Uovo. — Il più democratico e il più aristocratico degli alimenti animali, e che ha in sè una così spiccata individualità da aver dato ai fisiologi e agli igienisti un'unità di misura per confrontare il valore nutritivo di quasi tutti i cibi, e di aver fornito al dizionario i più bei proverbi, ai filosofi i più astrusi problemi dell'essere e del non essere. L'uovo è candido come la verità, è chiuso, in sè e raccolto come l' uomo modesto e felice e sotto il suo piccolo volume rappresenta un massimo di conforto al ventricolo, di nutrimento all'organismo. Democratico offre i suoi tesori di forza e di salubrità al povero proletario, come al più Creso dei Re. Nello stesso tempo aristocratico come il genio vero non si lascia sedurre dalle leccornie della cucina e rimane sempre al disopra d'ogni più complicato intingolo gastronomico. L'uovo appena fatto e intiepidito sulla cenere o nell'acqua calda sfida tutti i pâtés, tutti i salmis, tutti i pandemonii raffinati della ghiottoneria e sembra dire: io sono quel che esiste ab eterno, io sono quel che sono. Tanto modesto da costare un soldo, tanto fragile da non resistere alla più piccola caduta, si innalza nelle più alte regioni del soprannaturale, proponendo all'uomo il più metafisico dei problemi: Venne al mondo prima l'uovo o prima la gallina?
filosofi i più astrusi problemi dell'essere e del non essere. L'uovo è candido come la verità, è chiuso, in sè e raccolto come l' uomo modesto e felice
Prendete, mettiamo, un pezzo corto e grosso di magro, di vitella o di manzo, nella coscia o nel culaccio, ben frollo e del peso di un chilogrammo all'incirca; steccatelo con grammi 30 di prosciutto grasso e magro tagliato a fettine. Legatelo collo spago per tenerlo raccolto e mettetelo in una cazzaruola con grammi 30 di burro, un quarto di una cipolla diviso in due pezzi, tre o quattro costole di sedano lunghe meno di un dito ed altrettante strisce di carota. Condite con sale e pepe e quando la carne avrà preso colore, voltandola spesso, annaffiatela con due piccoli ramaiuoli d'acqua e tiratela a cottura con fuoco lento, lasciandole prosciugare molta parte dell'umido, ma badate non vi si risecchi e diventi nera. Quando la mandate in tavola passate il poco succo rimasto e versatelo sulla carne che potrete contornar di patate a spicchi, rosolati nel burro o nell'olio. Potete anche metter l'arrosto morto al fuoco col solo burro e tirarlo a cottura con la cazzaruola coperta da una scodella piena d'acqua.
'incirca; steccatelo con grammi 30 di prosciutto grasso e magro tagliato a fettine. Legatelo collo spago per tenerlo raccolto e mettetelo in una
Quando più nulla di nuovo parea potesse scriversi in materia di cucina, ne successe che le operette e trattatelli che intorno a quest'arte escivano di quando in quando alla luce, offrissero ben di rado composizioni che sostanzialmente già non fossero conosciute per altri consimili libri, dai quali anzi frequentemente si riconosce essere stati letteralmente copiati. Io sono uscito con questo mio manuale dalla classe di semplice raccoglitore e compilatore. Dilettandomi già da epoca alquanto lontana di chimica cucinaria, molte composizioni di vivande ebbi a sperimentare che rintracciai qua e là in diversi codici gastronomici di qualche reputazione, delle quali accostumai di tenere annotazione ogni qualvolta soddisfacente ne era la riuscita. Fuor di ciò ho qui raccolto il frutto dei miei studii e delle mie prove. Scopo dunque di questo mio lavoro è di presentare un regolato assortimento delle migliori pietanze e di chiara ad un tempo e facile esecuzione.
. Fuor di ciò ho qui raccolto il frutto dei miei studii e delle mie prove. Scopo dunque di questo mio lavoro è di presentare un regolato assortimento
In cucina non ci può essere improvvisazione. V'è un'arte culinaria basata come tutte le arti su misure e proporzioni, sull'equilibrio e la fusione dei diversi elementi. Per molte ragioni, fra cui prima la ragione economica, i nostri pasti si sono via via semplificati, in confronto a quelli della generazione precedente la nostra. La guerra ha ancora scosso alla base un'altra tradizione, e ormai si può dire che solo in determinate occasioni i pasti assumono l'importanza qualitativa e quantitativa di un tempo. Tutto il ritmo della nostra vita è divenuto più serrato, il servizio notevolmente ridotto, non si vuol più perdere molto tempo nè in cucina, ne a tavola. Questo libro è stato compilato tenendo appunto presenti le necessità del nostro vivere moderno ed esso è il risultato della collaborazione di più donne. Esse hanno raccolto ricette pratiche e talvolta anche raffinate, ma sempre esposte nel modo più semplice. Sono anzi ricette spesso semplificate al massimo e tali da non scoraggiare mai la buona volontà e l'entusiasmo di chi desidera provarle. Nelle ricette, calcolate in genere per sei persone, si è cercato di ridurre al minimo indispensabile gli ingredienti, senza tuttavia modificare il carattere o il gusto della ricetta stessa.
vivere moderno ed esso è il risultato della collaborazione di più donne. Esse hanno raccolto ricette pratiche e talvolta anche raffinate, ma sempre
Spellate la lepre, poi tagliatela a pezzi facendo attenzione di non scheggiarne le ossa, e pulitela con un panno senza lavarla. Mettetela quindi in un recipiente di terracotta immersa nel sangue che avrete raccolto, o in mancanza di questo, adoperate del sangue di maiale, e vino in abbondanza, unitevi anche una cipolla, cannella, qualche chiodo di garofano, sedano, una carota, ginepro, qual- che foglia di alloro, e lasciatela marinare per 24 ore. Preparate un soffritto con burro, lardo e cipolla e appena questa è dorata, aggiungetevi 2 cucchiai di farina, lasciatela rosolare e mettetevi la lepre. Salate e lasciate cuocere per un quarto d'ora, aggiungetevi il vino e gli altri ingredienti della marinata, e quando sarà a metà cottura unitevi anche il cacao. Fate cuocere il tutto per due ore a fuoco moderato e dieci minuti prima di levarla dal fuoco, versatevi la panna.
un recipiente di terracotta immersa nel sangue che avrete raccolto, o in mancanza di questo, adoperate del sangue di maiale, e vino in abbondanza
Prendete un chilo di semola molto fine e mettetela in una terrina. Preparate intanto un boccale pieno di acqua, un vaso di terracotta verniciata, ed un cucchiaio. Spargete con la mano sinistra, a poco a poco, un pugno di semola nella terrina, mentre con la mano destra versate su di essa, lentamente, qualche cucchiaio di acqua; indi sfregate sulla parete del recipiente la semola, che unita all'acqua, formerà dei chicchi che toglierete e metterete in un altro recipiente, continuando l'operazione. Quando avrete raccolto nel secondo recipiente una certa quantità di questi chicchi, unitevi un cucchiaio di olio, e girate tra le mani i chicchi. Intanto avrete messo sul fuoco una pentola piena d'acqua e su questa posatene un'altra di terracotta verniciata e bucherellata nel fondo, che coprirete con una benda bagnata in modo che, bollendo, il vapore non vada disperso, ma passando attraverso i buchi faccia cuocere i chicchi di semola. Quando tutta la semola sarà ridotta in chicchi, e il vapor d'acqua apparirà alla superficie, controllate l'orologio e sorvegliate che il fuoco non venga meno. Intanto preparate le cipolle affettate che farete rosolare bene nell'olio, aggiungetevi i pomidoro spellati e tagliuzzati e lasciate cuocere in modo da ottenere una salsa densa, che terrete da parte. Fate lessare in abbondante acqua del pesce, poi mettetelo in una casseruola coperto con una parte di salsa e un poco dell'acqua di cottura. Quando i chicchi saranno cotti, dopo circa un'ora, capovolgete la seconda pentola (quella bucherellata) in un largo recipiente, e continuate a rimescolare con un mestolo. Aggiungetevi 15 grammi di sale, la salsa di pomidoro rimasta, un etto circa di olio, un pizzico di pepe, un poco di noce moscata, odore di aglio, e bagnate con l'acqua di cottura del pesce. Quando i chicchi di semola saranno saturi di questo liquido coprite con un asse di legno ed una coperta e lasciate riposare per 20 minuti. Così il « cuscusu » è pronto, per essere servito con un contorno di pesce fritto. Come secondo piatto servirete il pesce che avevate preparato con la salsa di pomidoro.
in un altro recipiente, continuando l'operazione. Quando avrete raccolto nel secondo recipiente una certa quantità di questi chicchi, unitevi un
Questa squisita insalata può figurare sopra qualsiasi tavola signorile. I frutti devono essere della migliore qualità: gli aranci freschi e succosi; le fragole grosse, profumate e non troppo mature. Si tagliano gli aranci a fette piuttosto grosse e si mettono in condimento entro una compostiera, con molto zucchero polverizzato. Anche le fragole si accomodano in un recipiente a parte e si spolverizzano di zucchero. Si lasciano i frutti così preparati almeno un'ora, tenendoli al fresco, oppure anche sul ghiaccio. Al momento di servire questa squisita insalata, si accomodano in una compostiera di vetro elegante le fragole nel mezzo a piramide, contornandole con fette di arancio. Dopo raccolto entro una tazza, il succo formato dagli aranci e dalle fragole, si uniscono al miscuglio due bicchierini di Maraschino, si mescola ogni cosa insieme e si versa a cucchiaiate sopra i frutti, pronti per essere serviti.
di vetro elegante le fragole nel mezzo a piramide, contornandole con fette di arancio. Dopo raccolto entro una tazza, il succo formato dagli aranci e
Il Susino o Pruno è una pianta indigena a foglie caduche, originaria dell'Asia. Le qualità migliori seguono il clima della vite. Da noi resiste ovunque all'aperto e sui monti fino a 400 m. Fiorisce a metà Aprile e matura, a seconda delle varietà e posizioni, dal Luglio a tutto Ottobre. Soffre l'ombra, ama terreno fresco, non umido. Si propaga per polloni, ma meglio per nocciolo e per innesto. Infinite le sue varietà, alcune delle quali si consumano verdi ed altre meglio si prestano ad essere essicate. Noto la Mirabella (brugna gialda) che matura alla fine di Luglio. La Damascena, originaria di Damasco portata dal duca d'Anjou al tempo delle Crociate, nome che si corruppe poi in d'amoscina, moscina e volgarmente massina, e da noi per eccellenza la nera (Prunus domestica ungarica). — La Regina Claudia, (brugna Sanclò) grossa e piccola, che matura in Agosto, e la Settembrina ecc. Nel linguaggio delle piante significa: Promessa. Il raccolto delle susine da conservarsi deve farsi delicatamente, a mano, quando sono asciutte dalla rugiada e dalla pioggia. La susina è nutriente quanto il fico, è di facile digestione e costituisce un cibo grato, sì fresca la state, che essicata nel verno. Sotto questa forma ne fanno attivo e proficuo commercio diversi paesi meridionali d'Italia e di Francia. Quelle di Palermo e di Provenza sono le più stimate. Si conciano al giulebbe, servono nei ragouts e nei ripieni delle pollerie, massime del pollo d'India, al quale levano quella certa ruvidezza e selvatichezza di sapore che possiede la sua carne. Si conservano nello spirito, aromatizzato e confettate. In Germania, nella Lorena e nella Svizzera se ne fabbrica alcool, i tedeschi lo chiamano Zwetschker-wasser. Gli Ungheresi Sligowitz e in Transilvania Raki. In farmacia, massime della qualità damascena, se ne fa conserva e polpa, che viene spesso a surrogare, con innocente falsificazione quella dei tamarindi e cassia e che non è meno rinfrescante e lassativa. Serve pure a preparare come ingrediente principale l'elettuario lenitivo, giova agli stitici. Ario morì d'una scorpacciata di susine. Il legno è durissimo e serve agli intarsiatori. La scuola Salernitana, dice: Frigida sunt, laxant, multumque prosunt tibi pruna. Virgilio nell'Egl. 2 le decanta così: Addam cerea pruna et honos erit huic quoque pomo. Dioscoride e Galeno ne magnificano le virtù. Si facevano essicare anche dagli antichi. Fu sempre celebre presso tutti la Damascena.
