Come i tappeti di lana, grandi o piccini, anche quelli formati da pelle ani male esigono una continua accurata ripulitura, e di tanto in tanto, specialmente durante la stagione calda, una più razionale e completa. L'aspiratore elettrico è anche in questi casi il più prezioso ausilio, ma, non possedendolo, si può raggiungere ugualmente lo scopo. Innanzitutto, alla finestra o sulla terrazza, spazzolare vigorosamente le pelli con una spazzola a manico, meglio se di gramigna, dopo averle col battipanni battute al rovescio. Questo è il procedimento della normale giornaliera pulizia; volendo invece praticare una ripulitura più completa, si procederà in questa maniera: si stende la pelle in terra e la si ricopre di una buona quantità di crusca intrisa di acqua, lasciandovela almeno una mezza giornata. Quando la crusca è ben seccata, scuotere energicamente e lunga mente la pelle, poi rimetterla sulla tavola od in terra e ricoprirla nuovamente di crusca umida e pulita; lasciare ancora seccare e quindi scuotere energicamente, poi stendere la pelle su di una corda e battere col battipanni energicamente, prima dal rovescio poi dal diritto, fino a che sarà completamente liberata dalla crusca, la quale avrà asportato, intanto, tutto il sudiciume.
possedendolo, si può raggiungere ugualmente lo scopo. Innanzitutto, alla finestra o sulla terrazza, spazzolare vigorosamente le pelli con una spazzola a
Trota. — Pesce delizioso, una volta comunissimo in tutti i nostri laghi e torrenti alpini ed apennini, ed oggi divenuto assai raro per l'imprudenza e l'imprevidenza dei pescatori. Ci dà una carne delicata, digeribile, nutriente e può chiamarsi re o regina (al sesso non ci tengo) di tutti i nostri pesci d'acqua dolce. La trota è un pesce montanaro e merita qualche volta di essere cotto e servito à la montagnarde. Per raggiungere questo fine dopo aver tenuto la trota per un'ora in acqua salata, fatela cuocere con una bottiglia di vino bianco, tre cipolle, pepolino, chiodi di garofano, due spicchi d'aglio, alloro, timo, basilico e burro. Servite colla salsa, spargendovi un po' di prezzemolo tagliuzzato.
pesci d'acqua dolce. La trota è un pesce montanaro e merita qualche volta di essere cotto e servito à la montagnarde. Per raggiungere questo fine dopo
192. Conserva di cetrioli (ricetta polacca). (1) — Questi sono i famosi ogourtzis di Russi, che si mangiano col manzo, o col majale arrosto. Scegliete dei piccoli cetrioli, bagnateli nell'acqua fredda, lavateli, tagliatene i peduncoli e fateli asciugare. Preparate un piccolo barile che abbia contenuto vino bianco o aceto, od anche una pentola di terra. Stendete in fondo dell'uno o dell'altra delle foglie di vite coi loro gambi e i viticchi, e foglie e grani di finocchio; salate assai abbondantemente. Stendetevi un suolo di cetrioli sopra. Ricoprite delle medesime foglie e salate; nuovo suolo di cetrioli e così di seguito terminando con le foglie e sale. Versatevi sopra dell'acqua piovana filtrata. Durante una quindicina di giorni visitate ogni due o tre giorni il barile o la pentola, poiché si dovrà produrre una fermentazione. Schiumatela. Perchè la conserva sia riuscita, bisogna che al termine della quindicina l'acqua sia diventata limpidissima e i cetrioli tanto trasparenti da poter contare i semi ch'essi contengono. Dopo, sarà cosa ben fatta, di raggiungere dell'acqua di tempo in tempo.
cosa ben fatta, di raggiungere dell'acqua di tempo in tempo.
Raschiate e lavate gli sparagi, tagliate le puntine verdi e mettetele a cuocere in acqua; quando saranno cotte sciacquatele in acqua fredda e mettetele da parte. Ponete in una pentola il rimanente degli sparagi, ricoprite d'acqua non salata e fate raggiungere il bollore a fuoco vivace, poi lasciate cuocere più lentamente. A parte fate fondere il burro, unitevi la farina, badando di mescolare sempre in modo che non si formino grumi. Prima che prenda colore, aggiungete a poco a poco, e sempre rimestando, il brodo caldo. Lasciate bollire un quarto d'ora molto lentamente, poi unite gli sparagi che avrete passato al setaccio ed i fegatini di pollo finemente tritati. Salate e lasciate riprendere il bollore. Battete nella zuppiera i tuorli con la panna, unite le puntine degli sparagi e versatevi sopra la vellutata bollente.
mettetele da parte. Ponete in una pentola il rimanente degli sparagi, ricoprite d'acqua non salata e fate raggiungere il bollore a fuoco vivace, poi lasciate
Importante la scelta della tavola e la disposizione di essa. Dovrà essere proporzionata al numero degli ospiti e sarà disposta in modo da non ingombrare troppo la stanza in cui viene preparata. Se non si hanno tavole abbastanza grandi e si pensa di dover ripetere con una certa frequenza questo tipo di ricevimento si potrà facilmente rendere più grande la tavola, disponendovi un foglio di legno compensato o di masonite che vi permetterà di raggiungere le dimensioni volute. È assai conveniente far fare il ripiano di legno compensato in due pezzi, collegati da due o tre cerniere piatte, in modo che una volta usato, sia possibile piegarlo e metterlo in un ripostiglio dove non ingombri.
raggiungere le dimensioni volute. È assai conveniente far fare il ripiano di legno compensato in due pezzi, collegati da due o tre cerniere piatte, in modo
Per 6 persone occorrono: grammi 100 di fagiuoli freschi, grammi 100 di piselli, grammi 100 di zucchini, grammi 200 di cavolo, grammi 200 di pomodori, grammi 250 di patate, grammi 150 di carote, un sedano e una cipolla grossa. Si prepara nel fondo di una pentola un fine battuto di lardo, cipolla, sedano e carota e si fa rosolare bene e lentamente questo soffritto. Si aggiungono allora il sedano avanzato, tagliato a tocchetti, le patate tagliate a dadi, i fagiuoli e i piselli, aggiungendo circa due litri di acqua. Si fa allora raggiungere l'ebollizione proseguendo la cottura circa tre quarti d'ora; allora si aggiungono gli zucchini, il cavolo tritato, i pomodori ben pelati, puliti e tagliati a dadi grossi. Si fa bollire ancora e prima di buttare la pasta, per dare al minestrone un miglior sapore, si può aggiungervi un pezzetto di burro. Si cuoce la pasta e si serve condita con formaggio. D'estate si suole anche servire questa minestra, dopo alcune ore, fredda.
