Anche la carne del pollame richiede di essere convenientemente frollata: occorre cioè che intercorrano almeno un paio di giorni tra il momento dell'uccisione e quello della cottura; solamente i polli novelli possono sfuggire qualche volta alla regola specialmente quando si tratta di animali giovanissimi destinati alla «cacciatora». Occorre spennare i polli quando sono ancor caldi per evitare qualsiasi lacerazione alla pelle; per rendere tenera la carne di galli o galline d'età piuttosto rispettabile si avrà cura di lasciarli immersi per dodici ore in acqua fredda. Le galline e i capponi sono ottimi lessati e danno del brodo squisito; coi polli novelli, i galletti di primo canto ed anche i capponi e i tacchini ben pasciuti si possono preparare arrosti squisiti, mentre solo ai polli novelli sono riservati gli umidi e le cacciatore. La carne bianca e delicata del pollame lo rende un alimento adatto agli ammalati e ai convalescenti; le anitre e le oche, invece, a causa della loro carne grassa, sono quasi sempre di digestione piuttosto laboriosa.
la carne di galli o galline d'età piuttosto rispettabile si avrà cura di lasciarli immersi per dodici ore in acqua fredda. Le galline e i capponi sono
Antrè = Prendete due, o tre Pollastri vivi, ammazzateli, sbollentateli, pelateli, e sventrateli, tagliateli subito in pezzi, senza dargli il tempo che si raffreddino, passateli in una cazzarola sopra il fuoco, con un pezzo di butirro, una fetta di prosciutto, un mazzetto d'erbe diverse, con una cipolletta, uno spicchio d'aglio, un poco di basilico, due garofani, poco sale, pepe schiacciato; quando principiano ad asciugarsi sbruffateci un buon pizzico di farina, bagnateli con acqua bollente, fateli, bollire come il solito, consumare la Salsa al suo punto, e che sia molto ben digrassata, levate il mazzetto, il prosciutto, legate la Salsa che sia ben bollente con tre o quattro rossi d'uova stemperati con un poco di brodo freddo, e un'idea di noce moscata, e serviteli con un buon sugo di limone, o di agresto. Questa è un ottima Fricasse, allorchè non si hanno Pollastri infrolliti; mentre basta a non lasciarli raffreddare sono sufficientemente teneri; altrimenti divengono duri, e coriaci.
basta a non lasciarli raffreddare sono sufficientemente teneri; altrimenti divengono duri, e coriaci.
Antrè = Prendete due, o tre Pollastri vivi, ammazzateli, sbollentateli, pelateli, e sventrateli, tagliateli subito in pezzi, senza dargli il tempo che si raffreddino, passateli in una cazzarola sopra il fuoco, con un pezzo di butirro, una fetta di prosciutto, un mazzetto d'erbe diverse, con una cipolletta, uno spicchio d'aglio, un poco di basilico, due garofani, poco sale, pepe schiacciato; quando principiano ad asciugarsi sbruffateci un buon pizzico di farina, bagnateli con acqua bollente, fateli, bollire come il solito, consumare la salsa al suo punto, e che sia molto ben digrassata, levate il mazzetto, il prosciutto, legate la Salsa che sia ben bollente con tre o quattro rossi d'uova stemperati con un poco di brodo freddo, e un'idea di noce moscata, e serviteli con un buon sugo di limone, o di agresto. Questa è un ottima Fricasse, allorchè non si hanno Pollastri infrolliti; mentre basta a non lasciarli raffreddare sono sufficientemente teneri; altrimenti divengono duri, e coriaci.
basta a non lasciarli raffreddare sono sufficientemente teneri; altrimenti divengono duri, e coriaci.
Tagliate in pezzi uno o più pollastri dopo averli bene spiumati e ripuliti dalle interiora, lavati quindi, e lasciati asciugare per porli in una casseruola con un buon pezzo di burro, cipolle, sale, pepe, noce moscata e qualche erba odorosa; quando incominciano a riscaldarsi, spargetevi sopra due cucchiai di farina, ed altrettanto brodo, rivolgeteli alcune volte, e fatta addensare la salsa, levate dal fuoco la casseruola per lasciarli raffreddare. Preparate intanto una cassa da pasticci come ne abbiamo descritte, e assestate in essa i pollastri in pezzi che bagnerete con un poco di vino di Marsala; ricuoprite poi la cassa col suo coperchio, ed inverniciato al di fuori il pasticcio col rosso d'uovo lo metterete nel forno. Allorchè presenterà un bel colore giallo, lo leverete fuori, e toltogli il coperchio tagliandolo come si è detto, vi verserete dentro la salsa rimasta passata allo staccio, sgrassata ed unita ad alcuni torli d'uovo, spruzzandovi sopra da ultimo il sugo di mezzo limone, e quindi lo ricuoprirete per rimetterlo al forno, onde si compia la cottura.
cucchiai di farina, ed altrettanto brodo, rivolgeteli alcune volte, e fatta addensare la salsa, levate dal fuoco la casseruola per lasciarli
Il carbone di legno è un assorbente ottimo degli odori di origine gassosa. Da questo semplice principio potete tirare mille applicazioni: se certi alimenti cuocendo dànno cattivo odore (i cavoli, per esempio) mettete nella vostra acqua di cottura due o tre pezzi di carbone, che prima laverete. Colla polvere di carbone potete formare una pasta per togliere i cattivi odori nella latrina, i vasi della toletta, ecc. Se adoprerete, come vi ho consigliato, dei pezzi di carbone quando cuocete degli alimenti un po' troppo... aggressivi nella espansività dei loro aromi, non vi dimenticate poi di lasciarli asciugare. Li metterete nel fornello, la prima volta che avrete bisogno di cuocer qualcosa a carbone.
lasciarli asciugare. Li metterete nel fornello, la prima volta che avrete bisogno di cuocer qualcosa a carbone.
