Prendasi la quantità necessaria di pollastri, ai quali si leverà tutta la polpa del petto oppure ciò che è molto più facile ed economico è di procurarsi un paio di pezzi di polpa di petto di tacchina, cui si estrarranno tutti i nervi; poscia queste polpe si mettano nel mortaio, col pestello si battano molto bene, e secondo la quantità dei cotichini che dovranno farsi, vi si metta della mollica di pane di semola inzuppata nel latte, unitamente ad un piccolo pisto di erbe aromatiche come di prammatica, un poco di sale, qualche garofano pestato in polvere non più di tre o quattro, un poco di noce moscata, tre o quattro tuorli d'uovo ed un pezzo di buon burro: si mischia e si sbatte bene assieme il tutto, il che fatto si leva dal mortaio e si mette a parte in un piattino. Prendansi poi di quei budellini di cui si servono i pizzicagnoli per fare la salsiccia, si mettano in acqua fresca, mutandogliela spesso, avvertendo che vi entri anche dentro, acciò vengano ben puliti; stati che sieno per due ore in immersione si levino, si distendano sopra di un panno ben pulito, si gonfino e con un'imbuto da far salsiccie si riempiano bene con tal composto, pigiandolo bene col dito grosso, e facendone la quantità che sarà necessaria. Terminato che siasi di riempirli, si leghino con filo, di distanza in distanza, come si usa colla salsiccia: terminata questa operazione, si metta a bollire dell'acqua in una casseruola nella quantità sufficiente, e quando bolle fortemente, vi si gettino dentro ad un tratto i cotichini e un poco di sale; ripreso che abbiano il bollore e che vengono a galla, si lavino e si mettano in acqua fresca: si prenda un foglio assai grosso di carta, si unga ben bene di burro, si ponga sopra la gratella accomodandovi dentro i cotichini, ed a fuoco lento si facciano terminare di cuocere, rivoltandoli spesso, tenendoli così per un'ora. Quando saranno in ordine, si accomodino con bel garbo nel piatto, si contornino con foglie di sedano fritte, e ben caldi si servano in tavola.
ad un tratto i cotichini e un poco di sale; ripreso che abbiano il bollore e che vengono a galla, si lavino e si mettano in acqua fresca: si prenda un
Ammucchiate a fontana la farina sul tagliere, lasciandone un pugno da una parte; mettete nel centro quattro uova e circa tre o quattro cucchiai di acqua tiepida leggermente salata. Fate assorbire alle uova con una forchetta parte della farina, poi impastate con le mani, lavorando energicamente con il palmo e incorporando, se occorre, la farina che avete messo da parte. La pasta sarà pronta quando risulterà ben liscia e farà come delle bolle d'aria. Dividetela in due pezzi, mettete uno di questi pezzi sulla tavola infarinata e tiratela finissima col matterello, badando di dare alla sfoglia una forma rotonda. Procedete nello stesso modo anche per la seconda sfoglia fatta col mucchietto che avevate messo prima da parte. Lasciate asciugare ora le sfoglie qualche tempo, poi infarinatele e arrotolatele una indipendentemente dall'altra. Con un coltello affilato affettate questi rotoli allo spessore di circa un centimetro (o più sottile se è da fare in brodo). Finita l'operazione fate saltellare le tagliatelle tra le mani in modo che si aprano. Appoggiatele poi sofficemente su una tovaglia e lasciatele seccare almeno qualche ora. Cuocetele in abbondante acqua salata e toglietele dal fuoco quando, dopo aver ripreso il bollore, saranno venute a galla. È sempre bene assaggiarle per assicurarsi che la cottura vada bene. Potrete condire a piacere con burro fuso e parmigiano, ragù, salsa di pomidoro o di funghi o sugo d'arrosto.
quando, dopo aver ripreso il bollore, saranno venute a galla. È sempre bene assaggiarle per assicurarsi che la cottura vada bene. Potrete condire a
Mettete sull'asse la farina disposta a fontana, rompetevi nel mezzo quattro uova, aggiungetevi sale e un gocciolino d'acqua fredda e lavorate con le mani fino ad ottenere una bella pasta liscia e di giusta consistenza. Col mattarello tirate la pasta molto sottile. Avrete intanto preparato un ripieno, tritando finemente midollo, mortadella e manzo (meglio se potete passare il tutto nel tritacarne) e impastatelo col formaggio e l'uovo. Ora prendete il pieno e disponetelo su una linea diritta sull'orlo della sfoglia in mucchietti regolari alla distanza di circa quattro centimetri uno dall'altro. Rivoltate la pasta in modo da ricoprire la fila di pieno, schiacciate leggermente con un dito la pasta tra un mucchietto e l'altro di ripieno; tagliate ora con un bicchiere (o con l'apposita formula), ben infarinato, la pasta intorno al ripieno in modo da ottenere come delle mezzelune; premete bene sugli orli, in modo che cuocendo non si aprano, e lasciate riposare e seccare per qualche ora, posandoli su una salvietta asciutta. Mettete a bollire una pentola con abbondante acqua salata, e quando bolle gettatevi i ravioli a pioggia. Quando vengono a galla sono cotti, ma assaggiateli prima di toglierli dal fuoco. Scolateli e conditeli con burro e formaggio.
una pentola con abbondante acqua salata, e quando bolle gettatevi i ravioli a pioggia. Quando vengono a galla sono cotti, ma assaggiateli prima di
Per ottenere gnocchi gustosi e soffici occorre una zucca di buona qualità, dolce e non acquosa. Spellate la zucca, togliete la parte spugnosa, dove sono i semi, e lessatela in acqua salata. Quando è ben cotta schiacciatela, unite il sale, le uova, la farina ed un bicchiere di latte. È difficile dare la dose esatta della farina e del latte, perchè dipende dalla maggior o minor farinosità della zucca. Quando avrete ottenuto un impasto ben amalgamato e di media consistenza, formatene delle pallottole, infarinatele e gettatele in abbondante acqua salata bollente. Vi consigliamo di tenere la farina piuttosto scarsa e di provare a mettere a bollire un solo gnocco; potrete in tal modo rendervi conto se è necessario o meno di aggiungere nuova farina. Tenete presente che la farina oltre a tenerli assieme indurisce i gnocchi. Quando vengono a galla, toglieteli con la schiumarola e conditeli con burro fritto e parmigiano grattugiato.
farina. Tenete presente che la farina oltre a tenerli assieme indurisce i gnocchi. Quando vengono a galla, toglieteli con la schiumarola e conditeli con
Un bel pezzo di manzo fornisce un buon brodo e un lesso gustosissimo, occorre però saper scegliere la parte adatta. I tagli migliori per avere un ottimo brodo sono: la spalla, il petto, la copertina, il fianchetto, la culatta, la coscia e le costole. La maniera migliore per fare il lesso è di mettere la carne nella pentola con acqua fredda salata. Quando questa bolle si toglie la schiuma che viene a galla, e si lascia cuocere lentamente dopo avervi unito un gambo di sedano, una carota gialla, una cipolla e un pomodoro. Il tempo di cottura non si può stabilire con precisione poichè dipende sia dal pezzo più o meno grosso della carne, sia dalla qualità; comunque è sempre più di tre ore circa. Se preferite trascurare un po' il sapore del brodo e avere invece un bollito di manzo più saporito, immergete la carne in acqua calda salata.
mettere la carne nella pentola con acqua fredda salata. Quando questa bolle si toglie la schiuma che viene a galla, e si lascia cuocere lentamente dopo
Allargate le fettine di carne sul tavolo, su di ognuna ponete mezza acciuga lavata e spinata, un pizzico di prezzemolo trito e un po' di pepe. Arrotolate le fettine in modo da formare tanti salsicciotti che infilerete a due a due su degli stuzzicadenti. Infarinate leggermente questi salsicciotti, metteteli in una teglia con un po' d'olio e fateli rosolare bene da tutte le parti, spruzzateli col vino e quando questo sarà evaporato aggiungete i funghi (precedentemente rammorbiditi in acqua fresca e ben puliti) e un po' d'acqua. Coprite il tegame e fate cuocere a fuoco moderato per una mezz'ora circa. A cottura ultimata il liquido non deve essere nè troppo lento nè troppo ristretto. Collocate gli involtini in bell'ordine sul piatto di portata togliendo gli stecchini, passate la salsa in una piccola casseruola, con un cucchiaio togliete un po' della parte oleosa che verrà a galla, unite a questa salsa i capperi e i cetriolini tagliati a fette sottili e versate ogni cosa sugli involtini.
togliendo gli stecchini, passate la salsa in una piccola casseruola, con un cucchiaio togliete un po' della parte oleosa che verrà a galla, unite a
Togliete la scorza e la feccia alla zucca, tagliatela a pezzi e fatela lessare in poca acqua salata bollente. Toglietela e fatela ben scolare. Schiacciatela col cucchiaio di legno e incorporatevi la ricotta, le uova, metà del formaggio, sale e spezie. Amalgamate bene tutto e lasciate riposare. Preparate una casseruola della capacità di due litri piena d'acqua bollente leggermente salata. Formate delle polpette col pieno, grosse come un mezzo uovo, infarinatele rapidamente e tuffatele a 5 o 6 per volta nell'acqua a forte bollore. Lasciatele venire a galla e con la schiumarola fatele rivoltare. Dopo due minuti circa toglietele e mettetele scolate su di un piatto caldo. Continuate l'operazione finchè le avrete tutte scottate. Collocatele allora ben asciutte in una tortiera ben unta di burro fuso, mettetevi sopra dei fiocchetti di burro, informaggiatele e passatele al forno caldo per 10 minuti.
uovo, infarinatele rapidamente e tuffatele a 5 o 6 per volta nell'acqua a forte bollore. Lasciatele venire a galla e con la schiumarola fatele rivoltare
Togliete alle bietole le coste che vi serviranno per altro uso. Lavatele, fatele lessare in poca acqua salata. Quando sono cotte fatele scolare e premetele forte finchè perdano tutta l'acqua di vegetazione. Mettetele in una ciotola di terra, buttatevi sopra 2 uova, il formaggio, la ricotta, sale necessario, poco pepe e spezie. Impastate molto bene finchè non si sia tutto amalgamato e mettete in disparte. Sulla tavola mettete la farina, fate la fontana e mettetevi le 2 uova avanzate. Impastate aggiungendo acqua tiepida necessaria per fare una bella pasta solida da spianare sottile col matterello o a macchina. Con un tagliapasta formate tanti dischi grandi abbastanza per contenere una cucchiaiata colma del composto di bietole. Ripiegateli a metà e con le dita premete gli orli in modo che il ripieno non possa uscire e formate come una crestina. Avrete intanto messo al fuoco una pentola con acqua salata. A forte bollore tuffate i tortelli e attendete che vengano a galla. Mescolateli alcune volte in modo che cuociano uniformemente. Per la cottura basteranno pochi minuti. Se non avete una pentola grande abbastanza (ricordate che i tortelli crescono molto cuocendo) fateli cuocere in più volte. Toglieteli con una schiumarola e, ben scolati, deponeteli su un piatto fondo condendoli di mano in mano con abbondante formaggio e burro fuso. È questa una operazione che va fatta rapidamente. Meglio se avete la possibilità di mettere il piatto preparato per pochissimi minuti nel forno perchè i tortelli sono buoni molto caldi.
