Mettete due libbre di farina sopra la tavola della pasticceria, fateci un buco nel mezzo, poneteci mezza libbra di butirro fresco, dodici uova, e un'oncia di sale fino; mescolate il tutto insieme, e dategli colla palma della mano tre o quattro voltate; indi radunate la pasta, dategli altre tre voltate colla mano; infarinatela sotto, e sopra, e fatela riposare sei in sett'ore, involtata in una tovaglia pulita. Formatene poscia li Echaudeè; cioè tagliate la pasta in pezzi delia grossezza alquanto più piccola di un uovo ordinario, datagli colla mano una forma triangolare, che formi come tre cornetti: abbiate dell'acqua bollente al fuoco, metteteci li echaudeè, fateli bollire un momento, indi passateli all'acqua fresca, asciugateli, e fateli cuocere ad un forno temperato. Alcuni aggiungono alla pasta un poco di lievito, e non li fanno punto bollire, ma li passono all'acqua fresca subito che vengono sulla superficie dell'acqua la quale vanno movendo con una cucchiaja. Quelli col solo sale, o col solo butirro, si fanno nella stessa maniera; cioè ai primi non si mette né butirro, nè uova, ed ai secondi il solo sale, e butirro. Quando li echaudeè saranno sbollentati all'acqua come sopra, li potete conservare due o tre giorni in un luogo fresco senza farli cuocere al forno.
'oncia di sale fino; mescolate il tutto insieme, e dategli colla palma della mano tre o quattro voltate; indi radunate la pasta, dategli altre tre
Mettete due libbre di farina sopra la tavola della pasticceria, fateci un buco nel mezzo, poneteci mezza libbra di butirro fresco, dodici uova, e un'oncia di sale fino; mescolate il tutto insieme, e dategli colla palma della mano tre o quattro voltate; indi radunate la pasta, dategli altre tre voltate colla mano; infarinatela sotto, e sopra, e fatela riposare sei in sett'ore, involtata in una tovaglia pulita. Formatene poscia li Echaudeè; cioè tagliate la pasta in pezzi delia grossezza alquanto più piccola di un uovo ordinario, datagli colla mano una forma triangolare, che formi come tre cornetti: abbiate dell'acqua bollente al fuoco, metteteci li echaudeè, fateli bollire un momento, indi passateli all'acqua fresca, asciugateli, e fateli cuocere ad un forno temperato. Alcuni aggiungono alla pasta un poco di lievito, e non li fanno punto bollire, ma li passono all'acqua fresca subito che vengono sulla superficie dell'acqua la quale vanno movendo con una cucchiaja.
'oncia di sale fino; mescolate il tutto insieme, e dategli colla palma della mano tre o quattro voltate; indi radunate la pasta, dategli altre tre
È un piatto da servire per principio a una colazione, se prendete norma da questa ricetta, che fu servita a cinque persone. Formate cinque fette di midolla di pane quadrate, grosse un dito abbondante, larghe quasi quanto la palma di una mano e fate ad ognuna una buca in mezzo, ma che non isfondi; soffriggetele nel burro e collocatele in un vassoio che regga al fuoco. Ponete nella buca di ognuna un rosso d'uovo crudo ed intero e poi fate una balsamella con decilitri tre scarsi di latte, grammi 40 di farina e grammi 40 di burro. Tolta dal fuoco aggiungeteci tre cucchiaiate colme di parmigiano, l'odore della cannella o della noce moscata e salatela. Lasciatela freddare e poi versatela sul vassoio per coprire i rossi d'uovo e i crostoni. Rosolatela alquanto sotto il coperchio del forno da campagna in modo che non induriscano troppo le uova, e mandatela calda in tavola. Dove si trova il pane inglese, cotto in forma, meglio è servirsi di questo.
