Anche la carne del pollame richiede di essere convenientemente frollata: occorre cioè che intercorrano almeno un paio di giorni tra il momento dell'uccisione e quello della cottura; solamente i polli novelli possono sfuggire qualche volta alla regola specialmente quando si tratta di animali giovanissimi destinati alla «cacciatora». Occorre spennare i polli quando sono ancor caldi per evitare qualsiasi lacerazione alla pelle; per rendere tenera la carne di galli o galline d'età piuttosto rispettabile si avrà cura di lasciarli immersi per dodici ore in acqua fredda. Le galline e i capponi sono ottimi lessati e danno del brodo squisito; coi polli novelli, i galletti di primo canto ed anche i capponi e i tacchini ben pasciuti si possono preparare arrosti squisiti, mentre solo ai polli novelli sono riservati gli umidi e le cacciatore. La carne bianca e delicata del pollame lo rende un alimento adatto agli ammalati e ai convalescenti; le anitre e le oche, invece, a causa della loro carne grassa, sono quasi sempre di digestione piuttosto laboriosa.
la carne di galli o galline d'età piuttosto rispettabile si avrà cura di lasciarli immersi per dodici ore in acqua fredda. Le galline e i capponi sono
Tetis, adirata perchè Venere avesse guadagnato la mela di Paride, premio alla maggior bellezza e senza ch' essa avesse potuto prender parte al concorso, risolvette di vendicarsi di quell'affronto. Un giorno, in cui Venere era discesa sulle rive delle Gallie, per cercar perle per il di lei ornamento e conchiglie a trastullo del figliuolo, un tritone le rubò la mela, che aveva deposto sopra uno scoglio e la portò alla Dea dei mari, Tetis la prese e cavatine i semi, li piantò nelle campagne vicine per perpetuare il ricordo della propria vendetta e del proprio trionfo. Ecco perchè, dicono i Galli Celti, vi sono tanti meli nel nostro paese e perchè le nostre fanciulle son tanto belle.
e cavatine i semi, li piantò nelle campagne vicine per perpetuare il ricordo della propria vendetta e del proprio trionfo. Ecco perchè, dicono i Galli
Moltissimi fanno distinzione dalla, Pollarda, alla Pollanca, perchè suppongano, che la prima abbia principiato a far l'uovo, e che la seconda non l'abbia fatto ancora. Io però credo, che il nome di Pollarda sia derivato dal Francese; mentre nel nostro idioma il suo vero nome è Pollanca; onde descriverò questo genere di pollo, col nome di Pollanca, e non di Pollarda. Per conoscere dunque una Pollanca giovane, che ordinariamente principia nel mese d'Aprile, bisogna che le zampe siano di un bigio chiaro, molto liscie, e unite, e la punta del petto non indurita, ovvero ossata, ma bensì tenera, e flessibile, la pelle fina, e bianca; sul finire della stagione le Pollanche divengono vecchie ciò che rende la loro carne rossastra, e bigia. Si conosce facilmente quando vogliono abbioccare, osservandole sull'ano, allora la loro carne è coriacea, e secca. Le galline, che s'impiegano per i brodi devono essere freschissime, quelle poi che si vogliono mangiare, devono essere infrollite al loro punto, come tutti gli altri Polli. Si può far uso dei petti delle galline del brodo, per fare dei Culì alla Rena, ed altre cose simili. Le Pollanche in molte Città d'Italia s'ingrassano con riso cotto con latte, o farina d'orzo impastata con latte, ciò che le rende di un sapore, o di un gusto squisito, assai delicato, e di una bianchezza sorprendente. Anche in molte cucine d'Ambasciatori, e Principi grandi si tiene un uomo espresso per ingrassare i Polli. Le picciole uovette nonnate delle Galline, sono molto utile nella buona cucina, per fare Guarnizioni, e Ragù; i Galli li credono ottimi per mettere nel Consomè.
, sono molto utile nella buona cucina, per fare Guarnizioni, e Ragù; i Galli li credono ottimi per mettere nel Consomè.