dadi, i fagiuoli e i piselli, aggiungendo circa due litri di acqua. Si fa allora raggiungere l'ebollizione proseguendo la cottura circa tre quarti d
Per 6 persone occorrono: telline col guscio Kg. 1,350; riso gr. 500. Per levare la sabbia che le telline racchiudono, si lavano prima, poi si pongono in acqua fresca salata o meglio acqua di mare in un catino con un piatto rovesciato sotto le medesime e dopo almeno due ore, si levano asciutte e si mettono al fuoco con acqua proporzionata alla zuppa che si vuol fare. Quando saranno aperte, si levano i gusci e si serba l'acqua badando che in fondo alla medesima si sarà formata una qualche posatura di sabbia che dovrà essere gettata via. Si fa un soffritto con olio, aglio, poca cipolla, prezzemolo, carota e sedano: il tutto tritato finissimo con la lunetta, e quando sarà ben rosolato, vi si gettano le telline tolte dal guscio, qualche pezzetto di funghi secchi e un po' di pepe. Si fa bollire l'intingolo per circa 10 minuti, poi a poco alla volta, vi si getta l'acqua serbata, fino a raggiungere la quantità di liquido voluta.
596. Istruzioni generali sui sciroppi. Quando si è fatto disciogliere lo zucchero in una certa quantità d'acqua, si è schiumato e chiarificato, e finalmente cotto sino a che il liquido abbia una consistenza tale che scoli lentamente, si è ottenuto il sciroppo più semplice, vale a dire il giulebbe di zucchero. Se invece di acqua pura, si adopera per disciogliere lo zucchero un'acqua saturata di certi principii, come succo di frutta e simili, si avrà il sciroppo della sostanza adoperata. La preparazione dei sciroppi, pertanto, ha per iscopo la conservazione dei succhi di parecchie frutta od aromi, mantenendo a questi l'odore, il sapore, e talvolta il colore loro proprio. Volendo adoperare una decozione, un'infusione o un succo già ben chiarificato, basta sciogliervi zucchero bianchissimo a bagnomaria, che il sciroppo sarà fatto senza altra cottura nè chiarificazione. Il più sovente però si fa cuocere dopo avere sbattuto nel liquido freddo una o più chiare d'uova, e si schiuma durante la cottura. I sciroppi debbono rimanere meno tempo che sia possibile sul fuoco, perchè vi prendono colore. Le bottiglie in cui si serbano i sciroppi debbono essere sempre piene e ben turate; perocchè lasciandole sceme ed aperte, il sciroppo potrebbe fermentare con facilità, nonchè, evaporandone la parte acquosa, si candirebbe, ossia si cristallizzerebbe lo zucchero. I sciroppi si alterano così facilmente quando non sono abbastanza cotti, come quando lo sono troppo; bisogna quindi procurare di raggiungere il grado conveniente di cottura senza oltrepassarlo: molti sono i segni che indicano questo grado, ma il più semplice e più sicuro consiste nella densità del giulebbe. Versandolo dall'alto, esso deve filare come un olio fino, cadere senza spruzzare, formarsi in gocce rotonde, le quali, collocate le une presso alle altre in un piatto, non si ravvicinano che lentamente; infine, soffiando sulla superficie, vi si deve formare una pellicola rugosa. La regola da tenersi per la dose dello zucchero di cui si deve far uso in ciascun sciroppo, sarebbe di mettervene tanto quanto può scioglierne il liquido o succo che si adopera. I succhi acidi ne disciolgono circa 160 gramme per ogni ettogr.; le decozioni e le infusioni ne possono disciogliere un poco più; ma in generale ve ne vuole sempre un po' meno del doppio in peso dei liquidi che si adoprano.
raggiungere il grado conveniente di cottura senza oltrepassarlo: molti sono i segni che indicano questo grado, ma il più semplice e più sicuro consiste
Friggere bene non è da tutti, e spesso, anzi, è proprio qui che vengono miseramente a naufragare così la pretensiosa prosopopea di tante cuoche, come i facili entusiasmi di qualche dilettante di cucina. Generalmente si frigge male perchè non si ha un'idea esatta dell'operazione della frittura, la quale è essenzialmente operazione di «concentrazione». Per lo più si frigge a tre gradi principali: a padella moderata, a padella ben calda, a padella caldissima; stadi, codesti, che si riconoscono assai facilmente. Nondimeno chi non fosse molto pratico potrà regolarsi così. La frittura è moderatamente calda quando gettandovi dentro un pezzetto di pane, questo provoca l'azione del grasso o dell'olio, che incominciano il loro ufficio: è ben calda quando lasciandovi cadere una goccia d'acqua si sente un crepitio secco; e finalmente è caldissima allorchè dalla padella si sprigiona un leggero fumo biancastro. Naturalmente ad ogni preparazione sottoposta all'operazione della frittura deve adattarsi uno di questi tre gradi. Così si frigge a padella moderata tutto ciò che contiene acqua di vegetazione, come patate o altri legumi, o frutta; oppure pesce e carni piuttosto voluminosi, che debbono cuocere interamente nella frittura, e nei quali la cottura completa deve arrivare insieme con il croccante e il color d'oro dell'involucro esterno. Si friggono invece a padella ben calda quelle cose le quali hanno già subito un principio di cottura o una cottura completa. Si tratta in questo caso di formare subito intorno agli oggetti immersi nella frittura uno strato solido affinchè l'interno rimanga compresso e non vada a passeggiare per la padella. Si friggono così le costolette e qualunque altra preparazione alla Villeroy, le supplì, le crocchette di diverse specie, le creme fritte, ecc. Il terzo grado, cioè la frittura a padella caldissima, si usa per piccoli pesci, per provature, e in genere per tutte le cose di limitate proporzioni di cui il calore deve subito impossessarsi. La quantità della frittura deve essere sempre proporzionata all'importanza e al volume delle cose da friggere. In ogni caso questi oggetti devono essere completamente immersi. La pretesa economia di coloro che friggono con pochissimo liquido si risolve in loro danno, poichè prima di tutto il fritto vien male: molle o carbonizzato, e poi il poco liquido adoperato brucia facilmente e deve essere gettato via, mentre se si dispone di abbondante grasso o olio, alla fine si passa attraverso un setaccino e si tiene in serbo per un'altra volta. Qual'è la miglior frittura? II burro, intanto, no, poichè non ha forza nè resistenza. Nelle trattorie e negli alberghi dove c'è molto lavoro si adopera il grasso di rognone di bue, ciò che rappresenta la frittura classica di grande resistenza. Ma il grasso di bue si fredda troppo facilmente e lascia subito una patina sulle cose fritte, la quale a sua volta insega la bocca di chi mangia. Per famiglia è meglio dunque non pensare al grasso di bue e adoperare lo strutto o meglio ancora l'olio, mediante il quale si ottiene una frittura croccante e dorata. L'olio infatti senza considerare che dal lato igienico è infinitamente superiore allo strutto, dove non si mai quel che ci sia — può raggiungere fino i 290 gradi di calore, ciò che non si ottiene con nessuna altra frittura. Molti hanno una ingiustificata avversione per friggere con l'olio. Prendano dell'olio di qualità buona e provino. Ne saranno soddisfatti. L'olio fine non comunica nessun sapore sgradevole alle cose fritte. Molte volte si tratta di pregiudizi e nulla più.
