Le macchie d'inchiostro si tolgono in maniere diverse a seconda della qualità e della consistenza del tessuto. Sulla biancheria: lavare la macchia con latte tiepido prima di passare il capo al bucato. Sulla seta: immergere la parte macchiata nell'essenza di trementina (lontano dal fuoco) fregando leggermente con le dita: la tinta rimarrà inalterata. Sui tappeti e sulle stoffe pesanti: fregare sulla macchia del sapone bianco da bucato e risciacquare in acqua chiara; bagnare in seguito con acqua acidulata all'acido cloridrico nella proporzione di 1/20°; attendere due minuti, poi risciacquare di nuovo con abbondante acqua fredda. Questo procedimento però altera leggermente la tinta delle stoffe. Se la macchia è fatta invece con inchiostro colorato, bagnare con acqua di Javel e acqua nella proporzione di uno a due, fregare leggermente e risciacquare.
Le macchie d'inchiostro si tolgono in maniere diverse a seconda della qualità e della consistenza del tessuto. Sulla biancheria: lavare la macchia
Spesso i vini danno macchie assai tenaci, resistenti a qualsiasi processo di smacchiatura. Si può provare allora a stendere sulla macchia una soluzione di bisolfato di sodio e di acqua di cloro in parti uguali. Prima però è necessario che la macchia sia stata abbondantemente umettata con acido tartarico. L'anidride solforosa che viene in tal modo a svilupparsi fa, nella maggioranza dei casi, scomparire completamente la macchia. È indispensabile toglierne poi ogni minima traccia sul tessuto, con abbondante acqua fredda.
Spesso i vini danno macchie assai tenaci, resistenti a qualsiasi processo di smacchiatura. Si può provare allora a stendere sulla macchia una
Per togliere le macchie d'inchiostro alla seta, servitevi dell'essenza di tre mentina della migliore qualità, cioè rettificata, acquistandola dal farmacista. Abbiate cura di immergere la parte macchiata in questa essenza, lasciandovela almeno per cinque minuti. Sfregate poscia la stoffa tra le dita; l'inchiostro non tarderà a sparire, lasciando tutt'al più una leggera ombreggiatura che potrete togliere nella seguente maniera.
Per togliere le macchie d'inchiostro alla seta, servitevi dell'essenza di tre mentina della migliore qualità, cioè rettificata, acquistandola dal
Quando viene la benedetta stagione in cui le frutta rosse e succolente occhieggiano invitanti dagli alberi e dai panieri, ecco pure la continua e assillante preoccupazione delle macchie che il loro succo semina sugli abiti nostri e dei nostri bimbi, sulla tovaglia, nella biancheria. Come rimediare all'inconveniente?
assillante preoccupazione delle macchie che il loro succo semina sugli abiti nostri e dei nostri bimbi, sulla tovaglia, nella biancheria. Come rimediare
Se ci accorgiamo immediatamente della macchia cercheremo di farla assorbire il più possibile da batuffoli d'ovatta o, meglio ancora, da pezzetti di carta asciugante bianca e ben pulita. Le macchie di ciliege, more, ribes, ecc., verranno decolorate con succo di limone, dopo di che si immergeranno in una soluzione ammoniacale nella proporzione di un cucchiaio d'ammoniaca per mezzo litro d'acqua. Le tovaglie e la biancheria in genere si immergeranno in una lunga soluzione di varichina e, dopo qualche minuto, si risciacqueranno abbondantemente, prima in acqua calda, poi in acqua fredda.
carta asciugante bianca e ben pulita. Le macchie di ciliege, more, ribes, ecc., verranno decolorate con succo di limone, dopo di che si immergeranno in
Se non vi sono macchie, è sufficiente ricoprire tutta la tappezzeria da ripulire, in ogni sua parte, di uno spesso strato di gesso bianco. Dopo cinque minuti di applicazione, spazzolare energicamente, dall'alto verso il basso, con una spazzola ben pulita.
Se non vi sono macchie, è sufficiente ricoprire tutta la tappezzeria da ripulire, in ogni sua parte, di uno spesso strato di gesso bianco. Dopo
La manipolazione di tuttociò sia semplice, e naturale, il brodo non molto carico di carne; i sughi senza tanto lardo, prosciutto, e butirro; il sale, il pepe, le droghe, e ogni altro condimento di questo genere in pochissima quantità. Il palato dolcemente stuzzicato fa trovare del gusto in tuttociò, che si mangia: nulla di più contrario alla salute, che un troppo saporito cibo unito a bevande spiritose; questo cagiona un'infinità di serie malattie, oltre umor salso, pizzicore, macchie, ed altri incomodi, che appariscono sulla superficie del corpo umano.
malattie, oltre umor salso, pizzicore, macchie, ed altri incomodi, che appariscono sulla superficie del corpo umano.
Bisogna sciegliere il Majale di una carne soda, e rossastra, che non abbia alcun cattivo gusto, e che non senta il riscaldato. Quello, la di cui carne ha delle picciole macchie bianche non è buono. Il majale di sei, o otto mesi è ottimo per fare arrosto, e salarne la ventresca; quello di un anno, o quindici mesi è migliore per il lardo, e la panna, ossia assogna. Il Porchetto da latte deve avere circa un mese. Bisogna ucciderlo, e sbullentarlo subito uscito di sotto la madre. Tutto ciò che impiegasi per Cervellate, Salciccie, Budini etc. deve essere fresco, e recente, imperocchè se si lascia qualche poco invecchiare è soggetto a prendere il riscaldato, e le budelle a creparsi. I Prosciutti di primo sale si deve procurare che siano di animale giovane, corti, e carnuti; mentre se sono di animale vecchio, la carne è dura, tigliosa, e difficile a digerirsi.