Moltissimi fanno distinzione dalla, Pollarda, alla Pollanca, perchè suppongano, che la prima abbia principiato a far l'uovo, e che la seconda non l'abbia fatto ancora. Io però credo, che il nome di Pollarda sia derivato dal Francese; mentre nel nostro idioma il suo vero nome è pollanca; onde descriverò questo genere di pollo, col nome di Pollo, col nome di pollanca, e non di pollarda. Per conoscere dunque una pollanca giovane, che ordinariamente principia nel mese d'Aprile, bisogna che le zampe siano di un bigio chiaro, molto liscie, e unite, e la punta del petto non indurita, ovvero ossata, ma bensì tenera, e flessibile, la pelle fina, e bianca.Si conoscono ancora dalla cresta quando è tenera, e che si lacera con facilità; sul finire della stagione le Pollanche divengono vecchie ciò che rende la loro carne rossastra, e bigia. Si conosce facilmente quando vogliono abbioccare, osservandole sull'ano, allora la loro carne è coriacea, e secca. Le galline, che s'impiegano per i brodi devono essere freschissime, quelle poi che si vogliono mangiare, devono essere infrollite al loro punto, come tutti gli altri Polli. Si può far uso dei petti delle galline del brodo, per fare dei Culì alla Rena, ed altre cose simili. Le Pollanche in molte Città d'Italia, come si è osservato nel principio della Polleria, s'ingrassano con riso cotto con latte, o farina d'orzo impastata con latte, ciò che le rende di un sapore, o di un gusto squisito, assai delicato, e di una bianchezza sorprendente. Anche in molte cucine d'Ambasciatori, e Principi grandi si tiene un uomo espresso per ingrassare i Polli, o colla Plomba, o senza. Vedete pag. 109. Le picciole uovette nonnate delle Galline, sono molto utile nella buona cucina, per fare Guarnizioni, e Ragù; i Galli li credono ottimi per metterenel Consomè.
picciole uovette nonnate delle Galline, sono molto utile nella buona cucina, per fare Guarnizioni, e Ragù; i Galli li credono ottimi per metterenel
Diversi sono i mezzi onde conservare le uova per l'inverno. Prima di tutto le uova da conservarsi devono essere quelle nate dall'agosto in avanti, e da galline non state coperte da galli; debbono inoltre non avere sentita nemmeno una goccia d'acqua. Ciò premesso, le uova hanno ad essere garantite possibilmente dall'aria, dall'umido e dal caldo. Fra i mezzi che furono sinora impiegati, vuolsi dare la preferenza ai seguenti:
da galline non state coperte da galli; debbono inoltre non avere sentita nemmeno una goccia d'acqua. Ciò premesso, le uova hanno ad essere garantite
Sotto questa denominazione comprendo i polli novelli e... quelli speronati; le pollastre ed i pollastri, le galline, i galli e i galletti, nonché i capponi.
Sotto questa denominazione comprendo i polli novelli e... quelli speronati; le pollastre ed i pollastri, le galline, i galli e i galletti, nonché i
29. Guernitura di creste di galli. — Prendete 24 belle creste di galli, tagliatele un po' le punte, mettetele entro uno strofinaccio ruvido, con un po' di sale schiacciato o risone; immergete un momento lo strofinaccio con le creste nell'acqua bollente, sfregatele entro lo strofinaccio, e così fa che si levi la pellicola; nette dai peli e tagliate un po' alla punta, gettatele nell'acqua tiepida che si conserverà accanto al fuoco al medesimo calore, lasciatele 4 o 5 ore sfregandole di tanto in tanto con le mani, e cambiando l'acqua finchè siano bianchissime, ponetele in un piccolo tegame con 10 grammi di farina bianca, un po' di lardo trito, un pezzetto di burro, il sugo di 2 limoni, 2 bicchieri di brodo bianco o d'acqua, un po' di sale, e pepe; fatele cuocere tenere e bianche e servitele per intingoli o per guerniture.