377. Carciofi. Levate loro le foglie dure, e le punte verdi a quelle che restano; mondate il fondo, o girello, tagliateli per lungo e per metà, scottateli e serviteli come i cardi (n. 374). Si può ancora, dopo averli accomodati nel piatto, e prima di servirli in tavola, farli crostare al forno, avendo avuta l'avvertenza di mettervi sopra parmigiano e pan grattato mescolati. Potete pure, dopo averli nettati, lasciarli intieri e porli in un tegame ritti, aprendo un poco le foglie, onde vi possa entrar tramezzo olio, pepe e sale. Mandateli in tal guisa in forno, o cuoceteli con fuoco sotto e sopra, avvertendo però di bagnarli anche con un poco di brodo o semplicemente con acqua, che dovranno consumare.
, avendo avuta l'avvertenza di mettervi sopra parmigiano e pan grattato mescolati. Potete pure, dopo averli nettati, lasciarli intieri e porli in un tegame
608. Cedri canditi. Mondate alcuni cedri di mediocre grossezza, chiari, lisci e freschi; dalla parte del gambo fate con un coltello un buco del diametro d'una noce, e gettateli di mano in mano nell'acqua fresca. Intanto fate bollire a parte altr'acqua; fatevi lessare i cedri, e quando siano cotti in modo che vi possa facilmente insinuare uno stecco appuntato, ritirateli dal fuoco e metteteli di nuovo nell'acqua fresca, lasciandoveli per due giorni e rinnovando spesso l'acqua, ma sempre fresca. Indi ritirateli, e col manico d'un cucchiaio, che introdurrete pel buco praticatovi, vuotate i cedri della polpa e del succo che conterranno; poi immergeteli nello zucchero cotto a perla e tiepido, e lasciateveli per otto giorni, avvertendo ogni giorno di ritirare i cedri, per cuocere di nuovo lo zucchero a perla, e di rimetter- veli quando il sciroppo sia tornato tiepido. L'ottavo giorno farete nuovamente cuocere a perla il sciroppo, e vi immergerete i cedri fecendoveli bollire lentamente, fino a che il sciroppo stesso presone un poco, fattolo raffredare e indi comprimendolo, si riduca come in farina. A questo punto, con molta prestezza, ritirate i vostri cedri con una forchetta od altro; poneteli sur un graticcio, affinchè scolino e prendano aria da ogni lato, e finalmente fateli prosciugare alla stufa. Invece di lasciarli intieri, potrete tagliare i cedri a spicchi prima di candirli.
; poneteli sur un graticcio, affinchè scolino e prendano aria da ogni lato, e finalmente fateli prosciugare alla stufa. Invece di lasciarli intieri
Il ramolaccio, o armoracio, è radice annuale, indigena, originaria della China o dell'Asia Minore. Vuole terreno sciolto, pingue e buona esposizione, abborre il massimo caldo. Il seme à virtù per 5 anni. Avvene molte varietà, sì per grandezza che per forma e colore. I bianchi grossi e i ruggini dolci, d'estate si seminano da marzo a giugno, per averne in estate ed autunno. I rotondi, o lunghi, sia bianchi che neri forti, dal giugno a settembre, per averli dall'autunno a primavera. Il ravanello è bianco o rosso, rotondo o lungo, o rosa lunghissimo di Firenze. Si può seminarlo tutto l'anno ed averne tutti i mesi. Meglio seminarlo appena terminati i geli. La miglior semente è quella dell'anno antecedente. Avvi pure il ravanello serpente (raphanus caudatus) di Oiava, ancora poco conosciuto, che à lunghissimi baccelli terminali che possono prolungarsi lino a un metro, di gusto piccante, e che, verde, si pone in aceto. Il ramolaccio e il ravanello addivengono stopposi, bucherati o tarlati, e ciò dipende dalla qualità della terra (che amano terreni forti, tenaci ed asciutti), o al lasciarli troppo nella terra dopo sviluppati, o al conservarli qualche giorno dopo colti. Nel linguaggio delle piante: Dispetto. Il ramolaccio à gusto acre, piccante, si mangia crudo con sale, olio, pepe colla carne. È considerato un condimento pesante allo stomaco e diffìcile a digerirsi. Fu detto che il ramolaccio fa digerire tutto, ma egli non è digeribile:
terreni forti, tenaci ed asciutti), o al lasciarli troppo nella terra dopo sviluppati, o al conservarli qualche giorno dopo colti. Nel linguaggio
. Marco Catone, della famiglia Porcia, detto Censorio, tribuno, console, senatore, ricchissimo, si preparava da sè il piatto di rape e di quella viveva saluberrime. Marco Curio Dentato stava cocendo le rape sotto la cenere, quando rispose ai Sanniti che gli offrivano dei tesori a lasciarli in pace: Non vincerete coll'oro colui, che non avete potuto vincere colle armi. La rapa vuolsi rinfreschi. Con essa si fanno decotti anti-flogistici e diuretici, e colla sua polpa cataplasmi mollitivi usati in campagna contro i geloni, la si dà ai maiali, ai quali ingrossa e dilata l'epigastrio. La sapienza popolare dei Milanesi ad indicare un sempliciotto, dice:
viveva saluberrime. Marco Curio Dentato stava cocendo le rape sotto la cenere, quando rispose ai Sanniti che gli offrivano dei tesori a lasciarli in pace
Levate loro le foglie dure, e le punte verdi a quelle che restano; mondate il fondo, o girello, tagliateli per lungo e per metà, scottateli e serviteli come i cardi. Si può ancora dopo averli accomodati nel piatto, e prima di servirli in tavola, farli crostare al forno, avendo avuta l'avvertenza di metterci sopra parmigiano e pan grattato mescolati. Potete pure, dopo averli nettati lasciarli intieri e porli in un tegame ritti, aprendo un poco le foglie, onde vi possa entrar tramezzo olio, pepe e sale. Mandateli in tal guisa in forno, o cuoceteli con fuoco sotto e sopra, avvertendo però di bagnarli anche con un poco di brodo o semplicemente con acqua, che dovranno consumare.
