoso, tintura ed amido. Raspate nell'acqua, servono assai bene ad imbiancare pannolini e nettare tessuti di lana. Se ne cava eccellente colla, che per la sua amarezza à la proprietà di allontanare gli insetti. Ridotte in farina se ne può far pasta cosmetica da toilette — rende la pelle netta e liscia. Il chimico Mousaint à trovato modo mercè una serie di bagni in acqua purissima, di spogliare questa castagna del suo principio amaro, e disseccata al forno, la sua farina è assai nutritiva e si presta a molti usi alimentari. L'Ippocastano fu portato a Vienna nel 1588 e a Parigi fu conosciuto solamente nel 1615.
alla castagna usuale, è però acre ed astringente. Gli abitanti della Carinzia e del Limosino (Francia) ne fanno anche pane. Dall'Asia, ci pervenne
I Fenici ne facevano pane e furono i primi che lo introdussero da noi. Nella Bibbia troviamo che la fava dava la farina da mischiarsi con altri grani a far pane (Ezech.). Gli scrittori greci e latini la raccomandavano come cibo gratissimo ai giumenti. Varone e Columella ne parlarono, ma mai come di cosa idonea al cibo dell'uomo. I Latini presero il nome di Faba dai Falisci, popolo dell'Etruria, abitanti a Falerio, oggi Montefiasco. Essi la chiamavano Haba e poi, per corruzione, i Latini Faba. Da faba venne pure la parola fabula, ad indicare una cosa gonfiata, onde fabula, una piccola balae fabarii i cantori, perchè questi mangiavano le fave ad irrobustire la voce, e cantavano delle frottole. Ermolao Barbaro scrive che a' suoi tempi nell'Insubria e nella Liguria i venditori di fava andavano gridando per le strade: bajana, bajana! donde forse derivò a noi il nome di bagiana. Nel Veneto, ai Milanesi si dava l'epiteto di bagiani, che da noi significa babbei. Fino dalla antichità la fava serviva nei comizi per la votazione. La bianca era segno di assoluzione, la nera di dannazione, teste Plutarco. Da qui, ne venne che la parola fava servisse per dire suffragio, voto ed anche favore. Pitagora diceva essere proibito mangiar le fave — cioè vendere i voti. Oh! quante fave mangiano i deputati! Vogliono inoltre che Pitagora proibisse la fava, perchè insegnando che le anime dei trapassati trasmigrano nei corpi degli animali, e come nella fava trovandosi spesso dei vermi, temeva che i suoi scolari mangiassero i parenti o gli amici loro. Ed era tanta la sua eloquente filosofia, che la storia ci tramanda, che il suddetto Pitagora, persuase perfino un bue a sortire da un campo di fave. Il che però, secondo i mormoratori di quei tempo, non impedì a Pitagora di cibarsene lui e di dover morire appunto in un campo di fave.
cosa idonea al cibo dell'uomo. I Latini presero il nome di Faba dai Falisci, popolo dell'Etruria, abitanti a Falerio, oggi Montefiasco. Essi la
I Greci chiamavano la nocciola: nux pontica, per essere stata portata, al dir di Plinio, in Asia e in Grecia da Ponto, come pure si chiamava a Roma nux praenestina, perchè, secondo Macrobio, la nocciola abbondava a Preneste, l'attuale Palestrina, su quel di Roma, sì che assediata da Annibale, gli abitanti furono salvati dalla fame dalle nocciole. E dai Latini furono poi dette avellane od abellinae, da Abella, città della Campania, l'attuale Avellino, dove maturavano saporitissime e assai rinomate. I nostri vecchi facevano un certo decotto, colle foglie del nocciolo, che dicevano assai buono contro il morso degli scorpioni. In alcuni luoghi della Francia le nocciole erano buttate via dagli sposi, come oggi da noi i confetti, in segno d'allegria. Morte, vita e miracoli della nocciola si leggono in questi versi barocchi di frate Giromino da Varese:
abitanti furono salvati dalla fame dalle nocciole. E dai Latini furono poi dette avellane od abellinae, da Abella, città della Campania, l'attuale
