Tagliate la lepre a pezzi avendo cura di raccoglierne tutto il san gue, appendendo per questo la lepre con la testa all'ingiù; collocate i pezzi in una grande terrina (comprese le interiora commestibili) insieme a un po' di salvia, timo, maggiorana, basilico, grani di ginepro, chiodi di garofano, sedano, aglio, prezzemolo, carota, cipolla; bagnate col vino, aggiungete un pugnello di sale grosso e lasciate riposare 48 ore. In una padella di ferro mettete una metà del burro; quando incomincia a prendere colore gettatevi i pezzi della lepre ben sgocciolati e fateli cuocere piuttosto forte per mezz'ora; una volta rosolati e asciutti, bagnateli col vino e gli elementi della fusione, lasciate bollire mezz'ora, poi aggiungete ancora il fegato e il sangue. Quando la carne è cotta toglietela, passate intingolo, fegato, verdure al setaccio, fate riscaldare con il resto del burro impastato con la farina, rimettete in questo sugo i pezzi della lepre, incoperchiate, fate cuocere ancora per due ore e servite caldissimo.
mezz'ora; una volta rosolati e asciutti, bagnateli col vino e gli elementi della fusione, lasciate bollire mezz'ora, poi aggiungete ancora il fegato e
Ortaggi e legumi non dovrebbero mancare nemmeno una volta sulla tavola familiare: dirò di più, essi dovrebbero formare parte integrante della nostra alimentazione quotidiana giacchè è dimostrato che sono proprio essi ad apportare al nostro organismo la massima parte degli elementi di cui necessita per mantenersi in piena efficienza. Acqua e sali minerali, cellulosa, vitamine, ecco i doni che noi riceviamo da questi gradevolissimi prodotti della terra che possiamo consumare cotti e crudi, e che ci offrono la possibilità di un numero stragrande di combinazioni gastronomiche tutte egualmente gustose. Occorre ricordare che quanto più un alimento si avvicina allo stato naturale tanto più risulta benefico, e in modo particolare si sa che i vegetali, se si fanno troppo a lungo bollire, perdono la più gran parte dei loro sali minerali, di cui resta così conseguentemente defraudato il nostro organismo. Meglio dunque attenersi quanto più è possibile alle crudità, lungamente lavate e condite di olio e limone, o quando non se ne possa fare a meno si cuociano ortaggi e legumi nella minor quantità d'acqua possibile e ci si serva poi di quest'acqua per preparare zuppe e minestre di verdura.
alimentazione quotidiana giacchè è dimostrato che sono proprio essi ad apportare al nostro organismo la massima parte degli elementi di cui necessita
Preparate avanti tutto la pasta in questa maniera: mettete al fuoco un quarto di litro (scarso) di acqua, il burro e un grosso pizzico di sale e quando il liquido incomincia a bollire versate a pioggia ma in un sol colpo la farina lavorando energicamente con un mestolo di legno fino a quando la pasta sia liscia come un unguento e si distacchi in massa dalla casseruola; aggiungete poi le uova (un uovo alla volta avendo cura che ciascuno sia a turno bene assorbito dalla pasta stessa). Lasciate riposare in luogo fresco per tre ore. Intanto fate aprire le arselle, rigorosamente nettate, in una padella in cui avrete messo qualche fo glia di alloro; scottate, sgusciate e tagliuzzate gli scampi; fate cuocere con un poco d'olio i funghi tagliati a dadini spruzzandoli a metà cottura col succo di un limone; legate tutti questi elementi con la maionnese e condite col sale e pepe necessario. Tre quarti d'ora prima di servire fasciate con la pasta degli stampini imburrati, fate cuocere un quarto d'ora in forno, lasciate raffreddare, rovesciate e riempite le scodelline di pasta con uno o due cucchiai di composto; servite freddo.
dadini spruzzandoli a metà cottura col succo di un limone; legate tutti questi elementi con la maionnese e condite col sale e pepe necessario. Tre
Per la sicura riuscita di questo piatto occorre che uova e burro siano freschissimi. Sbattete a lungo le uova in una terrina sino a farle diventare ben schiumose, aggiungendo a metà dell'operazione un pizzichino di paprica; mettete al fuoco il burro, fatelo riscaldare dolcemente, versate le uova, un buon pizzico di sale e un pizzichino di noce moscata grattugiata. Fate cuocere le uova secondo tutte le buone regole rimovendole cioè continuamente con la spatola. Contemporaneamente fate rinvenire nel burro il fegatino di pollo tagliato a fettine e fate pure roso lare la pancetta affumicata ridotta a piccoli dadi (se avete timore che questa sia troppo salata scottatela per un paio di minuti in acqua bollente): incorporate questi due elementi alle uova che saranno ormai cotte e, prima di servire, bagnatele con la panna leggermente intiepidita.
ridotta a piccoli dadi (se avete timore che questa sia troppo salata scottatela per un paio di minuti in acqua bollente): incorporate questi due elementi
I primi elementi della buona Cucina sono le provvisioni; queste debbono essere di ottima qualità, buone, e salubri; per esempio le carni qualunque siano ben nutrite, e di buon odore; i polli, che non abbiano mangiato immondizie (in diverse Città d'Italia gl'ingrassano col riso) che siano giovani, grassi, bianchi, e frolli al suo punto; il selvaggiume tanto grosso, che picciolo sia grasso, giovane, tenero, e di buon fumè, cioè di un grato odore; i pesci che corrispondino a queste ottime qualità il butirro sia di vacca fresco, i Latti non siano acidi, o di cattivo sapore, tuttociò, che riguarda la Pizzicheria non senta il rancido, lo stantivo, o il riscaldato; l'erbe siano colte nello stesso giorno: gli uovi più freschi che sia possibile; i frutti maturi a perfezione, i vini sinceri, e non tanto aspri.
I primi elementi della buona Cucina sono le provvisioni; queste debbono essere di ottima qualità, buone, e salubri; per esempio le carni qualunque
I primi elementi della buona Cucina sono le provvisioni; queste debbono essere di ottima qualità, buone, e salubri; per esempio le carni qualunque siano ben nutrite, e di buon odore; i polli, che non abbiano mangiato immondizie (in diverse Città d'Italia gl'ingrassano col riso) che siano giovani, grassi, bianchi, e frolli al suo punto; il selvaggiume tanto grosso, che picciolo sia grasso, giovane, tenero, e di buon fumè, cioè di un grato odore; i pesci che corrispondino a queste ottime qualità il butirro sia di vacca fresco, i latti non siano acidi, o di cattivo sapore, tuttociò, che riguarda la Pizzicheria non senta il rancido, lo stantivo, o il riscaldato; l'erbe siano colte nello stesso giorno: gli uovi più freschi che sia possibile; i frutti maturi a perfezione, i vini sinceri, e non tanto aspri.
I primi elementi della buona Cucina sono le provvisioni; queste debbono essere di ottima qualità, buone, e salubri; per esempio le carni qualunque
Come avrete notato in questa e in molte altre ricette della presente raccolta, la mia cucina inclina al semplice e al delicato, sfuggendo io quanto più posso quelle vivande che, troppo complicate e composte di elementi eterogenei, recano imbarazzo allo stomaco. Ciò non ostante un mio buon amico, per iscambio, la calunniava. Essendo egli stato colpito da paralisi progressiva, che lo tenne infermo per oltre tre anni, non trovava altro conforto alla sua disgrazia che quello di mangiar bene, e quando ordinava il pranzo alla sua figliuola non mancava di dirle: — Bada di non darmi gl'intrugli dell'Artusi. — Questa signorina, che era la massaia di casa, avendo ricevuta la sua educazione in un collegio svizzero del cantone francese, si era colà provveduta del trattato di cucina di Madame Roubinet; e volgendo a questo tutta la sua simpatia, poco o punto si curava del mio. Gl'intrugli lamentati dal padre erano dunque di questa madama dal rubinetto, la quale, si vede, dava con questo la via, più che non farei io, alle acque torbe della cucina.
più posso quelle vivande che, troppo complicate e composte di elementi eterogenei, recano imbarazzo allo stomaco. Ciò non ostante un mio buon amico
Il brodo di qualunque animale costituisce per l'uomo uno degli elementi liquidi tra i più ricostituenti e facilmente assimilabili, epperò costituisce il principale elemento della buona cucina. Per avere un buon brodo bisogna mettere le carni nell'acqua fredda, riscaldandola a grado a grado fino a che arrivi all'ebollizione; nel frattempo l'acqua si impadronisce di tutte le parti solubili contenute nella carne, la quale, stando alle più diligenti analisi, risulta composta di fibrina o carne muscolare, di albumina di ematosina o materia colorante del sangue, di tessuto cellulare, di grasso contnente l'oleina e la stearina, di materie estrattive e di molti sali. ANIMELLE DI VITELLO ALLA VISCONTI-VENOSTA. (51) Spurgate per qualche ora nell'acqua fresca sei animelle di vitello da latte, e poi mettetele a dissanguare in una casseruola d'acqua tiepida, tenuta in un angolo del fornello, cambiandola di quando in quando finchè e animelle siano perfettamente bianche e rassodae. Lasciatele raffreddare sotto pressione leggiera, in metzzo a due pannolini, quando son ben fredde pareggiatele bene, lardellatene tre con filetti di lardo, conficcate sulla superficie delle altre tre dei chiodi di tartufi neri disposti simetricamente. (51) Ciò fatto, mettete tutte le animelle in una teglia, nel cui fondo avrete posto delle fettoline di prosciutto di cipolla e di radiche gialle, nonchè un mazzolino di erbe odorose e cinquanta grammi di burro. Adagiate la teglia sul fuoco finchè ogni cosa abbia preso un bel color nocciola, e poi sbruffate su del vino bianco, e finite di bagnare a metà altezza con sostanza di vitello, o brodo consumato. Coprite la teglia e fate cuocere in forno finchè le animelle sian colorite e cotte, e la loro sostanza ben ristretta, con la quale luciderete bene le animelle. Poscia togliete quest'ultime dalla teglia, passate la loro cottura, disgrassatela e rimettetela nella teglia, come pure le animelle mantenendole calde e ben spalmate di sostanza ristretta. Frattanto avrete fatto cuocere un risotto con brodo e sostanza, ed ultimato con un pezzo di burro fresco, ungete uno stampo a piramide, sul genere indicato dal disegno, spalmatene abbondantemente le pareti col risotto che avete fatto, e nel vuoto centrale ponete delle scaloppine e dei fegatini di pollo, e fette di tartufi. Ricoprite questo ripieno con dell'altro riso, lasciate rassodare il contenuto dello stampo, tenendolo per circa dieci minuti dinanzi alla bocca del forno, indi rovesciatelo nel centro di una crostata di riso intagliata in forma di cestello, disponete intorno alla piramide le animelle, alternandone le specie, mettete sulla sommità dei funghi torniti e tartufi ed inviate contemporaneamente, in disparte, una salsiera di salsa tedesca. Durante il tempo della decozione nell'acqua la fibrina vi rimane insolubile; in forza dell'azione del calorico e dell'acqua una porzione d'albumina viene abbandonata al brodo; ma la maggior parte dell'albumina che è nella massa carnosa si rafferma coagulandosi e rimane aderente al tessuto. Pronta a sciogliersi a prima immersione è la ematosina; infatti l'acqua si colora subito in rosso: se non che il calorico la fa poi coagulare insieme all'albumina, e riunendosi in fiocchi va a costituire la schiuma. Quanto meno adunque un animale sarà stato dissanguato, la sua carne darà maggior schiuma, ma d'altra parte siccome il sangue contiene molto osmazoma, la carne poco dissanguata produce brodo migliore.