29. Guernitura di creste di galli. — Prendete 24 belle creste di galli, tagliatele un po' le punte, mettetele entro uno strofinaccio ruvido, con un
30. Intingolo alla financière. Mettete in un tegame un bicchiere di vino di Madera con 60 grammi di tartufi neri pelati e tagliati a soldi od a olive, fate cuocere a metà, aggiungete un intingolo d'animelle di vitello o d'agnello e finito con sua salsa (V. N. 27 guerniture), più 40 quénelles cotte e fatte come al N. 29 delle zuppe, più ancora 12 creste di galli, cotte come sopra N. 38; il tutto ben unito, giusto di sale e pepe; servitevene per ripieni e guerniture per ogni sorta di volaglia, riso, ecc.
e fatte come al N. 29 delle zuppe, più ancora 12 creste di galli, cotte come sopra N. 38; il tutto ben unito, giusto di sale e pepe; servitevene per
Il Nespolo è pianta indigena europea, a foglia caduca. Cresce spontaneo allo stato selvatico nei boschi anche dei climi freddi, ama però quello temperato, esposizione poco soleggiata. In qualunque terreno si propaga per innesto sul lazzeruolo, spino bianco, castagno e pero. Nel linguaggio delle piante: Selvatichezza. Il frutto è malinconico, aspro, acidulo, color grigio ferro, non profumato. Non matura mai sui rami. Raccolto e posto sulla paglia matura lentamente, divien morbido ed aquista un sapore gradevole. La nespola è fornita internamente di cinque noccioli, o semi durissimi a forma di mezza palla, onde il suo nome dal greco. Diverse varietà, fra le quali la hortensis, a frutto voluminoso e l'abortiva, a frutto senza noccioli — quella coltivata comunemente è la varietà japonica. Col tempo e colla paglia maturano le nespole, dice il proverbio, e però pare che quello che la nespola aquista sulla paglia, non sia la vera maturanza, ma piuttosto un principio di fermentazione zuccherina, che la rende molle, succosa, dolce, da dura ed agra e non affatto mangiabile qual era appena colta. Coi semi della japonica uniti ad alcool e zuccaro si fabbrica un liquore spiritoso da tavola. La nespola non costituisce mai un boccone molto ricercato, e non gli si tributa la deferenza che si à per le altre frutta. Il legno del nespolo è durissimo, serve a diversi usi, ed è prezioso se in pezzi grossi. Questo frutto à virtù astringente ed è a consigliarsi nelle diarree semplici. In Francia se ne fà una speciale confettura della quale il Mantegazza ci dà la seguente ricetta. «Ripulite le nespole e gettatele in burro fresco e reso rossiccio dalla cottura, lasciatele bollire. Quando saranno cotte, versatevi un quarto di vin rosso e fate consumare il tutto fino a consistenza sciropposa. Ritirate le nespole e spolverate di zucchero.» Ricetta, che d'altronde trovo scritta ed usata fino dal 1560 e raccolta dal Campegio. Pare che il nespolo sia stato portato in Italia dai Galli e vuolsi che al tempo di Catone non vi fosse conosciuto. Gli antichi gli assegnavano virtù d'arrestare il vomito, di preservare dall'ubbriachezza, e fu sempre tenuta come medicina, piuttosto che frutta alimentare. I Romani ne facevano del vino, ce ne informa Virgilio:
sia stato portato in Italia dai Galli e vuolsi che al tempo di Catone non vi fosse conosciuto. Gli antichi gli assegnavano virtù d'arrestare il vomito