infinitamente superiore allo strutto, dove non si mai quel che ci sia — può raggiungere fino i 290 gradi di calore, ciò che non si ottiene con nessuna
La farcia altro non è che una amalgama di carne o pesce che corretta e legata con uova, burro, aromi, ecc. viene a dare origine a un composto capace di rapprendersi così per la azione del bagnomaria o dell'acqua bollente come per quella del forno. A seconda dell'elemento di base impiegato si potrà avere una farcia di pollo o di selvaggina o di pesce, ecc. ecc.. Il procedimento è sempre lo stesso, variando solo la qualità della carne adoperata e che costituisce l'elemento essenziale. La preparazione non esige che un poco di diligenza allo scopo di raggiungere un condimento irreprensibile e un giusto grado di consistenza, poichè se questo grado non è rigorosamente raggiunto, le farcie riuscirebbero dure, oppure se troppo molli tenderebbero ad appiattirsi se destinate a bordure, o si dissolverebbero nell'acqua bollente se usate per chenelle.
che costituisce l'elemento essenziale. La preparazione non esige che un poco di diligenza allo scopo di raggiungere un condimento irreprensibile e un
Tutta questa roba dovrà essere tagliata così: gli erbaggi in listerelle e i legumi in dadi nè troppo grandi nè troppo piccoli. Naturalmente, erbaggi e legumi vanno ben risciacquati e poi messi a scolare in una scolamaccheroni. Appena la cipolla della pentola avrà un po' soffritto e avrete aggiunto l'aglio e gli aromi, mettete giù tutte le verdure, lasciate insaporire e poi bagnate con del brodo o in mancanza con dell'acqua, in modo che il liquido arrivi a una metà abbondante della pentola. Aggiungete un po' di sale e fate levare il bollore. Avendo lo speciale utensile non resta adesso che versare nel doppio fondo superiore il semolino preparato e coprire col coperchio. Non avendo questo utensile abbiamo detto che si ricorre ad un espediente. Vari sono i modi di sostituire il doppio fondo bucherellato. Molti applicano sulla bocca della pentola una piccola scolamaccheroni con entro il semolino, altri consigliano una scodella rovesciata sotto la quale si fa passare una salvietta contenente il semolino, ecc. Ma il sistema secondo noi più sbrigativo è il seguente: Prendete una salvietta e in mezzo ad essa ponete ammonticchiato il semolino già pronto. Coprite il monticello col coperchio della pentola (il quale coperchio deve adattarsi perfettamente all'imboccatura della pentola stessa) prendete due delle cocche opposte della salvietta ed annodatele sopra il coperchio e così fate per le altre due cocche. Compirete insomma la stessa operazione che fareste se doveste fare un fagotto. In questo modo il semolino penderà un poco, per il suo stesso peso, dalla parte di sotto, e voi applicando il coperchio sulla pentola, raggiungerete lo scopo di far sì che esso non stia a contatto del brodo, ma che riceva tutto il vapore che dal brodo si sprigiona. Per assicurare meglio la cottura si può stuccare la pentola con un cordone di pasta fatta con acqua e farina, tenuta di giusta densità. Col calore questa pasta si solidifica ed impedisce al vapore di perdersi. Alcuni invece della pasta di acqua e farina usano intridere una striscia lunga di mussolo in una pastella di acqua e farina un po'colante e girarla più volte intorno all'orlo della pentola in modo da raggiungere presso a poco lo stesso scopo del cordone di pasta. Ma noi crediamo che il primo metodo sia più semplice e più efficace. Le famiglie israelite usano aggiungere ai legumi un centinaio di grammi di salame di bue crudo. È una aggiunta utile ma non necessaria. Appena l'ebollizione si produce diminuite il fuoco e lasciate che la pentola bolla piano ma regolarmente per due ore e mezzo, o tre. Intanto preparate un'altra pentola più piccola, metteteci mezzo chilogrammo abbondante di petto di bue o di altro taglio a vostro piacere, condite il brodo con poco sale e i soliti legumi, e lasciate bollire. A questo bollito potrete aggiungere man mano altre qualità di carne, come petto di vitello, tacchino, pollo ecc. ecc. Dipende dalla sontuosità con la quale vorrete presentare il vostro cuscussù. Naturalmente aggiungerete il vitello, il tacchino o il pollo dopo qualche tempo che la carne di bue bolle, e ciò per ottenere una cottura uguale di tutte le qualità di carni. Quando le carni saranno arrivate di cottura, le passerete in una piccola casseruola o in una pentolina, le coprirete di brodo e le lascerete in caldo. Trascorse due ore e mezzo o tre, scoprite il cuscussù lasciando la pentola sul fuoco. Sciogliete le cocche della salvietta e rovesciate il semolino nella insalatiera. Scioglietelo nuovamente, da principio con un cucchiaio, e, appena il calore vi permetterà di lavorarlo con le mani, riscioglietelo come la prima volta stropicciandolo tre le palme per almeno una diecina di minuti o più, se nonostante le precauzioni prese il semolino si fosse raggrumato in qualche punto. Deve essere anche questa volta completamente sciolto e senza la più piccola traccia di grumi. Intanto siccome il brodo dei legumi si sarà un po' consumato, aggiungeteci una buona parte del brodo di carne fatto posteriormente, facendolo naturalmente passare da un colabrodo. L'importante è che nella pentola dei legumi rimanga una quantità tale di liquido da poter bastare fino alla fine della cottura.
