arricciare il naso ad un ricco signore dinanzi ad un salmì di pernici con tartufi o ad un fagiano allo spiedo. Sgraziatamente nessun cuoco di questo mondo (neppure quelli da 5 a 10,000 lire di stipendio) sanno preparare la salsa dell'appetito e tocca a noi con una vita operosa e temperata metterlo assieme e custodirlo fra le cose più preziose e più care della vita.
arricciare il naso ad un ricco signore dinanzi ad un salmì di pernici con tartufi o ad un fagiano allo spiedo. Sgraziatamente nessun cuoco di questo
Aglio. — Bandite dalla vostra cucina questo fetidissimo bulbo, di cui si può privarsi senza compromettere punto la nostra ghiottoneria. Scacciate da casa vostra la cuoca che nasconde l'aglio nelle vostre vivande e negate i vostri baci alle vostre donne che hanno commesso il delitto di mangiarne. È più facile nascondere un amore felice, o un delitto commesso, che uno spicchio d'aglio ingoiato. Per la prima scoperta ci vuole la lente dell'inquisitore o l'inquisizione di un tribunale: per iscoprire l'aglio basta un naso ben fatto. È falso che mettendo al collo o fra i panni dei bambini uno spicchio d'aglio si tengan lontano i vermi.
'inquisitore o l'inquisizione di un tribunale: per iscoprire l'aglio basta un naso ben fatto. È falso che mettendo al collo o fra i panni dei bambini uno
Prodotti della nuova fabbrica di profumeria di A. Pierrugues in Firenze ( Via Fiorenzuola, Via Maffei, Via del Bersaglio). Deposito generale alla Città dei Fiori in Piazza della Signoria — Firenze. In Italia si continua ad avere un ingiusto, uno sciocco pregiudizio contro i profumi, e frattanto il naso rimane privo di molti e onesti piaceri e che per nulla possono offendere la nostra salute.
naso rimane privo di molti e onesti piaceri e che per nulla possono offendere la nostra salute.
In tutta l'Italia si potrebbero mangiare dei Pesci freschissimi, se la malizia de' pescatori, o de' pescevendoli, mettendoli ne' tempi e stagioni calde nelle grotte, o ne' pozzi, ovvero all'acqua corrente per conservarli non li guastassero in vece, e ciò per venderli poi, a più caro prezzo in giorni di vigilia, la qual cosa pratticasi segnatamente in Napoli, nonostante i rigori da varie leggi emanate a tale oggetto. Devesi perciò avvertire che comprato questo Pesce è necessario subito prepararlo, e farlo cuocere, altrimenti non si potrà mangiare, e benchè i compratori lo conoschino, pure alcuna volta ne restano ingannati; onde debbano ben guardarlo nell'occhio, il quale non essendo il Pesce fresco sarà pallido, ed appannato, in luogo che essendo fresco lo averà vivace, e lucido. Si debbano anche osservare le garze, le quali col cattivo odore ne scuoprono il difetto, e per far ciò basta toccarle con un dito, e poscia portarlo al naso; onde subito si sentirà la freschezza del Pesce, o il suo difetto, e benchè i pescatori, o venditori di Pesce sogliono spremere le garze de' Pesci freschi, e con quel sangue colorire le garze di quelli troppo frolli, per mostrare cosi il sangue vivo, pure servendosi del solo tatto, come si è accennato di sopra, facilmente si possono conoscere le buone, o cattive qualità di qualunque sorta di Pesce.
toccarle con un dito, e poscia portarlo al naso; onde subito si sentirà la freschezza del Pesce, o il suo difetto, e benchè i pescatori, o venditori
In tutta l'Italia si potrebbero mangiare dei Pesci freschissimi, se la malizia de' pescatori, o de' pescevendoli, mettendoli ne' tempi e stagioni calde nelle grotte, o ne' pozzi, ovvero all'acqua corrente per conservarli non li guastassero in vece, e ciò per venderli poi, a più caro prezzo in giorni di vigilia, la qual cosa prattìcasi segnatamente in Napoli, nonostante ì rigori da varie leggi emanate a tale oggetto. Devesi perciò avvertire, che comprato questo Pesce è necessario subito prepararlo, e farlo cuocere, altrimenti non si potrà mangiare, e benchè ì compratori lo conoschino, pure, alcuna volta ne restano ingannati; onde debbano ben guardarlo nell'occhio, il quale non essendo il Pesce fresco sarà pallido, ed appannato, in luogo che essendo fresco lo averà vivace, e lucido. Si debbano anche osservare le garze, le quali col cattivo odore ne scuoprono il difetto, e per far ciò basta toccarle con un dito, e poscia portarlo al naso; onde subito si sentirà la freschezza del Pesce, o il suo difetto, e benchè i pescatori, o venditori di Pesce sogliono spremere le garze de' Pesci freschi, e con quel sangue colorire le garze di quelli troppo frolli, per mostrare cosi il sangue vivo, pure servendosi del solo tatto, come si è accennato di sopra, facilmente si possono conoscere le buone, o cattive qualità di qualunque sorta di Pesce.
basta toccarle con un dito, e poscia portarlo al naso; onde subito si sentirà la freschezza del Pesce, o il suo difetto, e benchè i pescatori, o venditori
C'era un prete in una città di Romagna che cacciava il naso per tutto e, introducendosi nelle famiglie, in ogni affare domestico voleva metter lo zampino. Era, d'altra parte, un onest'uomo e poichè dal suo zelo scaturiva del bene più che del male, lo lasciavano fare; ma il popolo arguto lo aveva battezzato Don Pomodoro, per indicare che i pomodori entrano per tutto; quindi una buona salsa di questo frutto sarà nella cucina un aiuto pregevole.
C'era un prete in una città di Romagna che cacciava il naso per tutto e, introducendosi nelle famiglie, in ogni affare domestico voleva metter lo
Male, male assai poi fanno coloro che si lasciano vincere dal vino. A poco a poco, sentono nausea al cibo e si nutrono quasi esclusivamente di quello; indi si degradano agli occhi del mondo, diventando ridicoli, pericolosi e bestiali. C'era un mercante che quando arrivava in una città si fermava ad una cantonata per osservar la gente che passava e quando vedeva uno col naso rosso era sollecito a chiedergli dove si vendeva il vino buono. Anche passando sopra al marchio d'intemperanza che questo vizio imprime spesso sul viso, e a certe scene che destano soltanto un senso d'ilarità come quella di un cuoco il quale, mentre i suoi padroni aspettavano a cena, teneva la padella sopra l'acquaio e furiosamente faceva vento al disotto è certo che quando vedete questi beoni, che cogli occhi imbambolati, mal pronunciando l'erre dicono e fanno sciocchezze spesso compromettenti, vi sentite serrare il cuore nel timore che non si passi alle risse e dalle risse al coltello come avviene sovente. Persistendo ancora in questo vizio brutale, che si fa sempre più imperioso, si diventa ubriaconi incorreggibili; i quali tutti finiscono miseramente.
una cantonata per osservar la gente che passava e quando vedeva uno col naso rosso era sollecito a chiedergli dove si vendeva il vino buono. Anche
Petonciani e finocchi, quarant'anni or sono, si vedevano appena sul mercato di Firenze; vi erano tenuti a vile come cibo da ebrei, i quali dimostrerebbero in questo, come in altre cose di maggior rilievo, che hanno sempre avuto buon naso più de' cristiani.
dimostrerebbero in questo, come in altre cose di maggior rilievo, che hanno sempre avuto buon naso più de' cristiani.