Il brodo di qualunque animale costituisce per l'uomo uno degli elementi liquidi tra i più ricostituenti e facilmente assimilabili, epperò costituisce
La carne di bue contiene tutte le sostanze che rigorosamente bastano a mantenere la vita dell'uomo; arrostita, principalmente se poco cotta, eccita lo stomaco, facilita l'azione digestiva e fornisce tanta copia di elementi riparatori quanto non se ne trova in nessun'altro alimento. Se però l'uso giudizioso imprime vigore, l'abuso conduce facilmente alle infiammazioni ed a tutte le indisposizioni che provengon da una nutrizione troppo sostanziosa. La carne di vacca, se ben ingrassata e non molta vecchia, diversifica poco da quella di bue. La carne di vitello è più tenera, meglio digeribile, ma meno nutriente di quella di manzo. Il montone contiene meno sugo del bue, e la sua carne è quasi altrettanto nutriente, purchè sia ben nutrito e che abbia avuto un buon pascolo. Le carni di pecora e di capra sono più indigeste e meno nutritive di quelle di manzo e di vitello; non così gli agneletti giovani, che forniscono un buon alimento, se hanno avuto un buon pascolo, e che siano morti di fresco, guaj se fossero il contrario. Il majale dà una carne saporatissima, nutriente, ma pesante; i condimenti la rendono meglio digeribile, ma più eccitante e riscaldante, lo stesso dicasi del cinghiale.
lo stomaco, facilita l'azione digestiva e fornisce tanta copia di elementi riparatori quanto non se ne trova in nessun'altro alimento. Se però l'uso
Oltre ad essere necessario che il cuoco conosca GATEAU NAPOLETANO GUARNITO. (57) Dosi: 300 grammi di farina di primissima qualità, 250 grammi di burro, 250 grammi di zucchero, 250 grammi di mandorle, 2 tuorli d'uovo, 2 uova intiere, un poco di crema doppia, un poco di sale, e la buccia di mezzo arancio come pure di limone, e fate attenzione che non vi sia che la pura buccia colorita, e fatta ben fina sotto il coltello. Pestate le mandorle dopo che siano state mondate ed asciutte con una manata di zucchero ed un albume d'uovo; passate allo staccio. Fate l'impasto principiando ad amalgamare il burro con le mandorle e il rimanente zucchero, il sale, le uova, la buccia di limone, arancio, la crema; di poi farete assorbire la farina a poco a poco e formate la pasta che maneggierete lestamente per renderla liscia. Spianatela con lo stenderello per la grossezza di 3 millimetri, tagliate 15 o 16 tondi con stampo da charlotte rovesciato, di 15 o 16 centimetri di diametro; vuotate i rotondi con un taglia paste di 10 centimetri di diametro, di mano in mano li aggiustate su d'una lastra di rame per cuocerli al forno non troppo forte; fateli raffreddare sotto leggiera pressione per ottenerli dritti: mascherateli da una parte, con uno strato di marmellata di albicocche; montate gli uni sopra gli altri, ben dritti, su un disco di pasta non vuotato nel centro. Lisciate bene le pareti con una lama di coltello, mascheratelo interamente con una marmellata di albicocche; mettete il Gâteau su un piatto, tenetelo in luogo fresco per qualche ora; decoratelo al cartoccetto con glace reale e parte con sfogliata in bianco tagliata in fogliami a piacere, al momento di servire, disponetelo sopra un fondo decorato, circondatelo alla base con crostoni di gelatina; riempite il vuoto con una chantilly od una crema plombière alle mandorle. Prima di servirlo converrà di tagliarlo senza staccare i pezzi e in tampoco di non sciupare le guarnizioni. le qualità degli elementi onde confezionare un cibo sano, deve in ispecial modo conoscere il danno che potrebbe produrre un utensile di rame mal stagnato o privo affatto di stagno.
qualità degli elementi onde confezionare un cibo sano, deve in ispecial modo conoscere il danno che potrebbe produrre un utensile di rame mal
In cucina non ci può essere improvvisazione. V'è un'arte culinaria basata come tutte le arti su misure e proporzioni, sull'equilibrio e la fusione dei diversi elementi. Per molte ragioni, fra cui prima la ragione economica, i nostri pasti si sono via via semplificati, in confronto a quelli della generazione precedente la nostra. La guerra ha ancora scosso alla base un'altra tradizione, e ormai si può dire che solo in determinate occasioni i pasti assumono l'importanza qualitativa e quantitativa di un tempo. Tutto il ritmo della nostra vita è divenuto più serrato, il servizio notevolmente ridotto, non si vuol più perdere molto tempo nè in cucina, ne a tavola. Questo libro è stato compilato tenendo appunto presenti le necessità del nostro vivere moderno ed esso è il risultato della collaborazione di più donne. Esse hanno raccolto ricette pratiche e talvolta anche raffinate, ma sempre esposte nel modo più semplice. Sono anzi ricette spesso semplificate al massimo e tali da non scoraggiare mai la buona volontà e l'entusiasmo di chi desidera provarle. Nelle ricette, calcolate in genere per sei persone, si è cercato di ridurre al minimo indispensabile gli ingredienti, senza tuttavia modificare il carattere o il gusto della ricetta stessa.
dei diversi elementi. Per molte ragioni, fra cui prima la ragione economica, i nostri pasti si sono via via semplificati, in confronto a quelli della
Una considerazione da farsi è quella che le liste dei pasti devono essere sempre intonate alla stagione e questo non soltanto dal punto di vista degli elementi, ciò che sarebbe ovvio, ma anche dal punto di vista della temperatura. In inverno si darà la preferenza a minestre e zuppe più dense e nutrienti che forniscono quindi maggior numero di calorie, a piatti di carne più conditi ed elaborati, umidi, stufati, a legumi preparati con latte, besciamella. In estate invece, quando il caldo annulla gran parte delle nostre energie e quando il pensiero di sedersi davanti ad una minestra fumante fa passare immediatamente l'appetito, l'intelligente padrona di casa studierà liste leggere, con pietanze tiepide o anche fredde o ghiacciate, lasciando larga parte alle verdure crude, carni semplicemente arrostite, al pesce bollito servito con salse appetitose e piccanti. È un'arte questa che si impara di giorno in giorno e con la propria esperienza personale, più che con il consiglio degli altri, dato che si tratta di contentare non solamente il proprio gusto ma anche quello di coloro che ci vivono vicini.
degli elementi, ciò che sarebbe ovvio, ma anche dal punto di vista della temperatura. In inverno si darà la preferenza a minestre e zuppe più dense e
Stabilire con intelligenza la lista delle vivande per i pasti quotidiani, e questo per 365 giorni dell'anno, non è certo cosa da poco e anzi oggigiorno questo problema diventa ancor più difficile, sia per l'alto costo delle vivande sia perchè il personale di servizio va facendosi sempre più raro e, bisogna pur dirlo, sempre più incompetente. Dall'altro canto il nostro regime di vita moderno, ancora semplificato dalla parentesi dell'ultima guerra, rende forse meno complicata di un tempo la scelta delle pietanze per la colazione e per il pranzo. Anche gli uomini si sono adattati ad un regime sano, basato su cibi cotti nella maniera più semplice e ormai, salvo le solite eccezioni che non mancano mai, in tutte le famiglie borghesi si segue la regola di preparare dei pasti che non richiedano lunghe ore di preparazione. Molte donne lavorano durante la giornata e non possono permettersi il lusso di dedicare alla cucina, se non in occasioni eccezionali o la domenica, troppo tempo. La lista del giorno riposa quindi soprattutto su due principi- base, fornire quotidianamente al corpo quegli elementi che gli sono necessari per mantenersi in buona salute e rendere questo rifornimento piacevole al gusto, variato quanto basta perchè l'ora della colazione e del pranzo riesca gradita sia ai componenti della famiglia, sia agli ospiti eventuali.
- base, fornire quotidianamente al corpo quegli elementi che gli sono necessari per mantenersi in buona salute e rendere questo rifornimento piacevole
Ora passi per quelle mezzo disseccate, per quelle indurite dal tempo e dalla vecchiaia, per quelle già rapprese in cellulosa condensata, ma le altre foglie, le mediane, che sono gli organi viventi di tutta la pianta, che hanno ricchezza in ferro e clorofilla, che sono mosaici di elementi cellulari, che hanno ricevuto il bacio vitale della luce e che di esso conservano il ricordo, non meritano la cassetta delle immondizie, proprio esse che possiedono tesori di vitamine attive, di proteine e di sali minerali; foglie che possono servire, specie se giovani e sottili, ad integrare razioni, a valorizzare gli alimenti più scadenti... e tutto questo perchè sono colorate, perchè sono state vestite in verde cupo dalla luce, dai raggi chimici del sole. Mentre le foglie del così detto «cuore», bianche per effetto di anemia, tenere un po' per idropisia, le preferite del gusto e della vista, poca sostanza apportano, eccetto che molta acqua, sia pure metabolica, non avendo esse ancora ricevuto il battesimo del sole e il bacio della luce.
foglie, le mediane, che sono gli organi viventi di tutta la pianta, che hanno ricchezza in ferro e clorofilla, che sono mosaici di elementi cellulari
Il Tartufo è il tubero dalla superficie oscura e scabra, dall'interno chiaro e scuro, a seconda della qualità, dall'odore aromatico, dal sapore superlativamente ghiotto. La storia del tartufo è d'una antichità pressochè biblica. Ma concesso pure che i Dudhaïm portati a Lia dal figlio Ruben non fossero tartufi, come pretendono Carduque e Daniel, è certo che gli Orientali, nelle loro regioni sabbiose, ànno conosciuto di bon' ora il tartufo del deserto, quello che i Siri di Damasco, al dire di Chabreus, trasportavano sui camelli e che è ancora, per gli Arabi dell'Algeria, un cibo ricercato. Le conquiste, le emigrazioni ed il comercio ne estesero l'uso ai Greci e poi ai Romani. Aristotile e il suo discepolo Teofrasto, tre secoli avanti l'êra volgare, divinaro la sua natura vegetale e autonomica, anzi quest'ultimo dice, che a Mitilene crescevano per le inondazioni del Tiaris che vi portava le sementi di queste produzioni sotterranee, ch'egli chiama mysi. Plinio, eco dei pregiudizii del suo tempo e di quelli di Plutarco, racconta che Laerzio Licinio Pretore di Spagna, in Cartagine si ruppe gli incisivi masticando un tartufo che conteneva una moneta e chiama il tartufo un bitorzolo, un'escremento della terra, vitium terrœ. E per molto tempo, suffragante la dottrina di Galeno, indusse l'errore, che i tartufi fossero l'effetto dell'azione combinata degli elementi e del tuono, e si chiamavano gênègès, ossia figli della terra e degli Dei. Una serie di spropositi accompagnarono il tartufo attraverso il Medio Evo fino a noi. Chi lo chiamò un fungo, chi asserì fosse una certa tuberosità di alcune radici, chi la trasudazione degli alberi, chi fosse una specie di galla, di muffa — chi infine insegnò fosse un prodotto del morso di certe mosche od insetti su organi vegetali. Non fu che dopo 2000 anni e coll'aiuto del microscopio, che gli scienziati giunsero a persuadersi che il tartufo è un vegetale vivente di vita propria, e che possiede grani, o semi vitali di riproduzione. Claudio Geoffroy nel 1711, fu il primo a darne all'accademia delle scienze in Francia la notizia, e Micheli pochi anni dopo ne dava il disegno. Ammessi i semi, naque naturalmente l'idea di ottenerne la riproduzione artificiale. I primi tentativi vennero fatti nel 1756 da Brandley in Inghilterra, dal Conte di Borch nel 1780 in Piemonte, da Bornholz in Germania nel 1825 e verso il 1828 dal Conte di Noè in Francia. La teoria della riproduzione artificiale, fu sostenuta tra gli altri dal Milanese Vittadini (Monographia tuberculorum. Milano 1831). «Se volete dei tartufi seminate delle ghiande di quercia.» Questo aforismo dal Conte de Gasparin riassume l'esperienza di oltre 60 anni. Nel 1834 un botanico, M. Delastre fece conoscere al Congresso scientifico di Poitiers, il fatto allora paradossale della riproduzione artificiale dei tartufi coi semi di quercia. La scoperta è dovuta ad un semplice contadino, Gaspare Talon, il cui figlio Ilarione è oggi, grazie ai tartufi, milionario. Il campo della scoperta è in Francia e precisamente la pianura detta di Scilla, vicino a Croagne, ove Scilla sbaragliò del tutto i Cimbri ed i Teutoni, dopo la grande vittoria che Mario aveva riportato su quei barbari nelle vicinanze di Aix. Tale scoperta consiste in ciò, che piantando dei semi di quercia, vale a dire rimboscando di quercie il terreno ove alligna il tartufo se ne ottiene una periodica e certa raccolta. Del come poi i semi vengono fecondati e nutriti, del come vengono portati, dove si sviluppano, è ancora l'X incognita degli scienziati. Questo solo si sa, che il tartufo nasce, vive e prospera dovunque prospera la vite, ove il terreno è argilloso calcareo e dove la quercia è la principale vegetazione arborescente del paese. Difficilmente lo si trova fuori del raggio degli alberi, sicchè pare, che se non parassita, trovi molto comodo passare la sua vita fra le loro radici. Teme la troppa ombra e l'asciutto. Le sue simpatie sono per la Quercus Alba, la Coccifera o Kermes, l'Ilex, la Peduncolata, la Ruber (rovere).