linguaggio delle piante significa: Promessa. Il raccolto delle susine da conservarsi deve farsi delicatamente, a mano, quando sono asciutte dalla rugiada e
L'Olanda tiene il principale mercato del caffè di Giava, come la Germania di quello di Manilla, Londra e Liverpool di quello del Ceylan. Il Borbone à molta somiglianza col Moka dal quale ebbe origine, è una delle qualità più ricercate del mercato francese. Fra le mille varietà di caffè che ci manda l'America, la quale fornisce la metà del caffè che si consuma in tutto il mondo, quelle di Campinas, Jungas e Santos sono le migliori, le più scadenti quelle di Baja, Para, S.t Domingo. Il Caffè di Martinica gode riputazione universale, viene immediatamente dopo i migliori Moka. Il vero Martinica è raro però in commercio. Nel 1872 se ne esportarono, soltanto 6000 chilog. Sotto il nome di caffè di Martinica, oggi si vendono le qualità scelte ed accuratamente mondate di Guadalupa e Porto Rico. Questo è delle qualità più ricercate, ma si altera rapidamente se conservato in luogo non perfettamente asciutto. È impossibile dare una descrizione anche approssimativa del caffè buono: in generale dev'essere a grani uniformi. Il suo peso dipende dal grado di secchezza. Il caffè ci giunge tante volte, cattivo per vizio proprio, alterato per fermentazione, avariato dall'aqua marina. Oltre a ciò l'industria della sua falsificazione è delle più fiorenti: arriva a darci il caffè.... che non è caffè. Lo si bagna per accrescerne il peso, se ne sostituisce una qualità all'altra, lo si mischia, lo si colorisce, lo si sofistica in grana e crudo — in grana e torrefatto — torrefatto e macinato. Tutti i semi; tutte le radici, tutti i frutti, tutte le corteccie furono esperite a trovar materie da surrogare, mescolare al caffè. Abbiamo il caffè di cicoria, di carote, di tarassaco, caffè di fichi e di ghiande fabbricato in Germania, di lupini, di fecole, leguminose, caffè di dattoli, caffè di Mogdad (cassia occidentalis) altra particolarità tedesca, caffè d'orzo e di malto. Ne volete ancora? S'è arrivato fino alla lirica della falsificazione, a falsificare la falsificazione. Si falsifica anche quella porcheria di caffè di cicoria. Ma dove la falsificazione domina sovrana è nel caffè torrefatto e macinato. La più generale ed innocua è quella che si fà coi fondi di caffè, caffè già esaurito raccolto nei Caffè, Restaurants, negli Alberghi e particolare provento dei cuochi delle case signorili. In Francia abbiamo un'infinita serie di caffè, fabbricati con tutto quel che si vuole, meno il caffè. Fino dal 1718 Giorgio I, in Inghilterra multava i falsificatori del caffè da 20 a 100 sterline. Ora l'industria è libera.
macinato. La più generale ed innocua è quella che si fà coi fondi di caffè, caffè già esaurito raccolto nei Caffè, Restaurants, negli Alberghi e
Il Castagno è un albero a foglia caduca, indigeno, dall'Europa meridionale. Ama terreno sabbioso, argilloso non adombrato da altri alberi, e più d'ogni altro il montuoso. Non viene a più di 800 metri al disopra del livello del mare. Fiorisce in Luglio, dà frutti in Ottobre e per loro teme il freddo. Si propaga per semina, avendo cura di immergere prima il seme per 12 ore nell'aqua satura di fuliggine e noce vomica, o in olio bollito con aglio, acciò ri- mangano illese dagli animaletti. Nel linguaggio dei fiori: Sii giusto verso di me! Le varietà principali il Castagno propriamente detto, che fiorisce precocemente, il cui raccolto è quindi dubbio e dà un frutto piuttosto piccolo e poco saporito, ed il marrone che è più grosso, più saporito e nutriente. Il marrone si propaga per innesto sopra il castagno, perchè il marrone seminato produce nuovamente il castagno. Il castagno comincia a fruttificare cinque anni dopo l'innesto, e verso il 60° dà il massimo prodotto. Le piante non innestate, ritardano e sono meno produttive. A 150 anni comincia a deperire e raggiunge i 3-4 secoli. Il raccolto si fà quando alcuni pericarpi cominciano ad aprirsi, un ettolitro di castagne pesa 80 kilogrammi. La castagna fresca contiene 48 % d'aqua e 0,52 d'azoto — il marrone fresco, 54 d'acqua, e 0,53 d'azoto. — La castagna secca, contiene ancora dal 10 al 12 d'aqua, e 0,77 d'azoto ed il marrone secco contiene 1,17 ° d'azoto. Si conserva la castagna nel proprio involucro in locali asciutti e ventilati o dissecandola pei graticci. Le castagne messe sui mattoni delle camere, marciscono presto e sono preda degli insetti. Si conservano più a lungo e saporite facendole prima essicare alcun poco al sole. Il castagno dell'Etna avrebbe secondo alcuni 59 m. di circonferenza. La castagna, il qual nome si vuole venuto da Castano Magnesia, città della Macedonia è la sposa del focolare, la ghiottoneria dei fanciulli, la Dea delle chiacchere e delle mormorazioni, l'amica del vino generoso e nuovo, ed è maritata in nozze morganatiche al Dio Eolo. È eminentemente farinosa, dà una sana ed abbondante nutrizione. La lessata è più digeribile, irroratela di vino generoso se non confà al vostro stomaco non ditene male. Mille le maniere di far cocere le castagne. A lesso dette succiole o Ballotte, cotte in poc' aqua sale, finocchio, anice, o con una pianta di sedano. Lessate monde (peladei o pest) sbucciate e cotte con o senza la loro peluria in aqua, sale ed erba bona. Anseri o Vecchioni (Bellegott) quando cotte a lesso, si fanno dissecare al fumo nel serbatojo, sotto la cappa del camino (agraa). Il nome di Bellegott viene da bei e cott, (belli e cotti) Bruciate (Borœul) cotte nella padella a fiamma. Biscotti (Bescott) varietà dei Vecchioni, si mettono a seccare col guscio e poi si tengono alcun tempo nel mosto. A questi appartengano i cuni, da Cuneo, loro provenienza, cotte in forno spruzzate di vin bianco serbevoli per molti mesi, delicatissime. Le Veronesi (Veronès) così dette perchè tale maniera di cocerle, ci venne dal Veronese — e si cociono nel forno o nella stufa spruzzate di vino, o con poco burro in casserola. I marroni si fanno anche candire nello zuccaro dopo essere stati arrostiti e si chiamano marron glacès è confettura da dessert. La castagna forma l'alimento principale dei montanari. Nel Sienese se ne fa polenta, che nutrisce i più strenui faticatori, i quali non avendo che aqua da bere dicono scherzando che vivono: del pane dei boschi e del vino delle nuvole. Il Castagnaccio è una specie di pane fatto con farina di castagna, pinocchi ed uva. Fino dalla più remota epoca le castagne tennero il primato fra tutte le sorte di ghiande. Ateo, insigne medico di Antiochia, che le chiama Sardinias glandes, perchè le migliori qualità venivano dalla Sardegna, non si perita a rilasciar loro il brevetto di alimentum effatu dignum — cibo di straordinaria celebrità — ma, soggiunge che va alla testa — caput tamen tentare. Bello! quelle castagne che vanno alla testa... invece. Galeno, si capisce che non poteva digerirle e ne dice corna: Gastanœ sive elixentur, sive œstuantur, sine denique frigantur, semper sunt pravœ. Il che vuol dire comunque le ammaniate, sono porcherie. Plinio invece di visceri a prova di bomba, dopo aver detto che dai Greci i marroni erano chiamati Balani Sardi (da Balanos, ghianda) testifica che sono eccellentissime: — castanearum genere excellens; e che celerius transmittuntur che è quanto, di facilissima evacuazione. Virgilio, più sibarita, le mangiava col latte: Castanœ molles, et pressi copia lactis (Egl. 2). Tiberio adoperava la parola balanum per indicare i vegetali più saporiti. Anche i Romani adoperavano la castagna per farne la farina e pane, come si fa ancora oggidì presso alcune popolazioni. La castagna è da fuggirsi da chi patisce il mal di pietra, soffra di ernie o vada soggetto a coliche. Francesco Gallina, medico Piemontese, forse da Cuneo che fioriva all'alba del secolo XVII raccomanda di mangiare le più grosse, — perchè sono migliori di tutti li marroni, e se per lungo tempo si conservano si fanno più saporiti. E suggerisce alle ragazze bionde, di adoperare il decotto delle loro buccie per conservare il dorato dei loro capelli. È voce di scienza popolare, che mangiando le castagne crude, si popoli la capigliatura di cavalieri erranti. Raccolgo per ultimo la spiegazione chi mi fu data da un R. Padre Oblato di S. Sepolcro a Milano sulla espressione: far marrone. Egli dunque mi diceva, che viene da questo, che chi mangia i marroni difficilmente lo può nascondere e ne è quasi sempre sorpreso. Tutto per quello scandaloso matrimonio col Dio Eolo.
fiorisce precocemente, il cui raccolto è quindi dubbio e dà un frutto piuttosto piccolo e poco saporito, ed il marrone che è più grosso, più saporito
Il Lazzeruolo o Azzerolo è una pianticella a foglia caduca, originaria dei paesi caldi. Viene in piena terra, ama terreno sciolto, luoghi ombrosi. Si propaga per innesto sul bianco spino o sul nespolo. Molte varietà, fra le quali quelle a frutto giallastro, rosso e bianco. Nel linguaggio dei fiori e delle piante significa: Bacio. I suoi frutti aciduli e poco succosi si raccolgono d'ordinario in Settembre. Sono l'amore dei bambini e delle ragazze — riescono più belli alla vista, che opportuni allo stomaco — diventano migliori alcuni giorni dopo il raccolto. Il suo legno si adopera a far strumenti musicali. Una delle 49 varietà è la Oxyacantha dal greco oxyus acuto, e da acantha spina, che è il bianco spino delle nostre siepi, o Lazzeruolo selvatico. (Mil. Scarrion, lazzarin selvadeg. - Fr. Aubepine. - Ted. Mehldorn. Ing. Eglantine). — È uno dei più cari arbusti che colla candidezza e fragranza de' suoi fiori, ci annuncia il prossimo arrivo della Primavera. Si trova copioso nelle siepi che difende, col viluppo de' suoi rami intricati e coll'arma delle pungenti sue spine.