acqua salata. A forte bollore tuffate i tortelli e attendete che vengano a galla. Mescolateli alcune volte in modo che cuociano uniformemente. Per la
Bisogna sempre scegliere frutta sana e matura. Preferibilmente la cottura dovrebbe essere fatta in recipiente di rame, perchè lo zucchero non bruci. La cottura deve essere veloce e bisogna aver cura di togliere le impurità che vengono a galla. I barattoli devono essere pulitissimi e leggermente riscaldati. Per coprirli vi sono diversi sistemi. Primo; coprire i barattoli ancora bollenti; in tal caso tagliate dei dischi di carta più grandi dell'apertura, imbeveteli di albume d'uovo e metteteli subito sull'apertura. Il calore coagula l'albumina e la carta rimane aderente. Secondo: lasciate i barattoli scoperti per due giorni e poi coprite la superficie della marmellata con un disco di carta imbevuto di glicerina pura o di alcool. Con un altro disco più grande legato con uno spago completate la chiusura. Terzo; la paraffina pura. Fate sciogliere a fuoco leggero e versatene uno strato sottile sulla marmellata quando è fredda. Solidificandosi la paraffina forma uno strato impermeabile.
. La cottura deve essere veloce e bisogna aver cura di togliere le impurità che vengono a galla. I barattoli devono essere pulitissimi e leggermente
Prendete delle olive verdi fresche, stendetele su una tela di sacco per un giorno, e sceglietele in modo che non ve ne siano di macchiate. Poi il giorno dopo mettetele in una giara con dell'acqua sufficiente a coprirle e lasciatevele per due o tre giorni, scolate quest'acqua, e sostituitela con 27 litri di acqua che avrete fatto bollire con 2 chili e 700 grammi di sale (27 litri è il contenuto di una giara) e con qualche rametto di finocchio (che poi leverete dopo qualche giorno). Sopra posatevi un piatto per impedire che le olive vengano a galla. Tenetele guardate e fate attenzione che siano sempre ben immerse nell'acqua, se è necessario, aggiungetene man mano (sempre bollita col sale). Col tempo, sopra l'acqua si formerà un velo che schiumerete con il mestolo bucato. Dopo una settimana circa, cambiate tutta l'acqua sostituendola con altri 27 litri bolliti con il solito quantitativo di sale. Così le olive si possono conservare a lungo e quando vorrete servirvene, non avrete che sciacquarle un momento sotto l'acqua corrente.
(che poi leverete dopo qualche giorno). Sopra posatevi un piatto per impedire che le olive vengano a galla. Tenetele guardate e fate attenzione che siano
125. Ravioli d'erba alla toscana. Prendete una quantità di bietole, levate loro le grosse costole, lavatele, bollitele assai bene coll'acqua, e quando sono cotte gettatele in altra acqua fresca; spremetele, e con coltella o lunetta sopra un tagliere trinciatele sottilmente. Ponetele dipoi in un tegame, aggiungetevi quattro uova fresche, 50 gram. di parmigiano grattato, 75 gram. di ricotta o di latte cagliato, un poco di noce moscata grattata e sale; spargete quindi della farina sopra una tavola ben pulita, ponetevi a piccole porzioni detto impasto, e col palmo della mano voltolandole ne formerete altrettante pallottole della grossezza d'una noce, che avrete cura d'infarinare bene. Quando son tutti fatti, gettateli in una pignatta di brodo bollente, ma pochi alla volta. Osservate che vi sia molto fuoco acciò non cessi il bollore; ed allorchè son tutti venuti a galla, levateli con diligenza con mestoli di latta bucata. Quando siano ben scolati conditeli suolo per suolo come gli agnellotti (n. 119).
bollente, ma pochi alla volta. Osservate che vi sia molto fuoco acciò non cessi il bollore; ed allorchè son tutti venuti a galla, levateli con
Il Tartufo è il tubero dalla superficie oscura e scabra, dall'interno chiaro e scuro, a seconda della qualità, dall'odore aromatico, dal sapore superlativamente ghiotto. La storia del tartufo è d'una antichità pressochè biblica. Ma concesso pure che i Dudhaïm portati a Lia dal figlio Ruben non fossero tartufi, come pretendono Carduque e Daniel, è certo che gli Orientali, nelle loro regioni sabbiose, ànno conosciuto di bon' ora il tartufo del deserto, quello che i Siri di Damasco, al dire di Chabreus, trasportavano sui camelli e che è ancora, per gli Arabi dell'Algeria, un cibo ricercato. Le conquiste, le emigrazioni ed il comercio ne estesero l'uso ai Greci e poi ai Romani. Aristotile e il suo discepolo Teofrasto, tre secoli avanti l'êra volgare, divinaro la sua natura vegetale e autonomica, anzi quest'ultimo dice, che a Mitilene crescevano per le inondazioni del Tiaris che vi portava le sementi di queste produzioni sotterranee, ch'egli chiama mysi. Plinio, eco dei pregiudizii del suo tempo e di quelli di Plutarco, racconta che Laerzio Licinio Pretore di Spagna, in Cartagine si ruppe gli incisivi masticando un tartufo che conteneva una moneta e chiama il tartufo un bitorzolo, un'escremento della terra, vitium terrœ. E per molto tempo, suffragante la dottrina di Galeno, indusse l'errore, che i tartufi fossero l'effetto dell'azione combinata degli elementi e del tuono, e si chiamavano gênègès, ossia figli della terra e degli Dei. Una serie di spropositi accompagnarono il tartufo attraverso il Medio Evo fino a noi. Chi lo chiamò un fungo, chi asserì fosse una certa tuberosità di alcune radici, chi la trasudazione degli alberi, chi fosse una specie di galla, di muffa — chi infine insegnò fosse un prodotto del morso di certe mosche od insetti su organi vegetali. Non fu che dopo 2000 anni e coll'aiuto del microscopio, che gli scienziati giunsero a persuadersi che il tartufo è un vegetale vivente di vita propria, e che possiede grani, o semi vitali di riproduzione. Claudio Geoffroy nel 1711, fu il primo a darne all'accademia delle scienze in Francia la notizia, e Micheli pochi anni dopo ne dava il disegno. Ammessi i semi, naque naturalmente l'idea di ottenerne la riproduzione artificiale. I primi tentativi vennero fatti nel 1756 da Brandley in Inghilterra, dal Conte di Borch nel 1780 in Piemonte, da Bornholz in Germania nel 1825 e verso il 1828 dal Conte di Noè in Francia. La teoria della riproduzione artificiale, fu sostenuta tra gli altri dal Milanese Vittadini (Monographia tuberculorum. Milano 1831). «Se volete dei tartufi seminate delle ghiande di quercia.» Questo aforismo dal Conte de Gasparin riassume l'esperienza di oltre 60 anni. Nel 1834 un botanico, M. Delastre fece conoscere al Congresso scientifico di Poitiers, il fatto allora paradossale della riproduzione artificiale dei tartufi coi semi di quercia. La scoperta è dovuta ad un semplice contadino, Gaspare Talon, il cui figlio Ilarione è oggi, grazie ai tartufi, milionario. Il campo della scoperta è in Francia e precisamente la pianura detta di Scilla, vicino a Croagne, ove Scilla sbaragliò del tutto i Cimbri ed i Teutoni, dopo la grande vittoria che Mario aveva riportato su quei barbari nelle vicinanze di Aix. Tale scoperta consiste in ciò, che piantando dei semi di quercia, vale a dire rimboscando di quercie il terreno ove alligna il tartufo se ne ottiene una periodica e certa raccolta. Del come poi i semi vengono fecondati e nutriti, del come vengono portati, dove si sviluppano, è ancora l'X incognita degli scienziati. Questo solo si sa, che il tartufo nasce, vive e prospera dovunque prospera la vite, ove il terreno è argilloso calcareo e dove la quercia è la principale vegetazione arborescente del paese. Difficilmente lo si trova fuori del raggio degli alberi, sicchè pare, che se non parassita, trovi molto comodo passare la sua vita fra le loro radici. Teme la troppa ombra e l'asciutto. Le sue simpatie sono per la Quercus Alba, la Coccifera o Kermes, l'Ilex, la Peduncolata, la Ruber (rovere).
alberi, chi fosse una specie di galla, di muffa — chi infine insegnò fosse un prodotto del morso di certe mosche od insetti su organi vegetali. Non fu che
La Coffea Arabica è un grazioso arboscello, ramosissimo, sempre verde, originario dall'Arabia e particolarmente dall'Abissinia Galla e Kaffa, dove anche oggi si trova allo stato selvaggio. Dà fiori candidi, olezzanti in Luglio ed Agosto, simili a quelli del gelsomino di Spagna. Ai fiori succedono bacche rosse come le ciliege, che maturano 4 mesi dopo la fioritura e che racchiudono due grani o semi. che sono quelli che tostiamo e che ci danno la deliziosa bevanda del caffè. Questi semi quando sono verdi e maturi sono circondati da una polpa dolcigna bona a mangiarsi. Si propaga per seme. Da noi è pianta di serra calda. Nel linguaggio dei fiori e piante: Allegria. Numerose le varietà del caffè, che prendono il loro nome non solo dalla differenza specifica, ma dalla provenienza commerciale e geografica. Generalmente tutte queste varietà si riferiscono a tre tipi: Moka, Borbone e Martinica, che da noi è sostituito col Porto Rico. Il migliore caffè è quello che proviene dalla sua patria primitiva, ma rarissimamente giunge in Europa. Il Moka, o Levante (dal nome del suo antico porto di esportazione) è un prodotto del Yemen montuoso, il suo odore ricorda quello del tè e questo pure rarissimamente ci perviene. E consumato quasi interamente in Turchia, in Asia, in Persia ed in Egitto. Quello che perviene a noi sotto il nome di Moka, è Moka di Zanzibar, di Aden e di Giava a piccoli grani, accuratamente scelto.