midolla di pane quadrate, grosse un dito abbondante, larghe quasi quanto la palma di una mano e fate ad ognuna una buca in mezzo, ma che non isfondi
Prendete carne magra di bestia grossa, nettatela dai tendini e dalle pelletiche e, se non avete il tritacarne, tritatela ben fine prima col coltello poi colla lunetta. Conditela con sale, pepe e parmigiano grattato; aggiungete l'odore delle spezie, piacendovi, ma c'è il caso allora che sappia di piatto rimpolpettato. Mescolate bene e date alla carne la forma di una palla; poi con pangrattato sotto e sopra, onde non s'attacchi, tiratela col matterello sulla spianatoia, rimuovendola spesso per farne una stiacciata sottile poco più di uno scudo. Tagliatela a pezzi quadri e larghi quanto la palma di una mano e cuoceteli in una teglia col burro. Quando le scaloppine avran preso colore, annaffiatele con sugo di pomodoro o conserva diluita nel brodo o nell'acqua e servitele. Potete anche, senza far uso del matterello, stiacciarle colle mani e dar loro, per più eleganza, la forma di un cuore.
matterello sulla spianatoia, rimuovendola spesso per farne una stiacciata sottile poco più di uno scudo. Tagliatela a pezzi quadri e larghi quanto la palma
Il posto migliore per questo piatto è il sotto-noce, ma può servire anche il magro del resto della coscia o del culaccio. Tagliatele sottili e della dimensione della palma di una mano; battetele e date loro una forma smussata ed elegante come, ad esempio, la figura del cuore, cioè larga da capo e restringentesi in fondo, il che si ottiene più facilmente tritando prima la carne colla lunetta. Poi preparatele in un piatto con agro di limone, pepe, sale e pochissimo parmigiano grattato. Dopo essere state un'ora o due in questa infusione, passatele nell'uovo sbattuto e tenetecele altrettanto. Poi panatele con pangrattato fine, mettetele a soffriggere col burro in una teglia di rame, e quando saranno appena rosolate da una parte, voltatele e sopra la parte cotta distendete prima delle fette di tartufi e sopra queste delle fette di parmigiano o di gruiera; ma sì le une che le altre tagliatele sottili il più che potete. Fatto questo, terminate di cuocerle con fuoco sotto e sopra aggiungendo brodo o sugo di carne; poi levatele pari pari e disponetele in un vassoio col loro sugo all'intorno strizzandoci l'agro di un limone, o mezzo solo se sono poche. Nella stessa maniera si possono cucinare le costolette di agnello dopo aver ripulito, raschiandolo, l'osso della costola.
dimensione della palma di una mano; battetele e date loro una forma smussata ed elegante come, ad esempio, la figura del cuore, cioè larga da capo e
Cotoletta. Parola francese di uso comune per indicare un pezzo di carne magra, ordinariamente di vitella di latte, non più grande della palma di una mano, battuta e stiacciata, panata e dorata.
Cotoletta. Parola francese di uso comune per indicare un pezzo di carne magra, ordinariamente di vitella di latte, non più grande della palma di una
I gusci delle conchiglie marine per quest'uso devono essere, nella parte concava, larghi quanto la palma di una mano onde ognuno, col contenuto suo, possa bastare a una persona. Appartengono al genere Pecten Iacobaeus, Pettine, detto volgarmente cappa santa perchè si usava dai pellegrini. La carne di questa conchiglia, buona a mangiarsi, è molto apprezzata pel suo delicato sapore.
I gusci delle conchiglie marine per quest'uso devono essere, nella parte concava, larghi quanto la palma di una mano onde ognuno, col contenuto suo
Quando sarete per formare le cotolette dividete il composto in dieci parti eguali e facendole toccare il pangrattato modellatele fra la palma delle mani alla grossezza un po' più di mezzo dito; tuffatele nell'uovo frullato, panatele ancora e friggetele nell'olio. Delle lunghe corna dell'arigusta fatene dieci pezzi che infilerete nelle cotolette quando le mandate in tavola onde facciano fede della nobile materia di cui le cotolette sono composte. Possono bastare per cinque persone ed è un piatto molto delicato.