'azione combinata degli elementi e del tuono, e si chiamavano gênègès, ossia figli della terra e degli Dei. Una serie di spropositi accompagnarono il
Preparati in tal modo gli elementi della torta, cominciate a prendere uno dei pezzetti di pasta serbati sulla madia, e col matterello tiratene una sfoglia sottilissima, che renderete poi della massima sottigliezza rovesciandola sui vostri pugni e dolcemente tirandola in tutti i versi. Mettete questa sfoglia in una teglia, che avrete prima unta con olio servendovi d'una penna, e distendetevela bene fino all'orlo, usando molta attenzione per non lacerarla; poscia ungetene la superficie colla suddetta penna intinta nell'olio, e proseguite a formare nello stesso modo le altre sfoglie sino al numero di 12 o 15, sovrapponendole una all'altra nella medesima teglia, ed avvertendo di ungerle tutte come la prima, ad eccezione dell'ultima: distendetevi le bietole preparate, spargete su questo strato un poco d'olio; stendetevi sopra uniformemente il composto di ricotta e fior di latte, servendovi del dorso d'un cucchiajo, e, preso un ettogr. di burro, dividetelo in 12 parti eguali e distribuitelo simmetricamente su questo nuovo strato, nel quale avrete all'uopo fatte col cucchiajo altrettante fossettine. Allora scocciate entro ognuna di queste fossette un uovo fresco, e sovra essi spargete un po' di parmigiano grattato, pepe ed una presina di sale. Poscia proseguite a tirare col matterello le altre sfoglie finchè vi rimangono pezzetti di pasta, e ad una ad una distendetele sulla torta alla stessa maniera delle prime, ungendole egualmente cella penna intinta nell'olio. Tagliate finalmente i lembi delle sfoglie che sopravanzeranno all'orlo della teglia, formate coi ritagli medesimi l'orliccio alla torta a guisa d'un cordone, intaccandolo tutto intorno e per traverso colla costa d'un coltello, ed unta la superficie della torta, fatela cuocere al forno per un'ora circa.
Preparati in tal modo gli elementi della torta, cominciate a prendere uno dei pezzetti di pasta serbati sulla madia, e col matterello tiratene una
L'orzo, cresciuto in montagna e macinato in modo che i grani restino interi, è eccellente e fornisce un'ottima minestra specie per i bambini. Esso si cucina in diverse maniere e può diventare più o meno saporito secondo gl'ingredienti che vi si aggiungono. Il sistema più semplice è quello di metterlo al fuoco in una pentola fonda, con poc'acqua (dopo averlo pulito ben s'intende da tutti gli elementi eterogenei e bene lavato), calcolando una manatina di grani per ogni persona, e di unirvi quando ha un po' bollito, 2-3 cucchiai d'olio e l'acqua o meglio il brodo occorrente per tutta la minestra. Questa s'avvalora di molto se vi si fa cuocere insieme una lucanica (salamino) ben lavata o un pezzo di castrato o di carne salata di manzo o di maiale. La carne si leva a cottura finita e si serve dopo la minestra con qualche verdura.
metterlo al fuoco in una pentola fonda, con poc'acqua (dopo averlo pulito ben s'intende da tutti gli elementi eterogenei e bene lavato), calcolando una
Se la lista del povero si limita pur troppo, per forza, a uno scarsissimo numero di cibi, la gente del popolo, ancorchè non costretta a lottare col bisogno, è sempre misoneista in fatto di cucina. Il popolo ripudia, per principio, il piatto nuovo, la verdura che non conosce, la salsa che non ha mai sentito nominare: ligio alle poche vivande che sono in uso nella sua regione, esso ignora quanti salubri coefficienti la natura offrirebbe alla sua mensa, non solo, ma quali fonti d'economia troverebbe in certi elementi gastronomici a lui sconosciuti. Non è cosa agevole il lottare contro un pregiudizio, specie mediante un libro: una ragazza incolta che ha dovuto guadagnarsi sino dal''infanzia coi più umili mezzi il pane giornaliero, andando sposa non si prenderà certamente la cura di consultare un manualetto di cucina, per modesto che sia, prima di fare la spesa della giornata, chè, per quanto ci si studii di scrivere chiaro, certi termini della lingua, specie nelle provincie ove predominano i dialetti, riescono incomprensibili anche a una cuoca di professione.
mensa, non solo, ma quali fonti d'economia troverebbe in certi elementi gastronomici a lui sconosciuti. Non è cosa agevole il lottare contro un
Il tartufo è un tubero dalla superficie oscura e scabra, dall'interno chiaro e scuro, a seconda della qualità, dall'odore aromatico, dal sapore superlativamente ghiotto. Nel linguaggio delle piante: Tesoro. La storia del tartufo è d'una antichità pressochè biblica. Ma, concesso pure che i Dudhaïm portati a Lia dal figlio Ruben non fossero tartufi, come pretendono Carduque e Daniel, è certo che gli Orientali, nelle loro regioni sabbiose, ànno conosciuto di bon'ora il tartufo del deserto, quello che i Siri di Damasco, al dire di Chabreus, trasportavano sui cammelli e che è ancora, per gli Arabi dell'Algeria, un cibo ricercato. Questo squisito tubercolo compariva già fra le più prelibate ghiottonerie dei Faraoni. Le conquiste, le emigrazioni ed il commercio ne estesero l'uso ai Greci e poi ai Romani. Aristotile e il suo discepolo Teofrasto, tre secoli avanti l'êra volgare, divinarono la sua natura vegetale e autonomica, anzi quest'ultimo dice, che a Mitilene crescevano per le inondazioni del Tiaris, che vi portava le sementi di queste produzioni sotterranee, eh' egli chiama mysi. Plinio, eco dei pregiudizii del suo tempo e di quelli di Plutarco, racconta che Laerzio Licinio Pretore di Spagna, in Cartagine si ruppe gli incisivi masticando un tartufo che conteneva una moneta e chiama il tartufo un bitorzolo, un escremento della terra, vitium terrae. E per molto tempo, suffragante la dottrina di Galeno, indusse l'errore, che i tartufi fossero l'effetto dell'azione combinata degli elementi e del tuono, e si chiamavano gènègès, ossia figli della terra e degli Dei. Et faciunt lautas optata tonitrua coenas, cantava dei tartufi il Poeta d'Aquino. Una serie di spropositi accompagnarono il tartufo attraverso il Medio Evo fino a noi. Chi lo chiamò un fungo, chi asserì fosse una certa tuberosità di certe radici, chi la trasudazione degli alberi, chi fosse una specie di galla, di muffa, chi infine insegnò fosse un prodotto del morso di certe mosche od insetti su organi vegetali. Non fu che dopo duemila anni e coll'aiuto del microscopio, che gli scienziati giunsero a persuadersi che il tartufo è un vegetale vivente di vita propria, e che possiede grani, o semi vitali di riproduzione. Claudio Geoffroy nel 1711, fu il primo a darne all'accademia delle scienze in Francia, la notizia, e Micheli, pochi anni dopo, ne dava il disegno. Ammessi i semi, nacque naturalmente l'idea di ottenerne la riproduzione artificiale. I primi tentativi vennero fatti nel 1756 da Brandley in Inghilterra, dal Conte di Borch nel 1780 in Piemonte, da Bornholz in Germania nel 1825 e verso il 1828 dal Conte di Noè in Francia. La teoria della riproduzione artificiale fu sostenuta tra gli altri dal milanese Vittadini (Monographia tuberculorum, Milano, 1831). «Se volete dei tartufi, seminate delle ghiande di quercia.» Questo aforismo del conte De Gasparin riassume l'esperienza di oltre sessantanni. Nel 1834 un botanico, M. Delastre, fece conoscere al Congresso scientifico di Poitiers il fatto, allora paradossale, della riproduzione artificiale dei tartufi coi semi di quercia. La scoperta è dovuta a un semplice contadino, Gaspare Talon, il cui figlio Ilarione è oggi, grazie ai tartufi, milionario. Il campo della scoperta è in Francia e precisamente la pianura detta di Scilla, vicino a Croagne, ove Scilla sbaragliò del tutto i Cimbri ed i Teutoni, dopo la grande vittoria che Mario aveva riportato su quei barbari nelle vicinanze di Aix. Tale scoperta consiste in ciò, che piantando dei semi di quercia, vale a dire rimboscando di quercie il terreno ove alligna il tartufo, se ne ottiene una periodica e certa raccolta. Del come poi i semi vengono fecondati e nutriti, del come vengono portati, dove si sviluppano, è ancora l'X incognita degli scienziati. Questo solo si sa, che il tartufo nasce, vive e prospera dovunque prospera la vite, ove il terreno è argilloso, calcareo e dove la quercia è la principale vegetazione arborescente del paese. Difficilmente lo si trova fuori del raggio degli alberi, sicchè pare che se non parassita, trovi molto comodo passare la sua vita fra le loro radici. Teme la troppa ombra e l'asciutto. Le sue simpatie sono per la Quercus Alba, la Coccifera o Kermes, l'llex, la Peduncolata, la Ruber (rovere). Ne à però di straforo anche per la noce, pel faggio, la betulla, il cedro, il ginepro, la rosa, il pino silvestre, la pescia (Abies), per il pruno, il biancospino, il sorbo, il carpine (Carpinus betula) e raramente pel castano. Due sorta di tartufi si ànno, l'oscuro ed il bianco. Il primo si vuole sia l'unico, vero tartufo, l'altro il falso tartufo delle sabbie e del deserto. Si vuole ancora che il tartufo sia sempre bianco allorchè non à raggiunto la sua maturanza, e che raggiungendola diventi oscuro. Pare invece sia questione di terreno e di alimentazione, come pure da ciò dipende l'abbondanza o deficienza del suo aroma, che da noi sono più saporiti e delicati i bianchi, degli oscuri.
elementi e del tuono, e si chiamavano gènègès, ossia figli della terra e degli Dei. Et faciunt lautas optata tonitrua coenas, cantava dei tartufi il
Il brodo è una delle preparazioni fondamentali della cucina. È il brodo che forma la base indispensabile di ogni specie di minestra, il brodo che con nuove addizioni di carne fornirà il «consommè», o servirà per salse, o verrà usato in un'altra quantità di casi. Occorre dunque avere il brodo nelle migliori condizioni, ciò che si ottiene con una oculata scelta degli elementi che lo compongono e più ancora con una cura continua e attenta. Buoni tagli di carne da brodo sono la copertina, il fianchetto, la spalla, la falsa costa, il petto ecc. Anche meglio sono la punta della culatta, e il «piccione» o nasello che hanno il pregio di offrire anche un bollito gustoso. In quanto alle ossa non bisogna prestar fede alla leggenda accreditata dai macellai, che cioè siano necessarie per ottenere un buon brodo. Checchè se ne dica, le ossa non servono che ad ingombrare la pentola. È tollerabile un osso col midollo. Per ogni chilogrammo di carne occorrono due litri di acqua fredda. Si pone la carne in una pentola, con l'acqua fredda, e si mette su fuoco moderato. L'acqua riscaldandosi a grado a grado, agisce sulle fibre della carne e dissolve le materie albuminose che esse contengono, e che salgono alla superficie sotto forma di schiuma, che deve essere subito tolta. È buona regola, mentre l'acqua si avvia all'ebollizione di versare, di quando in quando, qualche cucchiaiata di acqua fredda nella pentola, ciò che aiuta a liberare la carne da tutte le sue impurità. Più la schiumatura sarà stata fatta con cura, maggiore sarà la limpidità del brodo. Dopo schiumata la pentola, si sala, e vi si aggiungono cipolla, sedano, radica gialla, pomodoro ecc., che hanno lo scopo di comunicare al brodo il tono aromatico. E finalmente si tira sull'angolo del fornello e si lascia bollire dolcissimamente per qualche ora. È necessario che dal momento in cui si verifica l'ebollizione, il fuoco abbia sempre la stessa moderata intensità: un fornello a gas con la «veilleuse» serve ottimamente allo scopo. Quando la carne sarà giunta a perfetta cottura, si mette in una pentola più piccola, si copre con un po' di brodo e si tiene in caldo. Il brodo della pentola grande si sgrassa accuratamente, si passa attraverso una salvietta o un colobrodo, e si adopera.