La Coffea Arabica è un grazioso arboscello, ramosissimo, sempre verde, originario dall'Arabia e particolarmente dall'Abissinia Galla e Kaffa, dove
NB. — Le conserve di frutta si devono allestire con esemplari sani e che abbiano raggiunto tutti lo stesso grado di maturità, entro un paiolo di rame non stagnato (lo stagno altera i colori) e rimestare con un cucchiaio o con una paletta di legno che non abbiano servito ad altri usi sempre toccando il fondo del recipiente. Lo sciroppo va sempre pulito diligentemente, con una penna bagnata, dalle impurità che porta a galla e contro le pareti del recipiente; le conserve durante la bollitura si schiumano colla massima cura e, appena sono cotte, si versano dal paiolo entro una catinella e da questa nei vasi di vetro che si lasciano due tre giorni scoperti. Trascorso questo tempo si stende sulla conserva un disco di carta imbevuto d'acquavite o di rhum e si coprono i vasi col loro turacciolo o con una carta pergamena. Se dopo qualche mese le conserve apparissero troppo dense, cioè prive di sugo, vi converrebbe aggiungervi un po' di sciroppo di zucchero filante; se fossero troppo liquide potreste cuocerle a bagno maria (mettendo il vaso in una cazzarola piena d'acqua fredda e lasciando poi bollire questa a lungo e rifondendola anche all'occorrenza), se v'apparisse qualche traccia di muffa, dovreste levare questa con diligenza e poi versare la conserva in un piccolo paiolo e rimestarla alcun tempo a moderato calore per poi riporla come prima. Le conserve si cuociono sempre a calore moderato e eguale e si rimestano di continuo acciò non s'attacchino al fondo del paiolo.
il fondo del recipiente. Lo sciroppo va sempre pulito diligentemente, con una penna bagnata, dalle impurità che porta a galla e contro le pareti del
2. Sciroppo di ribes. — Procuratevi 4 chilogr. di ribes rosso ben maturo, sgranate tutti i grappoletti con una forchetta e pigiate fortemente i grani in una scodella, collocateli quindi in uno staccio (badate che la tela non dev'essere nè di rame nè di ottone) e lasciate colare il sugo una notte intera. Il giorno appresso comprimete il ribes a ciò ne esca ancora quel po' di liquido che vi fosse rimasto e pesate questo sugo come dicemmo nella precedente ricetta. Prendete egual peso di zucchero, tagliatelo a pezzi, bagnatelo coll'acqua (un bicchiere per ogni chilogrammo di zucchero) e mettetelo al fuoco in un paiolo di rame non stagnato. (Lo stagno altera il colore delle frutta). Guardatevi dal dimenarlo mentre cuoce, abbiate cura soltanto di levar via, con una penna di volatile bagnata, i rifiuti della bollitura che vengono a galla e si fermano contro le pareti del recipiente. Quando sulla superficie del liquido appaiono bolle grosse e dense le une vicine alle altre, versatevi il sugo di ribes, rallentate il fuoco, schiumate il composto con diligenza come dice la precedente ricetta e, appena cessa la schiuma, riponetelo servendovi delle regole sopraindicate.
di levar via, con una penna di volatile bagnata, i rifiuti della bollitura che vengono a galla e si fermano contro le pareti del recipiente. Quando
1. Peperoni sotto l'aceto. — A questo scopo si scelgono generalmente piccoli peperoni, si mozza loro il gambo, si lavano, si fanno asciugare e un pochino appassire, poi si collocano in una pentola, a strati, spolverizzandoli di sale in abbondanza e, quando la pentola è colma, vi si versa sopra dell'aceto freddo, fortissimo, e si copre ogni cosa con una carta e con un tondino di legno, a ciò i peperoncini non marciscano venendo a galla e sporgendo dal liquido. Di tratto in tratto conviene esaminarli e mescolarli con un cucchiaio di legno. Essi si possono gustare in capo a 6-8 settimane. Volendo renderli più morbidi non avete che a farvi un taglio per il lungo nella punta. Se l'aceto diventasse debole e torbido converrebbe cambiarlo. V'è chi leva ai peperoni anche il piccolo calice verde.
'aceto freddo, fortissimo, e si copre ogni cosa con una carta e con un tondino di legno, a ciò i peperoncini non marciscano venendo a galla e
10. Maniera di preparare i cavoli acidi (crauti). — Procuratevi dei cavoli cappucci di buona qualità, levatene via le foglie grosse, tagliate tutto il resto a minutissime striscioline (vi è la macchina apposita a questo scopo). Collocate sul fondo d'un mastello, munito d'un foro e d'un tappo, uno strato di foglie intere, poi uno strato di striscioline e uno di sale e di spezie regolandovi con queste proporzioni: per chilogr. 50 di cavoli gr. 500 di sale, mezzo gr. di zafferano e 250 gr. di comino, il tutto misto, lo zafferano sciolto con un po' d'acqua. Riempito in tal modo il mastello, mettete sopra i cavoli un pezzo di tela, un coperchino di legno e un grosso peso e collocateli in un luogo asciutto e fresco. Quando comincia a formarsi la salamoia, lasciatela scorrere fuori dal foro, e tornatela a versare sui cavoli, continuando così tutti i giorni finchè l'acqua comincia a sorpassare il coperchio. Allora desistete, ma se venisse a galla un po' di schiuma, affrettatevi a levarla. In capo a due mesi potete cominciare a servirvi dei cavoli, prendendo quelle porzioni che vi occorrono e spremendone sempre il liquido che deve restare nel mastello. La tela che si trova sotto il coperchio si lava ogni settimana e si ripone al suo posto bene asciutta.
il coperchio. Allora desistete, ma se venisse a galla un po' di schiuma, affrettatevi a levarla. In capo a due mesi potete cominciare a servirvi dei
34. Minestra di lenticchie. — Procuratevi buone lenticchie e di facile cottura perchè il tempo di questa varia da una a tre ore secondo la qualità. In ogni modo potrete sempre affrettarla mettendo nella pentola, insieme alle lenti, un sacchetto ben chiuso con entro 2-3 cucchiai di cenere. Le lenticchie si pongono al fuoco nell'acqua fredda (v'è chi ha l'abitudine di lasciarvele giacere prima alcune ore, ma esse perdono il sapore) dopo averle debitamente pulite e lavate che s'intende. Durante la cottura si levano via colla schiumarola quelle che vengono a galla, poi quando l'acqua è in parte evaporata, se si intende prepararle di grasso, ci si mette il brodo. Per allestirle di magro si prepara un battutino fino tritando un paio di cipollette, una carota, un pezzo di radice di sedano, un po' di prezzemolo e di santoreggia (peverella), se ne fa rosolare la metà nell'olio bollente e si diluisce questo soffritto con l'acqua fredda, in cui si faranno cuocere le lenticchie, alle quali va poi aggiunta l'altra metà del battutino crudo con pepe e sale. Potete calcolare per ogni persona una manata di lenticchie, un cucchiaio d'olio, verdure a discrezione. Volendo prepararle alla tedesca, le farete bollire nell'acqua, e vi unirete a metà cottura un po' di brodo di farina abbrustolita (vedi pag. 16 N.° 8), più alcuni cucchiai d'aceto che le lenti gradiscono assai. Una sardella lavata (per ogni persona), diliscata, pestata fina e rosolata nell'olio, dà pure un grato sapore a questa minestra. Servendovi delle sardelle ometterete il sale o per lo meno ne userete con molta cautela.
debitamente pulite e lavate che s'intende. Durante la cottura si levano via colla schiumarola quelle che vengono a galla, poi quando l'acqua è in parte
31. Gnocchi di spinaci. — Cuocete mezzo chilogrammo di spinaci, di biete o di rabarbaro (la parte verde) in una pentola con due o tre cucchiai d'acqua. Tritate bene questo verde, passatelo allo staccio e mescolatevi gr. 300 di pangrattato, due ova intere, tre cucchiai di farina, un po' di sale, una presina di noce moscata, se vi piace, e il latte necessario per farne un pastone di media consistenza che rimesterete con cura. Fate bollire dell'acqua salata in un paiolo, immergetevi un cucchiaio, staccate con questo i gnocchi lunghi e stretti dal pastone e metteteli adagio nell'acqua che terrete a lieve bollore. Quando stanno bene a galla sono cotti. Prima di formarli tutti, tentate la prova col primo gnocco e, se cuocendo si sciogliesse, unite al pastone un tantino di farina. Condimento di burro e di cacio. Per 2-3 persone.
a lieve bollore. Quando stanno bene a galla sono cotti. Prima di formarli tutti, tentate la prova col primo gnocco e, se cuocendo si sciogliesse
La Coffea Arabica è un grazioso arboscello, ramosissimo, sempre verde, originario dall'Arabia e particolarmente dall'Abissinia Galla e Kaffa, dove anche oggi si trova allo stato selvaggio. Dà fiori candidi, olezzanti in luglio ed agosto, simili a quelli del gelsomino di Spagna. Ai fiori succedono bacche rosse come le ciliege, che maturano 4 mesi dopo la fioritura e che racchiudono due grani o semi che sono quelli che tosti[mo, e che ci danno la deliziosa bevanda del caffè. Questi semi quando sono verdi e maturi sono circondati da una polpa dolcigna bona a mangiarsi. Si propaga per seme. Da noi è pianta di serra calda. Nel linguaggio dei fiori e piante: Allegria. Numerose le varietà del caffè, che prendono il loro nome non solo dalla differenza specifica, ma dalla provenienza commerciale e geografica. Generalmente tutte queste varietà si riferiscono a tre tipi: Molta, Borbone e Martinica, che da noi è sostituito col Porto Rico. Il migliore caffè è quello che proviene dalla sua patria primitiva, ma rarissimamente giunge in Europa. Il Moka, o Levante (dal nome del suo antico porto di esportazione) è un prodotto del Yemen montuoso, il suo colore ricorda quello del the e questo pure rarissimamente ci perviene. È consumato quasi interamente in Turchia, in Asia, in Persia ed in Egitto. Quello che perviene a noi sotto il nome di Moka, è Moka di Zanzibar, di Aden e di Giava, a piccoli grani, accuratamente scelto.