Il Pomo, o Mela, è albero indigeno europeo, a foglia caduca, ama clima temperato — preferisce terreno sabbioso-argilloso. È fecondissimo. Si propaga per semi, barbatelle, innesto. À vita lunga, resiste al freddo, fiorisce tardi, chè soffre la brina pe' suoi frutti. Se ne contano più di 2000 varietà; fra queste le più apprezzate sono l'Azzeruola (pomm pomell), la Pupina (popin), od Appia — la Ruggine toscana, o Borda. Da noi tranne la varietà S. Peder e l'altra detta Pomm ravas, il pomo è frutto d'inverno. Nel linguaggio delle piante: Golosità. Può considerarsi maturo, quando incomincia a tingersi in giallo, mandare un po' della sua fragranza, e a cadere spontaneamente — indizio più sicuro è il colore nero de' suoi acini. Il raccolto è da farsi in giorno sereno, quando sia scomparsa la rugiada. Quelli che cadono avanti tempo, bisogna consumarli subito, facendoli cocere. Per conservarli freschi importa raccoglierli a mano, senza strapparli. Importa pure separare i frutti, che casualmente cadessero sul terreno, perchè presto si guasterebbero e guasterebbero gli altri. Nell'inverno gelano facilmente. Se le disgelate al fuoco, perdono: lasciate che disgelino con comodo o ponetele nell'acqua molto fredda, ma non ghiacciata; facendola intepidire a poco a poco anche il gelo della mela si rimette senza danno dell'organizzazione, così pure d'ogni altro frutto e delle ova. La mela, quando sia matura, è il più digeribile dei frutti, è simpatica, profumata, saporita, durevole, è l'amore dei bambini. Si mangia cruda, cotta, secca e confettata. I cuochi ne fanno fritture, charlottes, marmellate, la uniscono alle paste (lacciadin). In alcune contrade settentrionali, meno predilette dal Cielo, dove il sole non matura i pampini, la mela aquista molta importanza economica per la fabbricazione del Sidro, celebre quello di Normandia. È bevanda che può supplire il vino, e, al pari di questo, contiene dell'alcool, ma giammai del tartaro. Se ne fabbrica anche da noi a sofisticare o simulare il vino bianco, massime quello d'Asti. Riesce meno spiritoso e spesso incomodo, perchè genera flatulenze. Il sugo delle mele agre, serve a far aceto, che si conserva molto tempo. Le agre fanno perdere la memoria, dice il Pisanelli. Galeno parla pure di un succo liquore, delle mele, che sarebbe il sidro, che si vuole inventato da Publio Negro, che lo fabbricavano pure i Mormoni e lo trasportavano in Brittannia. In medicina, sono rinfrescative, lassative, pettorali. Se ne fa decozione e sciroppo nelle tossi catarrali. La polpa cotta, onde il nome di pomata, fu usata come emolliente nelle flogosi oculari, e fa parte della pomata del Rosenstein, contro le regadi delle labbra e de' capezzoli. La poma selvatica à virtù astringenti, detersive. Il legno del pomo è di grana fina, prende facilmente la pulitura, è uno dei migliori da fuoco. Il pomo è frutto cosmopolita e vanta la più antica delle prosapie. Iddio dopo aver creato la luce e divise le acque dalla terra, creò il pomo. Eva lo trovò bello e saporito e lo mangiò e lo fece mangiare ad Adamo, e da quel pomo l'origine e la serie d'ogni disgrazia. Mala mali malo mala contulit omnia mundo. Vero è che col nome di pomo, non solo la Bibbia, ma tutti gli scrittori designarono le frutta in genere, ma se ciò avvenne era perchè il pomo era il re, il capostipite di tutti i frutti e si prese il nome suo ad indicare tutto ciò che il regno vegetale produceva di bello e di bono a mangiarsi. Così tutti i barbari che calavano da noi, chiamavano l'Italia la terra delle dolci poma, così il frutteto fu chiamato pomarium. A Roma il Dio del pomo, era detto Falacer e vi aveva un apposito sacerdote col relativo santuario. I romani li facevano cocere nel vapore dell'acqua o sotto la cenere. L'arte di conservare le poma, era all'apogeo presso i Romani. Pollione dice di Gallieno: — Uvas triennio servavit, hyeme