migliori condizioni, ciò che si ottiene con una oculata scelta degli elementi che lo compongono e più ancora con una cura continua e attenta. Buoni
Dovendo friggere col burro è necessario fargli subire un trattamento che gl'impedisca di diventar nero e di comunicare quindi un brutto aspetto alla frittura. Quest'operazione si chiama «chiarificare il burro», cioè privarlo della parte lattiginosa, che durante la cottura va in fondo alla padella e annerisce. Prendete dunque, secondo la quantità di frittura da fare, uno o più ettogrammi di burro. Mettete questo burro in una casseruolina o in una padellina, e fatelo fondere su fuoco leggero. Quando sarà fuso tirate la casseruolina sull'angolo del fornello e lasciatelo cuocere per una diecina di minuti, ma piano, in modo che non si colorisca. Vedrete che il burro si decomporrà in due elementi: una parte liquida limpidissima, e una parte formata di piccoli flocchi grassi. Passate il burro chiarificato da un setaccino finissimo, o meglio a traverso una salviettina, e usatalo per friggere. Il burro così preparato si conserva molto più lungamente del burro fresco.
di minuti, ma piano, in modo che non si colorisca. Vedrete che il burro si decomporrà in due elementi: una parte liquida limpidissima, e una parte
I fegati di pollame pesano 100 gr., dovrete usare 150 gr. soli di fegato di vitello per arrivare al peso stabilito di gr. 250, quanti ne occorrono per la confezione della farcia, come è stato detto più sopra. Rimettete nella padella anche i dadi di lardo, e condite il tutto con 15 gr. di sale, una forte pizzicata di pepe e una punta di coltello di spezie. Aggiungete anche o dei funghi secchi tritati (già rinvenuti in acqua fredda) o meglio qualche pezzetto di fungo fresco, una mezza cipolla finemente tritata, un pezzettino di foglia di lauro e un pizzico di timo, mescolate, aggiungete un dito di marsala, coprite la padella e lasciate sobollire sull'angolo del fornello per cinque minuti. Rovesciate il tutto su una scolamaccheroni o su un passino, raccogliendo in una scodella il grasso che colerà e subito dopo, un po' alla volta, pestate carne, grasso e fegato, operando il più sollecitamente possibile, poichè l'operazione riesce assai più speditamente quando i vari elementi sono caldi. Quando il tutto sarà ridotto in una pasta fine, aggiungete 50 gr. di burro, due rossi d'uovo e poi, a cucchiaiate, il grasso tenuto in disparte. Perchè l'operazione riesca bene, è necessario di mescolare sempre con un cucchiaio di legno allo scopo di unire bene i vari ingredienti.
sollecitamente possibile, poichè l'operazione riesce assai più speditamente quando i vari elementi sono caldi. Quando il tutto sarà ridotto in una pasta fine
Lasciate bollire per circa un quarto d'ora finchè la zuppa sia ben ristretta e bene insaporita. Guardate allora se c'è bisogno di mettere un po' di sale, in quanto che la carne in scatola è di già per sè sufficientemente salata. Aggiungete un bel pezzetto di burro e mescolate ancora affinchè il burro si amalgami bene al pane. Tirate indietro la casseruola e condite la zuppa con due o tre cucchiaiate di parmigiano grattato, e se credete, completatela con un uovo intiero sbattuto leggermente, aggiunta che è utilissima ma non strettamente necessaria. Mescolate di nuovo affinchè tutti gli elementi si fondano in un'unica nota profumata e promettente, e scodellate la vostra zuppa. Come vedete si tratta di una cosa sbrigativa, gustosa, nutriente, che, per sopra mercato, costa molto ma molto meno della solita minestra in brodo, la quale spesso è talmente insipida da far rimpiangere i molti quattrini che costa.
elementi si fondano in un'unica nota profumata e promettente, e scodellate la vostra zuppa. Come vedete si tratta di una cosa sbrigativa, gustosa, nutriente
I veri vermicelli con le vongole sono facilissimi, ma non tutti, specie i non napolitani, li sanno cucinare a perfetta regola d'arte. Questi vermicelli non tollerano elementi estranei di nessun genere: non debbono esser fatti che con olio, un po' d'aglio, vongole e pomodoro; e soprattutto niente alici, che taluni erroneamente aggiungono. Per riuscire bene, bisogna che i vermicelli abbondino in sugo e in vongole. Per quattro persone noi vi consiglieremmo quindi un chilogrammo di questi saporitissimi frutti di mare. Un nemico capitale da evitare a qualunque costo è la rena; quindi prima di ogni altra cosa mettete le vongole in una catinella piena d'acqua e lavatele energicamente; cambiando, se occorre, l'acqua. Fatto ciò passatele in una padella piuttosto grande con una cucchiaiata d'olio, copritele e mettetele sul fuoco. Fate saltellare le vongole affinchè possano sentire tutte ugualmente il calore. Vedrete che in due o tre minuti saranno aperte. Levate allora la padella dal fuoco e aiutandovi con un cucchiaino staccate a una a una le vongole dal guscio. I gusci li getterete, le vongole le raccoglierete in una scodella. Se vi accorgeste che le vongole contenessero ancora molta rena, potrete lavarle un'altra volta con un ramaiolo d'acqua appena tiepida, poi tirarle su, e passarle in un'altra scodella pulita. Quando avrete sgusciato tutte le vongole, vedrete che nella padella sarà rimasto un abbondante liquido dall'aspetto torbido. Guardate di non gettarlo via perchè è appunto quello che darà il profumo alla pietanza. Prima di adoperarlo però voi dovrete aspettare un pochino, per dar modo alla rena di posarsi sul fondo della padella. Soltanto allora inclinate leggermente questa e decantate il sugo in una tazza, avvertendo che il fondo terroso rimanga nella padella. Dopo questa operazione principale, prendete un tegame di terracotta o una padella o anche una casseruola di rame, ove metterete mezzo bicchiere d'olio e uno spicchio d'aglio. Portate sul fuoco, e appena l'aglio incomincia a soffriggere toglietelo, e aggiungete tre o quattro cucchiaiate di salsa di pomodoro in scatola o un chilogrammo abbondante di pomodori freschi passati dal setaccio. Condite con sale e pepe, aggiungete il sugo delle vongole, un pochino di acqua, se ce n'è bisogno, e fate cuocere la salsa. Quando questa sarà addensata aggiungete le vongole, e lasciatele bollire per due o tre minuti, affinchè non induriscano troppo. Avrete messo intanto a cuocere la quantità di vermicelli necessaria — per quattro persone circa mezzo chilogrammo. — Teneteli piuttosto duri di cottura, scolateli, conditeli con la salsa preparata, finiteli con un pizzico di pepe e una cucchiaiata o due di prezzemolo trito ben verde.
vermicelli non tollerano elementi estranei di nessun genere: non debbono esser fatti che con olio, un po' d'aglio, vongole e pomodoro; e soprattutto niente
La pasta con le sarde è uno dei famosi piatti della cucina siciliana, ed è una preparazione caratteristica che non trova riscontri in nessun'altra cucina regionale. I siciliani sono orgogliosi di questa loro specialità, e non hanno torto, poichè un tegame di pasta con le sarde ben fatta è veramente una cosa squisita. Chi non è addentro nei segreti di questa pietanza, leggendone la ricetta può trovare che l'insieme di elementi così disparati possa condurre ad una dissonanza culinaria; ma è proprio il caso di ripetere che, come nei più acclamati poemi sinfonici moderni, queste apparenti dissonanze vengono a creare un insieme armonico di prim'ordine. La pasta con le sarde è una specie di mosaico in cui ogni pezzetto ha la sua ragion d'essere nel risultato finale. Errerebbe dunque chi volesse portarvi delle modificazioni personali per quel gusto di variare, semplificare, che molte persone hanno, senza aver prima esperimentato la ricetta vera. La pasta con le sarde, essendo diffusissima, ha nella stessa Sicilia parecchie ricette, le quali variano però soltanto in qualche accessorio; ed è logico che la ricetta preparata dai grandi cuochi siciliani, che, fin dall'antichità furono i più grandi cuochi del mondo, potrà essere un pochino più dispendiosa di quella eseguita nelle modeste case e nelle taverne, ma, ripetiamo, è questione di nuances.
una cosa squisita. Chi non è addentro nei segreti di questa pietanza, leggendone la ricetta può trovare che l'insieme di elementi così disparati
Uno degli elementi indispensabili per la pasta con le sarde è la finocchiella selvatica, che si raccoglie sui prati, e che talvolta si trova anche da qualche erbivendolo. In mancanza di finocchiella selvatica si può supplire con la finocchiella d'orto; ma la preparazione perde un poco del suo carattere venendo ad assumere un sapore più dolciastro. Per sei persone fissiamo queste proporzioni: dagli 800 ai 900 grammi di maccheroncini, mezzo chilogrammo di sarde fresche, un paio di cipolle grandette, un ettogrammo di pinoli, un ettogrammo di passerina, cinque o sei alici salate, un bel mazzo di finocchiella, o una diecina di piccoli finocchi d'orto, e un bicchiere d olio. Si monda bene la finocchiella lasciando solamente la parte più tenera e si lessa in acqua. Se invece della finocchiella selvatica si adopera la finocchiella d'orto si netta bene e si lessa avvertendo di non gettar via i ciuffi verdi, che sono appunto quelli che debbono sostituire la finocchiella selvatica. L'acqua nella quale la finocchiella è stata cotta non va gettata via. Mettete un bicchiere d'olio in una casseruola, tritate bene le cipolle e fatele soffriggere fino a che abbiano preso un bel colore senza tuttavia lasciarle bruciacchiare. Scolate la finocchiella, tritatela e gettatela nella casseruola nella quale aggiugerete anche la metà delle sarde fresche che avrete accuratamente nettato e spinato. Mescolate energicamente con un cucchiaio di legno schiacciando con forza le sarde, in modo da ridurle in poltiglia, e dopo le sarde aggiungete anche le acciughe salate che avrete lavato, spinato e liquefatto in un tegamino con qualche goccia d'olio. Finite questa salsa — tenendo sempre la casseruola sul fuoco — con un pizzico di zafferano, sale, pepe, i pinoli e la passerina. Se vi fosse riuscita troppo densa diluitela con un pochino dell'acqua in cui hanno cotto i finocchi. Ultimata la salsa coprite la casseruola e lasciatela in caldo sull'angolo del fornello. Prendete allora l'altra metà rimasta delle sarde fresche, apritele accuratamente per togliere la spina senza staccare però le due parti del pesce. Risciacquatele, asciugatele in uno strofinaccio e scottatele in una teglia con un pochino d'olio e sale, da ambo le parti. Compiuti tutti i preparativi mettete sul fuoco una grossa pentola con acqua, alla quale aggiungerete l'acqua in cui è stata cotta la finocchiella. Quando quest'acqua bollirà mettete giù i maccheroni ed appena cotti scolateli bene e conditeli in una insalatiera con la metà della salsa preparata. Prendete poi un tegame o una teglia, ma il tegame è preferibile, e disponete nel fondo di esso uno strato di maccheroni sul quale metterete uno strato di sarde cotte e un po' di salsa, e così di seguito fino a ricoprire i maccheroni con la salsa che vi sarà rimasta. Coprite il tegame, mettetelo su un po' di brace, mettete un po' di brace anche sul coperchio e lasciate stufare la pasta per una ventina di minuti. Questi maccheroni si possono mangiare tanto caldi che freddi e sono sempre squisiti. Questa è una delle migliori ricette e siciliana puro sangue.