un po'colante e girarla più volte intorno all'orlo della pentola in modo da raggiungere presso a poco lo stesso scopo del cordone di pasta. Ma noi
Per questi fagottini occorre anzitutto preparare una pasta lievitata. Nei luoghi dove non c'è lievito di birra ci si può servire senz'altro della pasta di pane. Ma avendo a propria disposizione del lievito di birra, è buona pratica preparare la pasta da sè. Mettete sulla tavola mezzo chilogrammo di farina, disponetela a fontana e nel vuoto mettete venti grammi di lievito di birra, un pizzico di sale, un pizzico di pepe. Avrete messo a scaldare dell'acqua, e appena questa sarà tiepida — diciamo tiepida e non calda! — servitevene prima per sciogliere il lievito e poi per impastare questo con la farina. In tutto occorrerà circa un bicchiere e mezzo d'acqua. Regolatevi che la pasta deve risultare piuttosto morbida. Lavoratela energicamente come si trattasse di fare il pane; poi quando sarà bene elastica fatene una palla, mettetela in una terrinetta spolverizzata di farina, copritela, portatela in un luogo tiepido e lasciate che lieviti per un paio d'ore. Quando la pasta sarà ben rigonfia, rovesciatela sulla tavola infarinata, prendetene, uno alla volta, dei pezzetti grossi come un uovo, allargateli tirandoli con le mani, e foggiatene delle pizzette sottili che disporrete allineate sulla tavola. Avrete intanto preparato in un piatto un ettogrammo di formaggio fresco tagliato in dadini (provatura, mozzarella, marzolina, ecc.), quattro o cinque alici, lavate spinate e fatte a pezzettini, una cucchiaiata di prezzemolo trito, sale e abbondante pepe. Mescolate ogni cosa e distribuite questo ripieno su ogni pizzetta. Fatto questo, ripiegate in due su sè stessa la pizzetta, chiudendo il ripieno nell'interno e spingendo con le dita sugli orli perchè la pasta possa attaccarsi perfettamente. Fate attenzione che questi fagottini non si buchino, altrimenti in padella accadrebbero dei guai, e friggeteli, pochi alla volta, nell'olio o nello strutto bollenti. Con la dose di pasta da noi data verranno circa venticinque fagottini sufficienti a sei ed anche a otto persone. I fagottini devono stare in padella soltanto pochi secondi: il tempo di colorirsi. Una lunga permanenza nella padella ed una frittura non sufficientemente calda, li farebbe diventare pesanti. È inutile dire che debbono essere mangiati caldissimi. Questi fagottini sono eccellenti così come ve li abbiamo descritti; ma possono raggiungere una maggiore raffinatezza accompagnandoli con una salsiera di salsa di pomodoro densa, fatta con olio e aglio, e ultimata con qualche fogliolina di basilico trito.
sono eccellenti così come ve li abbiamo descritti; ma possono raggiungere una maggiore raffinatezza accompagnandoli con una salsiera di salsa di
Sono queste le frittelle, specialità dei «friggitori» romani. Per fare una trentina di grosse frittelle vi occorreranno: una pagnottina di lievito del peso di 100 grammi, e 150 grammi di farina. Per il lievito potrete seguire due sistemi: o comprare una pagnottina di pasta (pasta di pane) bell'e pronta dal fornaio, o confezionare il lievito in casa, da voi stesse, adoperando lievito di birra, ciò che sarebbe preferibile. I «friggitori» romani usano lievito di pane, ma non è detto che non si possa usare lievito di birra, ciò che anzi comunica una maggiore leggerezza alle frittelle. Dunque, per concludere: se comprerete il lievito dal fornaio, avrete mezzo lavoro fatto: se invece vorrete farlo da voi vi regolerete così. Mettete sulla tavola due cucchiaiate e mezzo di farina, fateci un buco nel mezzo e metteteci 10 grammi di lievito di birra sciolto con due dita di acqua appena tiepida. Impastate il tutto in modo di avere una pasta di giusta consistenza, fatene una palla e mettetela in una terrinetta, che coprirete e porrete in un luogo tiepido. Affinchè questa pasta possa lievitare occorrerà circa un'ora e mezzo. Sia fatta da voi, sia comperata, prendete la pagnottina di pasta e mettetela in una terrinetta piuttosto grande, con 150 grammi di farina (cinque cucchiaiate ben colme) e un pizzico di sale. Avrete preparato un bicchiere scarso di acqua tiepida e con questa, a poco a poco, scioglierete lievito e farina sbattendo energicamente la pasta. Lavorate così con la mano per una ventina di minuti, sempre sbattendo con forza, fino a che la pasta sia diventata vellutata, elastica e si stacchi facilmente, in un sol pezzo, dalle pareti della terrinetta. Il segreto della riuscita è tutto qui. Coprite e lasciate in riposo. Se avrete adoperato il lievito di pane, occorreranno più di sei ore per una perfetta lievitatura delle frittelle, se avrete adoperato il lievito di birra saranno sufficienti quattro ore. Trascorso il tempo stabilito, mettete sul fuoco una padella con abbondante olio. Poi con le dita leggermente bagnate di acqua prendete lungo le pareti della terrinetta dei pezzi di pasta come grosse noci. Per foggiare le frittelle non basta una mano sola, ne occorrono due. Appoggiate nel mezzo delle pallottole di pasta i due pollici e spingendo sotto con i due indici e i due medi, allargate la pasta in modo da avere una ciambella. Allargate con garbo questa ciambella di pasta morbida fino a farle raggiungere il diametro di un piattino da caffè e lasciatela cadere nella padella molto calda; cuocendo, le frittelle si restringono un poco, gonfiano e divengono d'un bel color d'oro. Quando saranno ben colorite e croccanti, toglietele dalla padella, spolverizzate di zucchero e mangiatele calde. Come vedete, non c'è niente di difficile. Provate e non vi sgomentate se le prime frittelle che friggerete vi daranno un po' da fare e non prenderanno subito una bella forma. Lo dice anche il proverbio: non tutte le ciambelle riescono col buco. E i proverbi — si dice — sono la saggezza dei popoli: almeno per quel che riguarda le frittelle...