metterci sopra parmigiano e pan grattato mescolati. Potete pure, dopo averli nettati lasciarli intieri e porli in un tegame ritti, aprendo un poco le
Un elegantissimo modo di far fronte con onore a qualsiasi circostanza impreveduta. Tenete presente questa ricetta e può darsi che abbiate ad inviarci un pensiero di affettuosa riconoscenza. Per sei persone comperate circa tre ettogrammi di prosciutto cotto, raccomandando al pizzicagnolo di tagliarlo in fette non eccessivamente sottili. Preparate poi una salsa al Marsala in questo modo sbrigativo. Tritate finemente e mettete in una casseruolina, possibilmente di rame, la quarta parte di una cipolla non molto grande, un pezzetto di sedano e una piccola carota gialla. Aggiungete un pezzo di burro come una noce e fate cuocere i legumi fino a che abbiano preso una tinta scura, senza tuttavia lasciarli bruciare. Otterrete questo risultato bagnando di quando in quando con un cucchiaio d'acqua. Quando i legumi saranno ridotti in poltiglia, mettete nella casseruola due cucchiaini da caffè di farina, e, mescolando con un cucchiaio di legno, fatela cuocere per due o tre minuti, dopo i quali bagnerete la salsa con un bicchiere di acqua o di brodo, e la condirete con sale e pepe. Se avrete in casa un vasetto di estratto di carne, aggiungetene mezzo cucchiaino. Lasciate che la salsa bolla piano piano per una diecina di minuti, addensandosi un poco. Poi passatela attraverso un colabrodo raccogliendola in un'altra casseruolina, e pigiando i legumi con un cucchiaio di legno per estrarne tutto il sugo. Dovrete ottenere una salsa nè troppo densa nè troppo liquida. Se non fosse sufficientemente legata fatela ancora bollire un poco. Prendete poi un altro pezzo di burro come una grossa noce, mettetelo in un tegamino, fatelo leggermente imbiondire e poi bagnatelo con due cucchiaiate di buon marsala. Versate burro e marsala nella casseruolina della salsa, che avrete tirato via dal fuoco, mescolate, e ricoprite con la salsa le fette di prosciutto che avrete allineato in un tegame largo e basso. Coprite il tegame, e lasciatelo vicino al fuoco per cinque minuti. Poi accomodate il prosciutto in un piatto, versateci su la salsa ben calda e mandatelo sollecitamente in tavola, facendo servire insieme una guarnizione di spinaci.
burro come una noce e fate cuocere i legumi fino a che abbiano preso una tinta scura, senza tuttavia lasciarli bruciare. Otterrete questo risultato
Queste dosi sono, come abbiamo detto, per un tacchino di grandi proporzioni. Per un cappone o per un fagiano bisognerà diminuirle. Nella stagione fredda è buona regola riempire l'animale e lasciarlo in luogo fresco per due o tre giorni affinchè le carni possano ben profumarsi dell'odore dei tartufi. L'antica cucina consigliava, specie per i fagiani, di racchiuderli dopo riempiti di tartufi, in scatole di carta pesante ad esempio carta da disegno e di lasciarli in riposo al fresco per un paio di giorni per poi cuocerli al forno nello stesso involucro di carta che veniva unta al momento della cottura, e che si toglieva quasi a cottura ultimata per dar modo all'animale di colorirsi all'esterno. È un sistema non certo disprezzabile e che contribuisce a facilitare la penetrazione nelle carni dell'animale dell'aroma dei tartufi.
e di lasciarli in riposo al fresco per un paio di giorni per poi cuocerli al forno nello stesso involucro di carta che veniva unta al momento della
Il modo di seccare i funghi è dei più semplici. La migliore qualità è il fungo porcino. Trattandosi di funghi che si conservano per proprio uso è meglio mondarli con la massima cura togliendo via ogni più piccola traccia di terra, la barba verde e tutte le parti anche lievemente intaccate dai vermi. Sarà tanta fatica risparmiata quando si metteranno in bagno per adoperarli, poichè non ci sarà da riguardarli troppo nè da risciacquarli una infinità di volte come accade per i funghi che si comperano. Si tagliano dunque in fette grandi, poichè seccando diminuiscono assai di volume, si mettono su delle tavole e si espongono al sole rivoltandoli ad intervalli di cinque o sei ore. Vedrete che dopo la prima giornata di sole diminuiranno molto e si faranno leggeri. Potrete quindi, man mano, radunarli in una sola tavola e lasciarli bene asciugare. Quando saranno secchi fate dei piccoli sacchetti di velato bianco e conservateli lì dentro, appesi all'aria. Quando vorrete usarli non avrete che metterli in bagno per un po' di tempo in acqua fredda.