La Coffea Arabica è un grazioso arboscello, ramosissimo, sempre verde, originario dall'Arabia e particolarmente dall'Abissinia Galla e Kaffa, dove
Il tartufo è un tubero dalla superficie oscura e scabra, dall'interno chiaro e scuro, a seconda della qualità, dall'odore aromatico, dal sapore superlativamente ghiotto. Nel linguaggio delle piante: Tesoro. La storia del tartufo è d'una antichità pressochè biblica. Ma, concesso pure che i Dudhaïm portati a Lia dal figlio Ruben non fossero tartufi, come pretendono Carduque e Daniel, è certo che gli Orientali, nelle loro regioni sabbiose, ànno conosciuto di bon'ora il tartufo del deserto, quello che i Siri di Damasco, al dire di Chabreus, trasportavano sui cammelli e che è ancora, per gli Arabi dell'Algeria, un cibo ricercato. Questo squisito tubercolo compariva già fra le più prelibate ghiottonerie dei Faraoni. Le conquiste, le emigrazioni ed il commercio ne estesero l'uso ai Greci e poi ai Romani. Aristotile e il suo discepolo Teofrasto, tre secoli avanti l'êra volgare, divinarono la sua natura vegetale e autonomica, anzi quest'ultimo dice, che a Mitilene crescevano per le inondazioni del Tiaris, che vi portava le sementi di queste produzioni sotterranee, eh' egli chiama mysi. Plinio, eco dei pregiudizii del suo tempo e di quelli di Plutarco, racconta che Laerzio Licinio Pretore di Spagna, in Cartagine si ruppe gli incisivi masticando un tartufo che conteneva una moneta e chiama il tartufo un bitorzolo, un escremento della terra, vitium terrae. E per molto tempo, suffragante la dottrina di Galeno, indusse l'errore, che i tartufi fossero l'effetto dell'azione combinata degli elementi e del tuono, e si chiamavano gènègès, ossia figli della terra e degli Dei. Et faciunt lautas optata tonitrua coenas, cantava dei tartufi il Poeta d'Aquino. Una serie di spropositi accompagnarono il tartufo attraverso il Medio Evo fino a noi. Chi lo chiamò un fungo, chi asserì fosse una certa tuberosità di certe radici, chi la trasudazione degli alberi, chi fosse una specie di galla, di muffa, chi infine insegnò fosse un prodotto del morso di certe mosche od insetti su organi vegetali. Non fu che dopo duemila anni e coll'aiuto del microscopio, che gli scienziati giunsero a persuadersi che il tartufo è un vegetale vivente di vita propria, e che possiede grani, o semi vitali di riproduzione. Claudio Geoffroy nel 1711, fu il primo a darne all'accademia delle scienze in Francia, la notizia, e Micheli, pochi anni dopo, ne dava il disegno. Ammessi i semi, nacque naturalmente l'idea di ottenerne la riproduzione artificiale. I primi tentativi vennero fatti nel 1756 da Brandley in Inghilterra, dal Conte di Borch nel 1780 in Piemonte, da Bornholz in Germania nel 1825 e verso il 1828 dal Conte di Noè in Francia. La teoria della riproduzione artificiale fu sostenuta tra gli altri dal milanese Vittadini (Monographia tuberculorum, Milano, 1831). «Se volete dei tartufi, seminate delle ghiande di quercia.» Questo aforismo del conte De Gasparin riassume l'esperienza di oltre sessantanni. Nel 1834 un botanico, M. Delastre, fece conoscere al Congresso scientifico di Poitiers il fatto, allora paradossale, della riproduzione artificiale dei tartufi coi semi di quercia. La scoperta è dovuta a un semplice contadino, Gaspare Talon, il cui figlio Ilarione è oggi, grazie ai tartufi, milionario. Il campo della scoperta è in Francia e precisamente la pianura detta di Scilla, vicino a Croagne, ove Scilla sbaragliò del tutto i Cimbri ed i Teutoni, dopo la grande vittoria che Mario aveva riportato su quei barbari nelle vicinanze di Aix. Tale scoperta consiste in ciò, che piantando dei semi di quercia, vale a dire rimboscando di quercie il terreno ove alligna il tartufo, se ne ottiene una periodica e certa raccolta. Del come poi i semi vengono fecondati e nutriti, del come vengono portati, dove si sviluppano, è ancora l'X incognita degli scienziati. Questo solo si sa, che il tartufo nasce, vive e prospera dovunque prospera la vite, ove il terreno è argilloso, calcareo e dove la quercia è la principale vegetazione arborescente del paese. Difficilmente lo si trova fuori del raggio degli alberi, sicchè pare che se non parassita, trovi molto comodo passare la sua vita fra le loro radici. Teme la troppa ombra e l'asciutto. Le sue simpatie sono per la Quercus Alba, la Coccifera o Kermes, l'llex, la Peduncolata, la Ruber (rovere). Ne à però di straforo anche per la noce, pel faggio, la betulla, il cedro, il ginepro, la rosa, il pino silvestre, la pescia (Abies), per il pruno, il biancospino, il sorbo, il carpine (Carpinus betula) e raramente pel castano. Due sorta di tartufi si ànno, l'oscuro ed il bianco. Il primo si vuole sia l'unico, vero tartufo, l'altro il falso tartufo delle sabbie e del deserto. Si vuole ancora che il tartufo sia sempre bianco allorchè non à raggiunto la sua maturanza, e che raggiungendola diventi oscuro. Pare invece sia questione di terreno e di alimentazione, come pure da ciò dipende l'abbondanza o deficienza del suo aroma, che da noi sono più saporiti e delicati i bianchi, degli oscuri.
certa tuberosità di certe radici, chi la trasudazione degli alberi, chi fosse una specie di galla, di muffa, chi infine insegnò fosse un prodotto del
Per sei persone lessate un chilogrammo di patate, sbucciatele, e così calde infrangetele sulla tavola di cucina. Avrete precedentemente fatto lessare un po' di spinaci: in tale quantità che dopo cotti e ben strizzati ne risulti una palla grossa come un arancio. Passate questi spinaci dal setaccio ed uniteli alle patate. Condite l'impasto con due rossi d'uovo, un po' di noce moscata grattata, una cucchiaiata o due di parmigiano ed un pizzico di sale; e unite quattro o cinque cucchiaiate colme di farina (un centinaio di grammi) fino ad avere una pasta ben lavorata ma soffice. Mettete sul fuoco un recipiente con acqua leggermente salata, ricavate dalla pasta — sulla tavola leggermente infarinata — tanti piccoli gnocchi, procedendo in tutto come i notissimi gnocchi di patate, gittatene pochi alla volta nell'acqua in ebollizione e «appena torneranno a galla», prendeteli con la cucchiaia bucata, lasciateli sgocciolare e accomodateli delicatamente a strati in un piatto, condendo ogni strato con qualche pezzetto di burro, sugo d'umido e parmigiano. Potrete anche condirli più semplicemente con solo burro fuso e parmigiano, o condirli anche con una buona besciamella non troppo densa, ultimata con qualche cucchiaiata di formaggio grattato.
come i notissimi gnocchi di patate, gittatene pochi alla volta nell'acqua in ebollizione e «appena torneranno a galla», prendeteli con la cucchiaia
Il tradizionale piatto di ogni giovedì nelle piccole trattorie romane e il piatto che molti buoni romani prediligono in occasione di qualche riunione famigliare: i gnocchi. Tra coloro che ne sono ghiottissimi e coloro i quali ritengono che sia un peccato sprecare l'abbondante sugo e formaggio necessario per condire... delle patate, noi rimarremo neutrali, limitandoci a dare la ricetta, non certo per le abbonate romane, ma per quelle di altre città. Si mettono a lessare delle patate piuttosto grosse e di qualità farinosa, calcolandone due chilogrammi per sei persone. Appena cotte si sbucciano, si schiacciano e si lasciano un po' raffreddare. S'impastano allora le patate con un po' di farina. È difficile dare dosi esatte di farina perchè alcune qualità assorbono più, altre meno farina; in genere però ne occorreranno circa 200 grammi per ogni chilogrammo di patate. Amalgamate bene le patate con la farina e ottenuta una pasta morbida, si taglia a pezzi, e d'ogni pezzo, sulla tavola infarinata, se ne foggiano dei cannelli della grossezza di un dito, che si ritagliano poi in tanti pezzetti di un paio di centimetri. Si rotola alla svelta ognuno di questi pezzetti tra il tavolo e le dita e per ultimo ci si appoggia la punta del medio facendo su ogni gnocco una piccola fossetta. Si allineano man mano su una tovaglia infarinata e intanto si mette sul fuoco un recipiente con acqua e sale. Quando l'acqua bolle si mettono giù un po' di gnocchi alla volta e appena tornano a galla si estraggono con una cucchiaia bucata, si lasciano sgocciolare bene, e si dispongono a strati in una zuppiera, condendo ogni strato con abbondante sugo d'umido e parmigiano grattato.