ciambella di pasta morbida fino a farle raggiungere il diametro di un piattino da caffè e lasciatela cadere nella padella molto calda; cuocendo, le
Le uova bruillées o strapazzate, a patto di essere fatte a regola d'arte, sono tra le preparazioni più fini di cui siano suscettibili le uova. La vecchia cucina, per raggiungere un maggior grado di finezza, cuoceva le uova bruillées a bagno maria; ma si possono cuocere ugualmente bene su fuoco nudo, purchè sia debolissimo e purchè il recipiente sia a fondo molto spesso, per impedire che i colpi di fuoco facciano solidificare delle particelle di uovo sotto forma di grumi. Le uova bruillées ben fatte debbono essere perfettamente liscie e come una crema densa. Mettete in una casseruola a fondo spesso mezzo ettogrammo di burro e quando sarà liquefatto versateci sei uova sbattute come per frittata, alle quali avrete aggiunto un po' di sale e un pizzico di pepe bianco. Mescolate con un cucchiaio di legno e quando le uova saranno rapprese, tirate via la casseruola dal fuoco e aggiungete ancora qualche pezzettino di burro e una cucchiaiata di crema, se ne avete. La ricetta è semplice: richiede solamente un po' d'attenzione e di diligenza.
vecchia cucina, per raggiungere un maggior grado di finezza, cuoceva le uova bruillées a bagno maria; ma si possono cuocere ugualmente bene su fuoco nudo
Per un pâté sufficiente a sei persone mettete sulla tavola duecento grammi di farina, e impastateli con 50 grammi di buiro, o di strutto, circa mezzo bicchiere d'acqua e un pizzico di sale. La pasta dovrà essere liscia, ben lavorata e di giusta consistenza: presso a poco come una comune pasta all'uovo. Fate una palla della pasta e lasciatela riposare almeno un paio d'ore. Fatta la pasta preparate il ripieno. Prendete 200 grammi di carne magra di maiale, 200 grammi di lardo salato, un ettogrammo di prosciutto in una sola fetta spessa, la metà di un filetto di maiale — quel che a Roma è detto comunemente lombello — e volendo arricchire il pâté, qualche pezzetto di tartufo nero tagliato in dadini. Tagliate il filetto di maiale in tanti pezzi della lunghezza e della grossezza di un dito, tagliate anche il prosciutto in asticciole e mettete il tutto in una scodella con sale, pepe, noce moscata e possibilmente un mezzo bicchierino di Marsala. Se vorrete mettere anche i tartufi li aggiungerete nella scodella. Per preparare la farcia triterete sul tagliere i duecento grammi di carne magra di maiale, e dopo tritati questi, triterete il lardo. In ultimo mescolerete carne e lardo tritando un'ultima volta tutto insieme. Potrete anche invece di duecento grammi di carne usarne 150 e completare la dose con 50 grammi di fegato di maiale. Se avete in cucina la macchinetta trita tutto, passateci prima la carne e poi il lardo e finalmente tutti e due insieme. Usiate la macchina o il tagliere l'importante è che carne e lardo siano tritati il più fino possibile e che la mescolanza sia perfetta. Meglio ancora se, a raggiungere questa perfezione, passerete la farcia dal setaccio. Preparati tutti gl'ingredienti passiamo alla confezione del pâté. Se avete la stampa speciale imburratela e appoggiatela su una teglia leggermente unta. Se non l'avete ungete di burro una stampa liscia da budino o una casseruolina di circa tre quarti di litro. Stendete la pasta all'altezza di mezzo centimetro e con essa, procedendo con attenzione, foderate la stampa. Badate che la pasta non si rompa, e che aderisca da per tutto. Sul fondo e intorno alle pareti del pâté posate qualche fettina molto sottile di lardo e poi incominciate a riempire la stampa alternando strati di farcia con pezzi di lombello, prosciutto e tartufi. Man mano che riempite pigiate un po' con le mani affinchè non rimangano vuoti nell'interno e continuate fino a che avrete riempito completamente la stampa. Il poco Marsala che sarà rimasto nella scodella verrà sgocciolato sul pâté, che voi finirete con qualche altra fettina di lardo. Tagliate adesso con un coltellino la pasta che sporge dai bordi della stampa o della casseruola, ma lasciatene almeno un dito fuori dei bordi. Con i ritagli impastati e stesi nuovamente fate un coperchio della grandezza della stampa, appoggiatelo sul pâté, bagnatelo intorno intorno con un pochino d'uovo sbattuto o d'acqua, e sull'orlo di questo coperchio ribattete la pasta sporgente dai bordi. Pigiate bene con le dita in modo da chiudere perfettamente il pâté formando intorno intorno come un cordone. Con la punta di un coltello tagliate nel centro del coperchio un dischetto di pasta che sarà come la cappa del camino per la quale usciranno i vapori del pasticcio, dorate, e poi mettete in forno moderato per un tempo che varierà dai tre quarti a un'ora. Rifinite il pasticcio nel modo indicato più avanti pel pasticcio di fegato.
'importante è che carne e lardo siano tritati il più fino possibile e che la mescolanza sia perfetta. Meglio ancora se, a raggiungere questa
Infarinate leggermente la tavola di cucina, rovesciateci la pasta, staccandola bene dalle pareti della terrinetta, poi battetela leggermente con la mano in modo da sgonfiarla, e ripiegatela su sè stessa per due o tre volte senza impastarla, ma spianandola con piccoli colpi dati col palmo della mano. Fatto questo, spolverizzando sempre la tavola di farina, arrotolate con leggerezza la pasta in modo da farne una specie di salame del diametro di circa cinque centimetri. Da questo salame di pasta tagliate con un coltello venti pezzetti come una grossa noce. Se avete il controllo della bilancia, guardate che questi pezzi abbiano dai 18 ai 20 grammi di peso Dopo aver tagliato i venti pezzi, vi avanzerà ancora un pochino di pasta. Assottigliatela rotolandola con le mani in modo da avere come un grosso maccherone, che ritaglierete in venti pezzetti della grossezza di una nocciola, pezzetti che costituiranno la testa delle «brioches». Allineate sul tavolo venti stampine da «brioches» — le quali sono piccole stampe scanalate di ferro stagnato, — e ungetele leggerissimamente di burro. Avremo dunque venti pezzi di pasta più grandi e venti più piccini. Prendete un pezzo di pasta grande alla volta, rotolatelo in palla e mettetene uno per ogni stampina. Fatto questo, col dito indice leggermente bagnato d'acqua, fate un buco nel mezzo di ogni palla di pasta messa nelle stampine. Arrotolate poi i pezzetti di pasta piccoli, dando loro la forma di minuscole pere e introducete le punte di queste pere nel buco fatto, di modo che la parte rotonda rimanga di fuori. Accendete intanto il forno e procurate che sia bruciante. Mentre il forno si riscalda tenete le stampine preparate al caldo per dar modo alle «brioches» di lievitare, di raggiungere i bordi delle stampine e di diventare ben rigonfie: ciò che avverrà in una mezz'ora circa. A questo punto, con un pennello bagnato nell'uovo sbattuto, dorate le «brioches» ma eseguite l'operazione con molta leggerezza affinchè la pasta non abbia a sgonfiarsi. La doratura si esegue benissimo girando la stampina nella mano. Quando avrete dorato tutte le «brioches», mettetele in forno e date loro cinque o sei minuti di cottura, finchè abbiano preso un bel colore d'oro scuro. Ripetiamo: tutta la difficoltà della riuscita delle «brioches», consiste nel forno. La «brioche» deve riuscire morbidissima, leggera e saporita. Se il forno non è buono, o è freddo, la cottura stenta e le «brioches» fanno la crosta; e voi otterrete dei dolci duri, pesanti e scipiti, che di «brioches» non avranno neanche il più lontano ricordo.