— riescono più belli alla vista, che opportuni allo stomaco — diventano migliori alcuni giorni dopo il raccolto. Il suo legno si adopera a far
Il Nespolo è pianta indigena europea, a foglia caduca. Cresce spontaneo allo stato selvatico nei boschi anche dei climi freddi, ama però quello temperato, esposizione poco soleggiata. In qualunque terreno si propaga per innesto sul lazzeruolo, spino bianco, castagno e pero. Nel linguaggio delle piante: Selvatichezza. Il frutto è malinconico, aspro, acidulo, color grigio ferro, non profumato. Non matura mai sui rami. Raccolto e posto sulla paglia matura lentamente, divien morbido ed aquista un sapore gradevole. La nespola è fornita internamente di cinque noccioli, o semi durissimi a forma di mezza palla, onde il suo nome dal greco. Diverse varietà, fra le quali la hortensis, a frutto voluminoso e l'abortiva, a frutto senza noccioli — quella coltivata comunemente è la varietà japonica. Col tempo e colla paglia maturano le nespole, dice il proverbio, e però pare che quello che la nespola aquista sulla paglia, non sia la vera maturanza, ma piuttosto un principio di fermentazione zuccherina, che la rende molle, succosa, dolce, da dura ed agra e non affatto mangiabile qual era appena colta. Coi semi della japonica uniti ad alcool e zuccaro si fabbrica un liquore spiritoso da tavola. La nespola non costituisce mai un boccone molto ricercato, e non gli si tributa la deferenza che si à per le altre frutta. Il legno del nespolo è durissimo, serve a diversi usi, ed è prezioso se in pezzi grossi. Questo frutto à virtù astringente ed è a consigliarsi nelle diarree semplici. In Francia se ne fà una speciale confettura della quale il Mantegazza ci dà la seguente ricetta. «Ripulite le nespole e gettatele in burro fresco e reso rossiccio dalla cottura, lasciatele bollire. Quando saranno cotte, versatevi un quarto di vin rosso e fate consumare il tutto fino a consistenza sciropposa. Ritirate le nespole e spolverate di zucchero.» Ricetta, che d'altronde trovo scritta ed usata fino dal 1560 e raccolta dal Campegio. Pare che il nespolo sia stato portato in Italia dai Galli e vuolsi che al tempo di Catone non vi fosse conosciuto. Gli antichi gli assegnavano virtù d'arrestare il vomito, di preservare dall'ubbriachezza, e fu sempre tenuta come medicina, piuttosto che frutta alimentare. I Romani ne facevano del vino, ce ne informa Virgilio:
piante: Selvatichezza. Il frutto è malinconico, aspro, acidulo, color grigio ferro, non profumato. Non matura mai sui rami. Raccolto e posto sulla paglia
Il Noce è l'albero fruttifero più maestoso dei climi temperati. S'addatta a quasi tutti i terreni, tranne i molto umidi. Teme le brine, fiorisce a 12 gradi, matura il frutto da Agosto a Settembre. Si propaga per seme, e le varietà per innesto. Comincia a dar qualche prodotto a 8-10 anni, sino ai 25 non dà raccolto apprezzabile, lo dà dopo i 40. Ai 60 dà il massimo della produzione, ai 100 comincia a deperire — à vita di tre, quattro secoli. Se ne conoscono 16 varietà, a torto viene poco coltivata la nigra, oltre al rapido sviluppo, raggiungendo fino l'altezza di 50 metri, fornisce un legno nero durissimo che gli ebanisti preferiscono al noce comune. Il nome di juglans significa ghianda di Giove e, come dice Macrobio, prima si scriveva diuglandem, ghianda degli Dei, poi si lasciò il d, e restò juglandem, cibo di Giove, e a lui era dedicato il noce. La parola nux, da dove noce, viene da nocere perchè la sua ombra è nociva, perchè rompendone i frutti coi denti, questi si guastano. Nel linguaggio delle piante: Durezza. Si riconosce la noce matura quando il mesocarpo, o corteccia verde incomincia a screpolarsi e a staccarsi dal guscio. Si raccolgono e sbucciate si stendono in locali ben ventilati per farle asciugare e rimovendole due volte al giorno. Dopo un mese, sono stagionate. La noce fresca contiene una specie di emulsione, che poi si cangia in olio. Per cavarne l'olio bisogna pazientare fino all'inverno, perchè l'olio si forma lentamente colla stagionatura, rotti i gusci, si torchiano subito perchè soffrirebbero. Si conservano quasi per un anno, tenendole ben chiuse in luogo fresco. Per rinverdirle bisogna tenerle per 4, 5 giorni nell'acqua pura. Mantegazza suggerisce di metterle a macerare nel latte tepido e lasciarvele raffreddare. L'olio fresco è commestibile, ma col tempo diventa essicativo. È certo che la noce è migliore fresca, che secca, più digeribile spoglia della sua pellicola e che mangiandone in quantità si compromette la condotta degli organi digerenti e di quelli di secrezione, essicando diventa un po' acre. Ma la noce fresca è saporita e salubre e compare allegra al dessert. Pan e nôs, mangia de spôs dice un proverbio. Immatura ed intera, vien confettata collo zuccaro ed il miele e forma uno dei più grati componenti la mostarda. Brillat-Savarin ci racconta che le monache Visitandines di Bellay avaient pour les confire, une recette qui en faisait un tresor d'amour et de friandise. Infondendole nel vino bianco con erbe amare ed aromatiche se ne ottiene una particolare, delicata varietà di wermouth, e dietro infusione alcoolica se ne fabbrica un rosolio, o ratafià, che gode meritata fama di stomatico e roborante. Nella Virginia e nella Luigiana coi frutti di quelle noci si confeziona del pane. I Greci Mainotti, le fanno bollire col mosto del vino e ne compongono l'halvez che è uno dei più delicati loro manicaretti. In Francia ne fanno il nouga, espèce de conserve brulèe, avec les noix sèches et pelèe. Ed anche da noi, principalmente in campagna, ànno moltissimi usi in cucina ed in pasticcieria. Ricordo il pieno di noci che faceva la mia nonna ai capponi. Ma l'uso più grande delle noci secche, è di ricavarne olio, il quale estratto per pressione, è eccellentissimo in cucina, per certe fritture e per arrostire il pesce. Essendo essicativo è adoperato molto dai pittori, verniciatori e serve anche per fabbricare sapone. Irrancidisce facilmente. Il mollo o scorza verde, fresco, appena staccato facilmente annerisce e tinge in nero giallognolo la pelle di chi lo maneggia, è una vera ossidazione. «Un po' di scorza di noce mutò la mia pelle giallognola, in una gentil pelle brunetta » dice lo zio Tom nel romanzo della Beker. La fuliggine delle noci bruciate è uno dei principali ingredienti dell'inchiostro del Giappone. Fino dai tempi di Plinio era nota la maniera di tingere le lane colla scorza di noce. Se ne servono per conciare le pelli, per dar colore ai legnami. La decozione della scorza verde delle noci è specifico contro le cimici, libera i cani e i gatti dalle pulci, i cavalli, i muli ed i buoi dalle zanzare ecc. L'ombra del noce è dannoso alla vegetazione sottostante per lo sgocciolamento delle foglie e dei rami, impregnato di tannino e di sostanze non assimilabili, nuoce agli animali per l'esalazione graveolente e alquanto virosa delle foglie stesse — e produce, a chi vi dormisse sotto, gravezza di capo e cefalalgia. Il legno di noce è assai pregiato per la sua durezza, forza, e colore. Alla medicina il noce tutto, fino da Galeno dà sicuri e riputati specifici. Col frutto, se ne fà infuso, decotto, unguento, ed un rimedio facile, sicuro, economico contro la scrofola principalmente. Colle foglie, ammaccate e ridotte in pasta, strofinandone la pelle agli scabbiosi se ne distrugge l'acaro. Se ne fanno detersioni, bagni astringenti fortificanti. Servono a falsificare il tabacco principalmente presso i nostri fratelli del Cantone Ticino. Dal tronco se ne può cavare con opportune incisioni sciroppo zuccherino. La corteccia della radice fresca, macerata in aceto, dà un rubefaciente e rivulsivo. L'olio è usato come antielmitico, e purgativo internamente, (il lungo uso però irrita gli intestini), esternamente nelle erpeti crostose ed ulcerose. Plinio e Columella accusavano le noci come callidœ. Dioscoride le chiamava biliosœ, tussientibus inimicœ, e generalmente infatti, sono facile cagione di saburre e sconvenienti ai catarrosi, sicchè la Scuola Salernitana ebbe a sentenziare della noce: Unica nux prodest, nocet altera, tertia mors est . Fu creduto per molto tempo che il noce fosse originario, della Persia, d'onde Plinio lo dice importato in Roma al tempo dei Re, e le migliori qualità, le chiama persica, ma secondo una memoria del Dott. Heer, da alcuni avanzi fossili risulterebbe che sia spontanea anche in Italia da tempi remotissimi. In Grecia avevano vanto le noci di Thaso in Tracia, e presso i Romani quelle di guscio fragile di Tarento, onde si chiamavano noci tarentinœ. È ricordata la noce nell'Esodo (c. 25, 37), e da Salomone nel Cantico (c. 6.). Virgilio menziona le castagne e le noci che piacevano tanto alla sua Amarille:
non dà raccolto apprezzabile, lo dà dopo i 40. Ai 60 dà il massimo della produzione, ai 100 comincia a deperire — à vita di tre, quattro secoli. Se
L'Olivo è pianta indigena sempre verde. Ama esposizione asciutta, soleggiata, difesa dai venti, terreno buono, sabbioso, concimato. Teme il gelo (resiste fino a 7 gradi) e la grande siccità. Fiorisce lentamente, si moltiplica per semi, talee, polloni ed innesto. Comincia a produrre verso il 150 anno di vita, e aumenta fino ai 50 — à vita secolare. Molte le varietà a seconda dei paesi. In Italia è coltivato lungo le costiere marittime. Abbonda nel Lucchese e nella Romagna, lo si trova sulle rive bene esposte del Lago Maggiore, di Garda, di Como. Era coltivato nel resto della Lombardia, ma il forte disboscamento delle Alpi lo distrusse. Nel linguaggio delle piante: Pace, Riposo, Sicurezza. I frutti dell'Olivo non sarebbero perfettamente maturi che nel Maggio seguente alla fioritura, quando ànno aquistato un color rosso nerastro, ma si colgono in Novembre e Dicembre, perchè non maturando tutti alla medesima epoca, il raccolto andrebbe perduto. Raccolte le olive si mettono in casse o tini perchè non vi penetri aria o succeda fermentazione e si coprono a garantirle dal freddo. Così si può ritardare l'estrazione dell'olio fino a primavera e ottenerne una maggior quantità. Appartiene alla famiglia dell'olivo, l'olea fragrans, che dà i fiorellini così soavemente profumati. L'olio che si cava dalle bache è vergine quando è fatto col frutto maturo a pressione e si distingue dall'altro che si ottiene colla bollitura. Il primo è assai migliore. L'olio d'oliva fino dev'essere insaporo. Gode del primato in Italia quello di Lucca. È facilmente adulterato con quello di semi di cotone, di sesamo (1), di arachide e d'altri semi.