carne ha delle picciole macchie bianche non è buono. Il majale di sei, o otto mesi è ottimo per fare arrosto, e salarne la ventresca; quello di un anno, o
Il Calamaio è una specie di pesce molto singolare, avente il capo fra i piedi, e il ventre. Secondo Linneo è desso del genere delle Seppie, e della classe de' Zoofiti, di colore bianco, e alcuno sparso di minute macchie rossine. Il Calamajo ha di fatti qualche cosa di comune col Polipo, o Polpo, e particolarmente colla Seppia, cioè la medesima configurazione nei piedi, nelle gambe lunghe, nel capo, negli occhi, nella bocca, nella lingua, nel condotto per lanciare il liquor nero, ed in alcune altre parti interne. In fatti esso si accoppia nello stesso modo; le femmine vanno in amore nel mese di Ottobre, e depongono le loro uova in alto mare.
classe de' Zoofiti, di colore bianco, e alcuno sparso di minute macchie rossine. Il Calamajo ha di fatti qualche cosa di comune col Polipo, o Polpo, e
La manipolazione di tuttociò sia semplice, e naturale, il brodo non molto carico di carne; i sughi senza tanto lardo, prosciutto, e butirro; il sale, il pepe, le droghe, e ogni altro condimento di questo genere in pochissima quantità. Il palato dolcemente stuzzicato fa trovare del gusto in tuttociò, che si mangia: nulla di più contrario alla salute, che un troppo saporito cibo unito a bevande spiritose; questo cagiona un'infinità di serie malattie, oltre umor salso, pizzicore, macchie, ed altri incomodi, che appariscono sulla superficie del corpo umano.
malattie, oltre umor salso, pizzicore, macchie, ed altri incomodi, che appariscono sulla superficie del corpo umano.
Bisogna sciegliere il Majale di una carne soda, e rossastra, che non abbia alcun cattivo gusto, e che non senta il riscaldato. Quello, la di cui carne ha delle picciole macchie bianche non è buono. Il majale di sei, o otto mesi è ottimo per fare arrosto, e salarne la ventresca; quello di un anno, o quindici mesi è migliore per il lardo, prosciutti, e panna, ossia assogna. Il Porchetto da latte deve avere circa un mese. Bisogna ucciderlo, e sbollentarlo subito uscito di sotto la madre. Tutto ciò che impiegasi per Cervellate, Salciccie, Budini ec. deve essere fresco, e recente, imperocchè se si lascia qualche poco invecchiare è soggetto a prendere il riscaldato, e le budelle a creparsi. I Prosciutti di primo sale si deve procurare che siano di animale giovane, corti, e carnuti; mentre se sono di animale vecchio, la carne è dura, tigliosa, e difficile a digerirsi.
carne ha delle picciole macchie bianche non è buono. Il majale di sei, o otto mesi è ottimo per fare arrosto, e salarne la ventresca; quello di un anno, o
556. Rombo lessato o bollito. - Prendete un bel rombo di due o tre chilogrammi all'incirca. Accertatevi che non abbia macchie sulla pelle, e che sia ben grasso.... altrimenti mangerete poco; che sia, per quanto è possibile, alto di fianchi, spesso, e sopratutto bianco e fresco.
556. Rombo lessato o bollito. - Prendete un bel rombo di due o tre chilogrammi all'incirca. Accertatevi che non abbia macchie sulla pelle, e che sia
Le macchie si tolgono dalla biancheria ponendo un cucchiaino di sale ammoniaco (5 grammi), e un cucchiaio da tavola di sale comune (15 grammi), in un recipiente con tanta acqua quanta basti a farne una specie di poltiglia. Si stende questa sulla parte macchiata che si lava poi con sapone e acqua.
Le macchie si tolgono dalla biancheria ponendo un cucchiaino di sale ammoniaco (5 grammi), e un cucchiaio da tavola di sale comune (15 grammi), in un
Di permanganato. — Il permanganato di potassa è spesso usato dalle donne, per irrigazioni e lavaggi igienici. E talvolta avviene che la biancheria intima rimanga macchiata di spruzzi o sgocciolature di questa soluzione, la quale conferisce alle macchie un colore di ruggine, quasi rossastro. Per far scomparire quelle traccie antipatiche basta bagnare la parte macchiata lavandola con una soluzione molto leggiera di acido solforico oppure con una soluzione ugualmente leggiera di bisolfito di soda a cui aggiungerete qualche goccia di limone.
intima rimanga macchiata di spruzzi o sgocciolature di questa soluzione, la quale conferisce alle macchie un colore di ruggine, quasi rossastro. Per far
45. Polentina al sugo con tartufi bianchi. — Mettete nella casseruola 2 litri, metà brodo e metà acqua salata, e quando bolla mettetene un poco a parte; avrete 9 ettogrammi di buona e gialla farina di meliga setacciata maccinata di fresco. Mettete poco per volta la farina nel brodo che bolle mestolando forte da formare una pasta densa, aggiungete il resto dell'acqua se fa bisogno, tramenando sempre affinchè resti ben liscia e non granulosa, sia un po' molle e colante, e fatela cuocere un 20 minuti adagio. Lavate e togliete le macchie nere a 60 grammi di tartufi bianchi e tagliateli a fette sottili, mettete metà entro la polentina con 1 ettogramma di butirro fresco, 60 grammi di cacio raspato ed unite tutto insieme, e guardate che sia di buon gusto. Versate la polenta in zuppiera mettendovi sopra un po' di sugo ridotto con il resto dei tartufi e servite che è eccellente per ii déjeûner.
un po' molle e colante, e fatela cuocere un 20 minuti adagio. Lavate e togliete le macchie nere a 60 grammi di tartufi bianchi e tagliateli a fette
490. Starne. Se sono giovani (volgarmente starnotti) bastano due ore di cottura, altrimenti ci vogliono tre ore. Per conoscere se sono vecchie o giovani si osservino le penne della testa; se queste sono crespute, le starne sono vecchie; al contrario, se le penne della testa sono lisce, questo è indizio che esse sono giovani. Altro segno delle starne vecchie è una macchia in forma di C color rossiccio situata sotto ciascun occhio; le quali macchie non si ritrovano nelle starne giovani. Si fanno arrostire le starne infilzandole allo spiede, indi ungendole con olio d'oliva, mettendovi sopra qualche foglia d'alloro, mezza cipolla trinciata sottilmente, e sale a sufficienza, contenendo tutto questo condimento con un foglio di carta consistente nel quale si avvolgono insiem collo spiede, tenendo il tutto legato con refe. Si terrà sotto allo spiede una ghiotta per raccogliere l'unto che potesse cadere a traverso la carta, ungendo nuovamente con quello, ed osservando che la detta carta non bruci. Quando sono cotte, si svolgono le starne, si tolgono le foglie di alloro e le fette di cipolla da cui sono coperte, si sfilano dallo spiede, si accomodano in un piatto, e si servono calde. Anche le starne si possono far rosolare in un tegame o casseruola invece che allo spiede.