Quando sarete per formare le cotolette dividete il composto in dieci parti eguali e facendole toccare il pangrattato modellatele fra la palma delle
Tagliate il baccalà a pezzi larghi quanto la palma della mano e infarinatelo bene. Poi mettete un tegame o una teglia al fuoco con parecchio olio e due o tre spicchi d'aglio interi, ma un po' stiacciati. Quando questi cominciano a prender colore buttate giù il baccalà e fatelo rosolare da ambedue le parti, rimuovendolo spesso affinchè non si attacchi. Sale non ne occorre o almeno ben poco previo l'assaggio, ma una presa di pepe non ci fa male. Per ultimo versategli sopra qualche cucchiaiata di sugo di pomodoro N. 6, o conserva diluita nell'acqua; fatelo bollire ancora un poco e servitelo.
Tagliate il baccalà a pezzi larghi quanto la palma della mano e infarinatelo bene. Poi mettete un tegame o una teglia al fuoco con parecchio olio e
Mettete il semolino in un vaso di terra piatto e molto largo, oppure in una teglia di rame stagnata, conditelo con un pizzico di sale e una presa di pepe e, versandogli sopra a gocciolini per volta due dita (di bicchiere) scarse di acqua, macinatelo colla palma della mano per farlo divenir gonfio, granelloso e sciolto. Finita l'acqua versategli sopra, a poco per volta, una cucchiaiata d'olio e seguitate a manipolarlo nella stessa maniera, durando fra la prima e la seconda operazione più di mezz'ora. Condizionato il semolino in tal modo, mettetelo in una scodella da minestra e copritelo con un pannolino, il sopravanzo del quale, passandolo al disotto, legherete stretto con uno spago.
pepe e, versandogli sopra a gocciolini per volta due dita (di bicchiere) scarse di acqua, macinatelo colla palma della mano per farlo divenir gonfio
Cieco chi non lo vede! Stanno per finire i tempi delle seducenti e lusinghiere ideali illusioni e degli anacoreti; il mondo corre assetato, anche più che non dovrebbe, alle vive fonti del piacere, e però chi potesse e sapesse temperare queste pericolose tendenze con una sana morale avrebbe vinto la palma.
Tagliate per mezzo con un coltellaccio quattro piedi di vitello ben bene mondati, legateli con TESTA DI CINGHIALE IN GALANTINA PER I GRANDI «BUFFETS». (8) La testa di cinghiale dopo averla ben pulita la riempirete ad uso di una galantina, senza alterarne la forma. Cotta che sia gli rifarete gli occhi con albume d'uova, rassodato, tartufi e gelatina ben chiara. I denti pure li farete coll'albume. Dopo averla ben glassata la adornerete di finissimi tartufi allo scopo di imitarne i peli. Poi l'aggiusterete sopra un crostone nel modo indicato dal nostro disegno, adattandovi sei brochettes (spiedini) con tartufi e una bella cresta di pollo. Nel collo piazzerete una palma di foglie di quercie con relativa ghianda fatta di grasso bianco o pastigliaggio, guarnendola di crostoni di gelatina. Lo zoccolo che noi presentiamo si farà fare di legno; le decorazioni debbono essere fatte in grasso o in pastigliaggio, oppure in sterina, a piacere dell'esecutore. lo spago, e metteteli in una pentola con brodo ben grasso, una cucchiajata di grasso di majale, una cucchiajata di acquavite, un mazzolino di prezzemolo, cipolla, due spicchi d'aglio, tre chiodi garofano, due foglie di lauro, basilico, timo, sale e pepe, qualche grano di coriandro, e fate cuocere il tutto a fuoco lento. Terminata la cottura, e ridotta la salsa a piccola quantità, lasciate raffreddare il tutto, e poi cavate i piedi dalla casseruola e li ravvolgerete nella mollica di pane, umidite leggermente il disopra della mollica collo stesso grasso, ed arrostite quindi sopra la graticola, e recateli in tavola per antipasto o trammezzo.