faranno leggeri. Potrete quindi, man mano, radunarli in una sola tavola e lasciarli bene asciugare. Quando saranno secchi fate dei piccoli sacchetti
Anche altri pesci minori possono servire per ritrarne un brodo assai gustoso; anzi le gallinelle, le scorpéne, i caviglioni, i pesci preti ed i pesci capponi; sono fra i pesci di mare quelli che danno miglior brodo. Qualunque sia la qualità del pesce scelto, lo pulirete togliendogli le squame se ne ha; indi lo metterete in un recipiente adatto con sale, prezzemolo, rosmarino, sedano e cipolla; lo ricoprirete di acqua fredda, e lo porrete al fuoco. Quando il pesce sarà cotto, lo ritirerete con precauzione per non romperlo e lo serberete per servirlo freddo; il brodo invece lo rimetterete sul fuoco, aggiungendovi un poco d'olio, e lo lascerete bollire per altri dieci minuti; poscia lo passerete per il colatoio e lo adoprerete per farne minestre di magro come indicheremo in appresso. Riguardo alla cottura dei pesci, essa varia di durata a seconda della specie de' pesci medesimi; quelli piccoli basta lasciarli bollire 4 o 5 minuti; per i più grossi occorre sino un quarto d'ora di ebollizione.
piccoli basta lasciarli bollire 4 o 5 minuti; per i più grossi occorre sino un quarto d'ora di ebollizione.
Cotti allo spiedo od arrostiti, levate loro le coscie e il petto; se di fagiano taglierete per lungo facendone 5 pezzi, se di pernici e beccacce 3 pezzi; se di quaglie o beccacelle, li dividerete in due; delle coscie ne farete 2 pezzi pel fagiano ed 1 per le pernici o beccacce. Il dorso e il collo delle allodole, si levano col ventricolo e si pestano nel mortaio con una fetterella di prosciutto, bagnandoli con un cucchiaietto di salsa spagnuola, passandoli allo staccio. Ciò vi darà una salsa ben densa, nella quale vi amalgamerete mezzo bicchierino di vino Barbera o Marsala; ridotto questo a metà al fuoco, mettetevi i pezzi degli uccelli, mantenendoli caldi senza lasciarli bollire, serviteli su dei crostoni di pane fritto, versandovi sopra la salsa bagnata del sugo di mezzo limone.
metà al fuoco, mettetevi i pezzi degli uccelli, mantenendoli caldi senza lasciarli bollire, serviteli su dei crostoni di pane fritto, versandovi sopra
Sbattete a neve consistente 5 chiari d'uova senza però lasciarli grumire, mesceteli con 180 grammi di zuccaro in polvere, un po' di buccia di limone grattuggiata, mescolatela ben bene ma leggiermente, con un cucchiaio levate la pasta e ponetela su dei fogli di carta dandogli la forma di mezz'uovo, polverizzate la superficie con 8 grammi di zuccaro in polvere, appoggiate indi i fogli di carta su di un'asse, ponetela nel forno a calor lento e dopo 45 minuti circa, osservateli se han preso un bel colore biondo chiaro, e se al toccarle, sentite che han fatto una crosta piuttosto secca, allora levatele, distaccatele dalla carta, appoggiate un cucchiale sulla parte molle dell'interno, perchè vi resti un piccol vano, ponetele su d'una lastra distese, facendole asciugare nella stufa. Dieci minuti prima di servirle, riempitele con un quintino di crema vergata, aromatizzata di zuccaro in polvere, con una presa di vaniglia o canella polverizzata, riempite ciascuna meringa, accoppiatele a due a due e servitele su d'un piatto con tovagliolo in piramide.
Sbattete a neve consistente 5 chiari d'uova senza però lasciarli grumire, mesceteli con 180 grammi di zuccaro in polvere, un po' di buccia di limone
Procuratevi 2 chilogrammi di fiori e cime di levanda, poneteli in un piccolo lambicco colla diaframma in fondo; in mancanza di questa metterete della paglia o dei vimini con 4 litri d'acqua e 150 grammi di sale da cucina. Fate però attenzione che il liquido non oltrepassi i tre quarti del lambicco, altrimenti non potrebbe operare; dopo 2 giorni apparecchiate il lambicco sul fornello, chiudete bene e sue giunture con della carta ammollata nel pastello, fatto questo con chiara d'uova e farina bianca, tenendo sempre fresca l'acqua del capitello e della serpentina; il primo quintino circa che escirà sarà la flemma che si tralascerà, poi involgerete l'estremità del cannello della serpentina che entra nella bottiglia, in un piccol strofinaccio di cotone, onde non esali l'odore dell'estratto; l'acqua deve uscire a goccie precipitate; la prima che escirà sarà limpida, poi lattosa, ma gradatamente, e quando uscirà nuovamente chiara, sospendete l'operazione perchè è segno non esservi più olio volatile. Dopo 4 ore circa, l'essenza si troverà galleggiante, e con una specie di pipetta, come adottano i toscani a levare l'olio dai fiaschi, ritirerete l'essenza, mettendola in una piccola bottiglia ma ben turata, conservandola in luogo privo di luce. L'acqua poi servirà per uso di tavoletta o per altra distallazione in luogo dell'acqua pura. — Se la distallazione la farete a bagno maria, cioè mettere il lambicco in un altra caldaia coll'acqua in ebollizione, sarà allora più sicura l'operazione. — Coll'istesso metodo potrete estrarre le essenze con altre qualità di scorze: di cedro, di bergamotto, di aranci, ovvero di fiori di rose, di garofano, foglie di lauro ceraso, di cedronella, di basilico, di menta, ecc. Circa poi ai generi secchi, come canella, chiovi di garofano, anice stellato, vaniglia, radice angelica, noce moscata, bacchi di ginepro, ecc., si dovranno prima pestare nel mortaio e lasciarli 4 o 5 giorni nella loro fusione, adoperandoli in piccola dose, cioè 200 grammi per ogni litro d'acqua.