macchie non si ritrovano nelle starne giovani. Si fanno arrostire le starne infilzandole allo spiede, indi ungendole con olio d'oliva, mettendovi sopra
664. Ratafià di melagrane. Sciogliete melagrane ben mature, sane e senza macchie, in quantità di cavarne 3 litri di succo. Prima di spremerle però avrete cura di mondarle della loro scorza e delle membrane amare che ne formano gli scompartimenti interni, servendovi dei soli grani rossi. Ponete indi il succo in un vaso insieme con 6 gram. di cannella in polvere, e versatevi sopra 6 litri d'acquavite, lasciando riposare il miscuglio per circa un mese e mezzo. Scorso questo tempo, decantate il liquore e fatevi sciogliere un chilogr. di zucchero. Dopo ciò filtrate e serbate il liquore in bottiglie.
664. Ratafià di melagrane. Sciogliete melagrane ben mature, sane e senza macchie, in quantità di cavarne 3 litri di succo. Prima di spremerle però
Il Susino di macchia o Pruno selvatico; (Prunus selvatica, spinosa, Druparia spinosa) comune nelle selve, macchie e siepi dà fiori odorosi in Marzo ed Aprile, frutto nero violaceo in maturanza verso il Settembre, di sapore acido aspro. La scorza del suo tronco e della radice contiene tannino e viene usata nelle arti alla concia delle pelli e a farne inchiostro, è astringente febbrifuga. Le foglie pure sono astringenti. La sua aqua distillata à virtù deprimente quasi come il Lauro cereso, i bottoni e i fiori sono lassativi. Le drupe essendo aspre, danno bon aceto. Mature servono a colorire il sidro ed il vino, anzi a fabbricarne una specie che chiamasi piquette in Francia, Scheleckenwein in Germania, seccate al sole ed infuse in vero vino gli danno sapore austero. Colla distillazione soministrano un'aquavite abbastanza spiritosa, ed acconciandole con alcool zuccaro ed aromi se ne ottiene un grato rosolio.
Il Susino di macchia o Pruno selvatico; (Prunus selvatica, spinosa, Druparia spinosa) comune nelle selve, macchie e siepi dà fiori odorosi in Marzo
La canna vera dello Zuccaro è pianta gramignacea perenne, originaria delle Indie, dove è spontanea nei luoghi innondati e dove si coltiva ancora. Somiglia alle nostre canne, si alza portando una pannocchia setacea che dà fiori. Esternamente è verdiccia, articolata, interiormente bianca e ripiena di una mollica simile a quella del sambuco, pregna d'un sugo dolce, piacevole. À foglie strette, striate, verdi, che serve ad alimento delle bestie. La piantagione si fa per barbocchi da Marzo a tutto Aprile. Può essere coltivata in tutti i paesi caldissimi. Da noi è da serra. È matura quando diventa gialla, il midollo si è fatto bigio scuro e il sugo viscoso e dolcissimo. La parola zuccaro dal greco sacchar, zuccaro. Nel linguaggio delle piante: Dolcezza. La canna dello zuccaro, matura, si taglia al piede, se ne tronca la pannocchia, si sfoglia, si porta al mulino, che la schiaccia fra tre cilindri. Se ne raccoglie il sugo entro una caldaja sottoposta e tal sugo è chiamato dai negri vezù o vino di canna. Presto fermenta e perciò è necessario cocerlo prontamente, e depurarlo con un processo di evaporazione e filtrazione sinchè è ridotto allo stato di sciroppo d'onde il melazzo, o melassa. Gli zuccari della seconda e terza cristallizzazione sono sempre più grassi ed oscuri e passano sotto il nome di mascabadi. Quelli d'Avana che sono i migliori si chiamano terzieri o biondi. Lo zuccaro benchè di prima estrazione, bianchissimo ed asciutto, contiene impurità e vuol essere raffinato. Questa depurazione si fa nelle grandi raffinerie da dove sortono in pani. La bianchezza e solidità estrema dello zuccaro in pani dipende non solo dalla qualità degli zuccari che si adoperano, ma ancora dall'esito felice dell'operazione e dell'espertezza dell'operatore. Se i pani riescono friabili o macchiati qua e là, o troppo oscuri, e quindi da scarto, allora si pestano ed entrano in commercio sotto la denominazione di zuccaro raffinato in polvere, ossia pilè. Lo zuccaro raffinato in pane è bianchissimo, senza macchie, compatto, duro, sonoro — percosso con un ferro nell'oscurità tramanda della luce, la sua cristallizzazione è minutissima, serrata, e lucida, non à odore, è dolcissimo. Se si tiene in bocca diventa poroso e non si scioglie uniformemente. Cristallizzato lo zuccaro in forma cubica con altro processo di evaporazione si vende sotto il nome di zuccaro candito. Questo è sempre più o meno colorato, tramanda molta luce percosso nell'oscurità, è assai dolce, e si scioglie in bocca uniformemente come le caramelle. La melassa in America ed altrove si adopera per la fabbricazione del rhum e nel Brasile la impiegano per la concia del tabacco. Per ottenere il rhum si fa fermentare la melassa entro grandi vasi di terra, sepolti nel terreno fino all'orifizio, e ricoperti di paglia. Compiuta la fermentazione si passa alla distillazione.