si mette sul fuoco un recipiente con acqua e sale. Quando l'acqua bolle si mettono giù un po' di gnocchi alla volta e appena tornano a galla si
Conoscete il pesce S. Pietro? Certo nella famiglia dei pesci non brilla per soverchia bellezza: scuro di aspetto, con un muso piuttosto imbronciato e delle ispide spine sulla groppa. Ma il S. Pietro può infischiarsene della sua poca venustà, e per due ragioni: la prima perchè è un pesce storico, la seconda perchè possiede una carne deliziosa. Si dice infatti che questo pesce fu toccato dalle mani dell'Apostolo pescatore, che non solo gli lasciò il suo nome, ma gli lasciò anche due segni visibili delle sante dita, segni che si riscontrano, uno di qua e uno di là, nel bel mezzo del dorso. Quanto alla squisitezza della sua carne, non è un mistero per i buongustai. Bollito o fritto il S. Pietro è buono, molto buono. E poichè della gente buona in questo tristo mondo ci si approfitta sempre, molti trattori e molti albergatori costruiscono coi filetti di S. Pietro, che costa meno, dei magnifici filetti di sogliole, che costano di più. È un ramo d'industria non troppo onesto, per quanto assai rimunerativo; e il S. Pietro, forse in omaggio al nome del grande Apostolo, cristianamente si rassegna, e lascia che la sua carne venga gabellata per filetti di sogliola alla Walenska. Réjane, Saint-Germain, Pompadour, Orly, Otéro, Mogador, ecc. Noi rifuggiamo dalle mistificazioni. Vi daremo dunque la ricetta per una squisita zuppa di pesce S. Pietro, zuppa che ha anche il pregio di uscire un po' dalla noia del consueto. Per otto persone acquistate un bel S. Pietro che pesi da un chilogrammo e mezzo a due. Nettatelo bene e risciacquatelo abbondantemente, e poi con un coltellino affilato sfilettatelo, staccando cioè dalla spina principale tutta la parte carnosa. L'operazione è facile e si eseguisce molto bene incominciando col fare un'incisione lunga e profonda su tutto il dorso e staccando poi con la lama del coltello tutta la carne dalla spina, prima da una parte e poi dall'altra. Se poi crederete che l'operazione sia troppo lunga, affidatela al negoziante che vi venderà il pesce, il quale vi caverà rapidamente d'impaccio. Mettete da parte la carne e tagliate in pezzi la testa e i cascami. Ponete una casseruola sul fuoco e in essa mettete un po' d'olio, una noce di burro, qualche aroma, come cipolla, carota gialla, prezzemolo, sedano, ecc., il tutto tritato, aggiungendo anche, se ne avete, un pizzico di funghi secchi. Appena i legumi saranno imbionditi mettete nella casseruola i cascami del pesce, e dopo che anche questi saranno rosolati bagnate ogni cosa con un litro e mezzo d'acqua ai quali aggiungerete un bicchiere di vino bianco. Condite con sale e pepe e lasciate bollire moderatamente. Dopo una mezz'ora prendete un'altra casseruola, metteteci una buona cucchiaiata di burro, e quando il burro sarà liquefatto aggiungete due cucchiaiate di farina, mescolate e lasciate cuocere pian piano per quattro o cinque minuti, sempre mescolando. Allora, per mezzo di, un colabrodo, passate il brodo del pesce nell'altra casseruola dove è la farina col burro, mescolate ancora per sciogliere bene la farina e continuate ad aggiungere il brodo di pesce fino a completo esaurimento. Rimettete il brodo sul fuoco e fate bollire nuovamente per un'ora, sull'angolo del fornello, togliendo man mano, con una cucchiaia bucata, la schiuma e le altre impurità che man mano verranno a galla. Quest'operazione, in termine di cucina, si chiama spogliare. Avvicinandosi l'ora del pranzo, prendete la carne del pesce lasciata in disparte, togliete la pelle e dividete i filetti in tanti pezzetti quadrati di un paio di dita di lato. Metteteli sul fuoco in una teglia con un po' di burro, conditeli con sale e pepe, bagnateli con un po' di vino bianco e lasciateli stufare, coperti, per qualche minuto. Appena cotti toglieteli dal fuoco mantenendoli in caldo vicino al fornello. Al momento di andare in tavola, mettete un paio di rossi d'uovo in una zuppiera, sbatteteli con una forchetta, stemperandoli con un po' di sugo di limone e conditeli con una cucchiaiata di prezzemolo trito. Su queste uova travasate il brodo di pesce, mescolate per amalgamare bene ogni cosa, poi distribuite nelle varie scodelle i quadratini di pesce cotto aggiungendo anche dei dadini di pane fritto, o più semplicemente, dei crostini abbrustoliti. Completate ogni scodella col brodo e fate portare in tavola.
galla. Quest'operazione, in termine di cucina, si chiama spogliare. Avvicinandosi l'ora del pranzo, prendete la carne del pesce lasciata in disparte
La riuscita dipende da varie cause, che possono riassumersi in due punti principali. La scelta della qualità della patata e l'abbondanza della frittura. Senza preoccuparci delle tante cervellotiche ricette date per codeste patate, vi insegneremo la nostra più volte sperimentata, e che conduce a un risultato infallibile. Provvedetevi, il che costituisce la cosa indispensabile, di patate così dette olandesi, le quali debbono essere ben mature, di una bella forma allungata e regolare e di polpa unita. Abbiate una padella con abbondantissimo strutto od olio, pelate le patate e tagliatele in fette lunghe dello spessore di mezzo centimetro, procurando che le fette siano tagliate nel modo più regolare possibile. Quando la frittura sarà appena calda a metà immergeteci le fette di patate una a una, mantenendo lo stesso grado di calore durante la cottura. Quando vedrete che le patate cominciano a risalire alla superficie, ravviverete poco a poco il fuoco, in modo che le patate, venute tutte a galla possano leggerissimamente colorirsi. A questo punto, con la cucchiaia bucata le estrarrete, lasciando la padella sul fuoco. Dopo tre o quattro minuti le metterete nuovamente nella frittura lasciandovele soltanto uno o due minuti, dopo di che le ritirerete nuovamente dalla padella e le lascerete sgocciolare. Forzate adesso il fuoco, in modo che la frittura sia bollentissima, rimettete le patate in padella per la terza volta e vedrete che sotto l'influenza di questo terzo bagno violentissimo le patate gonfieranno spontaneamente. Lasciatele nella frittura fino a che saranno ben gonfie e dure, e finalmente lasciatele sgocciolare e servitele. La parte pratica dell'esecuzione consiste dunque nelle tre diverse temperature della frittura; nella prima fase quasi fredda, nella seconda un po' meno fredda e nella terza bruciante. Volendo ci si può servire assai efficacemente di due padelle, la prima tenuta a temperatura modesta e servibile quindi per le due prime fasi e la seconda per la fase finale della cottura.
risalire alla superficie, ravviverete poco a poco il fuoco, in modo che le patate, venute tutte a galla possano leggerissimamente colorirsi. A questo
Nettate bene degli spinaci, non stancandovi di passarli in più acque per portar via ogni più piccola traccia di terriccio. Per la nostra pietanza, sufficiente a quattro persone, dovrete calcolare due pugni al spinaci lessati e spremuti, cioè due palle della grandezza approssimativa di un arancio. Cotti dunque gli spinaci e ben spremuti, tritateli sul tagliere. Mettete in una terrinetta trecento grammi di ricotta e lavoratela con un cucchiaio di legno per scioglierla bene. Unite alla ricotta gli spinaci, un pizzico di sale, due cucchiaiate di parmigiano grattato e due torli d'uovo. Mescolate bene tutto ciò in modo che i vari elementi rimangano perfettamente amalgamati. Mettete sul fuoco una teglia o un tegame piuttosto largo e con abbondante acqua. Quando l'acqua bollirà tirate la teglia o il tegame sull'angolo del fornello in modo che l'ebollizione sia appena sensibile. Prendete una alla volta delle mezze cucchiaiate del composto preparato e appoggiatele sulla tavola infarinata. Rotolate queste polpettine nella farina cercando, con tutta delicatezza, di dar loro con le mani una forma regolare simile a quella di un uovo di piccione. Man mano che saranno pronte, immergetele nell'acqua bollente. Vedrete che ben presto queste polpettine verranno a galla. Lasciatele stare così per tre o quattro minuti, poi tiratele su con una cucchiaia bucata, lasciatele sgocciolare bene e accomodatele in un piatto. Quando saranno tutte pronte, mettete a friggere in un tegamino un po' di burro — la terza parte di un panino da un ettogrammo — e quando sarà diventato biondo sgocciolatelo sulle polpettine. Cospargetele ancora con poco parmigiano grattato e fatele servire ben calde.
'acqua bollente. Vedrete che ben presto queste polpettine verranno a galla. Lasciatele stare così per tre o quattro minuti, poi tiratele su con una
Le olive che si vogliono conciare per i bisogni della tavola e della cucina si devono scegliere di bella qualità, fra le più grosse e carnose, ed esser raccolte alcuni giorni prima che abbiamo raggiunta una completa maturità. La prima operazione che si deve fare è di tenerle per ventiquatt'ore in una forte lisciva, per toglier loro l'asprezza del sapore; il ranno dei tintori e de' saponaj è il migliore ed insieme il più facile a procurarsi con tenue spesa. Si mettono le olive in un vaso e vi si versa tanto ranno da ricoprirle, però per impedire che esse vengano a galla ed obbligarle a rimanere intieramente immerse, è bene allargarvi sopra un fascetto di scopa e sovrapporre a questo un leggiero peso. Il giorno dopo si cola tutto il ranno, e ad esso si costituisce acqua fresca, che bisogna cambiare successivamente più volte, finchè le olive siano purgate d'ogni traccia o resto del ranno stesso. Si abbrevia questa seconda operazione mettendo le olive sotto ad una fontana o in un'acqua corrente racchiusa in fìtta rete; perchè il continuo rinnovarsi dell'acqua permetterà di lasciarvi le olive non più di dodici ore.
tenue spesa. Si mettono le olive in un vaso e vi si versa tanto ranno da ricoprirle, però per impedire che esse vengano a galla ed obbligarle a
(1) La soluzione di cloruro d'oro occorrente per il 1° dei nuovi saggi proposti potrebbe, nella nostra cassetta regolamentare, esser messa nella boccetta che attualmente contiene la soluzione di cloruro mercurico (Vedi la spiegazione della fig. 43), inquantochè questo, non trovando applicazione in alcuna delle prove suggerite dalla Istruzione, non ha ragione di essere in quella cassetta. La soluzione di brucina (1: 800 di acqua distillata), occorrente per la ricerca dell'acido nitrico, potrebbe esser posta nella bottiglia ora occupata dall'alcoolito di campeggio, reattivo di secondaria importanza in queste prove sull'acqua. Adottato difatti per scuoprirvi il bicarbonato di calce, potrà essere sempre supplantato dalla ebullizione la quale precipita nell'acqua stessa i bicarbonati terrosi, ed in specie quello di calce, rendendoli così palesi per lo intorbidamento proporzionale sempre alla loro quantità. La soluzione forte di joduro di zinco, necessaria per la ricerca dell'acido nitroso, potrebbe allogarsi nella boccetta attualmente occupata dalla soluzione semplice di azotato baritico, la quale potrebbe essere senza danno soppressa, sia perchè nella cassetta esiste già la soluzione (titolata al 2,14 per cento) di questo sale per idrotimetro; sia perchè, volendo, il nitrato di barite, come inalterabile all'aria, potrebbe esser tenuto nella cassetta in tubetto di vetro (come il solfato ferroso), sempre pronto per farne, all'occorrenza, la soluzione estemporanea. Infine per la soluzione di clorato potassico, accennata nel 4° saggio proposto per la valutazione quantitativa del cloro, potrebbe servire la bottiglia ora occupata nella cassetta dall'alcoolito di noce di galla, che, senza grave inconveniente, potrebbe esser soppresso. Di fatto questo reattivo dei sali esistenti nell'acqua è d'azione tarda e troppo indeterminata, per riuscire realmente utile in ricerche spicciative come quelle cui vuolsi abilitare con la nostra Istruzione. Come reattivo poi del ferro nell'acqua, questo alcoolito potrebbe essere rimpiazzato molto opportunamente dal cianuro ferroso-potassico (esistente pure nella cassetta), il quale, aggiunto all'acqua leggiermente acidulata con acido azotico e concentrata per di più mediante evaporazione, vi produrrà un precipitato bluastro e poi bleu, qualora contenga tracce di ferro. E così, con queste semplici modificazioni ed aggiunte, io ritengo che il piccolo reagentario della nostra cassetta regolamentare per l'analisi dell'acqua potabile potrebbe esser messo in grado di soddisfare meglio alle moderne esigenze della igiene. Recapitolando, tali modificazioni si ridurrebbero alle seguenti: 1° L'attuale soluzione di cloruro mercurico, sostituita da una debole soluzione di tricloruro d'oro. 2° L'alcoolito di noce di galla, sostituito da una soluzione di clorato potassico, tale da contenere 3 di cloro per 100,000 di acqua distillata. 3° L'alcoolito di campeggio, sostituito da una soluzione acquosa di brucina all'1: 800. ,4° La soluzione ordinaria di azotato baritico puro, sostituita da una forte soluzione di joduro di zinco.