tutti alla medesima epoca, il raccolto andrebbe perduto. Raccolte le olive si mettono in casse o tini perchè non vi penetri aria o succeda
Il Pesco è pianta a foglia caduca, indigena, originaria dall'Asia e più propriamente, come lo indica il suo nome, della Persia. Cresce in terreni buoni, caldi, ad esposizioni meridionali, difese dai venti. Vive anche nei climi freddi, ma non dà frutti. Si moltiplica per seme ed innesto sul Mandorlo, sul Pruno e sul Cotogno. Vuolsi che dia frutti migliori e più belli piantando la pesca intera colla sua polpa. Cresce rapidamente, dopo due o tre anni dà frutto, ma presto invecchia e deperisce — pochi peschi passano i 20 anni. Si allunga la loro vita innestandoli sul mandorlo. A fiori rosei prima delle foglie, che sono distrutti facilmente dalle brine e dalle forti pioggie primaverili. Dà frutti maturi da Luglio ad Ottobre, a seconda delle varietà, che sono numerose assai. I botanici dividono il pesco in due famiglie, quello a frutto coperto di pelurie, e quelle a frutto liscio — ambedue suddividonsi alla lor volta, in frutto a polpa e carne succosa, spiccaciola, che facilmente abbandona il nocciolo, e in frutto a polpa consistente duracina, che non si stacca dal nocciolo. La pesca è matura, quando dal lato dell'ombra od a tramontana mostra la pelle gialla — in tal momento tramanda la sua fragranza e profumo particolare. Non fatene la prova col tatto, perchè la minima contusione forma una macchia, che in breve tempo la guasta e fà marcire. L'Erera, botanico spagnolo, dice che se si adaqueranno i persici, con latte di capra per tre sere continue quando sono in fiore — vi nasceranno pesche grossissime. In China il pesco è l'albero a - frutta più importante e che per la sua fioritura jemale, ne à fatto il simbolo dell'amore e della fedeltà. La pesca colà si crede procuri l'immortalità al felice che ne mangia. Nel linguaggio delle piante presso noi significa: Contento, vita beata, non cercar troppo. Il suo raccolto deve farsi a mano. Quelle destinate al commercio si devono cogliere qualche giorno prima della sua completa maturanza, onde siano più resistenti. La pesca, è frutto giocondo che ricorda le guancie paffute e rosee dei bimbi e delle bimbe. È squisitissimo, salubre, profumato di facile digestione, si mangia fresco e si fà seccare per l'inverno, e allora si chiamano da noi veggitt. I cuochi ne fanno fritture, polpettine, persicata, sorbetti, marmellate. Il loro delicato aroma è sì sfuggevole che invano si tenta fissarlo completamente nelle conserve, nei liquori. In America, dove molto abbonda, se ne fa eccellente aquavita. I nostri vecchi dicevano che del persico tutto va mangiato fuorchè il duro dell'osso: Malum quod implicuit persicum nucleus explicat. Diceva un antico proverbio latino, il che vuol dire che bisogna mangiarne anche l'amanda. Certe signorine troppo schifiltose non possono soffrire la lanuggine della sua pelle ed è precisamente nella sua pelle che si conserva il massimo tesoro della sua fragranza, come è nella pellicola dalla sua amanda che maggiormente si raccoglie l'amaro che possiede. Si ricordino del proverbio: all'amico pela il fico, al nemico il persico. Per saporire la pesca va mangiata senza pelarla e senza tagliarla. Le foglie ed i fiori del pesco sono velenosi, contenendo acido idrocianico, tuttavia in medicina se ne fà uso qualche volta come contro stimolanti e vermifughi. I fiori e le foglie recenti, ànno inoltre una virtù purgativa, se ne fà infusione e sciroppo, perdono molto coll'essicazione. In caso di avvelenamento coi fiori, foglie o mandorle de' suoi frutti, si soccorre con etere al quale s'aggiungono una ventina di goccie di laudano. Coi frutti ben maturi, che passano facilmente alla fermentazione, se ne può ricavare un vino leggero, assai piacevole a bersi. La gomma che scorre dal suo tronco e da' suoi rami può adoperarsi invece della gomma arabica. La Scuola Salernitana sentenzia:
beata, non cercar troppo. Il suo raccolto deve farsi a mano. Quelle destinate al commercio si devono cogliere qualche giorno prima della sua completa
Il Pomo, o Mela, è albero indigeno europeo, a foglia caduca, ama clima temperato — preferisce terreno sabbioso-argilloso. È fecondissimo. Si propaga per semi, barbatelle, innesto. À vita lunga, resiste al freddo, fiorisce tardi, chè soffre la brina pe' suoi frutti. Se ne contano più di 2000 varietà; fra queste le più apprezzate sono l'Azzeruola (pomm pomell), la Pupina (popin), od Appia — la Ruggine toscana, o Borda. Da noi tranne la varietà S. Peder e l'altra detta Pomm ravas, il pomo è frutto d'inverno. Nel linguaggio delle piante: Golosità. Può considerarsi maturo, quando incomincia a tingersi in giallo, mandare un po' della sua fragranza, e a cadere spontaneamente — indizio più sicuro è il colore nero de' suoi acini. Il raccolto è da farsi in giorno sereno, quando sia scomparsa la rugiada. Quelli che cadono avanti tempo, bisogna consumarli subito, facendoli cocere. Per conservarli freschi importa raccoglierli a mano, senza strapparli. Importa pure separare i frutti, che casualmente cadessero sul terreno, perchè presto si guasterebbero e guasterebbero gli altri. Nell'inverno gelano facilmente. Se le disgelate al fuoco, perdono: lasciate che disgelino con comodo o ponetele nell'acqua molto fredda, ma non ghiacciata; facendola intepidire a poco a poco anche il gelo della mela si rimette senza danno dell'organizzazione, così pure d'ogni altro frutto e delle ova. La mela, quando sia matura, è il più digeribile dei frutti, è simpatica, profumata, saporita, durevole, è l'amore dei bambini. Si mangia cruda, cotta, secca e confettata. I cuochi ne fanno fritture, charlottes, marmellate, la uniscono alle paste (lacciadin). In alcune contrade settentrionali, meno predilette dal Cielo, dove il sole non matura i pampini, la mela aquista molta importanza economica per la fabbricazione del Sidro, celebre quello di Normandia. È bevanda che può supplire il vino, e, al pari di questo, contiene dell'alcool, ma giammai del tartaro. Se ne fabbrica anche da noi a sofisticare o simulare il vino bianco, massime quello d'Asti. Riesce meno spiritoso e spesso incomodo, perchè genera flatulenze. Il sugo delle mele agre, serve a far aceto, che si conserva molto tempo. Le agre fanno perdere la memoria, dice il Pisanelli. Galeno parla pure di un succo liquore, delle mele, che sarebbe il sidro, che si vuole inventato da Publio Negro, che lo fabbricavano pure i Mormoni e lo trasportavano in Brittannia. In medicina, sono rinfrescative, lassative, pettorali. Se ne fa decozione e sciroppo nelle tossi catarrali. La polpa cotta, onde il nome di pomata, fu usata come emolliente nelle flogosi oculari, e fa parte della pomata del Rosenstein, contro le regadi delle labbra e de' capezzoli. La poma selvatica à virtù astringenti, detersive. Il legno del pomo è di grana fina, prende facilmente la pulitura, è uno dei migliori da fuoco. Il pomo è frutto cosmopolita e vanta la più antica delle prosapie. Iddio dopo aver creato la luce e divise le acque dalla terra, creò il pomo. Eva lo trovò bello e saporito e lo mangiò e lo fece mangiare ad Adamo, e da quel pomo l'origine e la serie d'ogni disgrazia. Mala mali malo mala contulit omnia mundo. Vero è che col nome di pomo, non solo la Bibbia, ma tutti gli scrittori designarono le frutta in genere, ma se ciò avvenne era perchè il pomo era il re, il capostipite di tutti i frutti e si prese il nome suo ad indicare tutto ciò che il regno vegetale produceva di bello e di bono a mangiarsi. Così tutti i barbari che calavano da noi, chiamavano l'Italia la terra delle dolci poma, così il frutteto fu chiamato pomarium. A Roma il Dio del pomo, era detto Falacer e vi aveva un apposito sacerdote col relativo santuario. I romani li facevano cocere nel vapore dell'acqua o sotto la cenere. L'arte di conservare le poma, era all'apogeo presso i Romani. Pollione dice di Gallieno: — Uvas triennio servavit, hyeme summa, melones exibuit: mustum quemadmodum toto anno haberetur docuit: ficos virides et poma ex arboribus recentia semper alienis mensibus prœbuit (Plinio, lib. 14). I Greci raccontano del pomo cose orribili. Giove unì in nozze un bel giorno la dea dei mari, Teti, con Peleo, dal quale matrimonio nacque poi il bollente Achille. Quelle nozze furono celebrate con gran pompa e alla presenza di tutto l'olimpo au complet. Tutte le divinità infernali, aquatiche e terrestri ebbero, non solo il faire-part, ma officiale invito d'intervenire. Una Dea sola fu esclusa: la Dea Discordia. E questa per vendicarsi, al momento dei brindisi, comparve nella sala del banchetto e buttò sulla tavola un bellissimo pomo dicendo: «Alla più bella di voi» e sparì. Giunone, Pallade e Venere, ch' erano diffatti le più belle, si guardarono per traverso, e ognuna di loro pretendeva quel pomo. Giove, che in quel giorno non voleva seccature, mandò a chiamare Paride, un bel giovinotto, e lo fece arbitro della bellezza di quelle concorrenti. Tutte e tre fecero gli occhietti a quel giovinotto, ma egli consegnò il pomo a Venere, lasciando le altre due con tanto di naso. Venere ebbe il pomo, ma Giunone e Pallade lo conciarono poi per le feste, e tanto fecero che andò a finir male. Rubò Elena, fu assediato e vinto a Troja, e ferito da Pirro, andò a morire sul monte Ida. Tutto per quel pomo che dappoi fu chiamato il pomo della Discordia. Nè qui finisce la storia di quel pomo. Venere in quel giorno, almeno per galanteria, doveva cederlo a Teti, che sedeva in capo tavola, sposa festeggiata, ma fe' la sorda e se la mise in saccoccia. Naturalmente Teti l'ebbe a male alla sua volta, e se la legò anch'essa al dito. Avvenne, che Venere discese un giorno sulle rive delle Gallie a raccogliere perle e un tritone le rubò il pomo, che aveva deposto su di un sasso e lo portò a Teti. Questa lo prese, lo mangiò e buttò i semi in quella campagna a perpetuare il ricordo della sua vendetta e del suo trionfo. Ecco perchè, dicono i Galli-celti, sono tante mele nel nostro paese, e perchè le nostre fanciulle sono così belle! Questa seconda parte l'aggiunge Bernardin de S. Pierre, magnificando le bellissime mele della Normandia. Al pomo i nostri fratelli Svizzeri attaccano la storiella di Guglielmo Tell, e al pomo che cadde sul naso a Newton mentre riposava in giardino dobbiamo la scoperta dell'attrazione. Il nostro popolo prende il pomo come il tipo della rotondità (rotond come un pomm), della somiglianza (vess un pomm tajaa in duu), del vino fatto colle mani (vin de pomm), della paura (pomm-pomm), degli avvenimenti necessarii (el pomm quand l'è madur, bisogna ch'el croda); infine dell'arma più pacifica per sbarazzarsi da un seccatore (fà côrr a pomm).
tingersi in giallo, mandare un po' della sua fragranza, e a cadere spontaneamente — indizio più sicuro è il colore nero de' suoi acini. Il raccolto è da
Mettete al fuoco gli ossi e le pelletiche con un bicchiere d'acqua procurandovi con un'oretta di bollitura qualche cucchiaio di brodo. Tagliate intanto la carne in minuti dadolini e mettete poi questi in una bottiglia bianca da mezzo litro aggiungendovi 2-3 cucchiai del brodo ottenuto prima e che avrete passato da un pannolino bagnato per levargli il grasso. Chiudete la bottiglia con un tappo di sughero e collocatela in una padella piena d'acqua fredda. Ponete la padella al fuoco, lasciate gorgogliare l'acqua poi mantenetela a lieve bollore durante ore 2 1/2 circa. II sugo escirà dalla carne e la coprirà. Levate allora la bottiglia dalla padella, lasciatela un po' freddare, versatene fuori il sugo, comprimete la carne, che rimarrà insapore, entro un tovagliolo bagnato, e unite il liquido che ne esce al sugo di prima versandovi anche un paio di cucchiai di vino bianco di bottiglia sincero. Mettete al fresco il poco brodo raccolto, e levatevi poi via con una penna il sottile strato di grasso che vi troverete sopra. Di questo brodo, agli ammalati gravi si può darne un cucchiaino da caffè ogni 20 minuti.
sincero. Mettete al fresco il poco brodo raccolto, e levatevi poi via con una penna il sottile strato di grasso che vi troverete sopra. Di questo brodo
Il pane è un elemento di prima necessità, gustoso, salubre e che mai non stanca. Occorre tuttavia ch'esso sia fatto con una qualità di farina pura e cotto a dovere. Il pane si può cuocere anche nelle tegghie sulla brace, ma questo non è che un sistema di ripiego. Chi possiede un forno apposito, come certi contadini di montagna, viventi in paesi isolati, ve lo allestisce con vantaggio, specie nella stagione del raccolto del fieno, anche tutto in una volta per il soggiorno alpestre. Per chi invece tiene a disposizione oltre il tempo necessario un focolare col forno, arnese comune nell'alta Italia, il cuocere il pane in casa può essere un'abitudine proficua di tutti i giorni. L'economia vi troverebbe anch'essa il suo vantaggio, qualora al piccolo ma continuo risparmio di spesa si aggiungesse la cura costante di misurare la quantità del pane come quando lo si compera dal fornaio. In ogni caso è sempre saggio consiglio che una buona massaia impari e si eserciti a preparare il pane ella stessa. È un'abilità che qualche volta potrà tornarle più che utile, necessaria. Ecco pertanto alcune buone ricette.