Il pesce, se è fresco, ha l'occhio vivace e lucido; lo ha pallido ed appannato se non è fresco. Un altro indizio della sua freschezza è il colore rosso delle branchie; ma queste potendo essere state colorite ad arte col sangue, toccatele con un dito e portatevelo al naso: l'odore vi farà la spia. Un altro carattere del pesce fresco è la sodezza delle carni, perchè se sta molto nel ghiaccio diventa frollo e morbido al tatto.
rosso delle branchie; ma queste potendo essere state colorite ad arte col sangue, toccatele con un dito e portatevelo al naso: l'odore vi farà la spia
Quando vi giungerà al naso l'odore della cipolla bruciata rivoltate la carne, e quando la vedrete tutta rosolata per bene, anzi quasi nera, versate acqua fredda quanta ne sta in un piccolo ramaiuolo, replicando per tre volte l'operazione di mano in mano che l'acqua va prosciugandosi. Per ultimo, se la quantità della carne fosse di grammi 500 circa, versate nella cazzaruola un litro e mezzo di acqua calda, o, ciò che meglio sarebbe, un brodo di ossa spugnose, e fatelo bollire adagino per cinque o sei ore di seguito onde ristringere il sugo ad estrarre dalla carne tutta la sua sostanza. Passatelo poi per istaccio, e quando il suo grasso sarà rappreso, formando un grosso velo al disopra, levatelo tutto per rendere il sugo meno grave allo stomaco. Questo sugo, conservandosi per diversi giorni, può servire a molti usi e con esso si possono fare dei buoni pasticci di maccheroni.
Quando vi giungerà al naso l'odore della cipolla bruciata rivoltate la carne, e quando la vedrete tutta rosolata per bene, anzi quasi nera, versate
Molta gente mangia più con la fantasia che col palato e però guardatevi sempre dal nominare, almeno finchè non siano già mangiati e digeriti, que' cibi che sono in generale tenuti a vile per la sola ragione che costano poco o racchiudono in sè un'idea che può destar ripugnanza; ma che poi, ben cucinati o in qualche maniera manipolati, riescono buoni e gustosi. A questo proposito vi racconterò che trovandomi una volta ad un pranzo di gente famigliare ed amica, il nostro ospite, per farsi bello, all'arrosto, scherzando, uscì in questo detto: «Non potrete lagnarvi che io non vi abbia ben trattati quest'oggi; perfino tre qualità di arrosto: vitella di latte, pollo e coniglio.» Alla parola coniglio diversi dei commensali rizzarono il naso, altri rimasero come interdetti, ed uno di essi, intimo della famiglia, volgendo lo sguardo con orrore sul proprio piatto, rispose: «Guarda quel che ti è venuto in capo di darci a mangiare! almeno non lo avessi detto! mi hai fatto andar via l'appetito.»
trattati quest'oggi; perfino tre qualità di arrosto: vitella di latte, pollo e coniglio.» Alla parola coniglio diversi dei commensali rizzarono il naso
Venuti in tavola i pavoni senza becco e ordinato uno che tagliasse; il quale non essendo più pratico a simile uffizio, gran pezzo si affaticò a pelare, e non potè far sì destro, che non empiesse la sala e tutta la tavola di penne, e gli occhi e la bocca, e il naso e gli orecchi a Messer Goro e a tutti
pelare, e non potè far sì destro, che non empiesse la sala e tutta la tavola di penne, e gli occhi e la bocca, e il naso e gli orecchi a Messer Goro e a
Oh, quanta gente arriccia il naso, e fa le boccucce degli schifiltosi al solo udire il nome di questo bulbo! Eppure, la cipolla è ritenuta un diuretico efficacissimo, un ottimo condimento, un non dispregevole alimento. La cipolla si mangia cruda e cotta. Onde perda la sua acredine, basta lasciarla, dopo tagliata, alcuni minuti nell'acqua fresca.
Oh, quanta gente arriccia il naso, e fa le boccucce degli schifiltosi al solo udire il nome di questo bulbo! Eppure, la cipolla è ritenuta un
Si mangia col naso pel senso dell'odorato, che cerca la scelta e l'armonia degli odori. Per questo vien detto che l'organo prominente dell'odorato è l'esploratore dello stomaco; e per questo appunto il buon Dio ce lo ha collocato al disopra della bocca, onde nulla entri in questa senza il beneplacito di quello.
Si mangia col naso pel senso dell'odorato, che cerca la scelta e l'armonia degli odori. Per questo vien detto che l'organo prominente dell'odorato è
Per ultimo e quando l'occhio, vigile sentinella, ha concesso il lascia-passare e il naso l'ha controfirmato, allora si mangia col gusto. La bocca s'apre e riceve il cibo, mentre i suoi denti si mettono in azione. Ma se il cibo non soddisfa il gusto, la lingua e il palato si ribellano, l'azione dei denti si arresta, l'esofago si chiude.
Per ultimo e quando l'occhio, vigile sentinella, ha concesso il lascia-passare e il naso l'ha controfirmato, allora si mangia col gusto. La bocca s
Le farcie sono di una importanza capitale nella cucina. Un pesce un po' insipido, dei legumi che fanno arricciare il naso, potranno essere trasformati in ottimi piatti appetitosi e di bell'aspetto, con la sola aggiunta di una farcia. Trasformate in farcia dei piccoli avanzi insignificanti, mescolandoli con salse o con pangrattato, ed eccovi pronte delle crocchette leggere e morbide, o degli ottimi ravioli. Questi sono i miracoli delle farcie! Ed eccovi qualche tipo di farcia:
Le farcie sono di una importanza capitale nella cucina. Un pesce un po' insipido, dei legumi che fanno arricciare il naso, potranno essere
Per rimediare a questo inconveniente, in molte cucine si aggiunge uria parte di grasso di rognonata di bue allo strutto. Molti arricciano il naso a sentir parlare di grasso perchè non sanno che il grasso fresco di bue, ben condizionato, ed adoperato con arte val dieci volte più dello strutto, semprechè il fritto sia mangiato caldissimo, ma noi non consiglieremo mai ai mal pratici di adoperare il grasso, e preferiamo piuttosto consigliar loro di aggiungere allo strutto la metà di buon olio di oliva.