nella cassetta dall'alcoolito di noce di galla, che, senza grave inconveniente, potrebbe esser soppresso. Di fatto questo reattivo dei sali esistenti
Tritate e pestate proferibilmente gli avanzi di un pollo stato a lesso. Escludete le parti dure e fate che il trito sia il più fino e minuto possibile. Mettetelo in una insalatiera con circa 120 gr. di ricotta e impastate bene col mestolo, aggiungendo un uovo intero e due tuorli, 5 o 6 cucchiaiate di farina con un poco di pangrattato finissimo. Condite con parmigiano grattato, un pizzico di noce moscata e sale se occorre. Rimestato bene il composto, levatene una pallottolina e gettatela nel brodo bollente per provarne la consistenza. Se si squaglia, aggiungete farina, se impietrisce, aggiungete ricotta. Fatta la prova, versate il composto sulla spianatoia infarinata e, colle mani pure infarinate, fatene tanti bastoncini dello stesso calibro e tagliateli a pezzetti come i farmacisti fanno colle pillole. Fatene tante palline simili, tra la misura della nocciuola e quella del cece, gettatele nel brodo bollente non molte alla volta e ravvivate il fuoco perchè vengano a galla bollendo. Dopo 10 o 12 minuti versate nella zuppiera e servite a parte parmigiano grattato.
, gettatele nel brodo bollente non molte alla volta e ravvivate il fuoco perchè vengano a galla bollendo. Dopo 10 o 12 minuti versate nella zuppiera e servite
Mondati ed abbrustolati due piccioni, tagliateli nelle loro giunture in otto pezzi ciascuno, infarinateli e teneteli in pronto. Mettete in una casseruola grande del burro con una cipolla tagliata in quattro, qualche pezzetto di cannella, dei funghi secchi, ammolliti prima nell'acqua tiepida, poi trinciati colla mezzaluna e, se volete, anche un tartufo a fette sottili. Preso che abbia un bel color d'oro il burro, incorporatevi un buon cucchiaio di farina, e legato bene l'intinto, gettate via la cipolla e mettetevi a sfriggolare i pezzi dei piccioni, salandoli. Abbronzati che siano, bagnateli con brodo che arrivi loro a galla e lasciateli cuocere a piccol fuoco. Fate bollire intanto due chilogrammi di maccheroni nell'acqua e sale, metteteli a sgocciolare nel crivello, poi fateli asciugare a fuoco in una casseruola con poco più di una noce di burro ed un po' di formaggio trito. Versate questi maccheroni nel ragout, lasciateli prendere insieme la bontà e teneteli tutti al caldo. Ora converrà preparare la pasta di timballe con grammi 325 di farina bianca, grammi 150 di zucchero, e altrettanto di burro, 2 tuorli d'uova, buccia gialla di limone ben trita e, se volete, qualche goccia di acqua di fiori d'arancio. Fatene una pasta, e distesala della grossezza di un mezzo dito, coprite con essa il fondo e i lati di una casseruola o di uno stampo ben unto di burro, riempitene il vano coi pezzetti di piccione, uniti ai maccheroni, copriteli con un disco della stessa pasta, e tate cuocere il pasticcio così preparato al forno e con fuoco sotto e sopra.
con brodo che arrivi loro a galla e lasciateli cuocere a piccol fuoco. Fate bollire intanto due chilogrammi di maccheroni nell'acqua e sale, metteteli
Dividete questo pastone in 16 o 18 parti formandone tante pallottole che riusciranno grosse poco più di una noce: poi ad ognuna di queste pallottole fate un buco in mezzo premendole con la punta di un dito contro la spianatoia e girandole sopra sè stesse; rivoltatele e fate altrettanto dalla parte opposta onde il buco diventi largo ed aggraziato e così queste pallottole prenderanno la forma di ciambelline. Ora mettete al fuoco un vaso d'acqua di bocca larga, e quando l'acqua sarà ben calda, ma non bollente, gettatevi le ciambelline a tre o quattro per volta. Se si attaccano al fondo sollevatele leggermente colla mestola forata, voltatele ed allorchè vengono a galla levatele asciutte e ponetele sopra un pannolino: poi colla punta di un coltello, fate ad ognuna giro giro un'incisione od anche due a una certa distanza, perchè il loro rigonfiamento in padella si svolga meglio. In questo stato potrete lasciarle anche per delle ore se vi fa comodo. Friggetele con molto unto, lardo od olio che sia, a fuoco lento, dimenando spesso la padella: se saranno venute bene le vedrete crescere a un volume straordinario, restando asciutte. Calde ancora, ma non bollenti, spolverizzatele di zucchero a velo e servitele, augurandosi lo scrivente che esse, per la loro bontà ed eleganza di forma, sieno gustate da bocche gentili e da belle e giovani signore; e così sia.
sollevatele leggermente colla mestola forata, voltatele ed allorchè vengono a galla levatele asciutte e ponetele sopra un pannolino: poi colla punta di un
Salata, quale testa finta di cinghiale. La cotenna va abbrucicchiata come per la finta selvaggina nera (pag. 238), poi si lava e disossa la testa come la precedente, levando tutte le parti glandulose, soffregando con salnitro e sale la parte interna, nonchè l'altra buona carne della testa e del collo e parte del coscetto; ripiegata la pelle si pone sotto peso leggero in un luogo fresco, ove si lascia presso a poco 8 giorni, rivoltandola spesso finchè la carne sia divenuta rossa oltre per oltre. Quindi la si taglia a dadi grandi 5 centimetri e in egual modo si taglia una lingua di bue, 1 chilo di lardo in quadrelli più minuti (e tartufi a pezzi grossi); rimestato bene il tutto lo s'introduce nella pelle della testa cucita assieme al di sotto; si cuce sull'apertura del collo un pezzo di pelle della coscia, e rimessa la testa alla sua forma naturale, la si lega in un lino. Così allestita, si fa bollire con piedi di maiale e bue, radici, droghe, grani di ginepro, acqua e vin nero, come è indicato per la concia Nro. II, fin tanto ch'essa monti a galla, ciò che richiede più ore; dopo di che si può far la prova punzecchiandola con un lardatoio, e quando questo ne esce facilmente, si mette la testa in disparte. Un ora dopo la si toglie dal brodo, fasciandola più saldamente ancora. Il giorno appresso la si può imbandire, ovvero, tolta dal lino, rimessa nel brodo colato e digrassato e coperta colla grascia di bue, può essere conservata per più settimane in luogo fresco.
monti a galla, ciò che richiede più ore; dopo di che si può far la prova punzecchiandola con un lardatoio, e quando questo ne esce facilmente, si
Passate dal colabrodo l'intinto, riponetelo al fuoco con 3 o 4 fogli di colla di pesce fina, aggiungetevi due punte di coltello di estratto Liebig, un bicchiere di vino bianco, un po' di consommé, o brodo buono, e fatelo bollire ore 1-1 1/2; sbattete quindi 2 albumi a densa neve, ravvivate il fuoco, e quando il brodo bolle fortemente aggiungetevi gli albumi, ritirate la padella sull'orlo del fornello, copritela con un testo pieno di brace, dopo una quindicina di minuti passate il liquido da un tovagliolo bagnato nell'acqua fredda e lasciatelo rapprendere in una catinella. Levate diligentemente con un coltellino o con l'acqua calda, secondo la regola, il grasso che sarà venuto a galla, poi sciogliete la gelatina, fatela passare 3-4 volte dalla salvietta finche è bene chiarita e versatela sul vitello che avrete tagliato a fette sottili e collocato, conservandone la forma, in uno stampo quadrilungo. Posto nel ghiaccio, il brodo si condenserà presto e allora potrete sformare la galantina sopra un piatto guernito d'un tovagliolo.
diligentemente con un coltellino o con l'acqua calda, secondo la regola, il grasso che sarà venuto a galla, poi sciogliete la gelatina, fatela passare 3-4 volte
Mettete 400 gr. di farina sulla spianatoja (dopo averla stacciata con 2 prese di sale e un cucchiaio di zucchero), fate la fontana, unitevi 130- 150 gr. di burro a fettoline e 6 uova intere, amalgamate tutto con de- strezza, lavorando fortemente il composto, battendolo bene col palmo della mano, stracciandolo a brandelli e continuandolo a ricomporre. Quando avrete ottenuto una bella pasta elastica, mettetela in una salvietta infarinata e lasciatela riposare alcune ore, per esempio, dalla sera alla mattina. Maneggiatela quindi nuovamente per ridurla poi in forma di bastoncelli che taglierete alla loro volta in tanti pezzetti come grosse noci. Intanto avrete messo al fuoco in un pajuolo dell'acqua fredda con un pochino di sale : quando essa comincia a far le bolle, gettatevi i buffetti che avrete tenuti pronti su un taglierino infarinato. Agitate un poco l'acqua con una schiumarola e, quando i buffetti, senz'aver bollito, vengono a galla, levateli e metteteli in una scodella piena d'acqua fredda. Trascorse 3-5- ore asciugateli bene e collocateli al forno sulla piastra unta e infarinata per cuocerli a discreto calore in 20-25 minuti. La durata della cottura varia secondo la qualità del forno. Prima di 20 minuti almeno non lo aprirete altrimenti i buffetti non riescirebbero.
, quando i buffetti, senz'aver bollito, vengono a galla, levateli e metteteli in una scodella piena d'acqua fredda. Trascorse 3-5- ore asciugateli bene e
Tagliate a metà per il lungo alcuni cetrioli di media grossezza, levate via i semi e la parte molle con un cucchiaio d'argento dopo averli, se occorre, diligentemente mondati. Strofinateli col sale e metteteli per un paio di giorni in una scodella di terra forata (come quella che s'adopera per scolare la pasta). Asciugateli bene con un pannolino e disponeteli in vasi di vetro a strati con un battuto fatto (per le proporzioni) con 2 fese d'aglio, 2 scalogni, mezza radice di rafano, un bel mazzetto d'erbe diverse (santoreggia, crescione di giardino, timo, cerfoglio e aneto) misto con un cucchiaio di spezie (pepe bianco e pimento in parti eguali una parte di paprica e una di garofani). In fondo al vaso e da ultimo metterete uno strato di fogliette di serpentaria. Coprite tutto con dell'aceto forte misto in parti eguali con dell'essenza fina d'aceto e badate che i cetrioli non vengano a galla. Potete preparare in questo modo dei cetrioli più piccoli interi.
galla. Potete preparare in questo modo dei cetrioli più piccoli interi.