summa, melones exibuit: mustum quemadmodum toto anno haberetur docuit: ficos virides et poma ex arboribus recentia semper alienis mensibus prœbuit (Plinio, lib. 14). I Greci raccontano del pomo cose orribili. Giove unì in nozze un bel giorno la dea dei mari, Teti, con Peleo, dal quale matrimonio nacque poi il bollente Achille. Quelle nozze furono celebrate con gran pompa e alla presenza di tutto l'olimpo au complet. Tutte le divinità infernali, aquatiche e terrestri ebbero, non solo il faire-part, ma officiale invito d'intervenire. Una Dea sola fu esclusa: la Dea Discordia. E questa per vendicarsi, al momento dei brindisi, comparve nella sala del banchetto e buttò sulla tavola un bellissimo pomo dicendo: «Alla più bella di voi» e sparì. Giunone, Pallade e Venere, ch' erano diffatti le più belle, si guardarono per traverso, e ognuna di loro pretendeva quel pomo. Giove, che in quel giorno non voleva seccature, mandò a chiamare Paride, un bel giovinotto, e lo fece arbitro della bellezza di quelle concorrenti. Tutte e tre fecero gli occhietti a quel giovinotto, ma egli consegnò il pomo a Venere, lasciando le altre due con tanto di naso. Venere ebbe il pomo, ma Giunone e Pallade lo conciarono poi per le feste, e tanto fecero che andò a finir male. Rubò Elena, fu assediato e vinto a Troja, e ferito da Pirro, andò a morire sul monte Ida. Tutto per quel pomo che dappoi fu chiamato il pomo della Discordia. Nè qui finisce la storia di quel pomo. Venere in quel giorno, almeno per galanteria, doveva cederlo a Teti, che sedeva in capo tavola, sposa festeggiata, ma fe' la sorda e se la mise in saccoccia. Naturalmente Teti l'ebbe a male alla sua volta, e se la legò anch'essa al dito. Avvenne, che Venere discese un giorno sulle rive delle Gallie a raccogliere perle e un tritone le rubò il pomo, che aveva deposto su di un sasso e lo portò a Teti. Questa lo prese, lo mangiò e buttò i semi in quella campagna a perpetuare il ricordo della sua vendetta e del suo trionfo. Ecco perchè, dicono i Galli-celti, sono tante mele nel nostro paese, e perchè le nostre fanciulle sono così belle! Questa seconda parte l'aggiunge Bernardin de S. Pierre, magnificando le bellissime mele della Normandia. Al pomo i nostri fratelli Svizzeri attaccano la storiella di Guglielmo Tell, e al pomo che cadde sul naso a Newton mentre riposava in giardino dobbiamo la scoperta dell'attrazione. Il nostro popolo prende il pomo come il tipo della rotondità (rotond come un pomm), della somiglianza (vess un pomm tajaa in duu), del vino fatto colle mani (vin de pomm), della paura (pomm-pomm), degli avvenimenti necessarii (el pomm quand l'è madur, bisogna ch'el croda); infine dell'arma più pacifica per sbarazzarsi da un seccatore (fà côrr a pomm).
. Ecco perchè, dicono i Galli-celti, sono tante mele nel nostro paese, e perchè le nostre fanciulle sono così belle! Questa seconda parte l'aggiunge
Afferrerete quindi per di dietro lo stomaco tirando fuori tutto l'intestino colle interiora e guardandovi bene dal rompere il sacchetto del fiele che comunicherebbe un cattivo sapore alle carni. Questo sacchetto, i polmoncini, gl'intestini (a meno che non si voglia aprirli e pulirli), la cui estremità si recide, vanno gettati via: lo stomaco si apre, si vuota e si fa poi bollire nel brodo, per unirlo più tardi ai così detti fegatini, che sono il fegato e il cuore e che formano assieme alla cresta e ai granelli dei galli le così dette rigaglie.
fegato e il cuore e che formano assieme alla cresta e ai granelli dei galli le così dette rigaglie.