, vaniglia, radice angelica, noce moscata, bacchi di ginepro, ecc., si dovranno prima pestare nel mortaio e lasciarli 4 o 5 giorni nella loro fusione
Intanto i budini si cuociono sia al forno che a bagno-maria. Quest'ultimo modo è riserbato ai più fini. Bisogna però avere degli stampi adatti che si trovano dai negozianti di arnesi da cucina e sono di latta, con un cilindro di latta e il coperchio. Abbiate anche un recipiente in cui gli stampi non tocchino il fondo, al che può servire una pentola con treppiede affondato od un simile arnese in cui l'acqua non dovrà bollire, ma fremere soltanto, badando bene che il liquido giunga soltanto a due terzi dello stampo. Se l'acqua c'entra, tutto è perduto, anche l'onore.... della cuoca. Quando si tratti di budini leggieri, non coprite lo stampo, ma il recipiente dell'acqua per impedire che, scoperchiando poi lo stampo, il budino si acquatti. Lo stampo deve essere sempre riccamente unto di burro all'interno o velato con zucchero caramellato e badate che gran parte della buona riuscita dipende dalla diligenza ed instancabilità nel rimestare i rossi d'uovo collo zucchero (in certi casi, un' ora) e nel far montare gli albumi sodi e non lasciarli calare.
Noto legume annuale. Quello detto campestre nasce spontaneamente in alcune parti d'Italia e di Germania. Ma il sativum è quello coltivato negli orti. Avvene molte varietà. Il nano (P. humile) primaticcio olandese da noi detto anche quarantin. Il quadrato (P. quadratum) o reale bianco e verde. L'umbrellatum, che è piuttosto d'ornamento nei giardini. L'excorticatum, pisello dolce zuccherino che si mangia unitamente al guscio detto in francese Pois goulus e da noi Taccole, ed altre. Nel linguaggio dei fiori: confidenza. Si può seminarli in varie epoche e averli tutti i mesi. Il pisello ama terreno leggero, sostanzioso, lavorato e soleggiato; non vuol essere riseminato nel medesimo luogo. Si fa seccare e si conserva per l'inverno. La varietà verde, in Francia è coltivata su larga scala. In Inghilterra si coltiva il pisello per alimentare le pecore nell'inverno. Vuolsi che il nome di pisello l'abbia da Pisa, antichissima città del Peloponneso, da dove sembra venuto in Italia, come vennero alcuni abitanti di quella Pisa a fabbricare la nostra sull'Arno, che pure battezzarono Pisa, teste Strabone. Altri lo vuole dal nome originario del legume in lingua celtica, o dal vocabolo greco, che significa cadere. Il nostro nome di erbion pare sia un corrotto dell'Arneja spagnuolo o un prolungamento dell'erbse tedesco. Il pisello fu sempre ritenuto uno dei più graziosi legumi. La storia ci tramanda che aveva l'onore delle tavole reali. Gli autori greci e latini ne parlarono tutti con vera benevolenza, i più maldicenti lo accusano di flattulenze. Perfino l'austerissimo Eupolim, forse il più antico commediografo greco, ne fa menzione onorata. L'imperatore Tito ne andava matto. I medici non potendone dir male, come al loro solito, lasciano però scappare qualche bieca osservazione. Baldassare Pisanelli, medico bolognese, nel suo Trattato dei cibi et del bere, dice: « I piselli non sono molto differenti dalle fave, ma fanno venire sospiri et inducono strane meditationi. » Con sua bona pace, il pisello è l'ottimo fra i legumi, digeribile, saporito, nutriente. I freschi e teneri sono più digeribili che i secchi, questi alquanto flattulenti, bisogna lasciarli macerare nell'aqua. Si mangiano anche crudi lorchè sono freschi e tenerelli. Si cucinano in diversi modi : colle minestre, colle carni, nei manicaretti. I piselli si fanno seccare col medesimo metodo dei fagioli e degli altri legumi. Si conservano verdi nell'aqua e aceto e prima di mangiarli si lavano in aqua fresca. Devonsi però raccogliere perfettamente maturi, e si leva ai grani stessi la prima scorza. In Francia, colla buccia mista ad altre erbe aromatiche ed amare, si faceva una specie di birra usata principalmente dai contadini. Nel Chili è molto popolare la chicha de oloja, bevanda fermentata che si fabbrica coi piselli e col maiz. Nell'anno 1536 il cardinale Lorenzo Campeggio à dato un pranzo in Transtevere alla Maestà Cesarea di Carlo V, Imperatore. Era giorno quadragesimale « et prima fu posta la tavola con quattro tovaglie profumate.... et dopo vari servi i ; » furono portati « piselli alessati con la scorza et serviti con aceto et pepe sopra, libre 8 in 4 piatti. » Poi dopo molti altri servizii « levata la tovaglia et data l'aqua alle mani si mutò salviete con forcine d'oro et d'argento con stecchi profumati in 12 tazze d'oro et mazzetti di fiori con garofoli profumati » e tra le altre cose furono ancora serviti « piselletti teneri con la scorda conditi libre 6 in 3 piatti. » Tanto ci tramanda Bartolomeo Scappi, maestro nell'arte del cucinare, del quale Papa Pio V dice: « Peritissimi magistri Bartolomei Scappij qui nunc prefectus est ex nostris intimis coquis. (Dal Breve: Datum Romæ apud Petrum. Tertio Kalendis Aprilis, anno quinto).