11. Cetrioli ripieni sotto l'aceto. — Prendete dei cetrioli non troppo grandi della lunghezza su per giù di dieci cent, e di forma regolare, e metteteli in salamoia (acqua bollita con una quantità sufficiente di sale perchè un uovo vi possa reggere a galla poi freddata) ; dopo alcune ore levateli e fate loro due incisioni per il lungo in modo da levarne una fetta, poi, col manico di un cucchiaino d'argento, estraete con destrezza la parte molle e i semi. Intanto avrete pestato finamente colla lunetta una radice di rafano, alcuni peperoni e una manata di foglie di serpentaria e vi avrete versato sopra un pochino di aceto, un po' di sale e di pepe e due cucchiai di capperi (questi potete anche tritarli). Introducete questo battutino nel vuoto dei cetrioli, rimettendo poi a posto la fettina levata e legandoli con una strisciolina di tela o con un grosso filo, disponeteli poi in vasi di vetro e versatevi sopra dell'aceto di cipolla o di scalogno (vedi pag. 15).
metteteli in salamoia (acqua bollita con una quantità sufficiente di sale perchè un uovo vi possa reggere a galla poi freddata) ; dopo alcune ore levateli e
cappucci di buona qualità, levatene via le foglie grosse, tagliate tutto il resto a minutissime striscioline (vi è la macchina apposita a questo scopo). Collocate sul fondo d'un mastello munito d'un foro e d'un tappo, uno strato di foglie intere, poi uno strato di striscioline e uno di sale e di spezie regolandovi con queste proporzioni: per chilogr. 50 di cavoli gr. 500 di sale, mezzo gr. di zafferano e 250 gr. di comino, tutto misto, lo zafferano sciolto con un po' d'acqua. Riempito in tal modo il mastello, mettete sopra i cavoli un pezzo di tela, un coperchino di legno e un grosso peso e collocateli in un luogo asciutto e fresco. Quando comincia a formarsi la salamoia, lasciatela scorrere fuori dal foro e tornatela a versare sui cavoli continuando così tutti i giorni finchè l'acqua comincia a sorpassare il coperchio. Allora desistete, ma se venisse a galla un po' di schiuma, affrettatevi a levarla. In capo a due mesi potete cominciare a servirvi dei cavoli, prendendo quelle porzioni che vi occorrono e spremendone sempre il liquido che deve restare nel mastello. La tela che si trova sotto il coperchio si lava ogni settimana e si ripone al suo posto bene asciutta.
continuando così tutti i giorni finchè l'acqua comincia a sorpassare il coperchio. Allora desistete, ma se venisse a galla un po' di schiuma
20. Olive conservate. — Raccogliete delle olive non troppo mature e tutte perfette, mettetele nell'acqua bollente, con un cucchiaino di sale e un cucchiaio di cenere di legna per ogni chilogr. di frutta, lasciatele sobbollire un momento, riponetele nella loro acqua, dopo due giorni scolatele e versatevi dell'acqua fresca. Rinnovate questa giornalmente, per una settimana, collocatele quindi in piccoli barili e copritele d'acqua salata, (tanto da reggere un uovo a galla), e bollita con qualche droga (cannella, garofani, cornino, coriandoli ecc.). Potete anche coprirle d'una salamoia più leggera e farle poi bollire, in vasetti chiusi, alcuni minuti a bagnomaria. Le olive si tagliano anche a spira per levar loro il nòcciolo e vi si mette un ripieno d'acciughe o di capperi, poi si coprono d'olio. Anche in questo caso devono aver subita la prima preparazione e la macerazione nell'acqua che leva loro l'amaro. Se sono conservate nella salamoia, prima di adoperarle conviene metterle nell'acqua a ciò perdano il sale soverchio.
reggere un uovo a galla), e bollita con qualche droga (cannella, garofani, cornino, coriandoli ecc.). Potete anche coprirle d'una salamoia più leggera
19. Prontate una bella fesa di vitello, montatela e levatele una piccola fettina di sopra, copritela con un panno bagnato, battetela in modo che rimanga piatta, indi mettetela sopra una salvietta o panno di bugato; piccatela di minuto lardo ben fitto, in maniera che faccia bella figura, prendete una cassarola mezzana e formate un letto di poco butirro, poca grassa di manzo coperto con cipolle, selleri e carotte tagliate a fette, ricoprite queste con fette di lardo, giambone e fettine di vitello, ponete sopra a tutto ciò la detta fesa, e mettete la cassarola al fornello con fuoco sopra e sotto, la. ciatela gratinare, dopo la spruzzerete con mezza tazza di sugo, e se il fuoco sopra fosse di troppo che guastasse la piccatura del lardo copritela con un mezzo foglio di carta bianca, indi mettete una cipolla mezzana steccata di garofani, asciutto il sugo a forza di fuoco, tornate a bagnarlo per altre due volte con altro sugo, l'ultima volta metteteci tanta quantità di sugo che il vitello sia a galla, ma non sorpassate la piccatura del lardo. Lasciatelo cuocere lentamente per due ore, cotta levate la fesa dalla sua sostanza, tenete al caldo il fricandò colla sgrassatura, ponetelo in un altro recipiente, passate al sedaccio il suo fondo o sostanza, ristringetelo se vedete necessario, montate il vitello sopra il piatto e versatevi sopra la sua sostanza glassata con la medesima; potrete guarnirlo o di cipolline glassate o di olive disossate, o di fagioli, o piselli, o creste di polleria, e servitelo con crostoni.
per altre due volte con altro sugo, l'ultima volta metteteci tanta quantità di sugo che il vitello sia a galla, ma non sorpassate la piccatura del
54. Prendete i lacetti, poneteli nell'acqua fresca, mettateli al fuoco, al momento di prendere il bollo, cambiate l'acqua per tre volte, levateli dall'acqua e mondateli bene, coprite il fondo di una cassarola con poco butirro, poche cipolle, sellero e carottole, coprite il detto letto di fettine di lardo e qualche fettine di presciutto e ponetevi sopra i lacetti piccati di lardo minuto, fate il tutto gratinare e bagnateli con sugo che sia a galla quasi dei detti lacetti, fateli cuocere con fuoco sotto e sopra. Allestite un'ascié di poco butirro, poco presemolo, un poco scialò e aglio, fatelo passare al fornello. Pulite quattro once di funghi, tagliateli fini e tritolateli, uniteli all'ascié, fateli un poco passare unendovi un poco del fondo dei lacetti passato al sedaccio, la detta salsa ponetela sopra un piatto ed indi ponete i lacetti, glassateli con aglasse e serviteli con crostoni a piacere.
galla quasi dei detti lacetti, fateli cuocere con fuoco sotto e sopra. Allestite un'ascié di poco butirro, poco presemolo, un poco scialò e aglio, fatelo
18. Fate cuocere in acqua e sale mezza testa, e due piedi di majale che stiano a galla, unite un poco di stregone, cotto disossate il tutto e dopo tagliate a fette indi a filetti la carne de' piedi e della testa, purgate con chiari d' uova la cottura, distendete sopra un tavolo una salvietta e ponete un pezzo per sorta del majale ed ogni tratto ponete dei pignoli puliti, poco canella fina in polvere, poco noce moscata, e poco della sua geladina unendovi i pezzi suddetti mischiati grassi e magri e colla stessa salvietta rotolati in forma di galantina e legatela stretta. Ponetela in un recipiente col rimanente della sua geladina, lasciateveli sino alla mattina susseguente e poi levate la galantina, e dopo d'averle levata la salvietta montatela con guarnzione di butirro a piacere: si serve anche senza geladina e se piace fate quella indicata al n. 30 la quale si fa nell'inverno.
18. Fate cuocere in acqua e sale mezza testa, e due piedi di majale che stiano a galla, unite un poco di stregone, cotto disossate il tutto e dopo
19. Prendete due anguille, due tinche, due carpane e due lucci in tutto di libbre quattro grosse, disossate diligentemente, tagliate il tutto a dadi, poneteli in un recipiente, fate un ascié di quattro anchiode, poco scialò, poco presemolo ed una spiga d'aglio, poco olio e poco butirro, fatelo un poco tostare, e versate sopra i pesci, unitevi once tre pistacchi belli e pelati, once sei triffole tagliate a quarti, un quarto d'oncia di garofani e canella pestati fini, un quarto d'oncia di pepe rotto, once una e mezza sale ed un bicchiere di vino rosso vecchio, lasciate il tutto in infusione per un giorno intero, indi versate sopra un mezzo bicchiere da zaina di rosolio di fleur d'orange, oppure un mezzo bicchiere di vino malaga che lascerete un altro giorno in infusione mischiando il tutto. Levate una quarta parte di questo composto, fatelo passare minutamente sotto la mezzaluna, indi unitelo al corpo intero e incorporatelo, insaccatelo nel budello detto la manica e legatela bene con una salvietta, come si è praticato nelle antecedenti galantine. Fate un letto di diverse verdure, pezzo di butirro, poco stregone in una marmitta, sopra al letto ponete la galantina, ed all'intorno mettete tutte le ossa dei pesci disossati, fatelo un poco tostare, versate del brodo di rane che sia a galla degli ossi, lasciatela cuocere al dolce fuoco per due e più ore, lasciatela venir fredda nel detto recipiente, levate la galantina e purgate la gelatina, indi servitela colla medesima, e montatela a piacere sul piatto con salvietta.
mettete tutte le ossa dei pesci disossati, fatelo un poco tostare, versate del brodo di rane che sia a galla degli ossi, lasciatela cuocere al dolce fuoco
33. Prendete una marmitta e coprite il fondo con poco butirro, poca grassa tridata, selleri, carottole e cipolla, tagliate il tutto a fette, coprendolo con alcune fettine di giambone, indi ponetevi delle fette di vitello e varie fette di manzo ed altri pezzi di vitello, una gallina spaccata, due piedi di vitello, due piedi di majale il tutto tagliato minuto, dieci stecchi di garofani, poco cannella in canna, poco di stregone, il tutto si faccia tostare al fornello bagnandolo con brodo liscio a galla, lasciatelo cuocere per quattro ore ben coperto. Indi passatelo al sedaccio, sgrassatelo bene, tiepido mettetevi due uova intieri ben sbattuti che mischierete alla geladina, poi mettetela al fuoco mischiandola sempre, quando comincia a bollire spremetevi sopra due sughi di limone, tiratela alla riva del fornello coprendola con coperchio con sopra del fuoco, lasciandola per un quarto d'ora, indi bagnate nell'acqua fresca una salvietta e spremetela bene, passate con questa la geladina e mettetela al ghiaccio a gelare.