29. Intingolo alla financière. — Mettete in un tegame un bicchiere di vino di Madera con 60 grammi di tartufi neri pelati e tagliati a soldi o ad olive; fate cuocere a metà, aggiungete un intingolo d'animelle di vitello o d'agnello e finito con sua salsa (V. N. 28, guerniture), più ancora 12 creste di galli, cotte come sopra, N. 28. Il tutto ben unito, giusto di sale e pepe servite per ripieni e guerniture di ogni sorta di volaglia, riso, ecc.
di galli, cotte come sopra, N. 28. Il tutto ben unito, giusto di sale e pepe servite per ripieni e guerniture di ogni sorta di volaglia, riso, ecc.
. Cioè, di bergli sopra del vino, tutto all'apposto del nostro proverbio: al fico l'acqua ed alla pera il vino. La tradizione vuole che la calata dei Normanni si debba al fico, che erano golosissimi di provarne la tanto decantata bontà. Tramanda la storia romana, che il 7 luglio, una fantesca, salita su di un fico selvatico, s'accorse che i Galli, che assediavano Roma, erano ubbriachi ed immersi nel sonno e ne avvertì i Romani, che li sorpresero e ne fecero macello. Dopo di che, in onore di Giunone, sotto le ficaie selvatiche, celebraronsi dalle schiave e dalle libere unitamente le None Caprotine, o feste delle serve. Scrive infine il Simonetta, che al suo tempo, in Padova, un garzone mangiò 40 libbre di fichi al padrone, et poi si morì ethico. Castor Durante fece un poema sul fico nel 1617. La tradizione vuole che Giuda si appiccasse ad una pianta di fico.
, salita su di un fico selvatico, s'accorse che i Galli, che assediavano Roma, erano ubbriachi ed immersi nel sonno e ne avvertì i Romani, che li sorpresero
grigio ferro, non profumato. Non matura mai sui rami. Raccolto e posto sulla paglia matura lentamente, divien morbido ed acquista un sapore sgradevole. La nespola è fornita internamente di cinque noccioli, o semi, durissimi a forma di mezza palla, onde il suo nome dal greco. Diverse varietà, fra le quali la hortensis, a frutto voluminoso, e l'abortiva, a frutto senza noccioli — quella coltivata comunemente è la varietà japónica. «Col tempo e colla paglia maturano le nespole, dice il proverbio,» e però pare che quello che la nespola acquista sulla paglia, non sia la vera maturanza, ma piuttosto un principio di fermentazione zuccherina che la rende molle, succosa, dolce, da dura ed agra e non affatto mangiabile qual era appena colta. Coi semi della japónica uniti ad alcool e zuccaro si fabbrica un liquore spiritoso da tavola. La nespola non costituisce mai un boccone molto ricercato, e non gli si tributa la deferenza che si à per le altre frutta. Il legno del nespolo è durissimo, serve a diversi usi, ed è prezioso se in pezzi grossi. Questo frutto à virtù astringente ed è a consigliarsi nelle diarree semplici. In Francia se ne fa una speciale confettura della quale il Mantegazza ci dà la seguente ricetta: «Ripulite le nespole e gettatele in burro fresco e, reso rossiccio dalla cottura, lasciatele bollire. Quando saranno cotte, versatevi un quarto di vino rosso e fate consumare il tutto fino a una consistenza sciropposa. Ritirate le nespole e spolverate di zucchero.» Ricetta, che d'altronde trovo scritta ed usata fino dal 1560 e raccolta dal Campegio. Pare che il nespolo sia stato portato in Italia dai Galli, e vuolsi, al tempo di Catone non fosse conosciuto. Gli antichi gli assegnavano virtù d'arrestare il vomito, di preservare dall'ubbriachezza, e fu sempre tenuta come medicina, piuttosto che frutta alimentare. I Romani ne facevano del vino, ce ne informa Virgilio:
, che d'altronde trovo scritta ed usata fino dal 1560 e raccolta dal Campegio. Pare che il nespolo sia stato portato in Italia dai Galli, e vuolsi, al
. I Greci poi raccontano del pomo cose orribili. Giove unì in nozze un bel giorno la dea dei mari, Teti, con Peleo, dal quale matrimonio nacque poi il bollente Achille. Quelle nozze furono celebrate con gran pompa e alla presenza di tutto l'olimpo au complet. Tutte le divinità infernali, aquatiche e terrestri ebbero, non solo il fairepart, ma ufficiale invito d'intervenire. Una dea sola fu esclusa: la dea Discordia. E questa, per vendicarsi, al momento dei brindisi, comparve nella sala del banchetto e buttò sulla tavola un bellissimo pomo, dicendo: «Alla più bella di voi,» e sparì. Giunone, Pallade e Venere, ch'erano difatti le più belle, si guardarono per traverso, e ognuna di loro pretendeva quel pomo. Giove, che in quel giorno non voleva seccature, mandò a chiamare Paride, un bel giovinotto, e lo fece arbitro della bellezza di quelle concorrenti. Tutte e tre fecero gli occhietti a quel giovinotto, ma egli consegnò il pomo a Venere, lasciando le altre due con tanto di naso. Venere ebbe il pomo, ma Giunone e Pallade lo conciarono poi per le feste, e tanto fecero che andò a finir male. Rubò Elena, fu assediato e vinto a Troja, e ferito da Pirro, andò a morire sul monte Ida. Tutto, per quel pomo che dappoi fu chiamato il pomo della Discordia. Nè qui finisce la storia di quel pomo. Venere, in quel giorno, almeno per galanteria, doveva cederlo a Teti, che sedeva in capo tavola, sposa festeggiata, ma fe' la sorda e se lo mise in saccoccia. Naturalmente Teti l'ebbe a male alla sua volta, e se la legò anche essa al dito. Avvenne che Venere discese un giorno sulle rive delle Gallie a raccogliere perle e un tritone le rubò il pomo che aveva deposto su di un sasso, e lo portò a Teti. Questa lo prese, lo mangiò e buttò i semi in quella campagna a perpetuare il ricordo della sua vendetta e del suo trionfo. Ecco perchè, dicono i Galli-celti, sono tante mele nel nostro paese, e perchè le nostre fanciulle sono così belle! Questa seconda parte l'aggiunge Bernardin de S. Pierre, magnificando le bellissime mele della Normandia. Al pomo i nostri fratelli svizzeri attaccano la storiella di Guglielmo Tell, e al pomo che cadde sul naso a Newton, mentre riposava in giardino, dobbiamo la scoperta dell'attrazione. La quale attrazione, del pomo, era già scoperta migliaia d'anni fa da Eva. Ed è per questa attrazione che il re Wadislao di Polonia fuggiva e cadeva in deliquio alla vista di un pomo. Il nostro popolo, prende il pomo come il tipo della rotondità (rotond come un pomm) della somiglianza (vess un pomm tajaa in duu), del vino fatto colle mani (vin de pomm), della paura (pomm-pomm), degli avvenimenti necessari (el pomm quand l'è madur, bisogna ch' el croda); infine dell'arma più pacifica per sbarazzarsi da un seccatore (fa córr a pomm). Proverbi sul pomo:
vendetta e del suo trionfo. Ecco perchè, dicono i Galli-celti, sono tante mele nel nostro paese, e perchè le nostre fanciulle sono così belle! Questa
Un gallinaccio giovane, tenero e già frollato si prepara come il fagiano, oppure si lardella, inaffiandolo durante la cottura con burro e brodo, od anche con succo di limone o con fior di latte acidulo. Vecchi galli si preparano nel modo indicato pell'urogallo in marinata o stufati prima d'arrostirli.