più digeribili che i secchi, questi alquanto flattulenti, bisogna lasciarli macerare nell'aqua. Si mangiano anche crudi lorchè sono freschi e tenerelli
Il Ramolaccio, o Armoracio, è radice annuale, indigena, originaria della China. Vuole terreno sciolto, pingue e a buona esposizione, abborre il massimo caldo. Avvene molte varietà, sì per grandezza che per forma e colore. I bianchi grossi, e i ruggini dolci d'estate si seminano da Marzo a Giugno, per averne in estate ed autunno. I rotondi, o lunghi, sia bianchi che neri forti dal Giugno a Settembre, per averli dall'autunno a primavera. Il Ravanello, è bianco o rosso, rotondo o lungo, o rosa lunghissimo di Firenze. Si può seminarlo tutto l'anno ed averne tutti i mesi. Avvi pure il Ravanello serpente (Raphanus caudatus) di Giava, ancora poco conosciuto, che à lunghissimi bacelli terminali che possono prolungarsi fino a un metro, di gusto piccante, e che, verde, si pone in aceto. Il ramolaccio e il ravanello addivengono stopposi, bucherati o tarlati e ciò dipende dalla qualità della terra, (che amano terreni forti, tenaci ed asciutti), o al lasciarli troppo nella terra dopo sviluppati, o al conservarli qualche giorno dopo colti. Il ramolaccio à gusto acre, piccante, si mangia crudo con sale, olio, pepe colla carne. È considerato un condimento pesante allo stomaco e difficile a digerirsi. Fu detto che il ramolaccio fa digerire tutto, ma egli non è digeribile: Raphanus digerit, at ipse non digeritur. Sviluppa flattulenze fetide ed acri rinvii. Sono da preferirsi i piccoli e giovani, perchè più teneri e meno acri. Erano celebri i ramolacci di Delfi ove li mangiavano anche cotti. Democrito li condannava. In Egitto dove erano saporitissimi - suavitate prcæcipui - si mangiavano aspersi di nitro. Campegio Sinforiano « uomo sapientissimo » dell'epoca delle crociate, dice che i più grossi al suo tempo erano quelli di Germania. Che i ramolacci sieno indigesti viene attestato anche da Cornelio Celso che scrive: a levibus cibis ad acres, ab acribus ad leves transire esse radicem, (raphanum) deinde vomere, lib. 3 cap. 16. Si voleva che guarisse dai calcoli urinarj. Oggi raschiato ed applicato come cataplasma attorno al collo, il popolo lo usa come risolvente nelle angine, e ne fa sciroppo che trova utile nella tosse ferina e nei catarri ostinati. I cronisti ci tramandano che il ramolaccio era la passione di Carlo Magno, passione ereditata da suo figlio Pipino. Dai nostri contadini viene chiamato : Salam de prœusa - e negli educandati - Polpett de magher.
, (che amano terreni forti, tenaci ed asciutti), o al lasciarli troppo nella terra dopo sviluppati, o al conservarli qualche giorno dopo colti. Il
Ne parla perfino Seneca nell'Ep. 87. - Olivetum cum rapo suo tranferre. I Greci magnificavano quelle di Corinto, della Francia e della Beozia. Erano notabili per la rotondità quelle di Cleone piccolo villaggio non lungi dalla selva Numea, citato da Ovidio (metam. 6) e per la lunghezza i Romani davano la palma a quelle di Amiterno città della Campania, patria di Sallustio - Indi venivano quelle di Nurzia, antica città della Sabina, patria di Quinto Sertorio, vir rei militaris, delle quali rape parla Virgilio chiamandole frigida Nurtia (En. 7). Infine venivano le Veronesi. Anche il Mattioli, che à visto le famose rape di Norcia e di Anagni dice che pesavano 30 libbre. - Sæpius librarum triginta pondere. - Il Giovio, fino da tre secoli fa nella sua Larii lacus descriptio, parlando di Pigna in Vall'Intelvi, la dice: « Oppidum cum arce, frumenti candoris, et magnitudinis eximii, et rapis nursinis æque similibus ». Marco Catone della famiglia Porcia, detto Censorio, tribuno, console, senatore, ricchissimo, si preparava da sè il piatto di rape e di quella viveva saluberrime. Marco Curio Dentato stava cocendo le rape sotto la cenere, quando rispose ai Sanniti che gli offrivano dei tesori a lasciarli in pace: Non vincerete coll'oro colui che non avete potuto vincere colle armi. La rapa vuolsi rinfreschi. Con essa si fanno decotti anti flogistici e diuretici, e colla sua polpa cataplasmi mollitivi usati in campagna contro i geloni, la si dà ai majali ai quali ingrossa e dilata l'epigastrio. La Sapienza popolare dei Milanesi ad indicare un sempliciotto, dice: Sempi come una rava, vess una rava. E ad un medicastro: Dottor de rava.