Noto legume annuale. Quello detto campestre nasce spontaneamente in alcune parti d'Italia e di Germania. Ma il sativum è quello coltivato negli orti. Àvvene molte varietà. Il pisello germina fino ai 3 anni. Il nano (P. humile) primaticcio olandese, da noi detto anche quarantin. Il quadrato (P. quadratum) o reale, bianco e verde, l'umbrellatum, che è piuttosto d'ornamento nei giardini. L'excorticatum, o, pisum sativum cortice eduli, pisello dolce zuccherino che si mangia unitamente al guscio, detto in francese Pois goulus e da noi taccole, ed altre. Nel linguaggio dei fiori: Confidenza. Si può seminarli in varie epoche ed averli tutti i mesi. Il pisello ama terreno leggero, sostanzioso, lavorato e soleggiato; non vuol essere riseminato nel medesimo luogo. Si fa seccare e si conserva per l'inverno. La varietà verde, in Francia, è coltivata su larga scala. In Inghilterra si coltiva il pisello per alimentare le pecore nell'inverno. Vuolsi che il nome di pisello l'abbia da Pisa, antichissima città del Peloponneso, da dove sembra venuto in Italia, come vennero alcuni abitanti di quella Pisa a fabbricare la nostra sull'Arno, che pure battezzarono Pisa, teste Strabone. Altri lo vuole dal nome originario del legume in lingua celtica, o dal vocabolo greco, che significa cadere. Il nostro nome di erbion pare sia un corrotto dell'Arneja spagnuolo o un prolungamento dell'erbse tedesco. Il pisello fu sempre ritenuto uno dei più graziosi legumi. La storia ci tramanda che aveva l'onore delle tavole reali. Gli autori greci e latini ne parlarono tutti con vera benevolenza; i più maldicenti, lo accusano di flattulenze. Perfino l'austerissimo Eupolim, forse il più antico commediografo greco, ne fa menzione onorata. L'imperatore Tito ne andava matto. I medici, non potendone dire male, come al solito, lasciano però scappare qualche bieca osservazione. Baldassare Pisanelli, medico bolognese, nel suo Trattato dei cibi et del bere, dice: «I piselli non sono molto differenti dalle fave, ma fanno venire sospiri et inducono strane meditazioni.» Con sua bona pace, il pisello è l'ottimo fra i legumi, digeribile, saporito, nutriente. Plinio aveva già sentenziato:
Italia, come vennero alcuni abitanti di quella Pisa a fabbricare la nostra sull'Arno, che pure battezzarono Pisa, teste Strabone. Altri lo vuole dal
È all'ultima settimana di carnevale che gli abitanti della Russia usano fare questa specie di pasticceria. La difficoltà maggiore ad ottener questo scopo, è l'avere un forno murato onde farli cuocere. Preparate in un recipiente 300 gramma di farina finissima di grano saraceno, 15 di lievito di birra fresco, sciolto in un quintino circa d'acqua tiepida, mescendo bene onde formare un lievito, che porrete in un recipiente nella stufa per 3 ore circa a lievitare, coperto d'un lino; poi preparerete in una terrina 120 grammi di farina bianca di semola, 4 tuorli d'uova, una presa di sale, 35 gramma di zuccaro in polvere, qualche aroma e il lievito giunto al preciso suo grado di lievitura, mescolate bene ogni cosa con un quintino di latte tiepido e sbattete bene con una spatola, per 20 minuti, formando così una pastina liscia, scorrevole dal cucchiaio; versate allora le 4 chiara d'uova a neve consistente, amalgamate nel composto con altrettanta quantità di crema vergata, coprite con un lino e lasciate la pasta 2 ore in luogo tiepido. Preparate al fianco destro della bocca del forno un fascinetto di legna secca, accendetela e questa vi darà una fiamma viva, prendete allora la pala di ferro, mettete su di essa 6 stampini a tartelette da 7 centimetri circa di diametro, terrete vicino a voi un piccol recipiente con 200 grammi di burro fuso ed un penello ed un altro recipiente vuoto col coperchio, onde ritirare i blinis di mano in mano che la loro cottura è compita. Scaldate i 6 stampini, internando la pala nel forno, penellate in seguito l'interno di essi col burro e versatevi un cucchiaio della detta pastina; dopo, internate a metà forno la pala, ed essi, colla fiamma ben accesa, prenderanno colore presto; allora ritirateli alla bocca del forno, colla punta d'un coltellino volgeteli e con un penello da cucina penellategli la superficie col burro, facendo la stessa operazione di prima. Onde prendano colore anche da questa parte, levateli dal forno e poneteli nel recipiente che coprirete, continuando così a far blinis finchè avrete terminata la pasta. Li servirete poi nel recipiente stesso ma ben caldi, unitamente ad un piattello di caviale fresco e due salsiere, colla crema agra l'una, col burro fuso l'altra. Essi devono essere leggieri, crostillanti e trasparenti. — Si fanno anche con altre qualità di farine. — Se dovessero servire per colazione, mandateli in tavola per prima portata; e se pel pranzo, serviteli invece della frittura. Si servono anche zuccherati, uniti ad un vasetto di marmellata o gelatina di frutta a parte.