Uno degli elementi indispensabili per la pasta con le sarde è la finocchiella selvatica, che si raccoglie sui prati, e che talvolta si trova anche da
I gnocchi di semolino si servono generalmente come primo piatto in una colazione, e costituiscono una vivanda nutriente, sana e piuttosto elegante. La loro esecuzione non presenta nessuna difficoltà. Mettete sul fuoco in una casseruola un litro di latte, e quando bollirà versateci adagio adagio, a pioggia, dieci cucchiaiate (250 grammi) di semolino, girando continuamente con un mestolo di legno affinchè non si formino grumi. Ben presto latte e semolino si addenseranno assai. Lavorate con energia il composto, staccandolo continuamente dal fondo e dalle pareti della casseruola e fatelo cuocere per una diecina di minuti. Levate dal fuoco la casseruola e condite il semolino con un buon pizzico di sale, due rossi d'uovo, un pugno di parmigiano grattato, e un po' meno di mezzo panino di burro da un ettogrammo. Mescolate ancora perchè tutti questi elementi possano ben amalgamarsi, e versate poi il semolino sulla tavola di marmo della cucina, leggermente bagnata d'acqua, o in un piatto grande, ugualmente bagnato d'acqua. Bagnate nell'acqua anche una grossa lama di coltello e con questa spianate il semolino all'altezza di un centimetro. Lasciate così per un paio d'ore, e quando il semolino sarà freddo e rappreso tagliatelo a quadratini o a mostaccioletti di circa quattro centimetri di lato. Prendete una teglia bassa o un piatto di porcellana resistente al fuoco, spalmatelo con un pezzo di burro grosso come una noce e disponetevi con garbo i pezzi di semolino. Quando ne avrete fatto uno strato seminatevi su un po' di parmigiano grattato e fatene un altro strato, e così via per due o tre volte, procurando di mettere il secondo strato un po' più indietro del primo e il terzo un po' più indietro del secondo, cosicché gli strati risultino a scalini e formino una specie di piccola cupola. Quando avrete accomodato tutti i gnocchi spolverizzateli abbondantemente di parmigiano grattato e innaffiateli col burro che vi è rimasto dal panino di un ettogrammo, e che avrete fatto appena fondere in un tegamino. Mettete la teglia o il piatto in forno piuttosto caldo per un quarto d'ora e quando i gnocchi avranno acquistato un leggero color d'oro, fateli servire nello stesso recipiente in cui vennero infornati. Le dosi date sono per sei persone.
grattato, e un po' meno di mezzo panino di burro da un ettogrammo. Mescolate ancora perchè tutti questi elementi possano ben amalgamarsi, e versate
Il vero risotto alla milanese è semplicissimo e molto buono, ma pochi, fuori di Milano, lo sanno fare, poichè quasi tutti vi gabellano per risotto alla milanese le più strane fantasie e i più strani miscugli, che non hanno proprio niente a vedere col tradizionale risotto di Milano. Tagliate in fette sottili una mezzo cipolla, racchiudetela in un angolo di un tovagliolo bagnato e strizzatela per toglierle il sapore troppo forte. Mettetela poi in una casseruola con una cucchiaiata di burro e un pezzo di midollo di bue, grosso come un uovo, ben tritato sul tagliere. Fate cuocere adagio la cipolla senza che prenda colore, e poi mettete giù mezzo chilogrammo di riso accuratamente mondato. Mescolate con un cucchiaio di legno affinchè il riso non s'attacchi, e poi bagnatelo man mano con brodo bollente, senza pomodoro, o con acqua se non avete brodo disponibile. Condite con sale e un pizzico di pepe e conducete la cottura piuttosto con vivacità, rinfondendo sempre acqua bollente man mano che il riso si gonfia. A metà cottura, versate nella casseruola il contenuto di una di quelle scatoline di zafferano, che si trovano in vendita da tutti i pizzicagnoli e salsamentari, o meglio una leggera pizzicata di fili di zafferano. Se adoperate lo zafferano in fili, regolatevi, perchè ha un aroma intenso, e una piccolissima quantità è più che sufficiente per aromatizzare il risotto. Lasciate che il riso finisca di cuocere e poi conditelo con dell'altro burro — circa mezzo panino — e mezzo ettogrammo di parmigiano grattato. Tra il burro da adoperarsi per il principio della cottura e quello che si adopera per condire in fine, non si deve impiegarne più di un panino. Versate il riso in un piatto e mangiatelo subito affinchè non si scuocia. Alcuni cuochi milanesi vi diranno che per fare il vero risotto ci vuole la cervellata, che è una specie di salsiccia giallastra racchiusa in budella tenui di vitello. Ma prima di tutto la cervellata non si trova sempre, e poi essa non è altro che un composto di grasso di bue e grasso di maiale aromatizzato con zafferano, spezie e parmigiano, composto dove il cervello non entra menomamente. Quindi poichè tutti gli elementi della cervellata entrano lo stesso nel risotto, è inutile questo duplicato, tanto più che quella specie di pomata racchiusa negl'intestini del vitello può non presentare efficaci condizioni di freschezza e d'igiene.
dove il cervello non entra menomamente. Quindi poichè tutti gli elementi della cervellata entrano lo stesso nel risotto, è inutile questo duplicato
Per sei persone prendete 600 grammi di carne magra di bue. Noi consigliamo senz'altro il filetto perchè meglio rispondente allo scopo. Tritate la carne e poi pestatela nel mortaio. Quando la carne sarà ben pestata aggiungete 200 grammi di mollica di pane bagnata nell'acqua e spremuta, 60 grammi di burro, sale e un pizzico di pepe. Pestate ancora piuttosto a lungo fino a che i vari elementi siano amalgamati in modo perfetto e ne risulti una pasta finissima. Per completare la preparazione passate questa pasta dal setaccio. Fate un rotolo del passato di carne e dividetelo in dodici pezzi i quali avranno su per giù la grossezza di un uovo. Con le mani leggermente bagnate d'acqua impastate delicatamente i dodici pezzi e allineateli davanti a voi. Prendete ora una salvietta, bagnatela nell'acqua e strizzatela. Poi stendetela sul tavolo. Mettete un pezzo di carne sulla salvietta ricopritela con un'altra parte della salvietta stessa e con le mani pigiate in modo da spianare il pezzo di carne, che dovrà risultare dello spessore di circa mezzo centimetro e del diametro di una diecina di centimetri. Avrete già preparato un piccolo risotto fatto con una sessantina di grammi di riso, risotto che potrà essere o al burro e parmigiano, o al sugo di carne. In caso di una colazione elegante potrete aggiungere al risotto qualche dadino di tartufo. Questo riso dopo ultimato e condito dovrà essere lasciato freddare in un piatto prima di essere usato. Nel mezzo della rotellina di carne mettete dunque una palletta di riso, grossa come una noce, quindi aiutandovi con la salvietta arrotolate su sè stessa la carne racchiudendovi dentro il riso. Ottenuto una specie di salamino sollevatelo dalla salvietta, prendetelo nella mano sinistra e operando delicatamente ripiegate con la mano destra le due estremità del rotoletto in modo da chiudere perfettamente il riso anche dai lati e dare all'involtino la forma di una supplì. Fatto il primo involtino mettetelo da parte e continuate a fare gli altri, sino ad esaurimento. Prendete una teglia a bordi piuttosto alti, metteteci circa un ettogrammo di burro e fatelo liquefare. Togliete la teglia dal fuoco, allineateci in un solo strato gli involtini di carne preparati; prendete un foglio di carta bianca resistente, e imburratela abbondantemente da una sola parte. Coprite con questo foglio di carta la teglia, avvertendo che la parte imburrata risulti a contatto degli involtini di carne e mettete finalmente la teglia così coperta in forno di moderato calore lasciandovela per una ventina di minuti. Trascorso questo tempo togliete la teglia dal forno e troverete che gli involtini sono rassodati e cotti. Prendete ora un piatto grande rotondo. Metteteci in mezzo, a piramide, una guarnizione di legumi o erbaggi a vostra scelta: come pisellini al prosciutto, spinaci al burro, cavoletti di Bruxelles ecc. Intorno alla guarnizione disponete le supplì di carne e su ogni supplì sgocciolate un po' di burro della cottura.
burro, sale e un pizzico di pepe. Pestate ancora piuttosto a lungo fino a che i vari elementi siano amalgamati in modo perfetto e ne risulti una pasta
Il pollo alla Marengo appartiene alla cucina classica ed ha tutta una storia curiosissima, facendosi risalire la sua origine alla battaglia che Napoleone vinse a Marengo. Ed ecco come, secondo la leggenda, andarono le cose. Dopo la disfatta dell'esercito austriaco, Napoleone, adunati intorno a sè i generali vittoriosi, li invitò alla sua tavola, dando l'ordine di servire immediatamente. Per disgrazia i furgoni delle provviste erano andati a finire chi sa dove e Dunan, il cuoco di Napoleone, aveva a sua disposizione un bel nulla. Il povero uomo, non sapendo a che santo votarsi, inviò due uomini con l'ordine di portare tutto quello che avessero potuto trovare. Gli uomini partirono ed ebbero l'insperata fortuna di trovare nel recinto smantellato di una fattoria tre pollastrini, male in carne, i quali niente affatto preoccupati della lotta che si era svolta sul piano, andavano tranquillamente beccando vermi e sassolini. Per Dunan fu la salvezza. I tre polli catturati vennero immediatamente uccisi, spennati, tagliati in pezzi, e gettati in padella con un avanzo d'olio. Qualche goccia di cognac tolto da una borraccia serve per bagnarli, pochi pomodori raccolti a gran fatica e dell'aglio offrono il condimento. Ed ecco che pochi minuti appresso, Dunan, poteva far servire al suo impaziente padrone, il «pollo alla Marengo» che fu trovato squisito da Bonaparte e dai suoi convitati. Questa la leggenda. Adesso la ricetta, la quale, pur conservando gli antichi elementi caratteristici, è stata man mano riveduta e corretta. Fate in pezzi un pollo giovine e tenero. La regola vuole che si divida così: coscie ed avancoscie, ali, i due filetti, la parte superiore del petto, e la groppa divisa in due o tre pezzi, secondo la grandezza del pollo. Lavate questi pezzi, asciugateli in una salvietta, e metteteli in padella contenente dell'olio caldissimo. Qualunque altro grasso è escluso, essendo l'olio la caratteristica del pollo alla Marengo. Fate rosolare a fuoco forte, e appena i pezzi del petto saranno biondi, toglieteli, continuando a cuocere il resto dei pezzi. Quando il pollo sarà quasi cotto, scolate l'olio e aggiungete qualche pomodoro spellato, fatto a pezzi e privato dei semi, un bicchiere di vino bianco e due spicchi d'aglio schiacciati. Fate ridurre la salsa, aggiungendo, se ne avete disponibile, un po' di sugo di carne. In caso contrario fatene a meno. Rimettete nella padella i pezzi del petto, fate cuocere ancora un paio di minuti, e poi aggiustate il pollo in un piatto contornandolo con crostini di pane fritti e in forma di cuore, con qualche gambero cotto nel vino bianco e con delle uova fritte. Seminate sul pollo del prezzemolo trito e fatelo servire. È in facoltà di chi cucina arricchire il pollo alla Marengo con dei piccoli funghi e con delle fettine di tartufo, che si aggiungono al pollo a metà cottura.