Per rimediare a questo inconveniente, in molte cucine si aggiunge uria parte di grasso di rognonata di bue allo strutto. Molti arricciano il naso a
Martine, ad nostras mensas, qui providus affers Ex omni fructu, emptaque poma foro. Elige monstrantem tibi talia signa peponem, Ut non porcelli digna sit esca tui. Et prius oblongœ sit, quaque et parte figura Aspera per tolum scabraque terga gerat. Sit paribus Zonis, signis distinctus et altis, Cui non per senium sit color ipse croci. Sit gravis ut saxum, durus, nec pollice cedens, Appositus naso, cinnama odore ferat. Non sonet ambabus manibus jactatus in auras, Ostendatque animus nulla fenestra suas. Quis si talis erit per te laudatus abibis, Sin effringenlur per caput ille tuum.
non per senium sit color ipse croci. Sit gravis ut saxum, durus, nec pollice cedens, Appositus naso, cinnama odore ferat. Non sonet ambabus manibus
E prima di tutto fate aquisto d'un caffè sano, di vero caffè. Se il vostro droghiere ve lo somministra buono, non cercatene nè la provenienza, nè la qualità: chiudete gli occhi, che vi ingolfereste in un mare di assurdi e di difficoltà. Non comperate mai e poi mai il caffè tostato — peggio poi quello già macinato. Tostatevelo voi, macinatevelo voi. I semi del caffè non sono altro che una sostanza legnosa che nasconde in sè tutta una ricchezza d'aroma. È quell'aroma che si vuole e si deve cavare da quei semi. E il modo di cavarlo è — la tostatura prima, la bollitura poi. Nella prima operazione, la tostatura, si deve, condurre il seme allo stato di maturanza aromatica opportuno. Nella seconda, la bollitura, si segrega l'aroma, si spoglia la parte legnosa di quella sua graziosa proprietà, per dotarne l'aqua. Tutte e due queste operazioni richiedono una speciale attenzione. Tostate il vostro caffè nel tamburino a carbone, non alla fiamma, prima adagio perchè si scaldi, poi in fretta perchè non bruci. Quando comincia a tramandare quel sudore che lo rende lucido, toglietelo in fretta dal tostino, perchè l'aroma, mercè il grado di calore subíto, fa capolino dai tessuti legnosi, nella forma, comune a tutte le essenze, di olio essenziale, che è appunto quel sudore lucente. Se l'aroma, che è volatile, sorte, lo godrà il naso, non la bocca. Quel sudore non deve escire assolutamente. Non lasciatelo scappare — ritirate il vostro caffè che sia di un biondo foncè — color tabacco de' frati. Quando è nero, è bruciato, e bruciato è carbone e col carbone non si fà caffè. Versatelo distendendolo, fatelo raffreddare più presto che potete. Più presto si raffredda, tanto meno aroma si disperde. Il freddo è nemico capitale dell'aroma. Tostato e freddato mettetelo chiuso in vaso o stagnata, in luogo asciutto e volta per volta macinatene il solo bisognevole come volta per volta tostatene solo il bisognevole. La bollitura è quella che dà l'ultima mano a sprigionare l'aroma, a separarlo dal seme. Aspettate che l'aqua sia bollente a mettervi il caffè, rimescolatelo un po' — due bolli solamente — e via dal fuoco, copritelo. Tre piccoli cucchiaj ben colmi generalmente bastano per una tazza. Certo che con poco si fà poco, come con niente si fà niente. Più caffè adunque più aroma e sapore. Il caffè riesce come lo si fà — è un assioma. Il recipiente in cui deve subire l'ebollizione sia d'una pulitezza da cristallo, senza odore di sorta, (guardatelo da quel tanfo di chiuso, che è una cosa orribile) non c'è cosa come il caffè per assumere qualunque piccolo odore, è delicatissimo. Quando il caffè è buono, fresco, tostato convenientemente, messo in dose giusta e fatto, bollire come sopra, farete un caffè squisitissimo anche nel pajolo della massaja. Ma più lo si custodisce e lo si rinchiude, più conserva la natia virtù. Furono inventate mille fogge di macchinette da caffè, a infusione ed a pressione, razionali ed irrazionali, ma quella a pressione atmosferica, quale attualmente si trova presso quasi tutte le famiglie, è la migliore per comodità, poco costo e semplicità. Tale macchinetta, divenuta popolare, fu perfezionata nel 1856 da Monsignor Gius. Nicorini Canc. Ord.
forma, comune a tutte le essenze, di olio essenziale, che è appunto quel sudore lucente. Se l'aroma, che è volatile, sorte, lo godrà il naso, non la
Che che ne sia il fungo dà un piatto molto saporito e ghiotto. Si frigge, si trifola, si unisce a mille intingoli, copre delle sue ali il risotto, regna sovrano nella polenta. È indigesto mangiandone in quantità, ma à virtù stomatiche e corroboranti, dovuto agli aromi dei quali è ricco. Si conserva pure per l'inverno in speciale salamoja o concia, e secco. Gli antichi credevano fosse il prodotto del tuono e del fulmine, per cui lo addimandavano calabates. Anche loro furono sempre ghiotti dei funghi — e chi à potuto far capolino nel tablinum dei Romani, vi avrebbe veduto i loro senatori mondare, essi medesimi, i funghi con un coltellino a manico d'ambra, perchè, i ghiottoni, ne volevano sentire anticipatamente col loro naso senatoriale gli effluvj del primo profumo. È ben vero che anche allora la razza dei funghi assassini faceva la pelle a molti, per cui avevano il proverbio: Tanquam fungus strangulat. Anzi alcuni filologi pretendono che fungus, venga da funere per la sua parentela antichissima coi necrofori. Orazio, quel dell'aurea mediocrità, decantava i pratajuoli: pratensibus optima fungis Natura, cœteris male creditur. Plinio li chiama: gulœ novissima irritamenta. Difilo filosofo li commenda, e Clemente VII ne morì avvelenato.