, ossia pilè. Lo zuccaro raffinato in pane è bianchissimo, senza macchie, compatto, duro, sonoro — percosso con un ferro nell'oscurità tramanda della
36. Polentina al sugo con tartufi bianchi. — Mettete nella casseruola 2 litri, metà di brodo e metà di acqua salata, e, quando bolle, mettetene un poco a parte. Avrete 9 ettogrammi di buona e gialla farina di meliga setacciata macinata di fresco. Mettete, poco per volta, la farina nel brodo, che bolle, mestando forte da formare una pasta densa; aggiungete il resto dell'acqua, se fa bisogno, tramenando sempre affinchè resti ben liscia e non granulosa, sia un po' molle e colante, e fatela cuocere un 20 minuti adagio. Lavate e togliete le macchie nere a 60 grammi di tartufi bianchi e tagliateli a fette sottili; mettetene la metà entro la polentina con un ettogramma di butirro fresco, 60 grammi di cacio raschiato ed unite tutto insieme, e guardate che sia di buon gusto. Versate la polenta in zuppiera mettendovi sopra un po' di sugo ridotto con il resto dei tartufi e servite che è eccellente per colezione.
granulosa, sia un po' molle e colante, e fatela cuocere un 20 minuti adagio. Lavate e togliete le macchie nere a 60 grammi di tartufi bianchi e tagliateli
. Plinio dice che non solo il prezzemolo è un cordiale per gli uomini, ma lo è anche per i pesci: Pisces quoque, si aegrotant in piscinis, apio viridi recreantur, il che vuol dire: se ti si ammalassero i pesci nella piscina, mettivi delle erborine verdi che guariranno. Le lepri ed i conigli ne sono avidissimi, anzi il darlo loro fa bene e li fa guarire. Le galline e i pappagalli ne soffrono ed anche moiono. Ma se il prezzemolo è un aroma sano, non se ne deve abusare, perchè è eccitante, la sua radice è più stimolante delle foglie. Del resto i medici gli assegnano virtù diuretica, dà rimedio nelle malattie d'occhi, è febbrifugo e risolvente, vulnerario e narcotico nelle contusioni, nelle echimosi, negli ingorghi lattei. Le famose pillole galattifughe, arcana preparazione della farmacia di Brera, constano principalmente di estratto di prezzemolo. Il seme del prezzemolo triturato in polvere serve di cipria per distruggere i pidocchi. Se si prende una certa quantità di prezzemolo e lo si pone nell'acqua per 48 ore e poi se ne spruzzi il suolo e le lettiere, si è certi di essere liberati dalle pulci. Impropriamente da noi si chiamano erborinn quelle piccole macchie, che troviamo nello stracchino di Gorgonzola, le quali sono nè più nè meno che muffa. In un'antica Cronica milanese troviamo che «Menina Briancea fu l'inventrice della salsa verde, che fassi ottima a Milano nel Monistero Maggiore da quelle sante mani di donna Anastasia Cotta.» Si può essicarlo per l'inverno, e secco triturarlo colle mani e conservarlo in bottiglie ben turate. Gl'inglesi e gli americani fanno molto uso della polvere del seme di prezzemolo nelle salse, zuppe ed intingoli.
suolo e le lettiere, si è certi di essere liberati dalle pulci. Impropriamente da noi si chiamano erborinn quelle piccole macchie, che troviamo nello
sostanziosa, compatta, fresca, ombrosa. Si propaga per le sue radici. È chiamato anche Barbaforte, dai Francesi Moutarde des capucins, senape dai Tedeschi e Rafano di cavallo dagli Inglesi. Nel linguaggio delle piante: Sdegno. La radice del cren è piccante assai ed acre, è gradevole ai sani. Grattugiata minutamente ed immersa nell'aceto è ottimo condimento per l'alesso, da sola può servire come la senape a condire certi manicaretti e a conciar l'insalata. I frati, molto intelligenti di gastronomia e di salse, posero il cren sotto la protezione celeste e la chiamarono Salsa di S. Bernardo. In Francia se ne prepara vino, birra ed una certa specie di sciroppo. I Romani lo chiamavano armoracea, nome che ancor conserva. Al dire di Plinio, i Greci lo chiamavano Pontici armon e gli Spartani Leucen. Era celebre il cren d'Arcadia. Il rafano selvatico è eminentemente anti-scorbutico, diuretico, antireumatico. Applicato esternamente è succedaneo ai vescicanti. Raschiato, supplisce la senape nei pediluvi e nei senapismi. Disseccato non perde la sua virtù. Non ultima qualità del rafano è questa, che raccomandasi specialmente alle signore e alle signorine: infusa la sua radice nel latte fa sparire le macchie dal volto. Il rafano è da mangiarsi a vegetazione completa e meglio nell'autunno e nell'inverno; in primavera, oltre all'essere meno bono, è molte volte nocivo.
sparire le macchie dal volto. Il rafano è da mangiarsi a vegetazione completa e meglio nell'autunno e nell'inverno; in primavera, oltre all'essere meno
Il Susino di macchia o Pruno selvatico (Prunus selvatica, spinosa, Druparia spinosa) comune nelle selve, macchie e siepi, dà fiori odorosi in marzo ed aprile, frutto nero violaceo in maturanza verso il settembre, di sapore acido aspro. La scorza del suo tronco e della radice contiene tannino e viene usata nelle arti alla concia delle pelli e a farne inchiostro, è astringente, febbrifuga. Le foglie pure sono astringenti. La sua aqua distillata à virtù deprimente quasi come il Lauro cereso, i bottoni e i fiori sono lassativi. Le drupe essendo aspre, danno bon aceto. Mature servono a colorire il sidro ed il vino, anzi a fabbricarne una specie che chiamasi piquette in Francia, Scheleckenwein in Germania; seccate al sole ed infuse in vero vino gli danno sapore austero. Colla distillazione somministrano un'aquavite abbastanza spiritosa, ed acconciandole con alcool, zuccaro e aromi se ne ottiene un grato rosolio.