squisito da Bonaparte e dai suoi convitati. Questa la leggenda. Adesso la ricetta, la quale, pur conservando gli antichi elementi caratteristici, è
Nella galantina, come in tutte le vivande molto lavorate, entra un coefficiente non trascurabile: quello che potrebbe definirsi la questione della fede. Infatti, in gran parte delle galantine che si vendono sotto il titolo pomposo di galantine di pollo, il pollo — povera bestia calunniata — entra soltanto nominalmente. Eseguendo la galantina in casa, non solamente sarete sicuri di quello che mangerete, ma spenderete la metà di quello che dovreste spendere dal salsamentario o al restaurant, col vantaggio di avere un prodotto sceltissimo e di gusto infinitamente superiore. Praticamente la galantina consta di tre elementi principali: il mosaico, ossia quell'insieme di dadi di petto di pollo, tartufi, prosciutto, lingua, ecc., che danno alla galantina il suo caratteristico aspetto; il pesto o, come si dice in linguaggio di cucina, la farcia, che serve a cementare i vari pezzi del mosaico, e finalmente la pelle del pollo, che racchiude tutta la preparazione. Prendete un pollo o una gallina non troppo vecchia, badando che non abbia lacerazioni sulla pelle, fiammeggiatela per liberarla dalla peluria e poi collocatela sul tagliere col petto in giù. Tagliate il collo a due dita dalla attaccatura e spuntate le ali e le zampe. Poi con un coltellino a punta fate una lunga incisione sul mezzo del dorso, dal collo fino alla estremità opposta. Sollevate la pelle e aiutandovi con le dita e col coltellino, staccatela pian piano dalla cassa, prima da un lato e poi dall'altro. Arrivate che sarete alle ali rovesciate la pelle e cercate di farla uscire nè più nè meno si trattasse di un corpetto a maglia, e ugualmente fate per le cosce. Per far ciò facilmente, aiutatevi col coltellino, staccando man mano i piccoli nervi che trattengono la pelle. Continuate il vostro lavoro fino a che avrete tolto per intero la pelle. Prendete allora una terrinetta, arrotolate la pelle e mettetela dentro, bagnandola con un bicchierino di marsala e in questa terrinetta col marsala metterete anche i seguenti ingredienti che comporranno il mosaico interno della galantina: 1° Tutto il petto del pollo, staccato dalla cassa e tagliato in dadi. 2° Un ettogrammo di prosciutto — solo magro — tagliato in una sola fetta spessa e ritagliato in dadi. 3° Un ettogrammo di lingua allo scarlatto, anche tagliata in dadi; 4° Un pizzico di pistacchi, che terrete in bagno in un po' d'acqua tiepida, sbuccerete e lascerete interi. 5° Due o tre tartufi neri di buona qualità. Se adopererete tartufi in scatola basterà tagliarli in pezzi secondo la loro grossezza. Se invece adopererete tartufi freschi, dovrete prima spazzolarli accuratamente con un spazzolino e dell'acqua tiepida per poterli liberare bene dalla terra e poi toglier via anche qualche po' di corteccia dove la terra non si fosse potuta snidare perfettamente. 6° Un ettogrammo di lardo imbianchito. Per imbianchire il lardo farete così. Ne prenderete una fetta spessa del peso di un ettogrammo e la metterete sull'angolo del fornello in acqua bollente per una ventina di minuti. Trascorso questo tempo, l'estrarrete, la passerete in acqua fresca, l'asciugherete e la taglierete in dadi come il prosciutto e la lingua. Il lardo così preparato perde il suo sapore grasso e fa inoltre migliore effetto nel mosaico. Preparata tutta questa roba, conditela con pochissimo sale, un pizzico di pepe e un nonnulla di noce moscata e poi mescolate ogni cosa affinchè tutti gli ingredienti possano essere bagnati dal marsala. Coprite la terrinetta e lasciatela da parte. Ottenuto così il mosaico, passiamo alla confezione della farcia, ossia, come abbiamo già detto, al pesto che deve riunire i vari pezzi del mosaico. Prendete 400 grammi di vitello magro e tritatelo minutamente sul tagliere insieme con 400 grammi di lardo di buona qualità, e sopratutto non rancido. A questo pesto unirete tutta la carne rimasta attaccata al pollo e che staccherete accuratamente, privandola dei nervi e dei tendini, che abbondano specialmente nelle cosce. Pestate il più fino possibile e impastate col coltello in modo che carne e lardo non formino che un tutto unico, perfettamente amalgamato. Per maggiore economia od opportunità, potrete mettere nel trito metà carne di vitello e metà carne magra di maiale. Ma in questo caso, essendo la carne di maiale un poco più grassa, converrà fare quattro parti di carne mista e tre parti di lardo: ossia, nel nostro caso, duecento grammi di vitello, duecento di maiale e trecento di lardo. La farcia ben tritata sul tagliere può essere sufficientemente adatta per la galantina. Chi però volesse eseguire la preparazione a perfetta regola d'arte, dovrebbe dopo il tritamento sul tagliere, prendere un po' di farcia alla volta, pestarla in un mortaio di pietra, e dopo averla tutta pestata, passarla dal setaccio. È un supplemento di lavoro non assolutamente necessario in una cucina di famiglia, ma che permette di ottenere una lavorazione finissima e perfetta. Ultimata anche la farcia, estraete dalla terrinetta la pelle del pollo e tenetela da parte. Mettete allora nella terrinetta la farcia e impastando con le mani fate che i dadi di petto di pollo, lingua, prosciutto, ecc., vadano a distribuirsi nella carne trita. Non vi preoccupate del marsala rimasto nella terrinetta, perchè verrà assorbito nell'impasto. Svolgete sul tavolo la pelle del pollo, allargatela e su essa ponete l'impasto, al quale cercherete di dare una forma leggermente allungata come un polpettone. Tirate su i lembi della pelle, racchiudete l'impasto, e poi con un ago e del filo cucite intorno intorno la pelle sempre cercando di dare alla galantina una forma corretta. Se qualche pezzetto di pelle si fosse lacerata riprendetela con un punto. Per ultimo date coll'ago cinque o sei punzecchiature alla pelle, qua e là. Prendete adesso un tovagliolo e avvolgete in esso la galantina. Attorcigliate le due estremità del tovagliolo, come se doveste incartare una grossa caramella, e nei due punti di torsione fate due legature con lo spago, una di qua e una di là. Finalmente, fate un altro paio di legature nel mezzo della galantina. La parte più difficile del lavoro è fatta.
galantina consta di tre elementi principali: il mosaico, ossia quell'insieme di dadi di petto di pollo, tartufi, prosciutto, lingua, ecc., che danno alla
Per sei persone prendete due ettogrammi di tonno sott'olio, di qualità buona, quattro alici salate, lavate e spinate, un ettogrammo e mezzo di burro, un limone e un pizzico di pepe. Mettete tutta questa roba, eccetto il limone e il pepe, in un mortaio e pestatela, così da ridurla in una pasta fine e omogenea: ciò che avverrà facilmente e senza fatica, data la qualità degli elementi da pestare. Per eccesso di scrupolosità, dopo pestato nel mortaio, si potrebbe passare il composto dal setaccio, ma questa operazione non è necessaria. Quando avrete ben pestato tutto spremeteci su il sugo di mezzo limone e condite col pepe. Di sale è inutile parlarne essendo il tonno e le alici sufficientemente salati. Prendete una piccola stampa liscia e rotonda, del diametro di una dozzina di centimetri, o, in mancanza di questa, una piccola casseruola di uguale misura. Foderatela sul fondo e in giro con della carta unta d'olio, e versateci il composto di tonno, pigiandolo bene con un cucchiaio affinchè non rimangano vuoti. Pareggiate la superficie con una lama di coltello e mettete la stampa sul ghiaccio per una oretta, trascorsa la quale la vostra schiuma di tonno, rovesciata in un piatto e liberata dalla carta oleata, sarà pronta per essere servita.
e omogenea: ciò che avverrà facilmente e senza fatica, data la qualità degli elementi da pestare. Per eccesso di scrupolosità, dopo pestato nel
Conducete la cottura a fuoco moderato e con la casseruola coperta. Quando il pollo sarà cotto estraetelo, staccate tutto il petto che metterete da parte e poi con un coltellino tagliente staccate tutta la polpa della cassa e delle coscie, che pesterete nel mortaio e passerete dal setaccio in modo da ottenere una purè. Mettete adesso in una casseruolina una noce di burro, e quando il burro sarà liquefatto aggiungete una cucchiaiata scarsa di farina. Mescolate e poi bagnate con mezzo ramaiolo di brodo o di latte. Fate addensare un pochino questa salsa e poi uniteci il sugo rimasto dalla cottura del pollo, al quale sugo avrete, con un cucchiaio, portato via tutta la parte grassa rimasta alla superficie. Passate anche questa salsa dal setaccio, rimettetela nella casseruolina e fatela bollire, mescolando, fino a che sarà diventata ben ristretta e vellutata. A questo punto tirate indietro la casseruolina e versate nella salsa un torlo d'uovo sciolto con una cucchiaiata di latte. In questa salsa stemperate la purè di pollo e mettete da parte. Intanto preparerete una salsa maionese fatta con un uovo e preparate anche circa mezzo litro della nostra gelatina sbrigativa. Da ultimo preparate un po' di legumi e ortaggi di stagione come patate, carote gialle, fagiolini, zucchine, punte d'asparagi, ecc. ecc., il tutto lessato e tagliato a dadini come per l'insalata russa e condito con un pochino d'olio, sale, pepe e sugo di limone. Preparati tutti gli elementi necessari passiamo alla confezione del pane di pollo. Prendete una stampa liscia senza buco in mezzo, mettetela sul piatto e poi colateci due o tre cucchiaiate di gelatina, fredda ma non ancora rappresa. Girate la stampa sul ghiaccio in tutti i versi e vedrete che pian piano la gelatina velerà la parete interna della stampa. Quando la gelatina si sarà solidificata, se ci fosse qualche punto non coperto aggiungete dell'altra gelatina, in modo da ottenere una velatura completa e abbondante di tutto l'interno della stampa. Condite i legumi preparati con la salsa maionese nella quale avrete aggiunto due o tre cucchiaiate di gelatina fredda ma non rappresa. E un altro paio di cucchiaiate di gelatina metterete anche nella salsa con la purè di pollo. Disponete adesso un primo strato di legumi in maionese in fondo della stampa velata di gelatina e su questo strato mettete dei pezzi di petto di pollo che avrete ritagliato in fettine regolari. Sui pezzi di pollo stendete un po' di purè di pollo legata con la sua salsa gelatinata e continuate così fino ad aver riempito tutta la stampa, la quale, naturalmente, deve essere di capacità proporzionata al volume del pane da eseguirsi. Se avete dell'altra gelatina avanzata mettetela a freddare a parte. Preparate del ghiaccio pesto e in esso incastrate la stampa contenente il pane di pollo, che lascerete a congelare per qualche ora. Al momento di servire estraete la stampa dal ghiaccio, passateci intorno rapidamente un panno bagnato in acqua bollente e poi, senza troppo aspettare, capovolgete la stampa sul piatto di servizio — meglio se sarà un piatto rotondo in metallo argentato o in argento e contornate il pane di pollo con qualche crostone di gelatina e dei piccoli gruppi alternati di carciofini e funghi all'olio.
dadini come per l'insalata russa e condito con un pochino d'olio, sale, pepe e sugo di limone. Preparati tutti gli elementi necessari passiamo alla
In linea sommaria la maionese è composta di due elementi principali: una insalata cotta di legumi ben condita e legata con qualche cucchiaiata di salsa maionese, e del pesce o del pollo. Preparate dunque prima di ogni altra cosa la cosidetta «insalata russa» e che può anche essere servita da sola, senza il pesce. Questa potrà essere fatta, a seconda dei casi e della stagione, più o meno ricca. Vi potrete mettere, ad esempio, cavolfiori, broccoli, fagiolini, carote gialle, patate, piselli, carciofi, zucchine: insomma tutto quanto potrete avere; ma generalmente tre o quattro qualità di legumi sono sufficienti. In inverno cavolfiori, patate, carote gialle; in estate patate, carote gialle, un po' di fagiolini e qualche zucchina. Ogni varietà di questi legumi va lessata a parte. I broccoli e i cavolfiori si fanno a pezzi piccoli e si lessano, le patate, dopo lessate, si sbucciano, si lasciano freddare un poco e poi si tagliano a dadini; le carote gialle si lessano, si nettano, si spaccano, si liberano della parte dura che è in mezzo e si fanno anche a dadini; i carciofi si spaccano in due, si lessano e si ritagliano in spicchi; i fagiolini si lessano e si tagliano in due pezzi; le zucchine, dopo lessate, ma non troppo, si fanno a dadini, ecc.