mondare, essi medesimi, i funghi con un coltellino a manico d'ambra, perchè, i ghiottoni, ne volevano sentire anticipatamente col loro naso senatoriale gli
Il Pomo, o Mela, è albero indigeno europeo, a foglia caduca, ama clima temperato — preferisce terreno sabbioso-argilloso. È fecondissimo. Si propaga per semi, barbatelle, innesto. À vita lunga, resiste al freddo, fiorisce tardi, chè soffre la brina pe' suoi frutti. Se ne contano più di 2000 varietà; fra queste le più apprezzate sono l'Azzeruola (pomm pomell), la Pupina (popin), od Appia — la Ruggine toscana, o Borda. Da noi tranne la varietà S. Peder e l'altra detta Pomm ravas, il pomo è frutto d'inverno. Nel linguaggio delle piante: Golosità. Può considerarsi maturo, quando incomincia a tingersi in giallo, mandare un po' della sua fragranza, e a cadere spontaneamente — indizio più sicuro è il colore nero de' suoi acini. Il raccolto è da farsi in giorno sereno, quando sia scomparsa la rugiada. Quelli che cadono avanti tempo, bisogna consumarli subito, facendoli cocere. Per conservarli freschi importa raccoglierli a mano, senza strapparli. Importa pure separare i frutti, che casualmente cadessero sul terreno, perchè presto si guasterebbero e guasterebbero gli altri. Nell'inverno gelano facilmente. Se le disgelate al fuoco, perdono: lasciate che disgelino con comodo o ponetele nell'acqua molto fredda, ma non ghiacciata; facendola intepidire a poco a poco anche il gelo della mela si rimette senza danno dell'organizzazione, così pure d'ogni altro frutto e delle ova. La mela, quando sia matura, è il più digeribile dei frutti, è simpatica, profumata, saporita, durevole, è l'amore dei bambini. Si mangia cruda, cotta, secca e confettata. I cuochi ne fanno fritture, charlottes, marmellate, la uniscono alle paste (lacciadin). In alcune contrade settentrionali, meno predilette dal Cielo, dove il sole non matura i pampini, la mela aquista molta importanza economica per la fabbricazione del Sidro, celebre quello di Normandia. È bevanda che può supplire il vino, e, al pari di questo, contiene dell'alcool, ma giammai del tartaro. Se ne fabbrica anche da noi a sofisticare o simulare il vino bianco, massime quello d'Asti. Riesce meno spiritoso e spesso incomodo, perchè genera flatulenze. Il sugo delle mele agre, serve a far aceto, che si conserva molto tempo. Le agre fanno perdere la memoria, dice il Pisanelli. Galeno parla pure di un succo liquore, delle mele, che sarebbe il sidro, che si vuole inventato da Publio Negro, che lo fabbricavano pure i Mormoni e lo trasportavano in Brittannia. In medicina, sono rinfrescative, lassative, pettorali. Se ne fa decozione e sciroppo nelle tossi catarrali. La polpa cotta, onde il nome di pomata, fu usata come emolliente nelle flogosi oculari, e fa parte della pomata del Rosenstein, contro le regadi delle labbra e de' capezzoli. La poma selvatica à virtù astringenti, detersive. Il legno del pomo è di grana fina, prende facilmente la pulitura, è uno dei migliori da fuoco. Il pomo è frutto cosmopolita e vanta la più antica delle prosapie. Iddio dopo aver creato la luce e divise le acque dalla terra, creò il pomo. Eva lo trovò bello e saporito e lo mangiò e lo fece mangiare ad Adamo, e da quel pomo l'origine e la serie d'ogni disgrazia. Mala mali malo mala contulit omnia mundo. Vero è che col nome di pomo, non solo la Bibbia, ma tutti gli scrittori designarono le frutta in genere, ma se ciò avvenne era perchè il pomo era il re, il capostipite di tutti i frutti e si prese il nome suo ad indicare tutto ciò che il regno vegetale produceva di bello e di bono a mangiarsi. Così tutti i barbari che calavano da noi, chiamavano l'Italia la terra delle dolci poma, così il frutteto fu chiamato pomarium. A Roma il Dio del pomo, era detto Falacer e vi aveva un apposito sacerdote col relativo santuario. I romani li facevano cocere nel vapore dell'acqua o sotto la cenere. L'arte di conservare le poma, era all'apogeo presso i Romani. Pollione dice di Gallieno: — Uvas triennio servavit, hyeme summa, melones exibuit: mustum quemadmodum toto anno haberetur docuit: ficos virides et poma ex arboribus recentia semper alienis mensibus prœbuit (Plinio, lib. 14). I Greci raccontano del pomo cose orribili. Giove unì in nozze un bel giorno la dea dei mari, Teti, con Peleo, dal quale matrimonio nacque poi il bollente Achille. Quelle nozze furono celebrate con gran pompa e alla presenza di tutto l'olimpo au complet. Tutte le divinità infernali, aquatiche e terrestri ebbero, non solo il faire-part, ma officiale invito d'intervenire. Una Dea sola fu esclusa: la Dea Discordia. E questa per vendicarsi, al momento dei brindisi, comparve nella sala del banchetto e buttò sulla tavola un bellissimo pomo dicendo: «Alla più bella di voi» e sparì. Giunone, Pallade e Venere, ch' erano diffatti le più belle, si guardarono per traverso, e ognuna di loro pretendeva quel pomo. Giove, che in quel giorno non voleva seccature, mandò a chiamare Paride, un bel giovinotto, e lo fece arbitro della bellezza di quelle concorrenti. Tutte e tre fecero gli occhietti a quel giovinotto, ma egli consegnò il pomo a Venere, lasciando le altre due con tanto di naso. Venere ebbe il pomo, ma Giunone e Pallade lo conciarono poi per le feste, e tanto fecero che andò a finir male. Rubò Elena, fu assediato e vinto a Troja, e ferito da Pirro, andò a morire sul monte Ida. Tutto per quel pomo che dappoi fu chiamato il pomo della Discordia. Nè qui finisce la storia di quel pomo. Venere in quel giorno, almeno per galanteria, doveva cederlo a Teti, che sedeva in capo tavola, sposa festeggiata, ma fe' la sorda e se la mise in saccoccia. Naturalmente Teti l'ebbe a male alla sua volta, e se la legò anch'essa al dito. Avvenne, che Venere discese un giorno sulle rive delle Gallie a raccogliere perle e un tritone le rubò il pomo, che aveva deposto su di un sasso e lo portò a Teti. Questa lo prese, lo mangiò e buttò i semi in quella campagna a perpetuare il ricordo della sua vendetta e del suo trionfo. Ecco perchè, dicono i Galli-celti, sono tante mele nel nostro paese, e perchè le nostre fanciulle sono così belle! Questa seconda parte l'aggiunge Bernardin de S. Pierre, magnificando le bellissime mele della Normandia. Al pomo i nostri fratelli Svizzeri attaccano la storiella di Guglielmo Tell, e al pomo che cadde sul naso a Newton mentre riposava in giardino dobbiamo la scoperta dell'attrazione. Il nostro popolo prende il pomo come il tipo della rotondità (rotond come un pomm), della somiglianza (vess un pomm tajaa in duu), del vino fatto colle mani (vin de pomm), della paura (pomm-pomm), degli avvenimenti necessarii (el pomm quand l'è madur, bisogna ch'el croda); infine dell'arma più pacifica per sbarazzarsi da un seccatore (fà côrr a pomm).
consegnò il pomo a Venere, lasciando le altre due con tanto di naso. Venere ebbe il pomo, ma Giunone e Pallade lo conciarono poi per le feste, e tanto
L'uso del tabacco da naso, per molti detestabile, renderebbe schifoso colui che per sua carica attende alla manipolazione delle vivande; inoltre l'olfatto, la cui finezza è tanto necessaria per ben giudicare della bontà degli alimenti, rimane per tale abitudine grandemente ottuso, e perciò chi si dedica alla cucina deve assolutamente rinunziarvi.