Il Susino di macchia o Pruno selvatico (Prunus selvatica, spinosa, Druparia spinosa) comune nelle selve, macchie e siepi, dà fiori odorosi in marzo
luoghi inondati e dove si coltiva ancora. Somiglia alle nostre canne, si alza portando una panocchia setacea che dà fiori. Esternamente è verdiccia, articolata; interiormente, bianca e ripiena di una mollica simile a quella del sambuco, pregna d'un sugo dolce, piacevole. À foglie strette, striate, verdi, che servono ad alimento delle bestie. La piantagione si fa per barbocchi, da marzo a tutto aprile. Può essere coltivata in tutti i paesi caldissimi. Da noi, è da serra. È matura quando diventa gialla, il midollo si è fatto bigio scuro e il sugo viscoso e dolcissimo. La parola zuccaro, dal greco sacchar, zuccaro. Nel linguaggio delle piante: Dolcezza. La canna dello zuccaro, matura, si taglia al piede, se ne tronca la panocchia, si sfoglia, si porta al molino, che la schiaccia fra tre cilindri. Se ne raccoglie il sugo entro una caldaia sottoposta, e tal sugo è chiamato dai negri vezù o vino di canna. Presto fermenta, e perciò è necessario cocerlo prontamente e depurarlo con un processo di evaporazione e filtrazione, sinchè è ridotto allo stato di sciroppo, d' onde il melazzo o melassa. Gli zuccari della seconda e terza cristallizzazione, sono sempre più grassi ed oscuri, e passano sotto il nome di mascabadi. Quelli d'Avana, che sono i migliori, si chiamano terzieri o biondi. Lo zuccaro, benchè di prima estrazione, bianchissimo ed asciutto, contiene impurità, e vuol essere raffinato. Questa depurazione si fa nelle grandi raffinerie, da dove sortono in pani. La bianchezza e solidità estrema dello zuccaro in pani, dipende non solo dalla qualità degli zuccari che si adoperano, ma ancora dall'esito felice dell'operazione e dall'espertezza dell'operatore. Se i pani riescono, friabili o macchiati qua e là, o troppo oscuri, e quindi da scarto, allora si pestano ed entrano in commercio sotto la denominazione di zuccaro raffinato in polvere, ossia pile. Lo zuccaro raffinato in pane è bianchissimo, senza macchie, compatto, duro, sonoro; percosso con un ferro nell'oscurità, tramanda della luce; la sua cristallizzazione è minutissima, serrata e lucida, non à odore, è dolcissimo. Se si tiene in bocca diventa poroso e non si scioglie uniformemente. Cristallizzato lo zuccaro in forma cubica con altro processo di evaporazione, si vende sotto il nome di zuccaro candito. Questo è sempre più o meno colorato, tramanda molta luce percosso nell'oscurità, è assai dolce, e si scioglie in bocca uniformemente come le caramelle. La melassa, in America ed altrove, s'adopera per la fabbricazione del rhum e nel Brasile l'impiegano per la concia del tabacco. Per ottenere il rhum, si fa fermentare la melassa entro grandi vasi di terra, sepolti nel terreno fino all'orifizio e ricoperti di paglia. Compiuta la fermentazione, si passa alla distillazione.
commercio sotto la denominazione di zuccaro raffinato in polvere, ossia pile. Lo zuccaro raffinato in pane è bianchissimo, senza macchie, compatto, duro
I gamberetti di mare muoiono rapidamente e dopo qualche ora incominciano a diventare rossi come se sottoposti a un principio di cottura. In questo stato rifiutateli poichè è segno che la decomposizione è incominciata. Gli scampi dovranno conservare il loro color roseo uniforme. Non appena nella parte inferiore della coda si riscontreranno macchie nerastre, la decomposizione sarà incominciata e questi scampi, cotti, tramanderanno odore d'ammoniaca.
parte inferiore della coda si riscontreranno macchie nerastre, la decomposizione sarà incominciata e questi scampi, cotti, tramanderanno odore d
Non che il rognone sia un alimento di tutti i giorni, ma usato di quando in quando può piacere e contribuire a dare una certa varietà ai menù quotidiani. Ma il rognone viene generalmente mal preparato in casa; e spesso coloro che ne mangiano volentieri in trattoria o in albergo rinunziano a farlo cucinare in famiglia per quello sgradito sapore che esso acquista. Le donne di servizio e le cuoche hanno, per preparare il rognone, sistemi assolutamente barbareschi, e ne risulta una vivanda dura, tigliosa e non eccessivamente piacevole all'odorato. V'insegneremo qui il migliore modo per cucinare il rognone ed ottenere una pietanzina delle più squisite. Il rognone di vitello non è molto conveniente per famiglia. È ottimo, ma costa salato, quasi come una buona bistecca. In ogni modo per chi avesse l'occasione di cucinarlo eccone il semplicissimo procedimento. Si apre il rognone in due parti, e di ogni pezzo si fanno due fettine, si mettono queste fette in un piatto, si condiscono con olio, sale e pepe e si lasciano star così circa un'ora. Al momento di andare in tavola si dispone il rognone sulla gratella e si arrostisce a fuoco moderato. In pochi minuti sarà fatto. Accomodatelo in un piatto, spruzzateci su un po' di sugo di limone e mangiatelo caldissimo. Il rognone di vitello non esige operazioni preliminari, indispensabili invece quando si tratti del rognone di bue. Per ottenere un risultato certo, seguite perfettamente le istruzioni seguenti. Per sei persone prendete un bel rognone di bue, osservando che sia fresco e di bel colore — se avesse un color smorto e delle macchie verdastre rifiutatelo senz'altro — liberatelo accuratamente da ogni residuo di grasso, e tagliatelo, come un salame, in fette sottilissime. Mettete in una padella un cucchiaio di olio, o una piccolissima quantità di strutto; aggiungete il rognone tagliato, e mettete su fuoco molto forte. Dopo due o tre minuti, quando vedrete che il rognone perde il suo color sanguinolento ed incomincia a rosolarsi, levate la padella dal fuoco, versate il rognone in un colabrodo e appoggiate il colabrodo su una scodella. Vedrete ben presto che il rognone incomincerà a sgocciolare un sugo nerastro e sanguigno; lasciatelo sgocciolare per una diecina di minuti. Nettate intanto la padella, metteteci una cucchiaiata di strutto, o dell'olio se più vi piace, tagliate finemente una mezza cipolla e fatela imbiondire adagio adagio su fuoco moderato. Trascorsi i dieci minuti, il rognone avrà sgocciolato quasi una scodella di sangue e con esso tutte le sue impurità. Si ravviva allora il fuoco, si getta il rognone nella padella con la cipolla, si bagna con mezzo bicchiere di vino bianco, o meglio ancora due dita di buon marsala, ci si unisce un mezzo cucchiaio di salsa di pomodoro, sale e pepe, e sempre su fuoco vivace si fa cuocere per altri due o tre minuti. Si rovescia in un piatto, ci si getta sopra una cucchiaiata di prezzemolo finemente tritato e si contorna con crostini di pane fritto. È buona regola riscaldare prima il piatto versandoci un ramaiuolo d'acqua bollente e poi asciugandolo. Il rognone così preparato si può servire benissimo in una colazione anche elegante, e farà una ottima figura se verrà presentato in tavola in un piatto d'argento o di metallo argentato. Per concludere, il rognone deve cuocere appena quel tanto necessario e non inseccolirsi sul fuoco, deve gettar via completamente tutta la parte sanguigna e deve essere gustato appena fatto. Soltanto a questa condizione avrete una eccellente pietanza tenera e saporita. Con l'identico sistema potrete preparare i rognoni di maiale, i quali, purchè cucinati a regola d'arte, sono squisiti.