In linea sommaria la maionese è composta di due elementi principali: una insalata cotta di legumi ben condita e legata con qualche cucchiaiata di
Nettate bene degli spinaci, non stancandovi di passarli in più acque per portar via ogni più piccola traccia di terriccio. Per la nostra pietanza, sufficiente a quattro persone, dovrete calcolare due pugni al spinaci lessati e spremuti, cioè due palle della grandezza approssimativa di un arancio. Cotti dunque gli spinaci e ben spremuti, tritateli sul tagliere. Mettete in una terrinetta trecento grammi di ricotta e lavoratela con un cucchiaio di legno per scioglierla bene. Unite alla ricotta gli spinaci, un pizzico di sale, due cucchiaiate di parmigiano grattato e due torli d'uovo. Mescolate bene tutto ciò in modo che i vari elementi rimangano perfettamente amalgamati. Mettete sul fuoco una teglia o un tegame piuttosto largo e con abbondante acqua. Quando l'acqua bollirà tirate la teglia o il tegame sull'angolo del fornello in modo che l'ebollizione sia appena sensibile. Prendete una alla volta delle mezze cucchiaiate del composto preparato e appoggiatele sulla tavola infarinata. Rotolate queste polpettine nella farina cercando, con tutta delicatezza, di dar loro con le mani una forma regolare simile a quella di un uovo di piccione. Man mano che saranno pronte, immergetele nell'acqua bollente. Vedrete che ben presto queste polpettine verranno a galla. Lasciatele stare così per tre o quattro minuti, poi tiratele su con una cucchiaia bucata, lasciatele sgocciolare bene e accomodatele in un piatto. Quando saranno tutte pronte, mettete a friggere in un tegamino un po' di burro — la terza parte di un panino da un ettogrammo — e quando sarà diventato biondo sgocciolatelo sulle polpettine. Cospargetele ancora con poco parmigiano grattato e fatele servire ben calde.
bene tutto ciò in modo che i vari elementi rimangano perfettamente amalgamati. Mettete sul fuoco una teglia o un tegame piuttosto largo e con
Il Plum-cake (gateau di uva) è un famoso dolce inglese, diffusosi da per tutto, e ricercato in special modo nei five o' clock eleganti. Infatti non c'è forse un genere di pasticceria che sia più gradito, offerto insieme ad una buona tazza di tè. La sua preparazione è facilissima. Il Plum-cake consta dei seguenti elementi, adoperati generalmente in parti uguali: burro, zucchero, farina, uvette secche, canditi, ed un certo numero di uova. Di questo dolce esistono una infinità di formule, le quali non differiscono che in particolari insignificanti. Ma qualunque sia la formula adottata, il procedimento resta sempre il medesimo. Siccome il Plum-cake è un dolce piuttosto compatto, alcuni autori consigliano l'aggiunta di chiare in neve, altri di un pizzico di carbonato d'ammoniaca, che è un sale largamente usato in pasticceria per dare leggerezza ad alcuni generi di paste, altri, infine, vorrebbero si unisse al composto un pochino di lievito di birra sciolto in un dito d'acqua. Ripetiamo: sono piccole differenze insignificanti, che non mutano sostanzialmente il risultato finale. Offriremo dunque alle nostre lettrici non una, ma più formule, dovute ai migliori artisti del genere; e le nostre lettrici potranno sceglierne una, o provarle tutte, una alla volta. Una ottima formula è la seguente:
consta dei seguenti elementi, adoperati generalmente in parti uguali: burro, zucchero, farina, uvette secche, canditi, ed un certo numero di uova. Di
Le basi di questi notissimi petits-fours sono assai semplici, poichè gli elementi principali che li costituiscono sono rappresentati da chiara d'uovo e zucchero, in ragione di 50 gr. di chiara d'uovo per ogni ettogrammo di zucchero. Praticamente potrete calcolare due chiare d'uovo per ogni ettogrammo di zucchero, però se vorrete eseguire parecchi richelieux sarà opportuno pesare le chiare, ciò che, sempre riferendosi a grandi quantità, dà un risultato più certo. Mettete dunque in un polsonetto o in un piccolo caldaio due chiare d'uovo con 100 grammi di zucchero in polvere, e con una frusta in fil di ferro incominciate a montare. Quando chiare e zucchero saranno sufficientemente montati, mettete il polsonetto o il piccolo caldaio in un recipiente più grande posto sul fuoco e contenente acqua bollente. Continuate a montare così a bagno-maria, fino à che il composto sia tanto caldo da poterci tenere agevolmente un dito. Badate di non eccedere nel calore altrimenti sciupereste tutto. Togliete allora dal bagno-maria il polsonetto e continuate a montare fuori del fuoco, fino ad ottenere una meringa soffice, rigonfia e ben sostenuta. Questa meringa potrete lasciarla così com'è o profumarla e colorirla a piacere. Naturalmente il colore e il profumo debbono avere una certa relazione. Trattandosi però di pasticceria da farsi in casa, dove per lo più mancano sia le essenze, sia i colori speciali da pasticceria, potrete attenervi a metodi semplicissimi. Potrete, ad esempio, mettere nella meringa qualche goccia di cognac e avere dei richeleux bianchi, o qualche goccia di caffè forte, e avere dei richelieux color avana, o finalmente profumarli con un po' di liquore dolce come rosolio di vainiglia, curaçao, alckermes, ecc. In questo ultimo caso sarebbe opportuno rafforzare il colore dei richelieux con una o due gocce di carminio che si vende in flaconi per usi di pasticceria e liquoreria. Questo carminio è dotato di forte potere colorante, e bisogna metterne soltanto una piccolissima quantità. È assolutamente innocuo. Fatta la meringa, profumata e colorita, si prende una tasca di tela con una bocchetta di latta spizzata e vi si introduce la meringa. Si unge leggerissimamente di burro — appena un sottile velo — una teglia grande o una placca da forno, e premendo sulla sommità della tasca di tela, si fanno uscire tanti bastoncini rigati della lunghezza di 6 centimetri circa, avvertendo di non metterli troppo vicini uno all'altro. S'infornano a fuoco leggerissimo per una ventina di minuti, affinchè abbiano modo di gonfiarsi e di rassodarsi Poi si lasciano freddare e con delicatezza si staccano dalla teglia, accomodandoli in un vassoio. Se la meringa è stata bene montata i richelieux dovranno risultare ben gonfi, croccanti all'esterno, quasi vuoti e liquorosi nell'interno. Un'ultima raccomandazione: l'essenza, cioè quella parte di caffè o di liquore che adopererete per profumare il composto, deve essere messa con molta parsimonia, e pian piano; abbondando, verreste a diluire troppo la meringa che, naturalmente, perderebbe la sua consistenza.
Le basi di questi notissimi petits-fours sono assai semplici, poichè gli elementi principali che li costituiscono sono rappresentati da chiara d'uovo
Questo eccellente liquore è del tipo di quello che è in commercio e che va sotto il nome di Vov. È buonissimo, nutriente e formerà la delizia vostra e delle vostre amiche. Come avviene anche per quello del commercio, questo liquore ha bisogno di essere agitato prima di essere servito, avendo i vari elementi tendenza a dissociarsi. Sarà quindi opportuno tenerlo in anforette di terraglia di quelle generalmente usate per il curacao, e di servirlo anche in bicchierini di porcellana colorata, proprio come fa la casa produttrice del Vov. Un'altra raccomandazione. Il liquore si conserva bene; però se volete gustarlo in tutto il suo profumo non prolungate enormemente la conservazione. Preparate magari una minore quantità per volta, ma usate la preparazione fresca. Ed ora veniamo alla ricetta facilissima con la quale otterrete un litro di liquore. Rompete quattro tuorli d'uovo in una terrinetta e sbatteteli con due ettogrammi di zucchero in polvere. Fate intanto bollire due bicchieri di latte con due ettogrammi di zucchero. Appena il latte bollirà versatelo pian piano, così bollente, sulle uova sbattute, mescolando energicamente con un cucchiaio o meglio con una piccola frusta di ferro. Sciolta bene tutta la massa, lasciatela raffreddare. Aggiungete allora mezzo bicchiere di marsala (100 gr.) di prima qualità e un bicchiere scarso di alcool puro (100 gr.) nel quale avrete sciolto mezzo grammo di vainiglina. Il liquore è ultimato, e non resta che metterlo in una bottiglia ben tappata. Come abbiamo detto, è necessario prima di servirlo di agitare un po' la bottiglia.
elementi tendenza a dissociarsi. Sarà quindi opportuno tenerlo in anforette di terraglia di quelle generalmente usate per il curacao, e di servirlo
— Formaggio e frutta. Quello che si deve evitare con ogni cura sono le ripetizioni. Molti, invitandovi a pranzo, vi offrono ad esempio: polli lessati e polli arrostiti, o filetto di bue in casseruola e bistecche. E questo non va. Nella composizione di un «menu», anche il più semplice, si deve ricercare la maggior varietà, evitando di ripetersi non solo nelle qualità delle pietanze, ma nelle salse, nel loro colore, nel modo di presentare i piatti ecc. Se dunque il piatto forte è di carne di bue, fate che quello di mezzo sia di caccia, e l'arrosto di pollame, e viceversa. Evitate così due pietanze preparate allo stesso modo — ad esempio polli spezzati col sugo e budino con finanziera e sugo — come pure due contorni composti degli stessi elementi, siano pure cotti in modo diverso. I soli tartufi fanno eccezione alla regola e possono essere presentati parecchie volte in tavola.
elementi, siano pure cotti in modo diverso. I soli tartufi fanno eccezione alla regola e possono essere presentati parecchie volte in tavola.
La questione dei funghi commestibili e dei funghi velenosi è quella che più deve preoccupare chi è a capo di una famiglia, poichè l'esperienza insegna quanto sia difficile poter giudicare se un fungo è o non è velenoso. Gli avvelenamenti con funghi non sono purtroppo infrequenti e la storia ci dice che anche personaggi illustri trovarono la fine cibandosi di funghi. Nelle grandi città si procede ad una verifica che può dare sufficienti elementi di garanzia; ma il pericolo maggiore è nei piccoli centri e nelle campagne dove i funghi vengono venduti senza controllo, quando non sono addirittura raccolti per uso proprio. In genere vengono cucinate una cinquantina di specie di funghi, tra le quali ve ne sono circa venti velenose, difficilissime a conoscersi dalle commestibili, presentando lo stesso aspetto e gli stessi caratteri. Si dice, ad esempio, della infallibile sicurezza dell'ovolo vero (amanita caesarea) e del cocco od ovolo bianco, ma anche in questa famiglia c'è l'ovolo falso o malefico e il cocco bastardo, ambedue velenosi. Nel gruppo degli agarici sono anche funghi commestibili e velenosi, come, ad esempio, il prataiolo, l'agarico grigiastro, ecc., facilmente confondibili con la rossola velenosa, il fungo peperone, l'agarico dissenterico, ecc. Nè maggiore sicurezza offre il fungo porcino, potendo essere facilmente confuso col porcino malefico. È risaputo che le prove empiriche dell'aglio, della cipolla o quelle del cucchiaio d'argento o della lama di coltello sono assolutamente da escludersi. Meglio attenersi in genere ai seguenti consigli, per i quali sono da schivarsi: Quei funghi che quantunque abbiano, come il prataiolo, il cappello bianco ed emisferico hanno la base del gambo bulbosa. — Quelli che con gambo grande e gibboso o squamoso, sostengono un cappello cosparso di verruche, oppure hanno la pelle coperta di pustole. — Quelli che infranti o screpolati fra le dita emanano un odore narcotico disgustoso. — Quelli che esalano un odore d'aglio, o che hanno sapore bruciante. — Tutti quei funghi che hanno il cappello tinto di rosso, azzurro o verde. — Quelli che spezzati o tagliati con un coltello assumono, al contatto dell'aria colorazioni diverse. — Quelli che tagliati si trovano pieni di succo lattiginoso. — Quelli che hanno la carne cordacea o sugherosa. — Quelli che non sono in nessun modo toccati dagli insetti, e, finalmente, quelli che si ritrovano su tronchi di albero dotati di proprietà deleterie. Ad ogni modo, e per concludere, bisogna usare solo di quei funghi che in ciascun paese l'esperienza secolare ha dimostrato essere veramente commestibili. In caso di sintomi di avvelenamento per funghi ricorrere immediatamente in attesa del medico a un vomitivo (acqua calda saponata) e subito dopo somministrare un energico purgante di olio di ricino. Evitare qualsiasi bevanda acida, o acque purgative in cui entri il sal di cucina.
che anche personaggi illustri trovarono la fine cibandosi di funghi. Nelle grandi città si procede ad una verifica che può dare sufficienti elementi
Preparati in tal modo gli elementi della torta, cominciate a prendere uno dei pezzetti di pasta serbati sulla madia, e col matterello tiratene una sfoglia sottilissima che renderete poi della massima sottigliezza rovesciandola sui pugni e tirandola in tutti i versi. Mettete questa sfoglia in una tegghia già unta con olio e distendetevela bene fino all'orlo, usando molta precauzione per non lacerarla; ungetene la superficie con una penna intinta nell'olio, e continuate a formare nello stesso modo le altre sfoglie sino al numero di 12 o 15, sovrapponendole un'altra nella stessa tegghia badando di ungerle tutte come la prima, ad eccezione dell'ultima; distendetevi le bietole preparate, spargete su questo strato un poco d'olio; stendetevi sopra uniformemente il composto di ricotta e fior di latte, servendovi del dorso del cucchiaio, e preso un etto di burro, dividetelo in 12 parti eguali e distribuitelo simmetricamente su questo nuovo strato, nel quale avrete fatte col cucchiaio altrettante fossettine. Allora rompete entro ognuna di queste fossette un uovo fresco, e sovra essi spargete un poco di parmigiano grattugiato, ed una presina di sale. Proseguite a tirare col matterello le altre sfoglie finchè vi rimangono pezzetti di pasta, e ad una ad una distendetele sulla torta alla stessa maniera delle prime, ungendole egualmente, colla penna intinta nell'olio. Tagliate infine i lembi delle foglie che sopravanzeranno all'orlo della tegghia, formate coi ritagli medesimi l'orliccio alla torta a guisa d'un cordone, intaccandolo tutto intorno e per traverso colla costa di un coltello, ed unta la superficie della torta, fatela cuocere al forno per un'ora circa.