L'uso del tabacco da naso, per molti detestabile, renderebbe schifoso colui che per sua carica attende alla manipolazione delle vivande; inoltre l
chiedono una speciale attenzione. Tostate il vostro caffè nel tamburino a carbone, non alla fiamma, adagio prima perchè si scaldi, poi in fretta perchè non bruci. Quando comincia a tramandare quel sudore che lo rende lucido, toglietelo in fretta dal tostino, perchè l'aroma, mercè il grado di calore subito, fa capolino dai tessuti legnosi, nella forma, comune a tutte le essenze, di olio essenziale, che è appunto quel sudore lucente. Se l'aroma, che è volatile, sorte, lo godrà il naso, non la bocca. Quel sudore non deve escire assolutamente. Non lasciatelo scappare, ritirate il vostro caffè che sia di un biondo foncè, color tabacco de' frati. Quando è nero, è bruciato, e bruciato è carbone, e col carbone non si fa caffè. Versatelo distendendolo, fatelo raffreddare più presto che potete. Più presto si raffredda, tanto meno aroma si disperde. Il freddo è nemico capitale dell'aroma. Tostato e freddato mettetelo chiuso in vaso o stagnata, in luogo asciutto e volta per volta macinatene il solo bisognevole, come volta Per volta tostatene solo il bisognevole. La bollitura è quella che dà l'ultima mano a sprigionare l'aroma, a separarlo dal seme. Aspettate che l'acqua sia bollente a mettervi il caffè, rimescolando un po' — pochi bolli solamente — e via dal fuoco, copritelo. Tre piccoli cucchiai ben colmi generalmente bastano per una tazza. Certo che con poco si fa poco, come con niente si fa niente. Più caffè adunque più aroma e sapore. Il caffè riesce come lo si fa — è un assioma. Il recipiente in cui deve subire l'ebollizione sia d'una pulitezza da cristallo, senza odore di sorta (guardatelo da quel tanfo di chiuso, che è una cosa orribile), non c'è cosa come il caffè per assumere qualunque piccolo odore è delicatissimo. Quando il caffè è buono, fresco, tostato convenientemente, messo in dose giusta e fatto bollire come sopra, farete un caffè squisitissimo anche nel paiolo della massaia. Ma più lo si custodisce e lo si rinchiude, più conserva la natia virtù. Furono inventate mille fogge di macchinette da caffè, a infusione ed a pressione, razionali ed irrazionali, ma quella a pressione atmosferica, quale attualmente si trova presso quasi tutte le famiglie, è la migliore per comodità, poco costo e semplicità. Tale macchinetta, divenuta popolare, fu perfezionata nel 1856 da monsignor Giuseppe Nicorini, Canonico Ordinario della Metropolitana di Milano. Mercè un tappo a smeriglio, si fa salire l'acqua bollente allo staccio superiore, dove s'è messo il caffè, lo vi si lascia bollire un po' e ritirata, mercè il vuoto successovi, precipita il caffè limpido, saporitissimo. Si abbia però avvertenza: 1.° a mettere il caffè sul piccolo staccio solo quando il vapore sorte a sbuffi dallo spiraglio; 2° a tappare lo spiraglio appena vi si è messo il caffè; 3.° a tappar bene e non levare il tappo avanti sia precipitato il caffè, perchè se penetra un po' d' aria, addio vuoto! Allora depone con tutto suo comodo. Ricordatevi dunque, che il caffè si fa col caffè, che il caffè è una cosa di lusso, non è necessario. Non fate caffè gramo, è un vero delitto. Bando assoluto a qualunque sorta di ciurmeria di caffè. Se litigate colla borsa, bevetelo di rado, ma bono, ma fresco, ma che sia vero caffè. Non offrite mai caffè gramo. Una tazza di caffè perfido, è un sacrilegio — e oltre l'insulto che reca alle papille olfatorie e gustatone, oltre i disturbi epatici dei quali può essere potentissima causa, può decidere moltissime volte dell'onorabilità di casa vostra, della stima di una persona, della rottura d'un'amicizia. Il caffè non deve essere mai fatto dalla servitù — deve essere esclusivo monopolio della padrona o della padroncina di casa. Pour la bonne bouche.— Sentite cosa ne disse Delille:
, che è volatile, sorte, lo godrà il naso, non la bocca. Quel sudore non deve escire assolutamente. Non lasciatelo scappare, ritirate il vostro caffè che
Il cece, dette il nome alla famiglia romana dei Ciceroni, che fu illustrata dal più fecondo oratore della lingua latina, il quale per soprappiù ne aveva uno bellissimo in cima al naso. Onde il poeta per lui cantò:
aveva uno bellissimo in cima al naso. Onde il poeta per lui cantò:
Che che ne sia, il fungo dà un piatto molto saporito e ghiotto. Si frigge, si trifola, si unisce a mille intingoli, copre delle sue ali il risotto, regna sovrano nella polenta. È indigesto mangiandone in quantità ma à virtù stomatiche e corroboranti, dovute agli aromi dei quali è ricco. Si conserva pure per l'inverno io speciale salamoia o concia, e secco. Sono più sani e saporiti in generale i piccoli, rigettate quelli che sono coriacei. Gli antichi credevano fosse il prodotto del tuono e del fulmine, per cui lo addimandavano calabates. Anche loro furono sempre ghiotti dei funghi. Seneca scrisse: sono ghiotta cosa i funghi, e li chiamava: voluttuoso veleno. Chi avesse potuto far capolino nel tablinum dei Romani, vi avrebbe veduto i loro senatori mondare, essi medesimi, i funghi con un coltellino a manico d'ambra, perchè, i ghiottoni, ne volevano sentire anticipatamente col loro naso senatoriale, gli effluvi del primo profumo. È ben vero che anche allora la razza dei funghi assassini faceva la pelle a molti, per cui avevano il proverbio:
senatori mondare, essi medesimi, i funghi con un coltellino a manico d'ambra, perchè, i ghiottoni, ne volevano sentire anticipatamente col loro naso
Il Nasturzio, o Lepidio, è pianticella annuale indigena, conosciuta e coltivata nei giardini e negli orti pei suoi fiori giallo-scuri e rossi. Nel linguaggio dei fiori: Mi importuni. Si moltiplica seminando i suoi frutti a primavera, fiorisce fino all'Ottobre, ama terreno grasso e inaffiamenti. I semi germogliano fino ai 5 anni. Avvi una varietà a larghe foglie (lepidium latifolium) che si coltiva come la precedente. Il nome di lepidio, da lepis squama, perchè si usava a rimedio delle impettigini squamose. Anche presso di noi il volgo lo usò molto tempo per distruggere i vermi ai ragazzi. La pianta è diuretica, i fiori si mangiano colla insalata, che rendono più allegra e saporita per un certo acre tra il rafano e la senape che le comunica. I semi possono supplire ai capperi, conservansi verdi nell'aceto e se ne fa salse. I Greci lo chiamavano Hardamon e lo mangiavano principalmente colla lattuga. Egineta e Zenofonte asseriscono che serviva di companatico ai Persiani. I Latini lo chiamarono Nasturtium, a nasi tormento, oppure da nasus tortus, dice Plinio, perchè fa arricciare il naso od eccita le papille nasali come la senape. Ne dissero mirabilia Dioscoride, Galeno, Avicenna. Gli antichi gli assegnarono la virtù di infondere coraggio, e di chiarificare le idee, onde il precetto:
nasus tortus, dice Plinio, perchè fa arricciare il naso od eccita le papille nasali come la senape. Ne dissero mirabilia Dioscoride, Galeno, Avicenna. Gli
Se ne fa farina e pane misto a frumento. La si mangia sola, lessata, o cotta sotto la cenere. La patata si coce in mezz'ora. Non lasciarla, lavandola, molto nell'acqua, altrimenti diviene molle e pesante, e perde la farinosità. Meglio cocerla a vapore in 35 o 40 minuti, pelarla subito e servirla in piatto scoperto. Si deve sempre farla cocere nella sua pelle onde conservi il suo sale di potassa e tutto il suo sapore, nè dovrebbesi tagliarla con lama di ferro. In cucina serve in mille modi, a tavola fa capolino in tutte le vivande, in tutti i piatti; caccia il naso persino nella pasticceria. La patata è il pane degli Inglesi. Non si può immaginare Svizzera senza kartoffeln. La cucina tedesca è basata sulla patata. Non c'è brodo, minestra, intingolo o vivanda ove la patata non ne sia il principale costituente. Ogni città, ogni borgata le dà nomignoli particolari di tenerezza: Tüfken, Töffelken, Toffein, Tartuffein, Erdtuffeln, Erdäppel, Erdbirnen, Grundbirnen, Erdboknen, Batalen, Patatos, Potatos, Kartoffeln, Oebiswarzel, ecc. Se non ci fosse la patata bisognerebbe inventarla per loro.