rognone di bue, osservando che sia fresco e di bel colore — se avesse un color smorto e delle macchie verdastre rifiutatelo senz'altro — liberatelo
Le muffe o micromiceti che infestano il pane, invadendone più spesso la crosta, e talora anche la midolla, viste al microscopio si presentano quali sono disegnate nelle seguenti figure, e possono assumere vario aspetto e colore, a seconda della specie cui appartengono. Difatto producono sul pane macchie aranciate:
La Uredo rubigo vera, o Ruggine gialla dei cereali, che si presenta sulla pagina superiore delle foglie e sui culmi come piccole macchie giallo-rossiccie o giallognole, solitarie, ora confluenti, ora ellittiche. Resulta di spore semplici monoloculari, sferiche od ovali, giallastre, pedicillate (fig. 19).
La Uredo rubigo vera, o Ruggine gialla dei cereali, che si presenta sulla pagina superiore delle foglie e sui culmi come piccole macchie giallo
La Puccinia graminis, o Nero dei cereali, che si presenta con macchie o tumoretti tondeggianti sulle foglie, culmi, ecc. Risulta di spore biloculari, a loggie disuguali, di colore giallo-bruno o nero (fig. 18, a), dette anche teleutospore o spore ibernanti, perchè capaci di svernare aderenti ai granelli del frumento, alla paglia ecc. e germinare nuovamente alla primavera. Queste spore però nei primordi del loro sviluppo hanno diversa forma; in quel primo stadio sono ovoidi, uniloculari, gambate, germinano prontamente e sono dette uredospore (fig. 18, b).
La Puccinia graminis, o Nero dei cereali, che si presenta con macchie o tumoretti tondeggianti sulle foglie, culmi, ecc. Risulta di spore biloculari
2° In conseguenza di anormale umidità, le farine possono essere invase da muffe, o funghi microscopici, che possono alterarle profondamente e ricomparire abbondanti nel pane che ne deriva, rendendolo spesse volte indigestibile e nocivo. Se l'ammuffimento della farina è ben determinato, potrà facilmente avvertirsi ad occhio nudo per macchie di vario colore che si presentano alla sua superficie; ma può anche darsi che farine apparentemente sane siano invase dai micromiceti; allora sarà solo coll'ispezione microscopica di piccole porzioni di farina, prese in varî punti della sua massa, che potremo scoprire la pre-senza di quei minimi organismi. Faciliterà la ricerca l'aggiunzione di poca acqua o glicerina alla farina posta sotto esame. Sulla forma di queste muffe vedansi il 5, I, d, riguardante 1'ammuffimento del pane, e le figure che vi si riferiscono.
facilmente avvertirsi ad occhio nudo per macchie di vario colore che si presentano alla sua superficie; ma può anche darsi che farine apparentemente sane
Una buona farina di granturco deve essere bene asciutta, non agglomerarsi se stretta fra le mani, non avere odore spiacevole di agro. Gli intendenti dicono che la buona farina di granturco, più anche degli stessi granelli del maiz, riscaldata per stropicciamento fra le palme, emette un leggero, ma caratteristico odore di polenta. Di più la farina di melica non deve presentare macchie nere o verdastre, che possono farla sospettare alterata per quelle muffe stesse che invadono il granturco e delle quali sarà parola più sotto.
caratteristico odore di polenta. Di più la farina di melica non deve presentare macchie nere o verdastre, che possono farla sospettare alterata per
La sua densità è 0,94 ed il punto di fusione oscilla fra + 28° e + 33° C. Fuso non deve lasciare residuo di connettivo nè abbondante, nè sgradevole. Punteggiature nere o macchie rossiccie sulla superfìcie di sezione, tracce rossastre o muffe sulla superficie esterna delle mezzene sono segni di alterazione del lardo.