È all'ultima settimana di carnevale che gli abitanti della Russia usano fare questa specie di pasticceria. La difficoltà maggiore ad ottener questo
b) Acqua di ghiaccio o di neve (Acqua di montagna). Contiene piccola quantità di materie minerali, fra le quali predominano i solfati ed i cloruri che vi aumentano a misura che essa scorre sul suolo per calare a valle. Scarsamente aereata in origine, lo diviene a misura che, cadendo di roccia in roccia, moltiplica i suoi contatti con l'atmosfera. È ben lungi dall'esser priva di sostanze organiche. Raccolta nei laghi delle valli, ove si aduna dopo il suo decorso attraverso alle montagne, aereata e mineralizzata più che alla sua origine, è anche più utilizzabile e salubre. È all'acqua di montagna però, e specialmente presso al luogo di sua formazione, che si attribuisce la sinistra proprietà di produrre il gozzo ed il cretinismo negli abitanti che ne fanno uso diuturno.
Vicia da Vincia, che si attorciglia. Legume annuale, originario del mar Caspio e della Persia. Vuol terreno argilloso, sostanzioso, a mezzodì. Si semina d'autunno a Febbraio. Due varietà: la invernenga e la marzuola detta Cavallina più piccola. Celebre la fava di Nizza. Nel linguaggio dei fiori: Corbellare. La fava fresca che da noi si chiama Bagiana , si mangia in minestra. Secca si macina e serve anche pel bestiame. La fava è feculenta e flattulenta, deve essere mangiata di rado e tenera. La fava specialmente secca è cibo da carettiere. È il più grosso dei nostri legumi mangerecci. I Fenici ne facevano pane e furono i primi che la introdussero da noi. Nella Bibbia troviamo che la fava dava la farina da mischiarsi con altri grani a far pane (Ezech.). Gli scrittori greci e latini la raccomandavano come cibo gratissimo ai giumenti. Varone e Columella ne parlarono, ma mai come cosa idonea al cibo dell'uomo. I Latini presero il nome di Faba dai Falisci, popolo dell'Etruria, abitanti a Falerio, oggi Montefiasco. Essi la chiamavano Haba e poi per corruzione i Latini Faba. Da faba venne pure la parola fabula, ad indicare una cosa gonfiata, onde fabula, una piccola bala — e fabarii i cantori, perchè questi mangiavano le fave ad irrobustire la voce. La fava diede il nome alla famiglia dei Fabi. Ermolao Barbaro scrive che a' suoi tempi nell'Insubria e nella Liguria i venditori di fave andavano gridando per le strade : bajana, bajana! donde forse derivò a noi il nome di bagiana. Nel Veneto ai Milanesi si dava l'epiteto di bagiani, che da noi significa babbei. Fino dalla antichità la fava serviva nei comizi per la votazione. La bianca era segno di assoluzione, la nera di dannazione , teste Plutarco. Da qui ne venne che la parola fava servisse per dire suffragio, voto ed anche favore. Pittagora diceva, essere proibito mangiar le fave — cioè vendere i voti. Oh! quante fave mangiano i deputati! Le galline che mangiano le fave, fanno l' ovo col guscio molto fragile.