lama di ferro. In cucina serve in mille modi, a tavola fa capolino in tutte le vivande, in tutti i piatti; caccia il naso persino nella pasticceria
Nel linguaggio dei fiori: rabbia.È detto peperone quasi pepe grande. Ve ne sono dieci varietà, tra queste: il comune, lo storto, a ciliegia, dolce del Brasile, tondo, di Spagna, di Voghera detto capsicum grossum, carnoso corto ed altre. Quello di Cajenna è piccolo e più forte di tutti. È il capsicum fructescens, di Linneo. In Francia lo chiamano: corail de jardin, perchè, dal color verde lucido, passa nella sua maturità ad acquistare il rosso vivo del corallo, senza perdere della sua lucentezza. È di questo che si fa la famosa paprika in Ungheria. Tutta la pianta à sapore acre, piccante, calido, ma principalmente i frutti, e del frutto i semi sono più piccanti ed acri del pericarpio. I frutti verdi ed immaturi si conservano per uso di tavola nell'aceto, che ne mitiga l'acredine. Rossi, maturi, essiccati e ridotti in polvere costituiscono ciò che si chiama pimento, o pepe di Cajenna, che à pur esso i suoi usi culinari come la più piccante delle droghe indigene. Il peperone vuolsi originario dell'Africa intertropicale, donde fu portato dai negri in America e poi in Europa. I primi che l'introdussero furono i Portoghesi che le chiamavano pimenta del rabo, cioè pepe colla coda. Ma visto che il peperone faceva concorrenza al pepe e temendo di danneggiare il commercio del vero pepe il re del Portogallo ne proibì l'importazione. Tale peripezia del peperone ce la racconta Carlo Clusio in certe sue annotazioni dell'anno 1582. Comunque sia è certo che a noi pervenne dall'America e che prima era sconosciuto. Si chiama capsicum dal vocabolo greco che significa mordere, per indicare il suo sapore caustico. Il pimento, è uno degli stimolanti più attivi del ventricolo, risveglia l'appetito, corregge il languore e l'atonia intestinale, sopprime le flattuosità ed è rimedio infallibile contro le coliche prodotte da carne di pesce. Caccia le ascaridi, giova contro le emorroidi, secondo l'Accademia di Parigi. Eccellente il pimento per condire verdure, pesci e in certe salse. Il capsicum grossum di Voghera si mangia verde all'olio, e scottato nell'acqua bollente e diviso in quattro parti, toltine i semi si possono imboraggiare e farli fritti. I milanesi dicono anche peveron un naso rosso, grosso e bernoccoluto.
parti, toltine i semi si possono imboraggiare e farli fritti. I milanesi dicono anche peveron un naso rosso, grosso e bernoccoluto.
. I Greci poi raccontano del pomo cose orribili. Giove unì in nozze un bel giorno la dea dei mari, Teti, con Peleo, dal quale matrimonio nacque poi il bollente Achille. Quelle nozze furono celebrate con gran pompa e alla presenza di tutto l'olimpo au complet. Tutte le divinità infernali, aquatiche e terrestri ebbero, non solo il fairepart, ma ufficiale invito d'intervenire. Una dea sola fu esclusa: la dea Discordia. E questa, per vendicarsi, al momento dei brindisi, comparve nella sala del banchetto e buttò sulla tavola un bellissimo pomo, dicendo: «Alla più bella di voi,» e sparì. Giunone, Pallade e Venere, ch'erano difatti le più belle, si guardarono per traverso, e ognuna di loro pretendeva quel pomo. Giove, che in quel giorno non voleva seccature, mandò a chiamare Paride, un bel giovinotto, e lo fece arbitro della bellezza di quelle concorrenti. Tutte e tre fecero gli occhietti a quel giovinotto, ma egli consegnò il pomo a Venere, lasciando le altre due con tanto di naso. Venere ebbe il pomo, ma Giunone e Pallade lo conciarono poi per le feste, e tanto fecero che andò a finir male. Rubò Elena, fu assediato e vinto a Troja, e ferito da Pirro, andò a morire sul monte Ida. Tutto, per quel pomo che dappoi fu chiamato il pomo della Discordia. Nè qui finisce la storia di quel pomo. Venere, in quel giorno, almeno per galanteria, doveva cederlo a Teti, che sedeva in capo tavola, sposa festeggiata, ma fe' la sorda e se lo mise in saccoccia. Naturalmente Teti l'ebbe a male alla sua volta, e se la legò anche essa al dito. Avvenne che Venere discese un giorno sulle rive delle Gallie a raccogliere perle e un tritone le rubò il pomo che aveva deposto su di un sasso, e lo portò a Teti. Questa lo prese, lo mangiò e buttò i semi in quella campagna a perpetuare il ricordo della sua vendetta e del suo trionfo. Ecco perchè, dicono i Galli-celti, sono tante mele nel nostro paese, e perchè le nostre fanciulle sono così belle! Questa seconda parte l'aggiunge Bernardin de S. Pierre, magnificando le bellissime mele della Normandia. Al pomo i nostri fratelli svizzeri attaccano la storiella di Guglielmo Tell, e al pomo che cadde sul naso a Newton, mentre riposava in giardino, dobbiamo la scoperta dell'attrazione. La quale attrazione, del pomo, era già scoperta migliaia d'anni fa da Eva. Ed è per questa attrazione che il re Wadislao di Polonia fuggiva e cadeva in deliquio alla vista di un pomo. Il nostro popolo, prende il pomo come il tipo della rotondità (rotond come un pomm) della somiglianza (vess un pomm tajaa in duu), del vino fatto colle mani (vin de pomm), della paura (pomm-pomm), degli avvenimenti necessari (el pomm quand l'è madur, bisogna ch' el croda); infine dell'arma più pacifica per sbarazzarsi da un seccatore (fa córr a pomm). Proverbi sul pomo:
quel giovinotto, ma egli consegnò il pomo a Venere, lasciando le altre due con tanto di naso. Venere ebbe il pomo, ma Giunone e Pallade lo conciarono
Gli indizi di salute per gli ovini sono: il portamento alto della testa, la vivacità, il belar forte e chiaro, l'aderenza ed untuosità della lana, la mancanza di pustole o croste sulla superficie del corpo e specialmente al muso, alle ascelle, agli inguini; il naso asciutto e netto, la bocca senza ulceri, pustole o vescicole, il buono stato di nutrizione, il desiderio di cibo e di bevanda, l'addome non rigonfio nè avvallato, gli escrementi non sciolti. Gli ovini da sani o mangiano o ruminano, hanno la temperatura del corpo uniforme e naturale, 79-80 battiti cardiaci e da 18 a 24 respirazioni al minuto.