. Punteggiature nere o macchie rossiccie sulla superfìcie di sezione, tracce rossastre o muffe sulla superficie esterna delle mezzene sono segni di
Il suo nome dal greco Selidon, o, secondo altri, da Petrosselene, pietra di luna, avendo i semi la forma d'una luna nascente. Vuolsi originario della Sardegna, dove cresce naturalmente, ma oggi è comune a tutti i paesi. Il prezzemolo non teme nè il caldo nè il freddo, non è niente delicato riguardo al terreno, amando però meglio quello leggero, ricco ed umido. Si semina a primavera e se ne à tutto l'anno. Avvi la varietà riccia, o prezzemolo crespo, le cui foglie sono frastagliate; la varietà grossa, o prezzemolo sedanino di Napoli, le cui radici voluminose sono buone a mangiarsi fritte ed accomodate. L'antico petroselinon è quello detto di Macedonia che alligna fra le pietre e fra le roccie (da cui il nome, quasi apium petrinum), à foglie più ampie ed è più dolce. La semente invece è più aromatica e d'un sapore che si avvicina a quello del cumino. Questo ama i terreni sabbiosi e teme il freddo. Avvi quello di palude e quello di montagna selvatico. Il prezzemolo comune somiglia molto alla cicuta che nasce spontanea negli orti, si riconosce però all'odore, perchè quest'ultima puzza tagliandola, e tramanda un odore disgustoso di sorcio. Tutta la pianta del prezzemolo à odore e sapore aromatico, rende i cibi più sani e più aggradevoli, eccita l'appetito e favorisce la digestione. Entra gradito ospite nelle minestre, nelle zuppe, pietanze, guazzetti e salse. Ercole, dopo aver ucciso il Leone Nemeo, si cinse la tempia con una corona di prezzemolo, da qui la consuetudine d'incoronare i vincitori nei giuochi nemei. I poeti pure s'incoronarono di prezzemolo, onde Virgilio: « Floribus atque apio crine ornatus amaro. » Plinio dice che non solo il prezzemolo è un cordiale per gli uomini, ma lo è anche per i pesci: « Pisces quoque, si ægrotant in piscinis, apio viridi recreantur » il che vuol dire: se ti si ammalassero i pesci nella piscina, mettivi delle erborine verdi che guariranno. Le lepri ed i conigli ne sono avidissimi, anzi il darlo loro fa bene e li fa guarire. Le galline e i papagalli ne soffrono ed anche muoiono. Ma se il prezzemolo è un aroma sano, non se deve abusare, perchè è eccitante, la sua radice è più stimolante delle foglie. Del resto i medici gli assegnano virtù diuretica, dà rimedio nelle malattie d'occhi, è febbrifugo e risolvente, vulnerario e narcotico nelle contusioni, nelle echimosi, negli ingorghi lattei. Le famose pillole galattifughe arcana preparazione della farmacia di Brera, constano principalmente di estratto di prezzemolo. Il seme del prezzemolo triturato in polvere serve di cipria per distruggere i pidocchi. Se si prende una certa quantità di prezzemolo e lo si pone nell'aqua per 48 ore e poi se ne spruzzi il suolo e le lettiere si è certi di essere liberati dalle pulci. Impropriamente da noi si chiamano erborinn quelle piccole macchie che troviamo nello stracchino di Gorgonzola, le quali sono ne più nè meno che muffa. In un'antica Cronica milanese troviamo che « Menina Briancea fu l'inventrice della salsa verde che fassi ottima a Milano nel Monistero Maggiore da quelle sante mani di Donna Anastasia Cotta. »
lettiere si è certi di essere liberati dalle pulci. Impropriamente da noi si chiamano erborinn quelle piccole macchie che troviamo nello stracchino di
Pianta erbacea, perenna, indigena, dà grandi foglie che servono d'ornamento ai giardini e fiori piccoli bianchi in primavera. Cresce naturalmente nei luoghi umidi, ma si coltiva negli orti. Vuol terra sostanziosa, compatta, fresca, ombrosa. Si propaga per le sue radici. È chiamato anche Barbaforte, dai Francesi Moutarde des capucins, senape dei Tedeschi e Rafano di Cavallo dagli Inglesi. La radice del cren è piccante assai ed acre, è gradevole ai sani. Gratucciata minutamente ed immersa nell'aceto è ottimo condimento per l'alesso, da sola può servire come la senape a condire certi manicaretti e a conciar l'insalata. I frati molto intelligenti di gastronomia e di salse, posero il cren sotto la protezione celeste e la chiamarono Salsa di S. Bernardo. In Francia se ne prepara vino, birra e una certa specie di sciroppo. I Romani lo chiamavano armoracea, nome che ancor conserva. Al dire di Plinio, i Greci lo chiamavano Pontici armon e gli Spartani Leucen. Era celebre il cren d'Arcadia. Il rafano selvatico è eminentemente anti scorbutico, diuretico, anti reumatico. Applicato esternameate è succedaneo ai viscicanti. Raschiato supplisce la senape nei pediluvi e nei senapismi. Dissecato non perde la sua virtù. Non ultima qualità del rafano è questa che raccomandasi specialmente alle signore e alle signorine: infusa la sua radice nel latte fa sparire le macchie dal volto.
Una zuppiera di magnifica minestra da tutti conosciuta e amata (riso, fegatini e fagioli in brodo di quaglie) sia recata in alto su tre dita dal cuoco stesso saltante sulla gamba sinistra. Giungerà o non giungerà? Forse si rovescierà e le macchie sul vestito nuziale correggeranno opportunamente l'insolente e poco fortunoso candore eccessivo.
cuoco stesso saltante sulla gamba sinistra. Giungerà o non giungerà? Forse si rovescierà e le macchie sul vestito nuziale correggeranno opportunamente l
Se le macchie d'inchiostro sono recenti, si levano subito lavandole con dell'acqua di cloro. Quest'acqua ha anche la proprietà di levare da una carta, sia pure stampata, una macchia d'inchiostro senza alterare in nessun modo i caratteri. Il foglio macchiato lo si immerge nell'acqua di cloro, e dopo che la macchia è scomparsa, lo si intinge di nuovo in acqua limpida, perchè la carta perda l'odor di cloro, ripetendo poi l'immersione nel cloro se la carta macchiata non è rimasta abbastanza pulita.