riscalda tenete le stampine preparate al caldo per dar modo alle «brioches» di lievitare, di raggiungere i bordi delle stampine e di diventare ben
Mettete sulla tavola di cucina: farina grammi 200, burro grammi 150, zucchero grammi 60, cacao o cioccolata in polvere grammi 20, cannella in polvere mezzo cucchiaino, e due torli d'uovo. Impastate sollecitamente il tutto come una comune pasta frolla, raccoglietela in una palla e lasciatela riposare per una mezz'ora. Stendetela poi sulla tavola leggermente infarinata, fino a raggiungere lo spessore di mezzo centimetro scarso. Con un tagliapaste ovale dentellato di cinque centimetri di lunghezza, ritagliate tanti ovali che allineerete su una placca da forno leggermente imburrata. I ritagli li rimpasterete e ne ricaverete altri biscotti fino ad esaurimento. Ne verranno circa una cinquantina. Cuoceteli in forno di moderato calore fino a che siano rassodati e poi, dopo averli lasciati ben freddare, riuniteli due a due, mettendo in mezzo un pochino di crema al cioccolato che farete nel seguente modo. Mettete in una terrinetta un ettogrammo di burro, un po' scarso, lasciatelo ammorbidire e poi con un mestolo incominciate a montarlo fino a che sarà diventato soffice. Aggiungete allora tre o quattro cucchiaiate di zucchero in polvere, mettendone una alla volta e continuando sempre a lavorare. Quando questa crema di burro sarà ben montata ultimatela con una cucchiaiata colma di cioccolato in polvere e un paio di cucchiaini di buon rhum. Accoppiati i biscottini accomodateli in un vassoio con salviettina e spolverizzateli di zucchero vainigliato.
riposare per una mezz'ora. Stendetela poi sulla tavola leggermente infarinata, fino a raggiungere lo spessore di mezzo centimetro scarso. Con un tagliapaste
Sciogliete lo zucchero mescolandolo, poi portate la casseruola su fuoco vivo, fino all'ebollizione. Appena lo zucchero avrà levato il bollore, tirate indietro il recipiente e schiumate accuratamente lo sciroppo, liberandolo di tutte quelle impurità che saranno salite alla superficie. Rimettete la casseruola su fuoco vivace e con un pennello pulito e bagnato nell'acqua fresca, spennellate continuamente il giro intemo della casseruola affinchè lo zucchero cuocendo non vi si attacchi. Dopo dieci minuti di forte ebollizione tirate indietro la casseruola e misurate col pesa-sciroppi la densità dello sciroppo, che deve raggiungere i 34 gradi piuttosto scarsi. Ottenuto questo grado di densità ponete la casseruola con tutto lo sciroppo in luogo fresco, coprendola con un foglio di carta bucherellato che inzupperete nell'acqua e poi spremerete. Lasciate in riposo lo sciroppo senza più toccarlo, per sei ore. Occorre adesso un apposito utensile detto «brillantiera» il quale è formato da una cassetta metallica a forma rettangolare con un bordo di circa quattro centimetri di altezza e corredata di una griglia in filo di ferro sottilissimo. La «brillantiera» ha nella sua parte inferiore un'apertura che si chiude con apposito turacciolo per colare poi lo sciroppo — che con termine tecnico si chiama «brillante» — ad operazione ultimata. Non fondo della «brillantiera», sulla griglia, disponete le violette bene asciutte, ricoprendole con una seconda griglia, finissima e leggerissima. Versate sulle violette con grande attenzione lo sciroppo, tenendo la casseruola il più
dello sciroppo, che deve raggiungere i 34 gradi piuttosto scarsi. Ottenuto questo grado di densità ponete la casseruola con tutto lo sciroppo in luogo
Per un chilogrammo di salsiccie, tritate o passate grossolanamente a macchina 850 grammi di carne di maiale e 150 grammi di lardo non salato. Naturalmente facendo le salsiccie per uso proprio è bene adoperare carne di prima scelta, senza troppi nervi nè tendini. Condite l'impasto con una trentina di grammi di sale, abbondante pepe nero in polvere e un mezzo cucchiaino di salnitro in polvere. Maneggiate accuratamente la pasta, affinchè tutti i vari ingredienti si amalgamino perfettamente. Fornitevi di qualche metro di budellino in salamoia, che potrete acquistare presso i negozianti che lavorano carni di maiale, risciacquatelo accuratamente in acqua fresca e poi immergetelo in acqua tiepida per fargli acquistare una maggiore morbidezza. Coloro che lavorano carni suine hanno una speciale macchinetta per insaccare. Ma in famiglia si può raggiungere ugualmente lo scopo usando un imbuto a largo collo. Introducete dunque il collo dell'imbuto nel budello, e facendo una operazione simile a quella di calzare un guanto, aggrinzite man mano il budello, raccogliendolo tutto sul collo stesso dell'imbuto. Legate l'estremità del budello e poi tenendo verticalmente l'imbuto per il collo, in modo che il budello non debba scivolar via, mettete nel cavo dell'imbuto un po' di carne alla volta spingendola con un bastoncino per farla passare nell'intestino del maiale. È un'operazione facilissima. Man mano che la carne scende l'accompagnerete con una breve pressione della mano in modo che non rimangano vuoti, e nello stesso tempo lascerete scivolare a poco a poco dalla mano che tiene l'imbuto, un altro po' di budello. Se pi fosse qualche pezzetto rotto vi affretterete a fare una legatura per potere andare innanzi. Quando avrete insaccato tutta la carne, fate ad intervalli regolari di quattro dita delle legature sul lungo salcicciotto, e avrete così ottenuto una ventina di salsiccie, che lascerete asciugare per qualche giorno in un luogo tiepido.