(spiedini) con tartufi e una bella cresta di pollo. Nel collo piazzerete una palma di foglie di quercie con relativa ghianda fatta di grasso bianco o
Alcuni li preferiscono ai famosi vermi della palma, ghiottoneria nota nelle Indie che non è altro che la larva della calandra della palma. Di queste alimentazioni che a noi paiono stranezze se ne possono aggiungere ben altre.
Alcuni li preferiscono ai famosi vermi della palma, ghiottoneria nota nelle Indie che non è altro che la larva della calandra della palma. Di queste
277. Tavolette di pasta d'altea per raffreddori. - Pelate e schiacciate 60 grammi di radice di altea; posta in una terrina, versatele sopra un quinto di un litro d'acqua bollente più un po' di scorza d'aranci, raffreddata, filtratela ad una tela, posto il liquido in una terrina o tegame di terra con un ettogramma di gomma arabica in polvere lasciatelo sino al domani, posto quindi ad un dolce calore fatelo bollire adagio con 3 ettogrammi di zucchero pesto aggiungete 3 bianchi d'uova sbattuti in neve, tramenando finchè diventi spesso che mettendone un po' sulla palma della mano non s'attacchi, versate sopra un tondo e finite in ogni modo come sopra N. 276.
zucchero pesto aggiungete 3 bianchi d'uova sbattuti in neve, tramenando finchè diventi spesso che mettendone un po' sulla palma della mano non s'attacchi
279. Pasta d'amandorle o di nocciuole o di pistacchi. - Sbollentate e pelate delle amandorle dolci con qualcheduna amara, pestatele nel mortaio spruzzandole con un po' d'acqua profumata ai fiori d'arancio od alla cannella, passate allo staccio, pesatele; fate fondere un egual peso di zucchero bianco con la metà d'acqua; bollito un momento, oppure zucchero pesto senza fonderlo coll' acqua, unitegli le amandorle, fate cuocere adagio tramenando finchè non s'attacchi al fondo; divenute un po' spesse che rotolandone un po' sulla palma della mano non s'attacchino, versatele nel mortaio un po' raffreddate, pestatele; poste in un vaso conservatele coperte per l'uso bramato. La pasta di nocciuole, di pistacchi, o di castagne lessate od arrostite si fa allo stesso modo, se mescolate un po' di gomma dragante preparata come al N. 167 avrete una pasta per fare varie decorazioni mangiabili.
finchè non s'attacchi al fondo; divenute un po' spesse che rotolandone un po' sulla palma della mano non s'attacchino, versatele nel mortaio un po
Si divide la pasta preparata in tante pallottole della grandezza di un grosso uovo di tacchino; si allarga sulla palma della mano riducendola di fine spessore e mettendo nel centro di ciascuno una parte del ripieno preparato. Si badi di richiudere perfettamente la pasta senza che si scorga il ripieno, e per facilitare l'operazione avrete la precauzione di infarinarvi spesso le mani perchè non vi si attacchi la pasta.
Si divide la pasta preparata in tante pallottole della grandezza di un grosso uovo di tacchino; si allarga sulla palma della mano riducendola di fine
Si condisce dai confetturieri — serve a fare uno sciroppo zuccherino e a prepararne colla fermentazione un liquore inebriante, una specie di nettare o vino che una volta in Oriente era riservato ai soli sovrani. In Oriente il dattero è condimento di pane e cibo ai quadrupedi. Coi semi torrefatti del dattero, si prepara un caffè in Francia, che per la sua innocenza può collocarsi al limbo. In medicina è adoperato come pettorale, raddolcente Bonastre ottenne dai datteri, succilaggine, gomma, zuccaro e albumina. Il midollo della palma si mangia come un ghiotto boccone. II calice dei fiori è adoperato come vaso da bere. I rami della palma lavorati si distribuiscono coll'ulivo, nella domenica, chiamata perciò delle Palme, in ricordanza dell'entrata trionfale del Salvatore in Gerusalemme. Le sue foglie servono a fabbricare corde, gomene, stuoje, cesti, ecc. In Spagna e Sicilia avvi la palma, ma in proporzioni molto modeste e i suoi frutti non riescono mai o quasi mai a maturanza. E questa la Palma che si dava ai vincitori delle battaglie — è di questa che ancor oggi corre il detto: Avere la palma, conquistare la palma. Del dattero ne parla Paolo Egineta e Zenofonte nel 2° libro della spedizione di Ciro, che li cita come un cibo divino, riservato ai soli ricchi. Molti soldati di Alessandro il Grande ci avevano lasciata la pelle per averne fatto delle pelli. Fino d'allora si candivano perchè i freschi eran fin d'allora ritenuti indigesti e nocevoli ai denti — tanto che appena mangiato, si sciaquava la bocca.