, come certi contadini di montagna, viventi in paesi isolati, ve lo allestisce con vantaggio, specie nella stagione del raccolto del fieno, anche tutto in
Questo è delle qualità più ricercate, ma si altera rapidamente se conservato in luogo non perfettamente asciutto. È impossibile dare una descrizione, anche approssimativa, del caffè buono: in generale dev' essere a grani uniformi. Il suo peso dipende dal grado di secchezza. Il caffè ci giunge tante volte cattivo per vizio proprio, alterato per fermentazione, avariato dall'acqua marina. Oltre a ciò l'industria della sua falsificazione è delle più fiorenti: arriva a darci il caffè.... che non è caffè. Lo si bagna per accrescerne il peso, se ne sostituisce una qualità all'altra, lo si mischia, lo si colorisce, lo si sofistica in grana e crudo — in grana e torrefatto — torrefatto e macinato. Tutti i semi, tutte le radici, tutti i frutti, tutte le corteccie furono esperite a trovar materie da surrogare, mescolare al caffè. Abbiamo il caffè di cicoria, di carote, di tarassaco, caffè di fichi e di ghiande fabbricato in Germania, di lupini, di fecole, leguminose, caffè di dàttoli, caffè di Mogdad (cassia occidentalis), altra particolarità tedesca, caffè d'orzo e di malto, dalla parola tedesca malz e mali, che è poi orzo tallito. Quest'ultima spudoratissima menzogna del Caffè malto fu appiccicata a quell'eccellente burlone di Kneipp, quel brav' uomo che cercò ripristinare la sensata cura dell'acqua fresca. Ne volete ancora? S'è arrivato fino alla lirica della falsificazione, a falsificare la falsificazione. Si falsifica anche quella porcheria di caffè di cicoria. Ma dove la falsificazione domina sovrana è nel caffè torrefatto e macinato. La più generale ed innocua è quella che si fa coi fondi di caffè, caffè già esaurito raccolto nei Caffè, Restaurants, negli Alberghi, e particolare provento dei cuochi delle case signorili. In Francia abbiamo un'infinita serie di caffè, fabbricati con tutto quel che si vuole, meno il caffè. Fino dal 1718 Giorgio I, in Inghilterra, multava i falsificatori del caffè da 20 a 100 sterline. Ora l'industria è libera.
falsificazione domina sovrana è nel caffè torrefatto e macinato. La più generale ed innocua è quella che si fa coi fondi di caffè, caffè già esaurito raccolto
Il Castagno, è un albero a foglia caduca, indigeno, dall'Europa meridionale. Ama terreno sabbioso, argilloso non adombrato da altri alberi, e più d'ogni altro; il montuoso. Non viene a più di 800 metri al disopra del livello del mare. Fiorisce in luglio, dà frutti in ottobre e per loro teme il freddo. Si propaga per semina, avendo cura di immergere prima il seme per 12 ore nell'acqua satura di fuliggine e noce vomica, o in olio bollito con aglio, acciò rimangano illese dagli animaletti. Nel linguaggio dei fiori: Sii giusto verso di me. Il castagno, dicesi, portato a noi dall'Asia Minore al tempo degli imperatori romani, o dalla Sardegna, al dire di Bruyerius, e come leggesi in Ezio e Dioscoride. Le varietà principali, il castagno propriamente detto, che fiorisce precocemente, il cui raccolto è quindi dubbio e dà un frutto piuttosto piccolo e poco saporito ed il marrone che è più grosso, più saporito e nutriente, dal nome di maraon come si chiamava ai tempi di Eustazio. Il marrone si propaga per innesto sopra il castagno, perchè il marrone seminato produce nuovamente il castagno. Il castagno comincia a fruttificare cinque anni dopo l'innesto, e verso il 60° dà il massimo prodotto. Le piante non innestate, ritardano e sono meno produttive. A 150 anni comincia a deperire e raggiunge i 3-4 secoli. Il raccolto si fa quando alcuni pericarpi cominciano ad aprirsi, un ettolitro di castagne pesa 80 chilogrammi. La castagna fresca contiene 48% d'acqua e 0,52 d'azoto — il marrone fresco 54 d'acqua e 0,53 d'azoto. — La castagna secca, contiene ancora dal 10 al 12 d'acqua e 0,77 d'azoto, ed il marrone secco contiene 1,17 % d'azoto. Si conserva la castagna nel proprio involucro in locali asciutti e ventilati o disseccandola pei graticci. Le castagne messe sui mattoni delle camere, marciscono presto e sono preda degli insetti. Si conservano più a lungo e saporite, facendole prima essicare alcun poco al sole. Il castagno dell'Etna avrebbe, secondo alcuni, 59 metri di circonferenza. La castagna, il qual nome si vuole venuto da Castano Magnesia, città della Macedonia, è la sposa del focolare, la ghiottoneria dei fanciulli, la dea delle chiacchere e delle mormorazioni, l'amica del vino generoso e nuovo, ed è maritata in nozze morganatiche al dio Eolo. Un proverbio dice: Non è da uom prudente mangiar castagne e poi star fra la gente. Ed un altro:
propriamente detto, che fiorisce precocemente, il cui raccolto è quindi dubbio e dà un frutto piuttosto piccolo e poco saporito ed il marrone che è più grosso
Il lazzeruolo o azzerolo è una pianticella a foglia caduca, originaria dei paesi caldi. Viene in piena terra, ama terreno sciolto, luoghi ombrosi. Si propaga per innesto sul bianco spino o sul nespolo. Molte varietà, fra le quali quelle a frutto giallastro, rosso e bianco. Nel linguaggio dei fiori e delle piante significa: Bacio. I suoi frutti acidoli e poco succosi si raccolgono d'ordinario in settembre. Sono l'amore dei bambini e delle ragazze — riescono più belli alla vista, che opportuni allo stomaco — diventano migliori alcuni giorni dopo il raccolto. Il suo legno si adopera a far strumenti musicali. Una delle 49 varietà è la Oxyacantha, dal greco oxyus acuto, e da acantha spina, che è il bianco spino delle nostre siepi, o Lazzeruolo selvatico. (Mil.: Scarrion, lazzarin selvadeg. — Fr.: Aubepine. — Ted.: Mehldorn. — Ingl.: Eglantine). — È uno dei più cari arbusti che colla candidezza e fragranza de' suoi fiori, ci annuncia il prossimo arrivo della primavera. Si trova copioso nelle siepi che difende, col viluppo de' suoi rami intricati e coll'arma delle pungenti sue spine. Dà fiori bianchi, numerosi, odorosi disposti in mazzetti in aprile, e coccole ranciate in luglio. Le sue spine nel linguaggio delle piante significano: Proibizione, ed i fiorellini: Dolci speranze. Il legno del lazzeruolo, è forte, tenacissimo — viene usato nei lavori di tornio ed anche di scoltura, giacchè si leviga benissimo e tiene con costanza le tinte.
— riescono più belli alla vista, che opportuni allo stomaco — diventano migliori alcuni giorni dopo il raccolto. Il suo legno si adopera a far
grigio ferro, non profumato. Non matura mai sui rami. Raccolto e posto sulla paglia matura lentamente, divien morbido ed acquista un sapore sgradevole. La nespola è fornita internamente di cinque noccioli, o semi, durissimi a forma di mezza palla, onde il suo nome dal greco. Diverse varietà, fra le quali la hortensis, a frutto voluminoso, e l'abortiva, a frutto senza noccioli — quella coltivata comunemente è la varietà japónica. «Col tempo e colla paglia maturano le nespole, dice il proverbio,» e però pare che quello che la nespola acquista sulla paglia, non sia la vera maturanza, ma piuttosto un principio di fermentazione zuccherina che la rende molle, succosa, dolce, da dura ed agra e non affatto mangiabile qual era appena colta. Coi semi della japónica uniti ad alcool e zuccaro si fabbrica un liquore spiritoso da tavola. La nespola non costituisce mai un boccone molto ricercato, e non gli si tributa la deferenza che si à per le altre frutta. Il legno del nespolo è durissimo, serve a diversi usi, ed è prezioso se in pezzi grossi. Questo frutto à virtù astringente ed è a consigliarsi nelle diarree semplici. In Francia se ne fa una speciale confettura della quale il Mantegazza ci dà la seguente ricetta: «Ripulite le nespole e gettatele in burro fresco e, reso rossiccio dalla cottura, lasciatele bollire. Quando saranno cotte, versatevi un quarto di vino rosso e fate consumare il tutto fino a una consistenza sciropposa. Ritirate le nespole e spolverate di zucchero.» Ricetta, che d'altronde trovo scritta ed usata fino dal 1560 e raccolta dal Campegio. Pare che il nespolo sia stato portato in Italia dai Galli, e vuolsi, al tempo di Catone non fosse conosciuto. Gli antichi gli assegnavano virtù d'arrestare il vomito, di preservare dall'ubbriachezza, e fu sempre tenuta come medicina, piuttosto che frutta alimentare. I Romani ne facevano del vino, ce ne informa Virgilio:
grigio ferro, non profumato. Non matura mai sui rami. Raccolto e posto sulla paglia matura lentamente, divien morbido ed acquista un sapore
Il Noce è l'albero fruttifero più maestoso dei climi temperati. S' adatta a quasi tutti i terreni, tranne i molto umidi. Teme le brine, fiorisce a 12 gradi, matura il frutto da agosto a settembre. Si propaga per seme, e le varietà per innesto. Comincia a dar qualche prodotto a 8-10 anni, sino ai 25 non dà raccolto apprezzabile, lo dà dopo i 40. Ai 60 dà il massimo della produzione, ai 100 comincia a deperire, à vita di tre, quattro secoli. Se ne conoscono 16 varietà, a torto viene poco coltivata la nigra, oltre al rapido sviluppo, raggiungendo fino l'altezza di 50 metri, fornisce un legno nero durissimo che gli ebanisti preferiscono al noce comune. Il nome di juglans significa ghianda di Giove e, come dice Macrobio, prima si scriveva diuglandem, ghianda degli Dei, poi si lasciò il d, e restò juglandem, cibo di Giove, e a lui era dedicato il noce. Caio (de verborum significatione), dice, da Jovis glans, perchè la noce è la migliore delle ghiande, primo cibo degli Aborigeni e però da essi creduta cibo di Giove. Cloazio è dello stesso parere. Teofrasto crede invece che la ghianda di Giove è la nocciola. Plinio c' insegua che la noce si chiamava anticamente caryon karnon, da kara, testa, perchè à la forma d'una testa, e perchè l'odore che emana l'albero fa male alla testa. I grammatici sono del parere che la voce nux, da dove noce, tragga origine dal nuocere, perchè la sua ombra è nociva, e perchè rompendone i frutti coi denti, questi si guastano. Nel linguaggio delle piante: Durezza. Si riconosce la noce matura quando il mesocarpo, o corteccia verde, incomincia a screpolarsi e a staccarsi dal guscio. Si raccolgono, e sbucciate si stendono in locali ben ventilati per farle asciugare e rimovendole due volte al giorno. Dopo un mese, sono stagionate. La noce fresca contiene una specie di emulsione, che poi si cangia in olio. Per cavarne l'olio bisogna pazientare fino all'inverno, perchè l'olio si forma lentamente colla stagionatura; rotti i gusci, si torchiano subito, perchè soffrirebbero. Si conservano quasi per un anno, tenendole ben chiuse in luogo fresco. Per rinverdirle bisogna tenerle per 4 o 5 giorni nell'acqua pura. Mantegazza suggerisce di metterle a macerare nel latte tepido e lasciarcele raffreddare. L'olio fresco è commestibile, ma col tempo diventa essicativo. È certo che la noce è migliore fresca che secca, più digeribile spoglia della sua pellicola e che mangiandone in quantità si compromette la condotta degli organi digerenti e di quelli di secrezione, essiccando diventa un po' acre. Ma la noce fresca è saporita e salubre e compare allegra al dessert.