Se le macchie d'inchiostro sono recenti, si levano subito lavandole con dell'acqua di cloro. Quest'acqua ha anche la proprietà di levare da una carta
Cavolo fiore. Dopo mondato da tutte le macchie e fogliette, si leva la pelle ai gambi, lo si lessa coi torsoli in su, acciò i fiori restino bianchi, oppure si lega un rosone intero in una pezzuola che si appende nell'acqua salata. Nell'imbandire si pone un fiore più grande in mezzo agli altri divisi a spicchi, versandovi sopra la suddetta salsa al burro.
Cavolo fiore. Dopo mondato da tutte le macchie e fogliette, si leva la pelle ai gambi, lo si lessa coi torsoli in su, acciò i fiori restino bianchi
Per conservare intatte e sane le uova per l'inverno, si mettono nei mesi di agosto e settembre tra le bucce di formento, oppure nel miglio, in modo che non si tocchino. Preservate così dall'aria, dal caldo e dal gelo si conservano per dei lunghi mesi. Prima di porle in serbo o al momento di adoperarle si esaminano verso la luce, per vedere se sieno trasparenti, le macchie scure entro l'uovo indicano putredine. Giova pure alla conservazione delle uova di spalmarle appena deposte col silicato di potassa o con olio di lino fresco, mantenendosi così il guscio impermeabile ed impedendo ciò che l'interno si alteri.
adoperarle si esaminano verso la luce, per vedere se sieno trasparenti, le macchie scure entro l'uovo indicano putredine. Giova pure alla conservazione delle
Fate il possibile per comperare i gallinacei vivi. Le penne liscie, gli occhi brillanti, le creste rosse, i movimenti vivaci vi daranno garanzia della loro buona salute. Se siete costretti a fare acquisto di pollame morto, assicuratevi prima di tutto che sia stato sano, osservando che gli occhi non siano infossati, che la pelle sia bene stesa e di un colore bianchiccio senza macchie. Della sua perfetta qualità vi convincerete dal peso e dal grasso che deve abbondare intorno al collo e presso al codione.
siano infossati, che la pelle sia bene stesa e di un colore bianchiccio senza macchie. Della sua perfetta qualità vi convincerete dal peso e dal
6. Il salmone (Salmo salar). — Il salmone vive parte dell'anno nel mare, parte nei fiumi, ai quali ritorna, alle debite stagioni, con straordinario amore istintivo del luogo natio. Questo pesce, dal muso aguzzo e dalla grande bocca munita di forti denti, raggiunge anche due metri di lunghezza e perfino 40 chilogr. di peso. Ha il dorso nerastro e delle macchie rossigne sul ventre bianco e sui fianchi cerulei, ma muta colore secondo l'età e, nei paesi nordici, anche il nome a seconda delle condizioni in cui si trova. Le sue carni rosee hanno un sapore squisito. Il salmone si pesca tanto nei mari del nord come nei fiumi, ma si considera egualmente come pesce d'acqua dolce, perchè quando proviene dai fiumi è di gran lunga più saporito. Il salmone più stimato è quello del Reno. Questo pesce è molto gustoso in primavera specie il mese d'aprile, Salmone al ,, bleu ". Secondo la regola.
perfino 40 chilogr. di peso. Ha il dorso nerastro e delle macchie rossigne sul ventre bianco e sui fianchi cerulei, ma muta colore secondo l'età e, nei
In salamoia. Proporzioni per la salamoia: tre manate di sale per due litri d'acqua che farete bollire e freddare. Questa salamoja avrà la forza di portare un uovo a galla; i pomidori devono essere asciugati con un pannolino e perfetti, senza macchie nè fessure di sorta. Se vi riesce lasciate loro anche mezzo cent, di gambo. Accomodateli quindi in grandi vasi, uno accanto all'altro, stretti ma non schiacciati, e copriteli coll'acqua salata poi con un dito d'olio o di grasso sciolto. Prima di adoperarli questi pomidori si mettono alcune ore nell'acqua fresca a ciò perdano il sale.
portare un uovo a galla; i pomidori devono essere asciugati con un pannolino e perfetti, senza macchie nè fessure di sorta. Se vi riesce lasciate loro
Circa al manzo, questo non è buono se non è stato in grassa sei mesi, ed in allora è bianco, perchè la carne sia buona conviene che il bue sia giovine di circa sei anni e la sua carne avrà delle venature o macchie a somiglianza del marmo.
giovine di circa sei anni e la sua carne avrà delle venature o macchie a somiglianza del marmo.
Prendete un litro d'acqua ben limpida, e meglio se di fiume, fateci sciogliere dentro trenta gramme d'acido ossalico. Quando ben sciolto, misturate quattro cucchiaj da bocca di polvere di legno bianco pas-sata al setaccio di seta, con tre cucchiaj di spirito di vino e due d'essenza di trementina; aggiungetevi la vostr'acqua suddetta. Per servirvene agitate questa mistura, inzuppatene un piccolo cencio di lana, fre-gatene l'oggetto in rame non dorato che voi volete nettare, lasciate asciugare un'istante, e poi fregate ancora fortemente con un pezzo di pelle ed un poco di polvere secca (della stessa qui sopra indicata). Questo processo dà un lucido superbo al rame e ne leva le macchie. Egli è con quest'acqua che i cocchieri fregano le metalli de' loro fornimenti, poichè essa non fa diventare rossi li pellami.
stessa qui sopra indicata). Questo processo dà un lucido superbo al rame e ne leva le macchie. Egli è con quest'acqua che i cocchieri fregano le
La cura e la proprietà dell'argenteria dinotano ordinariamente l'ordine che regna in una casa. La migliore maniera di pulirla si è di raccorre con un colatojo questa specie di musco fina e spessa che in primavera si forma sulla superficie delle acque stagnanti: la si fa seccare al sole, e con essa si strofinano li argenti: il che la rende lucidi senza rigarli nè consumarli. Questo musco si conserva in sacchi. Quando non s'ha alla mano di questo musco, puossi adoperare della fuliggine passata al setaccio; si frega a secco, essa leva tutte le macchie prodotte dai mordenti ed anche quelle delle uova.
musco, puossi adoperare della fuliggine passata al setaccio; si frega a secco, essa leva tutte le macchie prodotte dai mordenti ed anche quelle delle