Bonastre ottenne dai datteri, succilaggine, gomma, zuccaro e albumina. Il midollo della palma si mangia come un ghiotto boccone. II calice dei fiori è
Il Dattero, o Dattilo, è il frutto della Palma orientale, albero sempre verde della Barberia, Egitto, Giudea, Siria, America Meridionale e di molte parti dell'Africa. E diritto, arriva fino ai 40 metri d'altezza, e talvolta all'età di 200 anni e può portare più di 100 kilog. di frutto. Il suo legno è amaro e il frutto dolce. Da noi è pianta da serra calda. Si propaga per semi, che con molto calore nascono dopo 6 settimane. Il suo nome dal greco Dactulos, dito, perchè questo frutto rassomiglia l'ultima falange delle dita. Nel linguaggio delle piante significa: Riconciliazione. Le sue bacche o frutti nocciolosi oblunghi, che danno le sue sommità, sono quelli che noi chiamiamo datteri. Si mangiano freschi e secchi — i freschi sono meno sani. A noi pervengono essicati e a bon mercato. È frutto saporito e di facile digestione, da dessert quaresimale.
Il Dattero, o Dattilo, è il frutto della Palma orientale, albero sempre verde della Barberia, Egitto, Giudea, Siria, America Meridionale e di molte
138. Pasta d'amandorle o di nocciuole o di pistacchi. — Gettate nell'acqua bollente e pelate delle amandorle dolci con qualcheduna amara; pestatele nel mortaio spruzzandole con un po' d'acqua profumata ai fiori d'arancio od alla cannella; passatele allo staccio, pesatele; fate fondere un egual peso di zucchero bianco con la metà d'acqua; bollito un momento, (si può adoperare anche zucchero pesto senza fonderlo coll'acqua), unitegli le amandorle; fate cuocere adagio tramenando affinchè non s'attacchi al fondo; divenute un po' spesse per modo che rotolandone un po' sulla palma della mano non s'attacchino, versatele nel mortaio un po' raffreddate, pestatele; poste in un vaso conservatele coperte per l'uso bramato. — La pasta di nocciuole, di pistacchi, o di castagne lessate od arrostite si fa allo stesso modo. — Se mescolate un po' di gomma avrete una pasta per fare varie decorazioni mangiabili.