a lasciarli in pace: Non vincerete coll'oro colui che non avete potuto vincere colle armi. La rapa vuolsi rinfreschi. Con essa si fanno decotti anti
Si ottengono col seguente processo: 1° si mescoli per bene il sangue dopo averci versato dentro un poco di aceto; 2° si puliscano per bene le budella; 3° si taglino a pezzetti dodici cipolle, facendole cuocere nella sugna; 4° allorquando queste sono cotte per bene, aggiunger devonsi quattro litri di sangue, due chilogrammi di sugna tagliata a pezzi quadrangolari, prezzemolo, cipollette tritate, sale, pepe, spezie ed un litro di crema; 5° mescolar devesi il tutto per bene onde non abbia a raggomitolarsi. Dopo tutto ciò, insaccar devesi il miscuglio entro le budella, non troppo piene però affinchè non abbiano a scoppiare. Dopo averli legati con spago, si devono immergere nell'acqua quasi bollente, e tostochè principiano ad esser caldi si devono ritirare e lasciarli raffreddare. I sanguinacci si possono far cuocere tanto a lesso che arrosto.
devono ritirare e lasciarli raffreddare. I sanguinacci si possono far cuocere tanto a lesso che arrosto.
Gli arnioni devonsi tagliare in primo luogo per metà, onde levare la carne bianca e dura che vi si trova, quindi tagliarli a fette e metterli in una padella, con un pezzo di burro. Facciansi cuocere prestamente sopra fuoco ardente, onde non abbiano a perdere il succo. A metà cottura vi si aggiunga un cucchiarino di cipolline e prezzemolo tritati assieme. Si continui la cuocitura, collegandoli poscia assieme con un cucchiaio di farina bianca. Vi si versi sopra un bicchiere di vino bianco, del sale e pepe, quindi si ritirino senza lasciarli bollire, ponendovi un po' di burro e succo di limone. Gli arnioni possono essere preparati anche col vino di sciampagna, non che coi funghi, servendosi per tale bisogna solamente dell'uno o degli altri, passati al burro.
si versi sopra un bicchiere di vino bianco, del sale e pepe, quindi si ritirino senza lasciarli bollire, ponendovi un po' di burro e succo di limone
Siccome il petto dell'urogallo è la parte più carnosa e saporita, la pietanza guadagna in bontà e quantità se si mette ad arrostire soltanto questo, preparando del rimanente un salmi. A tal uopo si scalca il gallo, mettendo a macerare i pezzi nel vino freddo, succo di limone, radici affettate, cipolla e droghe, che poi s'adoperano per la marinata; i pezzi strettamente involti in un lino bagnato nell'aceto s'adagiano in un recipiente di terra per lasciarli ben coperti frollare alcuni giorni. Un giorno prima d'adoperarlo si mette il tutto, eccettuandone il petto, a stufare nel lardo, e dopo disossata la carne, si trita e pesta, passandola poi per lo staccio. Il giorno susseguente si termina di preparare il salmi, mentre s'arrostisce il petto lardato, bagnandolo con grasso, con marinata colata Nro. I (pag. 31) e verso la fine anche con fior di latte acidulo. Dalle radici stufate e dalla marinata si fa una salsa bruna di selvaggina (pag. 138), che condensata bene si passa per lo staccio.
lasciarli ben coperti frollare alcuni giorni. Un giorno prima d'adoperarlo si mette il tutto, eccettuandone il petto, a stufare nel lardo, e dopo
26. Crostini dolci. — Questi crostini si servono pure col thè o col caffè bianco, ma invece di allestirli prima, conviene lasciarli preparare a ciascun commensale di mano in mano. Passerete quindi sopra un piatto guarnito da un tovagliuolo le fette di pan bianco abbrustolite, poi il burro a parte e le marmellate o il miele nelle apposite compostiere. I migliori crostini dolci sono quelli fatti col burro semplice e il miele d'acacia, e col burro semplice e la marmellata d'albicocco. Si può mescolare anche il burro fresco con egual peso di zucchero finissimo mestando lungamente o mescolare il burro solo e unirvi poi lo zucchero con due tuorli crudi per ogni 200 gr. di composto oppure una terza parte di cioccolata grattuggiata e finissima. D'estate si mette il composto sul ghiaccio.
26. Crostini dolci. — Questi crostini si servono pure col thè o col caffè bianco, ma invece di allestirli prima, conviene lasciarli preparare a
Arnioni di bove. — Questi devonsi tagliare in primo luogo per metà, onde levare la carne bianca e dura che vi si trova, quindi tagliarli a fette e metterli in una padella con un pezzo di burro. Facciansi cuocere prestamente sopra fuoco ardente, onde non abbiano a perdere il succo. A metà cottura vi si aggiunga un cucchiarino di cipolline e prezzemolo tridati assieme. Si continui la cuocitura, collegandoli; poscia assieme con un cucchiaio di farina bianca. Vi si versi sopra un bicchiere di vino bianco, del sale e pepe, quindi si ritirino senza lasciarli bollire, ponendovi un po' di burro e succo di limone. Gli arnioni possono essere preparati anche col vino di sciampagna, non che coi funghi servendosi per tale bisogna solamente dell'uno o degli altri, passati al burro.