Preparati in tal modo gli elementi della torta, cominciate a prendere uno dei pezzetti di pasta serbati sulla madia, e col matterello tiratene una
Tutte queste sagge disposizioni tendono allo scopo di Fig. 32. Categorie della carne del bue (Divisione francese). La Categoria - la Qualità - Carne netta, peso medio kilogr. 142. 31 per 100 della carne del bove — 1. Dietrocoscia (Tendre de tranche) - 2. Cularda (Culotte) - 3. Dietrocoscia superiore (Gite à la noix) - 4. Taglio o fetta di coscia (Tranche grasse) - 5. Scorza o biffo (Aloyau) - 6. Fra le coste (Entre-côte). lla Categoria - 2a Qualità - Carne netta, peso medio kilogr. 120. 26 per 100 della carne del bove — 7. Spalla (Paleron) - 8. Paranza di costate od arrosto (Côtes) - 9. Locena o collo (Talon de collier) - 10. Fianchetto o stringitoia (Bavette d'Aloyau) - 11. Punta di petto o corazza (Plats de côtes découverts). IIIa Categoria - 3a Qualità - Carne netta, peso medio kilogr. 195. 43 per 100 della carne del bove — 12. Collo o punta di locena (Collier) - 13. Coperta (Plats de côtes couverts) - 14' 14”. Gamboncelli (Gites) - 15. Cima di punta di petto (Gites) - 16. Mascariello (Plats de joues). ottenere che la distribuzione della carne di un dato animale fra varie frazioni di truppa, avvenga equamente, non tanto nella proporzione della giunta, i di cui elementi non hanno mai un valore nutritivo eguale a quello della vera e propria carne muscolare, quanto nella periodica assegnazione alle medesime delle varie parti dell'animale, che diversificano fra loro per sapidità, digestibilità e, più che tutto, per potere nutritivo, come dimostrano le analisi del Siegert riprodotte al 31, g.
distribuzione della carne di un dato animale fra varie frazioni di truppa, avvenga equamente, non tanto nella proporzione della giunta, i di cui elementi non
Il più conosciuto è il metodo del Quetelet, adottato ufficialmente nel Belgio ed altrove per la estimazione del bestiame, e basato sulla legge empirica del rapporto che mantiene il peso del bove con le misure (praticate mediante un nastrino diviso a centimetri) della lunghezza e della circonferenza del suo corpo: la prima presa dalla parte anteriore della spalla, lungo il tronco, fino alle natiche, la seconda presa immediatamente dietro gli arti anteriori, intorno al torace. Con la speciale formola del Quetelet, nella quale appunto si notano quali principali elementi di calcolo le due dimensioni ora ricordate, sono redatte le tavole riportate nella Tabella IV dell'Appendice, nelle quali, al luogo di intersezione delle colonne portanti le misure di lunghezza e di circonferenza dell'animale (espresse in centimetri), vedesi segnato il peso vivo del medesimo espresso in kilogrammi.
anteriori, intorno al torace. Con la speciale formola del Quetelet, nella quale appunto si notano quali principali elementi di calcolo le due
a) L'acqua eli pioggia o meteorica, è quella che più delle altre si avvicina all'acqua distillata, senza che però possa confondersi con essa. Contiene scarsissimi gli elementi residuali per la evaporazione, tanto minerali che organici, ed è molto aereata, vale a dire ricca dei gas costitutivi dell'atmosfera (azoto, ossigeno, acido carbonico), che essa tiene in dissoluzione. In conseguenza però di locali circostanze, e specialmente in principio di pioggia, può acquistare ragguardevoli quantità delle impurità, sì gassose che pulverulente, sì minerali che organiche, che ponno trovarsi sospese nell'atmosfera, e divenire perciò impura e dannosa; dopo i temporali può contenere disciolti dell'acido nitrico e del nitrato d'ammoniaca; quando cada a traverso l'atmosfera di centri popolosi, o su località nelle quali avvengano emanazioni putride, può contenere disciolta anche dell'ammoniaca libera; infine, venendo a contatto dei tetti o del suolo prima di esser raccolta, può farsi impura per detriti organici e per sostanze saline solubili, non esclusi dei sali di metalli tossici, e di piombo in specie.
. Contiene scarsissimi gli elementi residuali per la evaporazione, tanto minerali che organici, ed è molto aereata, vale a dire ricca dei gas costitutivi dell
La fig. 54 rappresenta appunto il modello di filtro Maignen detto a tinozza, trasportabile a dorso di mulo ed utilizzabile nelle ambulanze, per i corpi di truppa accampati, ecc., ecc. L'apparecchio filtrante è racchiuso in due vasche metalliche m e n (rappresentate in spaccato dalla figura) che possono esser legate insieme mediante la corda o, meglio ancora, situate in un paniere di vimini che le salverà dagli urti. Per servirsi del filtro si scioglie il pacco m n; una vasca è situata sotto l'orifizio o di uscita dell'acqua filtrata, l'altra serve a versare l'acqua da filtrare nello spazio s del recipiente r, in ferro bianco stagnato, che contiene la polvere carbo-calcare ed il recipiente cilindrico b a parete metallica bucherellata e rivestita della tela d'amianto a. L'acqua da filtrare, versata nella parte superiore del cavo s del recipiente r, per penetrare nel cavo del cilindro b e riuscirne bell'e filtrata dal foro o, è costretta ad attraversare la polvere carbo-calcare occupante la parte inferiore dello spazio s, e la tela d'amianto a, che riveste esternamente il cilindro b.: i due elementi attivi del filtro. Questo filtro pesa otto chilogrammi e può filtrare, ogni ora, da 25 a 40 litri di acqua che può ritenersi perfettamente pura.
'amianto a, che riveste esternamente il cilindro b.: i due elementi attivi del filtro. Questo filtro pesa otto chilogrammi e può filtrare, ogni ora, da
Se il vostro pesce fu cotto soltanto in acqua con sale, ponete in una casseruola una mezza bottiglia di vino rosso di Bordeaux, una cipolla tagliata a fette, due spicchi d'aglio stiacciati, due cipolline in minuti pezzetti, due chiodi di garofano, una foglia di lauro, un po' di timo, e prezzemolo intiero. Fate cuocere per un quarto d'ora, aggiungetevi un cucchiajo da intingoli di salsa spagnuola, oppure, in mancanza di questa, salsa bruna. Fate divenir limpida questa salsa assimilandone gli elementi accanto il fornello; schiumatela, ristringetela, poi passatela per la stamigna. Aggiungete un pizzico di zucchero e un pezzo di burro di acciuga grosso come il pollice. Badate che questa salsa non riesca anzitutto troppo salata (Questa serve in specialità per il salmone e per tutti i pesci d'acqua dolce).
divenir limpida questa salsa assimilandone gli elementi accanto il fornello; schiumatela, ristringetela, poi passatela per la stamigna. Aggiungete un
Carpioni alla Chambord. Scegliete un grosso e bel carpione di latte. Dopo averlo sventrato, squammato e lavato accuratamente, guarnitelo internamente e per di fuori con un farcito di pesce tritato, e cuopritelo con fette di lardo e di carta spalmata di burro al di fuori. Ponetelo nella padella da pesce con una salsa marinata, grassa o magra che sia, cui aggiungerete due o tre bicchieri di vino bianco vecchio. Fatelo bollire sopra un gran fuoco, poi sovrapponete anche sul coperchio della padella delle brage in maniera che il pesce non abbia che a bollire lentamente per un'ora almeno, avendo cura d'inaffiare tratto tratto il pesce col suo liquido. Poco prima di servirlo in tavola, stillatelo, levatene ogni legame, e approntate sul tondo con un guarnimento di pesci, di alcuni tartufi, di bei gamberi e di croste di pane fritto. Versate tutto all'intorno al carpione una salsa ben ristretta, composta degli stessi elementi del liquido in cui lo ponete a bollire, cui aggiungerete un pezzo di burro ben fresco e due cucchiaiate generoso di spagnuola.
, composta degli stessi elementi del liquido in cui lo ponete a bollire, cui aggiungerete un pezzo di burro ben fresco e due cucchiaiate generoso di
Vi sono varii elementi per legare i composti delle gelatine, come il brodo di piedi di vitello, il corno di cervo, ecc. ecc. ; il migliore e il più caro è la vescica di storione ben preparata ma essa si trova raramente in commercio, e i foglietti trasparenti che si vendono per colla di pesce sono una falsificazione prodotta con ossi d'animali. Questa colla presta non di rado ai dolci un sapore poco omogeneo ; si deve quindi usarne con grande parsimonia e ricorrere possibilmente al ghiaccio che consente sempre di diminuirne la dose. Essa s'impiega in diverse maniere, cioè si fa bollire cogli altri ingredienti delle gelatine o sola nell'acqua e poi si restringe, oppure si scioglie semplicemente in una piccola quantità del liquido (vino, latte ecc.) che fa parte del dolce. Non mancate mai di passare allo staccio la colla e i composti della gelatina sempre prima di mettervi la panna montata e gli albumi a neve.
Vi sono varii elementi per legare i composti delle gelatine, come il brodo di piedi di vitello, il corno di cervo, ecc. ecc. ; il migliore e il più
Salsa alla genovese. — Prendete il liquido risultato dalla cottura d'un buon pesce, e mettetelo in casseruola, Se invece il pesce è stato cotto nel vino con alcuni aromi, allora ponete due cucchiaiate di liquido e un cucchiaio di salsa spagnuola ristretta, quindi passate per la stamigna, aggiungendovi un poco di zucchero, completando però la salsa con burro ed estratto di alice o acciuga. Se il pesce fu cotto invece solamente in acqua e sale, ponete in una casseruola una mezza bottiglia di vino rosso di Bordeaux, due cipolline tagliuzzate, due chiovi di garofano una foglia di lauro, un poco di timo e prezzemolo intiero. Fate cuocere il tutto per cinque minuti, ed aggiungetevi poi un cucchiaio d'intingolo di salsa spagnuola, ovvero salsa bruna. Questa salsa dovete farla divenire limpidissima assimilandone gli elementi accanto al fornello, schiumandola, ristringendola, e passandola per stamigna. Aggiungerete un poco di zucchero e un pezzo di burro d'acciuga: quindi farete attenzione che la salsa non abbia a riescire troppo salata. Questa può servire per tutti i pesci d'acqua dolce ed anche pel salmone.
bruna. Questa salsa dovete farla divenire limpidissima assimilandone gli elementi accanto al fornello, schiumandola, ristringendola, e passandola per