; fate cuocere adagio tramenando affinchè non s'attacchi al fondo; divenute un po' spesse per modo che rotolandone un po' sulla palma della mano non s
Il Dattero, o Dattilo, è il frutto della palma oriente, albero sempre verde della Barberia, Egitto, Giudea, Siria, America meridionale e di molte parti dell'Africa. È diritto, arriva fino ai 40 metri d'altezza, e talvolta all'età di 200 anni e può portare più di 100 chilogrammi di frutto. Il suo legno è amaro e il frutto dolce. Da noi è pianta da serra calda. Si propaga per semi, che con molto calore nascono dopo 6 settimane. Non dà frutti che dopo moltissimi anni. Il suo nome dal greco Dactulos, dito, perchè questo frutto rassomiglia l'ultima falange delle dita. Nel linguaggio delle piante significa: Riconciliazione. Le sue bacche, i frutti nocciolosi oblunghi, che danno le sue sommità, sono quelli che noi chiamiamo datteri. Si mangiano freschi e secchi — i freschi sono meno sani. A noi pervengono essicati e a bon mercato. È frutto saporito e di facile digestione, da dessert quaresimale. I migliori sono quelli d'Alessandria d'Egitto. Si condisce dai confetturieri — serve a fare uno sciroppo zuccherino e a prepararne, colla fermentazione, un liquore inebbriante, una specie di nettare o vino che una volta in Oriente era riservato ai soli sovrani. In Oriente il dattero è condimento di pane, e cibo ai quadrupedi. Coi semi torrefatti del dattero, si prepara un caffè in Francia, che per la sua innocenza può collocarsi al limbo. In medicina è adoperato come pettorale, raddolcente. Bonastre ottenne dai datteri, succilaggine, gomma, zuccaro e albumina. Il midollo della palma si mangia come un ghiotto boccone. Il calice dei fiori è adoperato come vaso da bere. I rami della palma, lavorati, si distribuiscono coll'ulivo, nella domenica chiamata delle Palme, in ricordanza dell'entrata trionfale del Salvatore in Gerusalemme. Le sue foglie servono a fabbricare corde, gomene, stuoje, cesti, ecc. In Spagna e Sicilia avvi la palma, ma in proporzioni molto modeste e i suoi frutti non riescono mai o quasi mai a maturanza. È questa la Palma che si dava ai vincitori delle battaglie — è di questa che ancor oggi corre il detto: Avere la palma, conquistare la palma. Del dattero ne parla Paolo Egineta e Senofonte nel 2.° libro della Spedizione di Ciro, che li cita come un cibo divino, riservato ai soli ricchi. Molti soldati di Alessandro il Grande ci avevano lasciata la pelle per averne fatto delle pelli. Fino d' allora si candivano perchè i freschi eran fin d' allora ritenuti indigesti e nocevoli ai denti — tanto che appena mangiato, si sciaquava la bocca. Dei datteri si dice:
Il Dattero, o Dattilo, è il frutto della palma oriente, albero sempre verde della Barberia, Egitto, Giudea, Siria, America meridionale e di molte
Si semina in primavera e si colgono i frutti appena maturi perchè non cadano. Nel linguaggio delle piante: Sapienza. Il valore germinativo giunge ai 4 anni. Due varietà principali: la gialla e la rossiccia, questa più saporita. Si conservano per l'inverno in luogo asciutto e prima di usarne, si lasciano macerare in acqua onde si gonfino e diventino tenere. Se ne fa farina ed è molto leggera e buona pei malati. Le lenti si mangiano in minestra, come i fagioli, si mettono cotte negli umidi, accompagnano i salami cotti, specialmente quello di fegato, la mortadella. Se ne fa puree e flan di sapore delizioso. Al tempo antico dovevano essere molto più saporite d'adesso. Esaù le rese celebri cedendo per un piatto di esse la sua primogenitura. Sono di un uso molto antico e generale. Ovidio dà la palma a quelle di Pelusio in Egitto. Ateneo dà il menu d' una cena; con queste parole: mangiammo un piatto di lenti, poi ne venne un altro, poi ce ne servirono di nuovo ben condite in aceto. Allora si servivano le lenti come oggi si fa della patata in Svizzera. Difìlo comico, fa dire ad un suo personaggio: la tavola era pulitamente disposta, noi avevamo ciascuno un piatto ben colmo di lenti. Zenone, il fondatore della setta stoica, dice: essere uno dei caratteri del saggio quello di saper condire bene le lenti. Ecco il suo dogma:
. Sono di un uso molto antico e generale. Ovidio dà la palma a quelle di Pelusio in Egitto. Ateneo dà il menu d' una cena; con queste parole: mangiammo un
(Plinio, libro 14). Giovenale, nella cena che diede a Persico, apprestò dei pomi piceni, i quali, secondo Orazio, ànno la palma su tutti i pomi, compresi i tiburtini:
(Plinio, libro 14). Giovenale, nella cena che diede a Persico, apprestò dei pomi piceni, i quali, secondo Orazio, ànno la palma su tutti i pomi
Ne parla perfino Seneca nell'Ep. 87: Olivetum cum rapo suo tranferre. I Greci, magnificavano quelle di Corinto, della Francia e della Beozia. Erano notabili per la rotondità quelle di Cleone, piccolo villaggio non lungi dalia selva Numea, citato da Ovidio (Metam. 6) e per la lunghezza i Romani davano la palma a quelle di Amiterno città della Campania, patria di Sallustio. Indi venivano quelle di Nurzia, antica città della Sabina, patria di Quinto Sertorio, vir rei militaris, delle quali rape, parla Virgilio chiamandole frigida Nurtia (En., 7). Infine venivano le veronesi. Anche il Mattioli, che à visto le famose rape di Norcia e di Anagni dice che pesavano 30 libbre.