al cibo dell'uomo. I Latini presero il nome di Faba dai Falisci, popolo dell'Etruria, abitanti a Falerio, oggi Montefiasco. Essi la chiamavano Haba e
Noto legume annuale. Quello detto campestre nasce spontaneamente in alcune parti d'Italia e di Germania. Ma il sativum è quello coltivato negli orti. Avvene molte varietà. Il nano (P. humile) primaticcio olandese da noi detto anche quarantin. Il quadrato (P. quadratum) o reale bianco e verde. L'umbrellatum, che è piuttosto d'ornamento nei giardini. L'excorticatum, pisello dolce zuccherino che si mangia unitamente al guscio detto in francese Pois goulus e da noi Taccole, ed altre. Nel linguaggio dei fiori: confidenza. Si può seminarli in varie epoche e averli tutti i mesi. Il pisello ama terreno leggero, sostanzioso, lavorato e soleggiato; non vuol essere riseminato nel medesimo luogo. Si fa seccare e si conserva per l'inverno. La varietà verde, in Francia è coltivata su larga scala. In Inghilterra si coltiva il pisello per alimentare le pecore nell'inverno. Vuolsi che il nome di pisello l'abbia da Pisa, antichissima città del Peloponneso, da dove sembra venuto in Italia, come vennero alcuni abitanti di quella Pisa a fabbricare la nostra sull'Arno, che pure battezzarono Pisa, teste Strabone. Altri lo vuole dal nome originario del legume in lingua celtica, o dal vocabolo greco, che significa cadere. Il nostro nome di erbion pare sia un corrotto dell'Arneja spagnuolo o un prolungamento dell'erbse tedesco. Il pisello fu sempre ritenuto uno dei più graziosi legumi. La storia ci tramanda che aveva l'onore delle tavole reali. Gli autori greci e latini ne parlarono tutti con vera benevolenza, i più maldicenti lo accusano di flattulenze. Perfino l'austerissimo Eupolim, forse il più antico commediografo greco, ne fa menzione onorata. L'imperatore Tito ne andava matto. I medici non potendone dir male, come al loro solito, lasciano però scappare qualche bieca osservazione. Baldassare Pisanelli, medico bolognese, nel suo Trattato dei cibi et del bere, dice: « I piselli non sono molto differenti dalle fave, ma fanno venire sospiri et inducono strane meditationi. » Con sua bona pace, il pisello è l'ottimo fra i legumi, digeribile, saporito, nutriente. I freschi e teneri sono più digeribili che i secchi, questi alquanto flattulenti, bisogna lasciarli macerare nell'aqua. Si mangiano anche crudi lorchè sono freschi e tenerelli. Si cucinano in diversi modi : colle minestre, colle carni, nei manicaretti. I piselli si fanno seccare col medesimo metodo dei fagioli e degli altri legumi. Si conservano verdi nell'aqua e aceto e prima di mangiarli si lavano in aqua fresca. Devonsi però raccogliere perfettamente maturi, e si leva ai grani stessi la prima scorza. In Francia, colla buccia mista ad altre erbe aromatiche ed amare, si faceva una specie di birra usata principalmente dai contadini. Nel Chili è molto popolare la chicha de oloja, bevanda fermentata che si fabbrica coi piselli e col maiz. Nell'anno 1536 il cardinale Lorenzo Campeggio à dato un pranzo in Transtevere alla Maestà Cesarea di Carlo V, Imperatore. Era giorno quadragesimale « et prima fu posta la tavola con quattro tovaglie profumate.... et dopo vari servi i ; » furono portati « piselli alessati con la scorza et serviti con aceto et pepe sopra, libre 8 in 4 piatti. » Poi dopo molti altri servizii « levata la tovaglia et data l'aqua alle mani si mutò salviete con forcine d'oro et d'argento con stecchi profumati in 12 tazze d'oro et mazzetti di fiori con garofoli profumati » e tra le altre cose furono ancora serviti « piselletti teneri con la scorda conditi libre 6 in 3 piatti. » Tanto ci tramanda Bartolomeo Scappi, maestro nell'arte del cucinare, del quale Papa Pio V dice: « Peritissimi magistri Bartolomei Scappij qui nunc prefectus est ex nostris intimis coquis. (Dal Breve: Datum Romæ apud Petrum. Tertio Kalendis Aprilis, anno quinto).
l'abbia da Pisa, antichissima città del Peloponneso, da dove sembra venuto in Italia, come vennero alcuni abitanti di quella Pisa a fabbricare la
In que' paesi dove si fa un uso quasi giornaliero di paste d'uova fatte in casa, non vi è servuccia che non ne sia maestra; e molto più di questa che è semplicissima. Non è quindi per loro che la noto, ma per gli abitanti di quelle provincie ove non si conoscono, si può dire, altre minestre in brodo che di zuppa, riso e paste comperate.
è semplicissima. Non è quindi per loro che la noto, ma per gli abitanti di quelle provincie ove non si conoscono, si può dire, altre minestre in
Sono per altro i Bolognesi gente attiva, industriosa, affabile e cordiale e però, tanto con gli uomini che con le donne, si parla loro volentieri, perchè piace la loro franca conversazione. Codesta, se io avessi a giudicare, è la vera educazione e civiltà di un popolo, non quella di certe città i cui abitanti sono di un carattere al tutto diverso.
cui abitanti sono di un carattere al tutto diverso.