non dà raccolto apprezzabile, lo dà dopo i 40. Ai 60 dà il massimo della produzione, ai 100 comincia a deperire, à vita di tre, quattro secoli. Se ne
L'olivo è pianta indigena sempre verde. Ama esposizione asciutta, soleggiata, difesa dai venti, terreno buono, sabbioso, concimato. Teme il gelo (resiste fino a 7 gradi) e la grande siccità. Fiorisce lentamente, si moltiplica per semi, talee, polloni ed innesto. Comincia a produrre verso il quindicesimo anno di vita, e aumenta fino ai cinquanta — à vita secolare. Molte le varietà a seconda dei paesi. In Italia è coltivato lungo le costiere marittime. Abbonda nel Lucchese e nella Romagna, lo si trova sulle rive bene esposte del Lago Maggiore, di Garda, di Como. Era coltivato nel resto della Lombardia, ma il forte disboscamento delle Alpi lo distrusse. Nel linguaggio delle piante: Pace, Riposo, Sicurezza. I frutti dell'olivo non sarebbero perfettamente maturi che nel maggio seguente alla fioritura, quando ànno acquistato un color rosso nerastro, ma si colgono in novembre e dicembre, perchè non maturando tutti alla medesima epoca, il raccolto andrebbe perduto. Raccolte le olive si mettono in casse o tini perchè non vi penetri aria o succeda fermentazione e si coprono a garantirle dal freddo. Cosi si può ritardare l'estrazione dell'olio fino a primavera e ottenerne una maggior quantità. Appartiene alla famiglia dell'olivo, l'olea fragrans, che dà i fiorellini cosi soavemente profumati. L'olio che si cava dalle bache è vergine quando è fatto col frutto maturo a pressione e si distingue dall'altro che si ottiene colla bollitura. Il primo è assai migliore. L'olio, d'oliva fino dev'essere insaporo. Gode del primato in Italia quello di Lucca. È facilmente adulterato con quello di semi di cotone, di sesamo (vedi in Sesamo), di arachide e d'altri semi. È alimentare per eccellenza, e venne sempre usato come condimento alle carni, agli ortaggi e persino alle frutta. Nè solo condire, ma serve pure a conservare in vari modi le vivande e a bruciare. L'olio d'olivo è il più antico dei rimedi che si conoscono; lo si adopera internamente ed esternamente, freddo e caldo: è la base della maggior parte degli unguenti e degli oli medicinali. L'olio cotto non gela. L'arte di cavar olio dall'oliva è antichissima. La si trova citata nell'Esodo (cap. 27, 20) e nel Levitico (cap. 24, 2). Dal frutto verde immaturo i Romani estraevano un olio viscoso, brumasto, chiamato omphacium. Gli atleti se ne ungevano il corpo, poi, dopo la lotta, misto al sudore ed al sangue, lo si raschiava dal corpo con una specie di coltello detto strigili, e lo si conservava come preziosissimo contro una infinità di malattie, principalmente la scabbia e l'alopacia (caduta dei capelli). Gli antichi ne facevano molto uso igienico per frizioni. L'imperatore Augusto domandò a Pollione come avesse saputo toccare i cento anni, e questi rispose: «curandomi col vino di dentro e con l'olio di fuori.»
, perchè non maturando tutti alla medesima epoca, il raccolto andrebbe perduto. Raccolte le olive si mettono in casse o tini perchè non vi penetri aria o
La duracina e le sue varietà, cotta nel vino e zuccaro, sono alimento eccellente per gli stomachi delicati e, sciroppata, il toccasana pel catarro stomacale. La pesca è matura quando dal lato dell'ombra od a tramontana mostra la pelle gialla: in tal momento tramanda la sua fragranza e profumo particolare. Non fatene la prova col tatto, perchè la minima contusione forma una macchia, che in breve tempo la guasta e fa marcire, L'Erera, botanico spagnuolo, dice che se si adacqueranno i persici con latte di capra per tre sere continue quando sono in fiore, vi nasceranno pesche grossissime. In China il pesco è l'albero a frutta più importante e che per la sua fioritura iemale, ne à fatto il simbolo dell'amore e della fedeltà. La pesca colà si crede procuri l'immortalità al felice che ne mangi. Nel linguaggio delle piante presso noi significa: Contento, vita beata, non cercar troppo. Il suo raccolto deve farsi a mano. Quelle destinate al commercio si devono cogliere qualche giorno prima della sua completa maturanza, onde siano più resistenti. La pesca è frutto giocondo, che ricorda le guancie paffute e rosee dei bimbi e delle bimbe, è la rosa dei frutti.
raccolto deve farsi a mano. Quelle destinate al commercio si devono cogliere qualche giorno prima della sua completa maturanza, onde siano più
Ma invece pare che il primo sia stato un certo Adamo, consorte legittimo della signora Eva, che prima ancora di quell'ubbriacone di Bacco, lo volle mordere co' suoi candidi dentini. Può considerarsi maturo quando incomincia a tingersi in giallo, mandare un po' della sua fragranza e a cadere spontaneamente; indizio più sicuro è il colore nero de' suoi acini. Il raccolto è da farsi in giorno sereno, quando sia scomparsa la rugiada. Quelli che cadono avanti tempo, bisogna consumarli subito, facendoli cocere. Per conservarli freschi, importa raccoglierli a mano, senza strapparli. Importa pure separare i frutti che casualmente cadessero sul terreno, perchè presto si guasterebbero e guasterebbero gli altri. Nell'inverno gelano facilmente. Se le disgelate al fuoco, perdono: lasciate che disgelino con comodo o ponetele nell'aqua molto fredda, ma non ghiacciata; facendola intepidire a poco a poco, anche
spontaneamente; indizio più sicuro è il colore nero de' suoi acini. Il raccolto è da farsi in giorno sereno, quando sia scomparsa la rugiada. Quelli che
Il rapunzolo o rapenzolo, è una radice erbacea bisannuale della grossezza del mignolo, perenne, indigena, bianca, fragile, carnosa e tenera. Dà fiori, da maggio a settembre, di un turchino pallido in pannocchie terminali: à seme minutissimo. Il suo nome dalla sua somiglianza colle rape. Nel linguaggio delle piante: Delizia campestre. I semi germinano per 5 anni. Si propaga meglio dividendo gli stelloni o la sua radice. Vuole terra leggera e alquanto sabbiosa, esposizione fresca e ombrosa. Cresce naturalmente intorno alle roccie, ai vecchi muri e nei prati di campagna. Codesta radice è mangereccia, saporita e di bon gusto, ad alcuni riesce un po' indigesta. E fiori e radici forniscono una delle più delicate insalate. Si usa molto in Toscana e massime a Firenze. Si mangia tanto cruda che cotta e anche fritta. Merita di essere coltivata negli orti per la sua bontà. Il raccolto si fa da gennaio a febbraio e si continua fino a che le piantine non emettano il fusto seminale. Coltivata diviene più grossa. A virtù alquanto tonica. Plinio la chiama Rapa sylvestre. I Francesi: Petite raiponce de Carème. Un giornale francese raccontava che Bèranger era ghiotto di questa radice e ch'era la delizia delle sue dinettes primaverili.