davano la palma a quelle di Amiterno città della Campania, patria di Sallustio. Indi venivano quelle di Nurzia, antica città della Sabina, patria di
Per sei persone mettete sul fuoco una casseruola con mezzo litro d'acqua e un buon pizzico di sale. Preparate intanto vicino a voi 250 grammi di farina. Appena l'acqua leverà il bollore tirate indietro la casseruola e gettatevi tutta insieme e in un sol colpo, la farina. Con un cucchiaio di legno mescolate sollecitamente e quando la farina si sarà ben sciolta rimettete la casseruola sul fuoco e sempre mescolando, fate cuocere per quattro o cinque minuti procurando che la pasta non s'attacchi. Rovesciate allora questa pasta sulla tavola di cucina, allargatela e impastate in essa altri 125 grammi di farina, regolandovi come se doveste fare una pasta da tagliatelle. Quando la pasta sarà ben lavorata e liscia fatene una palla, copritela con una salvietta ripiegata in quattro e lasciatela riposare per un buon quarto d'ora. Intanto preparate il ripieno. Mettete in una terrinetta 200 grammi di ricotta, sciogliendola bene con un cucchiaio di legno o meglio passandola per setaccio. A questa ricotta unite un rosso d'uovo, un cucchiaio di parmigiano grattato, dei dadini di prosciutto o di salame (mezzo ettogrammo in tutto) e qualche dadino di cacio cavallo e di provatura o mozzarella od altro formaggio fresco. Mescolate ogni cosa e poi dividete la pasta in tanti pezzi della grandezza di un grosso uovo di tacchina. Allargate ogni pezzo sulla palma della mano riducendolo di fine spessore e nel centro mettete una parte del ripieno preparato. Richiudete allora perfettamente la pasta modellandone un grosso uovo, avendo l'avvertenza di infarinarvi spesso le mani perchè la pasta non abbia ad attaccarsi. Fate così man mano tutti gli gnocchi allineandoli man mano sulla tavola infarinata. Intanto avrete posto a bollire un recipiente piuttosto largo e ben capace con acqua abbondante e sale. Quando l'acqua bollirà immergeteci con garbo, uno alla volta, le uova di pasta e quando questi gnocchi torneranno a galleggiare estraeteli dall'acqua con una cucchiaia bucata e appoggiateli su un tovagliolo. Ungete adesso di burro una teglia in cui gli gnocchi possano stare allineati in un solo strato e conditeli con abbondante sugo d'umido e parmigiano grattato disponendo ancora qua e là dei pezzettini di burro. Il sugo non dovrà essere eccessivamente denso. Mettete la teglia in forno leggero o con fuoco sotto e sopra per una mezz'ora abbondante affinchè questi gnocchi abbiano il tempo di stufarsi e di bene insaporirsi.