anche con succo di limone o con fior di latte acidulo. Vecchi galli si preparano nel modo indicato pell'urogallo in marinata o stufati prima d
I buongustai amano che la selvaggina sia frolla, quindi i fagiani, le beccacce e le pernici si lascieranno riposare dai sette ai quindici giorni, i cotorni e i francolini dai sette ai diciotto, i galli di montagna dai sette ai venti. I volatili vanno sempre appesi (e possibilmente dalla parte della testa) sia nelle cantine asciutte, sia nelle dispense o in appositi armadi chiusi con una grata ; quando fa caldo li involgerete in un sacchettino di velo.
cotorni e i francolini dai sette ai diciotto, i galli di montagna dai sette ai venti. I volatili vanno sempre appesi (e possibilmente dalla parte della
Per vuotare i volatili grandi taglierete loro la parte inferiore del becco e, fatta un'incisione nel collo, verso il dorso, estrarrete la lingua,il gozzo, l' esofago e i polmoncini liberandoli con due dita dai filamenti che li fanno aderire internamente al petto. Voltato quindi il volatile sul dorso, gli farete un'incisione non troppo lunga dal basso all'alto presso la coscia destra, badando di non ferire l'intestino, ed entrando poi con due dita nel vano, estrarrete prima di tutto il grasso, se ve n'è (quando si tratta d'un'oca questa operazione è molto importante) e lo metterete subito nell'acqua fresca (vedi pag. 3 N.° 7). Afferrerete quindi per di dietro lo stomaco tirando fuori l'intestino e tutte le interiora guardandovi bene dal rompere il sacchetto del fiele che comunicherebbe un cattivo sapore alle carni. Questo sacchetto, i polmoncini, gl'intestini, la cui estremità si recide facendola rientrare nel foro, vanno gettati via; lo stomaco si apre, si vuota (nell'anitra, si raschia anche dalla pelle dura interna), si fa poi bollire lungamente nel brodo, per unirlo ai così detti fegatini che sono il fegato e il cuore e che formano insieme alla cresta e ai granelli dei galli le rigaglie ricercatissime per condire risotti, paste d'uova, per assaporire ragoûts, pasticci ecc. ecc. In parecchie città si trovano in vendita anche le trippe di pollo, cioè gl'intestini aperti per il lungo e scrupolosamente puliti, cibo anch'esso assai ghiotto e che si ammannisce in diverse maniere. Ciò serva per il pollame.
bollire lungamente nel brodo, per unirlo ai così detti fegatini che sono il fegato e il cuore e che formano insieme alla cresta e ai granelli dei galli le
I galli si possono preparare con tutte le ricette del fagiano, ed anche come piatto freddo con contorno di crostoni, di gelatina o con salsa mayonnaise.
I galli si possono preparare con tutte le ricette del fagiano, ed anche come piatto freddo con contorno di crostoni, di gelatina o con salsa
37. Gallo di montagna marinato. — Vi servirete della marinata soltanto quando vi toccherà di allestire dei galli di una certa età e, prima di versarvela sopra, li conserverete un pajo di settimane in luogo fresco senza pelarli. La ricetta della marinata cotta, senza burro, a) pag. 18 potrà convenirvi per porre in fusione il gallo che trascorsi 3-4 giorni cuocerete poi arrosto.
37. Gallo di montagna marinato. — Vi servirete della marinata soltanto quando vi toccherà di allestire dei galli di una certa età e, prima di
Sotto il nome di pollami comprendonsi i galli d'India o gallinacci, le oche, le anitre, i capponi, i pollastri e i piccioni. Qualora tutti questi volatili sieno ben nutriti, grassi, e non troppo adulti, e le carni loro sieno di bella apparenza bianche e sode, se ne può far uso con vantaggio nella cucina, e inutile sarebbe il voler ora indicare tutte le preparazioni che sogliono farsene dai periti cucinieri. Utile partito si trae parimente dalle cime o punte dell'ali, dalle creste, dai fegati, ecc., coi quali si preparano eccellenti manicaretti.
Sotto il nome di pollami comprendonsi i galli d'India o gallinacci, le oche, le anitre, i capponi, i pollastri e i piccioni. Qualora tutti questi