farina bianca. Vi si versi sopra un bicchiere di vino bianco, del sale e pepe, quindi si ritirino senza lasciarli bollire, ponendovi un po' di burro e
Diavolini di zucchero candito. — Pigliansi cinque cento grammi di zucchero candito, e lo si ponga entro una casseruola con sufficiente quantità d'acqua onde farlo diluire. Si faccia cuocere a consistenza di sciloppo, aggiungendovi mano mano centocinquanta grammi di farina, mescolando semper per farne una pasta. Sopra una tavola stiacciasi frattanto uno strato di zucchero onde stendervi poi la pasta, che si avrà cura di mescolare per bene. Una volta indurita, versate in un mortaio un albume di uova, fiore d'arancio e un poco d'ambra, incorporando il tutto per bene, formando poscia delle pallottole che si devono gettare in acqua bollente. Allorquando vengono alla superficie devonsi levare colla schiumarola e lasciarli sgocciolare. Ciò eseguito devonsi porre sopra appositi pezzetti di carta, e farli cuocere in forno aperto. E un dolciume questo che riesce alquanto duro.
pallottole che si devono gettare in acqua bollente. Allorquando vengono alla superficie devonsi levare colla schiumarola e lasciarli sgocciolare. Ciò
Manicaretti di pernici. — Fate cuocere alla schidione due pernici, e quindi lasciatele raffreddare. Levatene le ali, le coscie ed il petto, e dopo aver loro levata la pelle, poneteli in una casseruola con burro onde tenerli caldi. Gli avanzi devono essere triturati colla pelle onde ottenere la salsa che necessita. Prendete poi una seconda casseruola, ed in quella ponetevi gli avanzi con cipollette, uno spicchio d'aglio tritato, foglie di prezzemolo, foglia d'alloro, timo, pepe, sale, un bicchier di vino bianco, e della salsa spagnuola onde far bollire sopra buon fuoco. Una volta ridotta perfetta la salsa, fatela passare per staccio di crine senza però spremerla, in modo di coprire tutti i membri delle pernici, i quali devono tenersi caldi, senza lasciarli bollire. Prendete un tondo e guarnitelo a foggia di piramide, versandovi la salsa, attorniando il piatto con croste di pane fritto nell'olio. Puotesi anche aggiungere del succo di limone.
, senza lasciarli bollire. Prendete un tondo e guarnitelo a foggia di piramide, versandovi la salsa, attorniando il piatto con croste di pane fritto
Uova all'aurora. — Prendete una dozzina di uova sode, e separate gli albumi dai tuorli; tagliatene sottilmente i primi e la metà dei secondi. Avrete intanto prontata una salsa bianca con fior di latte, molto densa; ponete in essa gli albumi e i tuorli tagliati, e passate su di essi, attraverso uno staccio, il rimanente dei tuorli d'uovo, che aspergerete di burro caldo ben chiarificato; aggiungetevi un poco di sale, e ponete al forno la casseruola con qualche bragia per di sopra. È mestieri che i tuorli d'uova abbiano a rasciugarsi come una specie di crosta, senza però lasciarli assumere altro colore.
casseruola con qualche bragia per di sopra. È mestieri che i tuorli d'uova abbiano a rasciugarsi come una specie di crosta, senza però lasciarli assumere altro
101. Prendete otto portogalli, col cava-verdura vuotateli, osservate di non guastare la scorza, acciò si pos-sono empire, vuotati, metteteli nell'acqua fresca, passate alla salvietta il suo interno, unite quattro sughi di limone, un'oncia e mezza di colla di pesce e tre zaine d'acqua, fate liquefare insieme alla colla di pesce o colla de' piedi una libbra di zucchero, passate il tutto alla salvietta, unendovi un mezzo bicchiere da zaina di rosolio di cannella o maraschino, mischiate il tutto e con questo empite i portogalli, metteteli a gelare alla stuffa e lasciateli sino al momento di servirli, levateli dal ghiaccio, tagliateli in quattro, montateli sopra una salvietta sotto un piatto e potrete lasciarli anche interi. Qualora voleste dargli maggior colore, potrete servirvi del colore amarante o cocciniglia o pezza di levante che la farete bollire con poca geladina.
servirli, levateli dal ghiaccio, tagliateli in quattro, montateli sopra una salvietta sotto un piatto e potrete lasciarli anche interi. Qualora voleste
Quando queste sono bollite, sì triturano assai finamente assieme ad una cipollina, si fanno stufare in una casseruola con butirro; quindi vi s'aggiungono due rossi d'uvo tritati con prezzemolo; si condiscono con sale e pepe, e si lasciano quindi divenir freddi. Allora pigliasi della farina, s'impasta con acqua tiepida e salata, unitamente ad un uovo e un poco di butirro, e si forma in tal modo una pasta che si riduce sottilissima col lungamente appianarla, e finalmente s'invernicia con un uovo sbattuto. Questa pasta si taglia in pezzetti di quella forma che più aggrada, una metà dei quali serve a stendervi sopra in proporzione della grandezza loro un poco di pieno di frantumi preparato, mentre l'altra metà si riserva per formare a questi un coperchio che si fa ben combacciare; comprimendone l'orlo. Mettesi quindi sul fuoco una casseruola con acqua, e quando questa bolle, vi si infondono i tortellini che si estraggono dopo alcuni minuti col mezzo di una mestola bucherata, onde lasciarli ben bene sgocciolare, per servirli poi in zuppa, unendovi anche del pane minuzzato, fritto nel butirro, prezzemolo, pepe e noce moscata.
i tortellini che si estraggono dopo alcuni minuti col mezzo di una mestola bucherata, onde lasciarli ben bene sgocciolare, per servirli poi in zuppa