mancanza di pustole o croste sulla superficie del corpo e specialmente al muso, alle ascelle, agli inguini; il naso asciutto e netto, la bocca senza
Il suo nome che viene dal greco, significa Forza. Pianticella annuale, indigena, della Spagna e dell'Italia. Si semina in Aprile e Maggio in bona esposizione, fiorisce dal Giugno al Luglio, si raccoglie alla fine d'Agosto. Da noi scarsamente si coltiva perchè cibo piuttosto difficile a digerirsi. E comune invece nella Siria, nell'Egitto ed in altre regioni orientali. Ve ne sono due varietà, la bianca e la oscura, migliore quest'ultima. È coltivato pure in Spagna dove entra come primario ingrediente nella loro olla potrida e lo chiamano garavança. Sono i ceci fra i legumi più difficili a cocersi, e però si devono mettere in bagno d'aqua la sera prima e farli cocere molto, con acqua piovana, e se con quella di pozzo, mettervi della cenere, saranno più teneri e cuoceranno più presto. Da noi si mangia tradizionalmente colla carne porcina il dì dei morti, costumanza che risale agli antichi Romani, in memoria del ratto delle Sabine. Nel genovesato colla farina di cece mescolata ad olio sale ed acqua se ne fà tortellacci, ed un' altra pasta, detta panizze, che si frigge o si mette in stufato(1). Galeno ne parla come di cibo rusticano. I Mauritani ne andavano ghiottissimi. Dioscoride assicura, che il cece dà bel colore alla faccia. Gli antichi ponevano questo legume a segno d'incorruttibilità. I Persiani ne usano anche oggi come rinfrescativo. Vogliono che contenga molto acido ossalico e sia eccellente contro i calcoli, una volta almeno aveva tale virtù con quella di rafforzare la voce. Tra i varj legumi che si usano per adulterare il caffè, il cece è forse quello che meglio degli altri gli si avvicina, per cui in Francia lo chiamano café français, il quale caffè, invece da noi, si chiama semplicemente brœud de scisger. Cicerone fu così chiamato da cicer perchè aveva in cima al naso un bellissimo cece. Nei Vespri Siciliani, coloro che non sapevano pronunciar ceci — si uccidevano — era il riconoscimento di un francese — che rispondeva: sesì.
al naso un bellissimo cece. Nei Vespri Siciliani, coloro che non sapevano pronunciar ceci — si uccidevano — era il riconoscimento di un francese — che
Il Nasturzio, o Lepidio, è pianticella annuale indigena, conosciuta e coltivata nei giardini e negli orti pei suoi fiori giallo-scuri e rossi. Nel linguaggio dei fiori: Mi importuni. Si moltiplica seminando i suoi frutti a primavera, fiorisce fino all'Ottobre, ama terreno grasso e inaffiamenti. Avvi una varietà a larghe foglie (lepidium latifolium) che si coltiva come la precedente. Il nome di lepidio da lepis squama, perchè si usava a rimedio delle impettigini squamose. Anche presso di noi il volgo lo usò molto tempo per distruggere i vermi ai ragazzi. La pianta è diuretica, i fiori si mangiano colla insalata, che rendono più allegra e saporita per un certo acre tra il rafano e la senape che gli comunica. I semi possono supplire ai capperi, conservansi verdi nell'aceto e se ne fa salse. I Greci la chiamavano Cardamon, lo mangiavano principalmente colla lattuga. Egineta e Zenofonte asseriscono che serviva di companatico ai Persiani. I latini lo chiamarono Nasturtium, a nasi tormento, oppure da nasus tortus, dice Plinio, perchè fa arricciare il naso ed eccita le papille nasali come la senape. Ne dissero mirabilia Dioscoride, Galeno, Avicenna. Gli antichi gli assegnarono la virtù di infondere coraggio, e di chiarificare le idee, onde il precetto: homines secordes et somnolentes nasturtium edere jubeamus. l milanesi ad indicare piedi lunghi e larghi alla moda inglese chiamano le scarpe dei loro fortunati possessori: cassett de Nasturzi.
arricciare il naso ed eccita le papille nasali come la senape. Ne dissero mirabilia Dioscoride, Galeno, Avicenna. Gli antichi gli assegnarono la virtù di
Ed ora la patata è l'amica del povero e del ricco, del medico e del prete. Certamente la patata non è squisita come la pesca, nè nutriente come un beeftek ma è sana e saporita anch'essa, e anch'essa sazia la fame del povero. Se ne fà farina e pane mista a frumento. La si mangia sola, lessata, cotta sotto la cenere. In cucina serve in mille modi, a tavola fà capolino in tutte le vivande, in tutti i piatti; caccia il naso perfino nella pasticceria. La patata è il pane degli Inglesi. Non si può immaginare Svizzera senza kartoffeln. La cucina tedesca è basata sulla patata. Non c'è brodo, minestra, intingolo o vivanda ove la patata non ne sia il principale costituente. Ogni città, ogni borgata le dà nomignoli particolari di tenerezza: Tüfken, Töffelken, Toffeln, Tartuffeln, Tartoffeln, Erdtuffeln, Erdäppel, Erdbirnen, Grundbirnen, Erdbohnen, Bataten, Patatos, Potatos, Kartoffeln, ecc. Se non ci fosse la patata bisognerebbe inventarla per loro. Dalla sua fermentazione se ne cava un' acquavite nociva che ubbriaca ed abbrutisce i poveri Irlandesi e gli schiavi dell'America. Colla patata si fà birra e carta. Raschiata e scaldata lentamente nell'acqua forma una specie di saponata che dà lucentezza e bianchezza alle lingerie. Serve di foraggio ai quadrupedi, di cibo ingrassante al pollajo. Sotto l'aspetto medico; Redi scriveva: « Hanno le patate nome d'essere un po' ventose, a me però non è paruto, ch'abbiano questo difetto, ma può essere che lo abbiano se sieno mangiate soverchiamente. » Sono un antiscorbutico, servono crude raschiate come cataplasma nelle piaghe cancrenose, sono rimedio volgare nelle scottature. Gordon in China viveva giorni e giorni di sole patate. Ma se la patata è sanissima quando è sana, quando incomincia a germogliare, si spoglia della fecola e allora è nociva, sviluppandosi pure la solanina che è veleno. Vi sono stati casi di avvelenamento di patata che si manifesta coll'idrope e piaghe cancrenose all'estremità.