e massime a Firenze. Si mangia tanto cruda che cotta e anche fritta. Merita di essere coltivata negli orti per la sua bontà. Il raccolto si fa da
erbacea, annuale, indigena, piuttosto coltivata che spontanea, fiorisce in giugno e luglio. Si propaga per semi in primavera, vuol terreno mobile, fresco, sostanzioso. Il seme va gettato rado e coperto leggermente e vanno sradicate le pianticelle troppo vicine, sarchiate se bisogna. Il raccolto si fa subito che i fusti incominciano ad ingiallire e quando alla maggior parte dei fiori inferiori succedono dei semi nerastri, che sono i migliori, senza aspettare che maturino gli altri, che sono gli infimi e fanno perdere i primi. Tagliate le pianticelle, lasciatele alquanto in riposo, perchè i semi finiscano di perfezionarsi, poi battete, vagliate, crivellate. I semi conservano la loro facoltà germinativa per tre o quattro anni, purchè distesi in granaio arioso. Per gli usi medicinali servirsene il più presto possibile, perchè quanto più è recente, tanto più è migliore: al secondo anno comincia già a deteriorare. Nel linguaggio dei fiori: Dispetto. Àvvene due varietà: la bianca e la nera. La prima à fiori grandi d'un giallo pallido,, di sapore delicato, viene coltivata molto in Inghilterra e preferita per uso gastronomico. La nera à fiori piccoli gialli, dà seme più minuto ed à sapore più forte ed acuto, e questa è la più usitata. Polverizzato il seme della senape nera, serve a preparare coll'aqua, o col mosto, o coll'aceto, o collo zuccaro, o col brodo, o misto a droghe e sapori, le varie paste liquide dette mostarde o salse di senape, in uso giornaliero per la tavola. I giovani getti della senape si mangiano in insalata. La specie detta della China, dalla sua provenienza, arriva fino ad un metro e più di altezza. À larghe foglie, fiori gialli. Si semina in agosto, bisogna irrorarla quando nasce. I semi anno virtù germinatrice fino ai 4 anni. In capo ad un mese si possono raccogliere le foglie che danno un prodotto abbondante, che si cucinano ed ànno un gusto gradevole. È uno dei legumi più apprezzati dei paesi caldi. La senape eccita l'appetito ed aiuta a digerire. A prevenire e sopprimere la sua azione topica sulle mucose nasali applicate alle narici un po' di mollica di pane fresco. È antichissimo l'uso gastronomico della senape. Columella, de re rustica, ci conservò la ricetta di due salse che componevano i Romani. L'una, quale press' a poco la facciamo noi oggi, e serviva per condire le rape, l'altra con pignola ed amido, che raggiungeva esimia bianchezza, serviva al più nobile uso, di tornagusto per carni lessate e pesci. Galeno suggerisce di renderla dolce. È colla senape che si fabbrica la mostarda e lo si rende più o men dolce coll'unirvi zuccaro, miele o mosto d'uva, mostarda viene da mosto. La senape stuzzica l'appetito, favorisce la digestione e rallegra lo spirito. Il filosofo Kant usava masticarne i semi per rinvigorire la memoria. La senape serve in medicina a farne i così detti senapismi, e se ne cava un olio risolutivo. È eminentemente antiscorbutica. Lo storico Ray narra che all'assedio della Rocella, dove lo scorbuto aveva già colpito centinaia di soldati, la malattia si arrestò prontamente, facendo prendere a tutti come rimedio e preservativo l'infusione di senape nel vino bianco. Dietro ciò l'ammiragliato d'Olanda, prescrisse che tutti i vascelli dovessero sempre portarne seco sufficiente provvigione. La Scuola Salernitana dice della senape:
, fresco, sostanzioso. Il seme va gettato rado e coperto leggermente e vanno sradicate le pianticelle troppo vicine, sarchiate se bisogna. Il raccolto si
Il susino o prunoè una pianta indigena a foglie caduche, originaria dell'Asia. Le qualità migliori seguono il clima della vite. Da noi resiste ovunque all'aperto e sui monti fino a 400 m. Fiorisce a metà aprile e matura, a seconda delle varietà e posizioni, dal luglio a tutto ottobre. Soffre l'ombra, ama terreno fresco, non umido. Si propaga per polloni, ma meglio per nocciolo e per innesto. Infinite le sue varietà, alcune delle quali si consumano verdi ed altre meglio si prestano ad essere essiccate. Noto la Mirabella (brugna gialda) che matura alla fine di luglio. La Damascena, originaria di Damasco portata dal duca d'Anjou al tempo delle Crociate, nome che si corruppe poi in d'amoscina, moscina e volgarmente massina, e da noi per eccellenza la nera (Prunus domestica ungarica). — La Regina Claudia (brugna Sancló) grossa e piccola, che matura in agosto, e la Settembrina, ecc. Nel linguaggio delle piante significa: Promessa. Il raccolto delle susine da conservarsi deve farsi delicatamente, a mano, quando sono asciutte dalla rugiada e dalla pioggia. La susina è nutriente quanto il fico, è di facile digestione e costituisce un cibo grato, sì fresca la state, che essiccata nel verno. Sotto questa forma ne fanno attivo e proficuo commercio diversi paesi meridionali d'Italia e di Francia. Quelle di Palermo e di Provenza sono le più stimate. Si conciano al giulebbe, servono nei ragouts e nei ripieni delle pollerie,, massime del pollo d'India, al quale levano quella certa ruvidezza e selvatichezza di sapore che possiede la sua carne. Si conservano nello spirito, aromatizzate e confettate. In Germania, nella Lorena e nella Svizzera se ne fabbrica alcool, i tedeschi lo chiamano Zwetschker-wasser. Gli Ungheresi Sligowitz e in Transilvania Raki. In farmacia, massime della qualità damascena, se ne fa conserva e polpa, che viene spesso a surrogare, con innocente falsificazione, quella dei tamarindi e cassia e che non è meno rinfrescante e lassativa. Serve pure a preparare, come ingrediente principale, l'elettuario lenitivo, giova agli stitici, onde quel proverbio: mangiando di molte susine, saran di quaresima molt' erba. Ario morì d'una scorpacciata di susine. Il legno è durissimo e serve egli intarsiatori. La Scuola Salernitana, dice:
linguaggio delle piante significa: Promessa. Il raccolto delle susine da conservarsi deve farsi delicatamente, a mano, quando sono asciutte dalla rugiada e
I pomodori ripieni di riso hanno molto buone qualità: tra le quali quelle di costar poco, di essere appetitosi e di potersi preparare qualche ora prima, poichè son migliori freddi che caldi. Scegliete dei pomodori piuttosto grossi, tagliateli orizzontalmente in due parti, di cui la superiore, il coperchio, dovrà essere molto minore della inferiore. Servendovi di un cucchiaino, liberate i fondi dai semi e dal sugo che raccoglierete in una scodella, e ponete questi fondi in una teglia, uno vicino all'altro. Condite queste specie di scatole con sale, pepe, un pizzico di zucchero e un nonnulla di cannella in polvere, e metteteci poi il riso in modo da riempire i vuoti. Sul riso sgocciolate un po' d'olio, e mettete un pizzico di prezzemolo trito. Se credete potrete aggiungere anche qualche pezzetto di aglio tritato finissimo. Rimettete ad ogni pomodoro preparato il suo coperchio, spolverizzate un altro po' di sale, innaffiate con altro olio, e sopra a tutto versate il sugo dei pomodori raccolto nella scodella, facendolo passare a traverso un setaccio o un colabrodo. Si cuociono a forno di moderato calore, oppure sul fornello con poca brace sotto e fuoco piuttosto abbondante sul coperchio. Quando saranno cotti si prendono su con una cucchiaia bucata e si accomodano nel piatto. Invece della cannella, si possono aromatizzare i pomodori con un po' d'origano.
, spolverizzate un altro po' di sale, innaffiate con altro olio, e sopra a tutto versate il sugo dei pomodori raccolto nella scodella, facendolo passare a traverso
e con un piccolo colpetto lo si fa saltare. È un'operazione facilissima che permette di conservare le ciliege intere. Condite le ciliege con tre o quattro cucchiaiate di zucchero e fatele cuocere leggermente: appena un bollo. Sgocciolate le ciliege e con un poco del loro succo bagnate un ettogrammo di mollica di pane di segala che avrete grattato sulla grattugia e raccolto in una scodella. Avrete anche preparato un ettogrammo e mezzo di mandorle secche alle quali col solito sistema avrete tolto la pelle, e le avrete tritate il più minutamente possibile sul tagliere. Unite queste mandorle alla midolla di pane inzuppata di sugo di ciliege e lasciata da parte, e aggiungete ancora nella scodella 50 grammi di cioccolato grattato e la raschiatura di un limone. Ponete adesso in una insalatiera sei rossi d'uovo e 150 grammi di zucchero in polvere e montateli a freddo con un cucchiaio di legno fino ad ottenere una massa soffice e rigonfia. A questo punto aggiungete alle uova il pane, le mandorle e il cioccolato, mescolate ben bene e da ultimo aggiungete delicatamente i sei bianchi che avrete montati a parte in neve ben ferma. Mettete il composto in una teglia di una ventina di centimetri di diametro imburrata e infarinata. Sul composto di uova adagiate le ciliege e passate la teglia in forno leggero per circa un'ora.
di mollica di pane di segala che avrete grattato sulla grattugia e raccolto in una scodella. Avrete anche preparato un ettogrammo e mezzo di mandorle
Mettete il ribes sopra un setaccio, spremetelo con le mani, e raccogliete in una terrina il sugo del grazioso frutto a grappoli. Pesate il sugo raccolto e uniteci lo stesso peso di zucchero; versate tutto in un caldaino di rame non stagnato e mettete sul fuoco. Lo stagno altera il colore di alcune qualità di frutta, e noi appunto vi consigliamo un caidaino non stagnato, che vi riuscirà utilissimo oltre che per cuocere le conserve di frutta, per montare le uova, le chiare in neve, ecc. Circa la cottura delle marmellate e delle gelatine, alcuni fissano un certo numero di minuti. Ora è facile comprendere come questo sistema sia assolutamente falso, poichè il punto giusto di cottura varia con l'intensità del fuoco. Una marmellata o una gelatina insufficientemente cotta fermenta, cotta troppo tende a cristallizzarsi. Occorre dunque procedere con sicurezza, specie quando si lavora un po' in grande, e si desidera fare una discreta provvista. La cottura delle confetture è regolata non da un tempo fissato, ma da un segno infallibile. Si può dire che la cottura passi per due fasi distinte: la evaporazione e la cottura propriamente detta. Nella prima fase l'ebollizione non ha altro ufficio che quello di evaporare l'acqua di vegetazione che le frutta contengono: qui dunque il fuoco può essere brillante. Nella seconda fase entriamo nella vera amalgama delle frutta con lo zucchero, e sarà prudente diminuire un poco la forza del fuoco. Man mano che la schiuma si forma alla superficie converrà toglierla accuratamente.
raccolto e uniteci lo stesso peso di zucchero; versate tutto in un caldaino di rame non stagnato e mettete sul fuoco. Lo stagno altera il colore di alcune
Conservazione col freddo. — Il sistema che più generalmente si diffonde per conservazioni su vasta scala è quello del frigorifero, mantenendo cioè le uova in apposite celle fredde in una temperatura tra + 1° e — 1° e con un grado igrometrico del 70 — 75 per cento. Ma anche questo sistema, che ha trovato specialmente in America, la più grande applicazione, non ha per le nostre lettrici che un interesse di curiosità, abbisognando di impianti vasti e costosi. I professori Venturoli e Franceschi hanno raccolto in una loro pregevole pubblicazione alcuni dati sui risultati ottenuti con i diversi sistemi di conservazione. Risulta da questo specchio che i metodi migliori sono: quello alla vaselina, quello al silicato e quello all'acqua di calce, al quale noi aggiungiamo quello all'olio perchè più pratico per piccole quantità. Del resto le nostre lettrici potranno, in base a questa nostra esposizione, fare qualche piccolo esperimento che permetterà loro di constatare, con poca spesa, quale metodo risponda più perfettamente ad una buona conservazione casalinga ed economica.
e costosi. I professori Venturoli e Franceschi hanno raccolto in una loro pregevole pubblicazione alcuni dati sui risultati ottenuti con i diversi
Ciò fatto, si spenge la lampada e si aggiunge nella provetta, dove si è raccolto il prodotto della distillazione, tant' acqua distillata, quanta ne occorre per raggiungere il livello segnato nella parte superiore (a), valendosi a tale scopo della pipetta già accennata (2/20). Si dibatte allora la miscela mediante agitatore di vetro e vi si immerge simultaneamente l'alcoometro F (che è soltanto una parte di quello centesimale di Gay-Lussac descritto al 74, perchè ne porta le sole 30 prime gradazioni) ed il termometro ad alcool G; il secondo servea correggere le indicazioni del primo. Si notano entrambe le indicazioni avute dai due strumenti e si cerca nella tavola esistente entro la cassetta (e riportata nella tabella VI dell'appendice) la quantità centesimale d'alcool contenuta nel vino esaminato. Giova avvertire che l'alcool ottenuto deve avere l'odore ed il sapore grato di quello etilico e ricordare l'aroma speciale del vino sottoposto alla distillazione; quando invece i vini hanno subito qualche malattia, l'odore ed il sapore cambiano, riuscendo più o meno sgradevoli.