. Coloro che lavorano carni suine hanno una speciale macchinetta per insaccare. Ma in famiglia si può raggiungere ugualmente lo scopo usando un imbuto a
a) Per la semplicità d'impianto delle nostre cucine militari, la bollitura è, senza dubbio, il modo preferito di preparazione della carne per il nostro soldato; essa offre anche l'opportunità di preparare il brodo necessario per la confezione della minestra. Sono da distinguersi due modi di preparazione della carne bollita; la scelta dell'uno o dell'altro modo dipenderà dallo scopo che si vuole raggiungere: se cioè si vuol buon brodo a scapito della carne bollita, o se si vuole buona e succosa carne bollita, poco curandosi della bontà del brodo. Nel primo caso si preferirà l'infusione della carne a freddo ed il successivo elevamento graduale della temperatura, perchè l'acqua possa penetrare la carne e scioglierne tutti i materiali sapidi e solubili; nel secondo caso si darà la preferenza all'infusione della carne nell'acqua già bollente, perchè l'azione immediata del calore faccia coagulare prontamente la sostanza albuminosa alla superficie della massa carnea, e così il coagulo superficiale trattenga in questa i principii sapidi e solubili dell'interno.
preparazione della carne bollita; la scelta dell'uno o dell'altro modo dipenderà dallo scopo che si vuole raggiungere: se cioè si vuol buon brodo a scapito
Nella preparazione della carne e del brodo per il soldato non sarebbero pratici questi estremi, non conciliando nessuno dei due una bontà discreta del brodo con la maggiore nutritività possibile della carne bollita, ciò che appunto si mira ad ottenere. Per raggiungere questo scopo intermedio si consiglia piuttosto di metter la carne ad acqua calda, ma non bollente (a + 50°C), di spingere quindi lentamente l'ebullizione e di mantenere in seguito una temperatura vicino a + 100° (+ 90°) per 4 o 5 ore, o meglio, secondo il Baranski, una temperatura a circa + 75° per due o tre ore soltanto. Così operando potrà ottenersi ad un tempo un brodo abbastanza buono e della carne bollita non troppo spoglia di principii sapidi e nutritivi.
del brodo con la maggiore nutritività possibile della carne bollita, ciò che appunto si mira ad ottenere. Per raggiungere questo scopo intermedio si
Ciò fatto, si spenge la lampada e si aggiunge nella provetta, dove si è raccolto il prodotto della distillazione, tant' acqua distillata, quanta ne occorre per raggiungere il livello segnato nella parte superiore (a), valendosi a tale scopo della pipetta già accennata (2/20). Si dibatte allora la miscela mediante agitatore di vetro e vi si immerge simultaneamente l'alcoometro F (che è soltanto una parte di quello centesimale di Gay-Lussac descritto al 74, perchè ne porta le sole 30 prime gradazioni) ed il termometro ad alcool G; il secondo servea correggere le indicazioni del primo. Si notano entrambe le indicazioni avute dai due strumenti e si cerca nella tavola esistente entro la cassetta (e riportata nella tabella VI dell'appendice) la quantità centesimale d'alcool contenuta nel vino esaminato. Giova avvertire che l'alcool ottenuto deve avere l'odore ed il sapore grato di quello etilico e ricordare l'aroma speciale del vino sottoposto alla distillazione; quando invece i vini hanno subito qualche malattia, l'odore ed il sapore cambiano, riuscendo più o meno sgradevoli.
occorre per raggiungere il livello segnato nella parte superiore (a), valendosi a tale scopo della pipetta già accennata (2/20). Si dibatte allora la
Disfate i lamponi staccandoli dal gambo e spremendoli colle mani come fareste per ammostare l'uva, metteteli dentro un vaso di terra o di legno in luogo fresco. Allorché comincieranno a fermentare, per la qual cosa occorreranno circa 3 giorni, rimestateli con un mestolo 2 volte al giorno, continuando così finché non avranno smesso di alzare. Allora passateli a poco per volta in un pannolino, spremendoli bene colle mani, e poi passate il succo spremuto da un filtro 2 o più volte, finché il liquido non resti limpidissimo. Ciò fatto, pesate il succo che deve raggiungere il peso di 3 chilogrammi, e quando comincia a bollire, versateci 4 chilogrammi di zucchero in polvere e 30 grammi di acido citrico. Rimestate continuamente col mestolo, onde non si attacchi, lasciate bollire per 2 o 3 minuti, e quando è diaccio mettetelo in bottiglie e conservatelo in luogo fresco.
spremuto da un filtro 2 o più volte, finché il liquido non resti limpidissimo. Ciò fatto, pesate il succo che deve raggiungere il peso di 3 chilogrammi
Non importa. Vinceremo meglio, vincendo tardi, come in tutte le buone rivoluzioni. La nostra, intanto, esprime il suo verbo, stabilisce la sua legge. Poiché gli Italiani hanno consentito al principio futurista di farsi quanto più possibile agili, desti, veloci, elettrici, furibondi, verrà bene il giorno in cui si persuaderanno che, a raggiungere un tale stato di grazia, nulla può meglio giovare del mangiar poco e scelto, del limitare i propri pasti alla stilla essenziale e alla briciola leonina. In verità quest'ultima propaganda tua, o Marinetti, è la più conseguente e logica fra tutte quelle derivate dal tuo manifesto cardinale di vent'anni fa: e non si capirebbero tante resistenze, se non ripensando, appunto, alla tenacia e caparbietà di certe abitudini dello stomaco. Non è la prima volta che un popolo c'insegna di saper rinunziare a tutto, fuorché a una ghiottoneria. Un francese che stimava i Tedeschi, il conte di Gobineau, soleva dire che di là dal Reno nessuno saprebbe commettere una viltà, fuorché per una salsiccia con crauti. È un giudizio che mi torna a mente, ripensando a quel Pulcinella che resisteva a tutto, fuorché a una manciata di vermicelli. Questo grande amore della pasta asciutta è una debolezza degli Italiani, e tu hai cento ragioni di batterla in breccia. C'è il tallone d'Achille, e c'è il palato del futurista. Ora, fra tutti i cibi ingozzanti e paralizzanti che contraddicono al tuo programma di rapidità, elasticità ed energia, la pasta asciutta è precisamente il più diffuso e calamitoso. Ma essendo il più nefasto, é anche il meno maledetto. Ed ecco la molla della tua rivolta riparatrice. Che vuol dire, quest'altra abitudine, quest'altro vizio, quest'altra abbiezione? Liberiamoci anche dalla pasta asciutta, ch'è anch'essa una schiavitù. Che ci gonfia le ganasce, come a mascherotti da fontana; che ci intoppa l'esofago, come a tacchini natalizi; che ci lega le interiora con le sue funi mollose; e ci inchioda alla scranna, repleti e istupiditi, apoplettici e sospiranti, con quella sensazione dell'inutilità che, a seconda degli individui, può dar piacere o vergogna, ma in ogni caso deve essere aborrita da chi vanti un'anima futurista, o soltanto giovine e sveglia.