sotto la cenere. In cucina serve in mille modi, a tavola fà capolino in tutte le vivande, in tutti i piatti; caccia il naso perfino nella pasticceria
Pianticella annua indigena originaria delle Antille, del Brasile e Messico. Si semina in primavera a tutto Maggio, ama gran sole e terreno ricco, fiorisce in estate. Nel linguaggio dei fiori : rabbia. È detto peperone quasi pepe grande. Ve ne sono 10 varietà, tra queste: il comune, lo storto, a ciliegia, dolce del Brasile, tondo, di Spagna, di Voghera detto capsicum grossum, carnoso corto ed altre. Quello di Cajenne è piccolo e più forte di tutti. Tutta la pianta à sapore acre, piccante, calido, ma principalmente i frutti, e del frutto i semi sono più piccanti ed acri del pericarpio. I frutti verdi ed immaturi si conservano per uso di tavola nell'aceto, che ne mitiga l'acredine. Rossi, maturi, essicati e ridotti in polvere, costituiscono ciò che si chiama pimento, o pepe di Cajenne, che à pur esso i suoi usi culinari come la più piccante delle droghe indigene. Altri lo vogliono originario dell'Africa intertropicale, donde fu portato dai negri in America e poi in Europa. I primi che l'introdussero furono i Portoghesi che lo chiamavano pimenta del rabo cioè pepe colla coda. Ma visto che il peperone faceva concorrenza al pepe e temendo di danneggiare il commercio del vero pepe, il re di Portogallo ne proibì l'importazione. Tale peripezia del peperone ce la racconta Carlo Clusio in certe sue annotazioni dell'anno 1582. Comunque sia è certo che a noi pervenne dall'America e che prima era sconosciuto. Si chiama capsicum dal vocabolo greco che significa mordere, per indicare il suo sapore caustico. Il pimento, è uno degli slimolanti più attivi del ventricolo, risveglia l'appetito, corregge il languore e l'atonia intestinale, sopprime le flattuosità ed è rimedio infallibile contro le coliche prodotte da carne di pesce. Caccia le ascaridi, giova contro le emorroidi, secondo l'Accademia di Parigi. Eccellente il pimento per condire verdure, pesci e in certe salse. Il capsicum grossum di Voghera si mangia verde all'olio, e scottato nell'aqua bollente e diviso in quattro parti, toltine i semi si possono imboraggiare e farli fritti. I milanesi dicono anche peveron un naso rosso, grosso e bernoccoluto.
scottato nell'aqua bollente e diviso in quattro parti, toltine i semi si possono imboraggiare e farli fritti. I milanesi dicono anche peveron un naso
Pei sanguinacci, ossia per coloro troppo ben pasciuti, col naso rosso, col polso accelerato, soggetti a capogiri, a congestioni cerebrali, ed a colpi apopletici, è d'uopo anzitutto mettere un freno alla quantità del nutrimento; fare in modo che tra un pasto e l'altro non debbano essere satolli e se fosse possibile esercitare anche un pochettino di digiuno.
Pei sanguinacci, ossia per coloro troppo ben pasciuti, col naso rosso, col polso accelerato, soggetti a capogiri, a congestioni cerebrali, ed a colpi
Quando vi giungerà al naso l'odore della cipolla bruciata e vedrete tutta la carne rosolata per bene, anzi quasi nera, versate acqua fredda quanta ne sta in un piccolo ramaiuolo, replicando per tre volte l'operazione di mano in mano che l'acqua va prosciugandosi. Per ultimo, se la quantità della carne fosse di grammi 500 circa, versate nella cazzaruola un litro e mezzo di acqua calda, o, ciò che meglio sarebbe, un brodo di ossa spugnose, e fatelo bollire adagino per cinque o sei ore di seguito onde restringere il sugo ed estrarre dalla carne tutta la sua sostanza. Passatelo poi per istaccio e quando il suo grasso sarà rappreso formando un grosso velo al disopra, levatelo tutto per rendere il sugo meno grave allo stomaco. Questo sugo, conservandosi per diversi giorni, può servire a molti usi e con esso si può far de' buoni pasticci di maccheroni.
Quando vi giungerà al naso l'odore della cipolla bruciata e vedrete tutta la carne rosolata per bene, anzi quasi nera, versate acqua fredda quanta ne
C'era un prete in una città di Romagna che cacciava il naso per tutto e, introducendosi nelle famiglie, in ogni affare domestico voleva mettere lo zampino. Era, d'altra parte, un onest'uomo e poichè dal suo zelo scaturiva del bene più che del male lo lasciavano fare; ma il popolo arguto lo aveva battezzato Don Pomodoro per indicare che i pomodori entrano per tutto; quindi una buona salsa di questo frutto sarà nella cucina un aiuto pregevole.
C'era un prete in una città di Romagna che cacciava il naso per tutto e, introducendosi nelle famiglie, in ogni affare domestico voleva mettere lo
Petonciani e finocchi, trent'anni or sono, si vedevano appena sul mercato di Firenze: vi erano tenuti a vile come cibo da ebrei, i quali dimostrerebbero in questo, come in altre cose di maggiore rilievo, che hanno sempre avuto buon naso più de' cristiani.
dimostrerebbero in questo, come in altre cose di maggiore rilievo, che hanno sempre avuto buon naso più de' cristiani.
Il pesce, se è fresco, ha l'occhio vivace e lucido; lo ha pallido ed appannato, se non è fresco. Un altro indizio della sua freschezza è il color rosso delle branchie; ma queste potendo essere state colorite ad arte col sangue, toccatele con un dito e portatevelo al naso, l'odore vi farà la spia. Un altro carattere del pesce fresco è la sodezza delle carni, perchè se sta molto nel ghiaccio diventa frollo e morbido al tatto.
rosso delle branchie; ma queste potendo essere state colorite ad arte col sangue, toccatele con un dito e portatevelo al naso, l'odore vi farà la spia
A questo proposito vi racconterò che trovandomi una volta ad un pranzo di gente famigliare ed amica, il nostro ospite, per farsi bello, all'arrosto, scherzando, uscì in questo detto: «Non potrete lagnarvi che io non vi abbia ben trattati quest'oggi; perfino tre qualità di arrosto, vitella di latte, pollo e coniglio.» Alla parola coniglio diversi dei commensali rizzarono il naso, altri rimasero come interdetti ed uno di essi, che era l'intimo della famiglia, guardando con orrore nel proprio piatto, rispose: «Guarda quel che ti è venuto in capo di darci a mangiare! almeno non lo avessi detto! mi hai fatto andar via l'appetito.»
, pollo e coniglio.» Alla parola coniglio diversi dei commensali rizzarono il naso, altri rimasero come interdetti ed uno di essi, che era l'intimo
Testa di maiale marinata. Sopprimete l'osso del collo, quelli delle guance e del naso, badando di ledere il meno possibile la pelle, che poi ricucirete ove occorresse, così gli occhi e il cervello che impiegherete per ripieni. Mettetela quindi in una marinata cotta senza burro come quella indicata a pag. 18 N.° 3 a) e, trascorsa una settimana, cuocetela 2-3 ore nel brodo con una parte della sua marinata e servitela con una salsa piccante, badando di conservarle possibilmente la forma.
Testa di maiale marinata. Sopprimete l'osso del collo, quelli delle guance e del naso, badando di ledere il meno possibile la pelle, che poi
21. c) Riempite due conigli con una falsa fatta dei loro fegati, con butirro, presemolo, un lacetto di vitello, funghi, il tutto tagliato fino, sale e pepe, empiteli ed aggiustategli le zampe d'avanti sul naso, e quelle di dietro sotto il ventre, mettendovi dei piccoli spiedi per fargli stare, poi fateli cuocere con un bicchiere di vino bianco, brodo, lardo, butirro, sale, pepe, ed un mazzetto guarnito; cotto passate la salsa alla stamigna, levate il grasso, riducete la salsa se abbisogna, montate il coniglio sul piatto, versate sopra la salsa e servitelo con crostoni.
e pepe, empiteli ed aggiustategli le zampe d'avanti sul naso, e quelle di dietro sotto il ventre, mettendovi dei piccoli spiedi per fargli stare, poi