Ciò fatto, si spenge la lampada e si aggiunge nella provetta, dove si è raccolto il prodotto della distillazione, tant' acqua distillata, quanta ne
Il Rapunzolo o rapenzolo è una radice erbacea della grossezza del mignolo, perenne, indigena, bianca, fragile, carnosa e tenera. Dà fiori da Maggio a Settembre di un turchino pallido in pannocchia terminali: à seme minutissimo. Il suo nome dalla sua somiglianza colle rape. Si propaga meglio dividendo gli stelloni o la sua radice. Vuole terra leggera e alquanto sabbiosa, esposizione fresca ed ombrosa. Cresce naturalmente intorno alle roccie, ai vecchi muri e nei prati di montagna. Codesta radice è mangereccia, saporita e di bon gusto, ad alcuni riesce un pò indigesta. E fiori e radici forniscono una delle più delicate insalate. Si usa molto in Toscana e massime a Firenze. Si mangia tanto cruda che cotta ed anche fritta. Merita di essere coltivata negli orti per la sua bontà. Il raccolto si fa da Gennajo a Febbrajo e si continua fino a che le piantine non emettano il fusto seminale. Coltivata diviene più grossa. À virtù alquanto tonica. Plinio la chiama Rapa Sylvestre. I Francesi: Petite raiponce de Carême. Un giornale francese raccontava che Béranger era ghiotto di questa radice e ch'era la delizia delle sue dinettes primaverili.
coltivata negli orti per la sua bontà. Il raccolto si fa da Gennajo a Febbrajo e si continua fino a che le piantine non emettano il fusto seminale
Scelta delle farine. In campagna, gli è quasi sempre necessario che il pane sia fatto in casa. Spesso pure la padrona di casa fa cuocere il pane già fatto colle farine del frumento raccolto sulla sua proprietà; allora ella conosce la qualità del grano, quella della farina, e quanto pane riesca da una data quantità di farina; può in conseguenza regolare le condizioni della confezionatura del pane. Non deve quindi mai far macinare una grande quantità di frumento in una volta, perchè, massime durante i forti calori della state, il grano si consuma sempre meglio della farina. Allorquando, per fare il pane in casa, si deve comperare la farina, bisogna sceglierla assai molle al tatto, lievemente tinta di un giallo chiaro, aderente al dito quando lo s'immerge, rimanendo come in pallottolina senza polverizzarsi immediatamente quando se ne comprime una data quantità nel palmo della mano. Questi sono i caratteri della bella farina di frumento di prima qualità. Quella di seconda è meno bianca, ed offre una tinta di giallo sporco, cadendo in polvere quando si comprime fra le dita. Nella farina di qualità affatto infima si distingue una certa quantità come di puntini grigi. La farina di segala, più ancora di quella di frumento, deve essere scelta quando è di recente macinata, il che si rileva dall'odore che le è proprio e che ricorda quello delle viole; se invecchia, quell'odore lo perde. Nei paesi dove il frumento non è ad un prezzo tanto elevato, si fa il pane per le famiglie colla farina di frumento senza miscuglio, ma il più sovente questo pane è fatto con miscuglio di farine di frumento e di segala; le proporzioni ordinarie variano da un quarto ad un terzo di farina di segala. Ben lungi del guastare il pane, una dose moderata di farina di segala ne migliora la qualità; lo fa meno bianco e di un sapore più gradevole, senza fargli perdere alcune delle sue proprietà nutritive. Soltanto non conviene, come ciò accade spesso, far macinare insieme il frumento colla segala; il pane di queste due farine lieva meglio ed è più buono allorquando, nell'impastarlo, vengono separatamente gramolate.
fatto colle farine del frumento raccolto sulla sua proprietà; allora ella conosce la qualità del grano, quella della farina, e quanto pane riesca da
Frutta. Benchè le frutta non sieno considerate come alimento d'indispensabile necessità, sono per la maggior parte tanto salubri che gradevoli al palato, ed il consumo delle frutta, sia fresche che cotte, contribuisce a mantenere la salute, specialmente nel verno, quando l'insieme degli alimenti è meno refrigerante che durante la bella stagione. Per tal motivo, ogniqualvolta lo permettano le circostanze, è utilissimo di fare una buona provvisione di frutta che possano custodirsi, scegliendo le specie la cui conservazione riesce più facile. In questa provvisione quelle da preferirsi sono le pere e le mele. La buona conservazione di queste due qualità di frutta dipende in gran parte dal modo con cui se ne fa il raccolto. Per cui, non v'è cosa meno giudiziosa di quella di far raccogliere, come generalmente si usa, tutte le mele e le pera in uno stesso giorno. Non solo tutte le specie di queste due frutta, che sono presso a poco della medesima stagione, non maturano esattamente ed in pari tempo, ma benanche tutte le frutta di uno stesso albero non giungono nello stesso tempo a maturità, quelle che trovansi nei rami interni, avendo meno ricevuto l'aria ed il sole, non devono essere côlte che dieci o quindici giorni dopo le altre. L'indizio più certo che è giunto il momento di raccogliere la più gran parte di frutta da un albero, si è quello in cui, in un tempo calmo, alcune frutta perfettamente sane naturalmente cadono dall'albero.
pere e le mele. La buona conservazione di queste due qualità di frutta dipende in gran parte dal modo con cui se ne fa il raccolto. Per cui, non v'è
Zucchero acidulato per bevande. Il succo di certe frutta, come ribes, ciliegie, lamponi, aranci, limoni, misto con acqua e zucchero, porgono una bibita aggradevole e refrigerante. Bisogna supplirvi con zuccheri acidulati, che hanno il vantaggio di conservarsi per tutto l'anno, e di fornire in ogni stagione le bibite che non si ottengono coi succhi delle frutta se non al momento in cui sono in piena maturità. Ecco in qual modo si procede per preparare gli zuccheri acidulati. Il ribes, a mo' d'esempio, bisogna sgranarlo, stiacciarlo, e, dopo averne raccolto il succo, si passa e si mescola con quattro o cinque volte il suo peso di zucchero ridotto in polvere. Con tale miscuglio si forma una pasta granita che si fa poco a poco asciugare entro una stufa moderatamente riscaldata, e che in seguito si polverizza per conservarla entro fiasche di vetro bene tappate. Quando si vuol far uso di questo zucchero ben acidulato, se ne diluisce due cucchiai da caffè in un bicchiere d'acqua e si ottiene una bibita tanto gradevole come quella che si può ottenere dal succo di ribes fresco. Si segue presso a poco lo stesso processo col lampone, colle ciliegie, gli aranci e i limoni. Soltanto che alle ciliegie, prima di stiacciarle, bisogna levare i noccioli; si sofirega un pezzo di zucchero sull'esterna scorza degli aranci e dei cedri, e poi si pesta questo zucchero per aggiungerlo a quello polverizzato che fosse stato frammisto al succo degli aranci o dei cedri, e che si fosse, come già dicemmo, essiccato in una stufa.
preparare gli zuccheri acidulati. Il ribes, a mo' d'esempio, bisogna sgranarlo, stiacciarlo, e, dopo averne raccolto il succo, si passa e si mescola con
Prendete, mettiamo, un pezzo corto e grosso di magro di vitella o di manzo, nella coscia o nel culaccio, ben frollo e del peso di un chilogrammo all'incirca; steccatelo con grammi 30 di presciutto grasso e magro tagliato a fettine. Legatelo collo spago per tenerlo raccolto e mettetelo in una cazzaruola con grammi 30 di burro, un quarto di una cipolla diviso in due pezzi, tre o quattro costole di sedano lunghe meno di un dito ed altrettante striscie di carota. Condite con sale e pepe e quando la carne avrà preso colore, voltandola spesso, annaffiatela con due piccoli ramaiuoli d'acqua e tiratela a cottura con fuoco lento lasciandola prosciugare molta parte dell'umido; ma badate non vi si risecchi e diventi nera. Quando la mandate in tavola passate il poco succo rimasto e versatelo sulla medesima che potrete contornar di patate a spicchi rosolati nel burro o nell'olio.
'incirca; steccatelo con grammi 30 di presciutto grasso e magro tagliato a fettine. Legatelo collo spago per tenerlo raccolto e mettetelo in una
Viene poi passato oltre una pezzuola di tela od uno staccio molto fisso, mestolandolo mentre si raffredda. Questa sorte di grasso di bue s'adopera per le pietanze di brodo e per legumi. Il grasso di midollo tagliato crudo, s'adopera specialmente per le pietanze farcite, oppure liquefatto per le minestre, nonchè bollito nel brodo al pari del suaccennato grasso di bue. Col grasso dell'arrosto che dà particolarmente alle salse un ottimo gusto, bisogna andar cauti, perchè facilmente guasta le vivande causa il soverchio sale; eccellente però per tutte le pietanze di carne e il grasso di cappone o d'oca liquefatto o raccolto nella leccarda. Il grasso più importante è il lardo perchè adoperabile come condimento per carni legumi nonchè per alcune minestre; lo si sostituisce al burro per condire diverse vivande e lo si usa per la preparazione delle insalate ecc. Il lardo fresco s'adatta meglio per pietanze farcite, per condire piselli e lo sterz ecc.; l'affumicato o quello asciugato all'aria viene adoperato tutto l'anno e in tutti i modi, sopratutto per lardellare.
d'oca liquefatto o raccolto nella leccarda. Il grasso più importante è il lardo perchè adoperabile come condimento per carni legumi nonchè per alcune
21. Galantina di petto di vitello. — Levate con diligenza gli ossi a chilogr. 1 ½ di petto di vitello badando che la pelle rimanga intatta. Pestate nel mortajo 250 gr. di coscia di vitello prima passata alla macchina, unitevi un battutino di 70 gr. di lardo, pepe e sale schiacciato con una fesa d'aglio, stendetela sul petto (lasciando la pelle di fuori) e sovrapponetevi una lista di lardo, una lista di tartufi, una lista di lingua salata e cotta, una lista di prosciutto, tutto questo tagliato in forma di chiodini. Aggiungetevi ancora, per il colore, il tuorlo sodo di 2-3 uova (certuni prendono dei chiodini di carota, ma è più bello l'effetto del sapore) e un pugnetto di pistacchi. Rotolate esattamente il petto, cucitelo come dicemmo al N.° 20, legatelo con uno spago, salatelo esternamente, involgetelo in un pezzo d'organdis. Collocate questo salsiccione in una cazzarola in cui avrete raccolto gli ossi del petto, una cipolla tagliata in croce, un po' di prezzemolo, mezzo limone, una carota, un pezzo di radice di sedano e quelle altre erbe che più v'aggradano ; copritelo di brodo. Dopo due ore di lenta cottura levate la galantina e ponetela sotto un peso fra due assicelle.
avrete raccolto gli ossi del petto, una cipolla tagliata in croce, un po' di prezzemolo, mezzo limone, una carota, un pezzo di radice di sedano e
Manicaretti di beccacce e beccaccini. — Si facciano cuocere due beccacce, ponendovi sotto un tondo onde raccogliere l'unto eh'esse rigettano, il quale servir deve per formare la salsa. Allorquando son quasi cotte, levar devonsi dallo spiedo e lasciarle raffreddare. Si taglieranno allora le ali, coscie, petto, testa e collo, levandone in seguito la pelle, eecezion fatta del collo e della testa, e si metteranno in una casseruola con molto burro onde tenere il tutto ben caldo. La parte avanzata dev'essere stritolata, aggiungendovi l'unto raccolto, un pizzico di prezzemolo, quattro cipollette, uno spicchio d'aglio tritato, una foglia di lauro, timo, pepe e sale, facendone un perfetto miscuglio. Dopo di che versar devesi la miscela in casseruola con un pezzo di burro, rimestandola per dieci minuti, e versandovi entro un bicchiere di vino bianco e un cucchiaio di succo o brodo, lasciandola cuocere per altri dieci minuti. Si passi poi per stamigna onde ottenere un succo ben limpido, e si tenga caldo senza lasciarlo bollire, aggiungendovi un pezzo di burro, oppure un poco d'olio d'oliva, onde versarlo sulle parti della beccaccia allorquando dev'essere servita.
onde tenere il tutto ben caldo. La parte avanzata dev'essere stritolata, aggiungendovi l'unto raccolto, un pizzico di prezzemolo, quattro cipollette