giorno in cui si persuaderanno che, a raggiungere un tale stato di grazia, nulla può meglio giovare del mangiar poco e scelto, del limitare i propri
Il rombo si pesca generalmente sulle spiagge dell'Inghilterra e dell'Olanda e può raggiungere il peso di 12-15 chilogrammi : gli esemplari di media grossezza sono tuttavia preferibili per la loro bontà. Il rombo è un pesce piatto, molto più largo che lungo, ha il ventre giallastro, il dorso marmorizzato di bruno e di giallo o guernito di piccole verruche dure ; la sua carne è bianca e delicata ma saporita. Badate ch'essa non abbia macchia alcuna. Se il rombo fosse pescato di fresco, lasciatelo riposare un pajo di giorni, raschiatelo quindi e levategli con l'acqua salata quel po' di mucilagine che lo involge, estirpate le verruche e le orecchie e spuntate le pinne, preparatelo poi come si è detto nei preliminari.
Il rombo si pesca generalmente sulle spiagge dell'Inghilterra e dell'Olanda e può raggiungere il peso di 12-15 chilogrammi : gli esemplari di media
[immagine e didascalia: Stampi per budini a bagnomaria ] Quand'esso è riempito (fino alla metà non più) col composto del budino, mettetelo nella pentola dove avrete già fatto bollire dell'acqua la quale rimarrà distante tre dita dal coperchio. Badate che durante la cottura del budino essa dovrà soltanto fremere, non mai bollire fortemente, ma abbiate cura che questo grado di bollitura leggera si mantenga costante fino all'ultimo. Per raggiungere lo scopo certi cuochi collocano la pentola nel forno e lasciano lo stampo scoperto. Se la metterete invece sul fornello o sul fuoco del gas, cosa assai pratica, ricordatevi di coprirla e di circondarla con uno strofinaccio bagnato a ciò il vapore non sfugga. Se si trattasse di budini molto leggeri non chiudete lo stampo col coperchio ma coprite la pentola per non esporvi al rischio che nell'aprire lo stampo il composto s'abbassi subito. Vi è ancora chi mette sul coperchio uno strato di cenere ardente.
soltanto fremere, non mai bollire fortemente, ma abbiate cura che questo grado di bollitura leggera si mantenga costante fino all'ultimo. Per raggiungere
Crema. — Prendete un litro e mezzo di latte, e fatelo bollire, inzuccherandolo bene, ed allorquando è in ebollizione gettatevi dentro un pezzo di vaniglia, oppure aromatizzatelo in altro modo, come diremo in appresso. Prendete otto tuorli d'uovo, e fateli diluire, versando a poco a poco il latte, mescolando sempre, onde ottenere una completa amalgama della crema che farete in seguito passare per staccio di seta. — La crema dev'essere poi versata in casseruola contenente acqua calda o fredda non importa, la quale deve raggiungere i manichi dei vasi. Si torni a collocare la casseruola al fuoco ponendone anche sul coperchio della casseruola, affinchè assorba il vapore dell'acqua, tenendo però questa ad un medesimo calorico, e cioè quasi bollente, ma che non bolla mai, sino a che la crema siasi perfettamente formata, ritirandola dal fondo appena avrete la persuasione che essa è completamente cotta. — Si può benissimo invece della vaniglia porvi del lauro, palma in foglia, cannella, corteccia di limone, ovvero aggiungere ai tuorli d'uovo diluiti nel latte inzuccherato, fior di arancio, essenza di caffè, thè verde, cioccolatta, ecc., il tutto però stemperato in poca acqua calda. La crema allora prende il nome dell'essenza che vi si aggiunge.
in casseruola contenente acqua calda o fredda non importa, la quale deve raggiungere i manichi dei vasi. Si torni a collocare la casseruola al fuoco
Focaccie. — In un recipiente por devesi una data quantità di farina (due etti) e sei grammi di lievito di birra diluita in moltissima acqua tiepida, in modo che formar possa una pasta molliccia. Si copra questo lievito con uno strato di farina, e quindi con copertina, collocandolo presso il focolaio, onde possa raggiungere il doppio volume ed anche più. — Frattanto stender devesi sulla tavola tre etti di farina, formando nel mezzo un buco nel quale por devonsi tre etti di burro, un pò di sale, cinque uova intere, e due cucchiai di fior di latte. Si diluisca il tutto amalgamandovi la farina, ed impastando poi per quattro volte col palmo della mano, siccome usasi per ogni altra pasta, stendendola in seguito onde porvi sopra il lievito, che a poco a poco fa mestieri incorporare alla pasta. Dopo di che asperger devesi di farina una salvietta che si porrà in una casseruola ponendovi sopra la pasta, coprendola ermeticamente e lasciandola riposare per dodici ore, in luogo caldo d'inverno, e fresco nell'estate. — La pasta dev'essere molle al tatto e delicata alquanto, sebbene solida — adoperando nel caso di bisogno per rammolirla delle uova, e della farina per renderla salda. Diasi alla pasta la forma di corona, e la si lasci riposare per tre ore sotto la coperta. Frattanto si spalmi di burro un foglio grande di carta, il quale servir deve per mettere la focaccia nel forno, ed ivi lasciarla a buon colore per trenta minuti.
focolaio, onde possa raggiungere il doppio volume ed anche più. — Frattanto stender devesi sulla tavola tre etti di farina, formando nel mezzo un buco nel