tostare al fornello bagnandolo con brodo liscio a galla, lasciatelo cuocere per quattro ore ben coperto. Indi passatelo al sedaccio, sgrassatelo bene
40. Prendete un pollastro, tagliatelo in quarti, levategli le ali e lasciategli unito il petto, come pure dovete levargli le coscie e tagliarle in due in modo che siano otto pezzi. Fate liquefare in una cassarola tre o quattro once di butirro, indi ponete i pezzi del pollastro lasciandoli tramortire un poco, spolverizzateli con un cucchiajo di farina di semola, meschiandoli unitevi tanto brodo liscio che stia a galla del pollastro, mettetevi una cipolla intera insteccata con due garofani, lasciate il tutto cuocere dolcemente e meschiateli affine non si attacchino alla cassarola. Cotto levatevi la cipolla, unite un mezzo di geladina grassa come al ridetto n. 33, meschiate il tutto e legatelo con un liaison di cinque rossi d'uova ed un sugo di limone me-scolato assieme curando che non granisca. Levatelo del fuoco, lasciatelo raffeddare, allestite un bonetto soffocato nel ghiaccio e versate dentro un bicchiere di detta geladina, lasciatela gelare, indi prendete i pezzi del pollastro ed accomodateli nel bonetto, copritelo col rimanente della sua geladina, fatelo gelare coprendolo con un coperchio con sopra del ghiaccio. Montate poi una salvietta sopra d'un piatto, levate dal bonetto il pollastro facendolo distaccare con metterlo per un momento nell'acqua bollente versandovi sopra la detta salvietta e servitelo con guarnizione di creste di limone.
tramortire un poco, spolverizzateli con un cucchiajo di farina di semola, meschiandoli unitevi tanto brodo liscio che stia a galla del pollastro, mettetevi una
42. Disossate una punta di vitello, tagliatela a dadi grossi, imbianchitela in tre o più acque. Mettete in una cassarola un pezzo di butirro con detto vitello, fatelo tramortire un poco, unitevi un mezzo cucchiajo di farina di semola mischiandolo, indi mettetevi tanto brodo liscio che possa stare a galla col vitello, ponendovi una cipolla insteccata con quattro garofani. Cotto levate la cipolla, unitevi un'oncia di colla di pesce liquefatta in un mezzo di acqua purificata, ossia un mezzo di colla di piedi (capitolo 16 n. 87 e 88), legate il tutto con sei rossi d'uova e un sugo di limone, mischiatelo, ed osservate di non lasciarlo granire, levatela dal fuoco, lasciatela venir fredda. Soffocate nel ghiaccio un bonetto, versatevi entro un poco di detta geladina, lasciatela quasi gelare, indi fate un suolo di questi dadi di vitello, copritelo con la sua salsa, lasciatelo gelare, abbiate pronta una geladina (n. 33 di questo capitolo), e fate un suolo di questa geladina , ed un suolo dei dadi di vitello con sua salsa, osservando che tanto l'uno che l'altro suolo sia gelato, copritelo con un coperchio con sopra del ghiaccio e lasciatelo gelare, indi accomodate una salvietta sopra d'un piatto, levatelo dallo stampo con porlo nell'acqua bollente per un momento e versatelo, guarnendolo con creste di limone od altro a piacere.
galla col vitello, ponendovi una cipolla insteccata con quattro garofani. Cotto levate la cipolla, unitevi un'oncia di colla di pesce liquefatta in
196. Prendete una libbra di zucchero in pane della prima qualità, mettetelo in una tazza di ottone con manico o ponzonera di rame, ponetevi acqua che stia quasi a galla dello zucchero, tiratelo al fornello sino all'ultimo grado, in modo che lo zucchero, cominci a far piuma; frattanto allestite una giazza di once due dello stesso zucchero pestato e passato al sedaccio di seta, unendovi un mezzo chiaro d' uova e poco sugo di limone, sbattetelo per mezz'ora in una tazza, unitelo tosto al zucchero che sia alla piuma, mischiatelo con destrezza e versate tutto il composto sopra d'una carta reale, stateci sopra col calore della medesima ponzonera intanto che si alzi lo spongato, indi con un coltello tagliente e di lama fina appena levato il composto tagliatelo a nosange o a quadretti prima che il composto prenda consistenza per il freddo, montatelo sopra una carta stratagliata o salvietta e servitelo.
stia quasi a galla dello zucchero, tiratelo al fornello sino all'ultimo grado, in modo che lo zucchero, cominci a far piuma; frattanto allestite una
48. Coprite il forno d'una marmitta di rame ben stagnata, di cipolle, poco butirro e grasso di manzo tri-dato, indi fare un suolo di carne di manzo e di vitello tagliato a grosse fette, nel mezzo del fondo ponetevi gli ossi e dodici o quindici libbre di vitello e manzo, sei pollanche tagliate per metà, quattro cottornici tagliate pure per metà e fate il tutto tostare leggermente: fate bollire a parte gli ossi per fare un brodo da bagnare il consommé, mettendovi poco sale; formato il brodo bagnatelo unendovi le ossa, facendo in modo che il brodo stia a galla del composto, lasciatelo bollire al dolce fuoco per dodici ore, indi sgrassatelo bene e passate il consommé ad una salvietta; accendete un fornello ardente, ponete il consommé in una cassarola, fatelo ristringere all'ultimo grado più dell'aglasse, mescolatela con una spattola affine non si attacchi, levatela dal fuoco, ponetela al ghiaccio a fare raffreddare, indi tagliate delle tavolette ed incartatele o versatelo in un vaso e ve ne servirete in viaggio per zuppa, brodi e minestre.
consommé, mettendovi poco sale; formato il brodo bagnatelo unendovi le ossa, facendo in modo che il brodo stia a galla del composto, lasciatelo bollire al
9. Prendete due tinche, due anguille, due carpane e due lucci che formino il peso di quattro libbre grosse, disossateli e tagliateli a dadini; fate un ascié con quattro anchiode, poco scialò, poco prescmolo, una spiga d'aglio e fate il tutto tostare con poco olio e poco butirro, indi versatelo sopra il pesce unendovi once tre pistacchi pelati, once sei di triffole nere pelate e tagliate a quarti, mezz'oncia di cannella e garofani pestati fini, ed un quarto d'oncia di pepe rotto, due once di sale e un bicchiere di vino rosso vecchio; tridate fino un quarto di questo composto ed unitelo al corpo, impastatelo e lasciatelo in infusione per un giorno, versatevi un mezzo bicchiere di zaina di rosolio ai fleurs d'orange o mezzo bicchiere di vino malaga, lasciatelo in infusione un altro giorno, indi insaccatelo nel budello detto la manica, legatelo ben forte con una salvietta o panno e dategli i lacci come alle galantine: fate un letto di poco butirro e verdure, fate un suolo degli ossi dei pesce e ponetevi sopra la galantina, contornatela degli altri ossi di pesce, unitevi un ramo di erbe di stregone, quattro stecchetti di garofano, fatela grattinare al fornello bagnatela con brodo di rane che giunga a galla della galantina, schiumatela, fatela cuocere per due ore al dolce fuoco, levatela dal fuoco e lasciatela venir fredda nella sua cottura, levate la galantina, sgrassate la sostanza, passatela al sedaccio, clarificate la geladina e mettetela al ghiaccio a gelare; montate la galantina sul piatto e guarnitela colla sua geladina e con fiori verdi o artefatti.
rane che giunga a galla della galantina, schiumatela, fatela cuocere per due ore al dolce fuoco, levatela dal fuoco e lasciatela venir fredda nella sua
3. Pelate due pollastri, flambateli, voltateli e lavateli, asciugateli con una salvietta, montateli alla pivionesca con le zampe rivolte sotto le coscie, tagliateli per metà, rivolgeteli in una salvietta, batteteli e fate in modo che restino piatti; levateli dalla salvietta, infarinateli, prendete una tortiera alta di sponda, metteteci poco butirro, poca grassa, una rapatura di lardo, due cucchiaj d' olio fino, un poco d'erbe aromatiche, una foglia di lauro poca corteccia d'arancio, due cipolle, una carotta e una pianta di sellero, tagliate il tutto a fette, coprite questo letto con fette di giambone, metteteci sopra i pollastri infarinati, fateli gratinare al fornello ardente e sbruffateli con un bicchiere d'aceto forte, lasciateli asciugare al fuoco ardente, bagnateli con buon sugo sino a galla de' pollastri, copriteli con carta, fateli cuocere lentamente per più d' un'ora; cotti, levate il suo fondo, sgrassatelo e passatelo al sedaccio, ristringendolo al punto di salsa, unitevi un poco di coulì, montate i pollastri sul piatto, versateli sopra la delta salsa, serviteli con crostoni di pane fritto al butirro, o sfogliata.
asciugare al fuoco ardente, bagnateli con buon sugo sino a galla de' pollastri, copriteli con carta, fateli cuocere lentamente per più d' un'ora; cotti
87. Pulite un'anitra, lavatela bene, asciugatala, bridatela alla picciona; prontate delle caponette falsite con verze o cavoli, falsiteli se volete con pieno a piacere. Fate un fondo di poco butirro, poca grassa, delle fette di cipolle, carotte e selleri in una cassarola ovale, il tutto coprite con fette di lardo e di giambone, uniteci una cipolla isteccata di garofani, mettete dentro l'anitra col petto abbasso, all'intorno metteteci le caponette falsile, coprite il tutto con fette di lardo e fette di giambone, fatelo gratinare un poco, bagnatela con buon brodo, che sia a galla tanto dell'anitra come delle caponette visite, lasciate il tutto cuocere lentamente; cotta mettete la verdura intorno al piatto e nel mezzo metteteci l'anitra, versateci sopra una salsa fatta metà di coulì, poco sugo e poco aglasse; prima glassarete tanto l'anitra, come le caponette e servitala con crostoni.
caponette falsile, coprite il tutto con fette di lardo e fette di giambone, fatelo gratinare un poco, bagnatela con buon brodo, che sia a galla tanto dell