sulla palma della mano riducendolo di fine spessore e nel centro mettete una parte del ripieno preparato. Richiudete allora perfettamente la pasta
Pianticella annuale originaria della Mesopotamia che dà il noto legume coltivato molto in Francia e nel Vallese. Vuol terreno sciolto, asciutto, non molto grasso. Si semina in primavera e si colgono i frutti appena maturi perchè non cadano. Due varietà principali: la gialla e la rossiccia, questa più saporita. Si conservano per l'inverno in luogo asciutto e prima di usarne, si lasciano macerare in acqua onde si gonfino e diventino tenere. Se ne fa farina ed è molto leggera e buona pei malati. Le lenti si mangiano in minestra, come i fagioli, si mettono cotte negli umidi, accompagnano i salami cotti principalmente quello di fegato, la mortadella. Se ne fa purèe e flan di sapore delizioso. Al tempo antico dovevano essere molto più saporite d'adesso. Esaù le rese celebri cedendo per un piatto di esse la sua primo- genitura. Sono di un uso molto antico e generale. Ovidio dà la palma a quelle di Pelusio in Egitto. Ateneo da il menu d'una cena con queste parole: « mangiammo un piatto di lenti, poi ne venne un altro, poi ce ne servirono di nuovo ben condite in aceto. » Allora si servivano le lenti come oggi si fà della patata in Svizzera. Difilo comico, fà dire ad un suo personaggio: « la tavola era pulitamente disposta, noi avevamo ciascuno un piatto ben colmo di lenti. » Zenone, il fondatore della setta stoica, dice, essere uno dei caratteri del saggio quello di saper condir bene le lenti. Ecco il suo dogma - Sapientem omnia recte agere et lentem diligenter condire. La famiglia dei Lentuli doveva il suo nome a degli antenati venditori di lenti. Marziale ne parla in Xeniis:
'adesso. Esaù le rese celebri cedendo per un piatto di esse la sua primo- genitura. Sono di un uso molto antico e generale. Ovidio dà la palma a
Ne parla perfino Seneca nell'Ep. 87. - Olivetum cum rapo suo tranferre. I Greci magnificavano quelle di Corinto, della Francia e della Beozia. Erano notabili per la rotondità quelle di Cleone piccolo villaggio non lungi dalla selva Numea, citato da Ovidio (metam. 6) e per la lunghezza i Romani davano la palma a quelle di Amiterno città della Campania, patria di Sallustio - Indi venivano quelle di Nurzia, antica città della Sabina, patria di Quinto Sertorio, vir rei militaris, delle quali rape parla Virgilio chiamandole frigida Nurtia (En. 7). Infine venivano le Veronesi. Anche il Mattioli, che à visto le famose rape di Norcia e di Anagni dice che pesavano 30 libbre. - Sæpius librarum triginta pondere. - Il Giovio, fino da tre secoli fa nella sua Larii lacus descriptio, parlando di Pigna in Vall'Intelvi, la dice: « Oppidum cum arce, frumenti candoris, et magnitudinis eximii, et rapis nursinis æque similibus ». Marco Catone della famiglia Porcia, detto Censorio, tribuno, console, senatore, ricchissimo, si preparava da sè il piatto di rape e di quella viveva saluberrime. Marco Curio Dentato stava cocendo le rape sotto la cenere, quando rispose ai Sanniti che gli offrivano dei tesori a lasciarli in pace: Non vincerete coll'oro colui che non avete potuto vincere colle armi. La rapa vuolsi rinfreschi. Con essa si fanno decotti anti flogistici e diuretici, e colla sua polpa cataplasmi mollitivi usati in campagna contro i geloni, la si dà ai majali ai quali ingrossa e dilata l'epigastrio. La Sapienza popolare dei Milanesi ad indicare un sempliciotto, dice: Sempi come una rava, vess una rava. E ad un medicastro: Dottor de rava.
davano la palma a quelle di Amiterno città della Campania, patria di Sallustio - Indi venivano quelle di Nurzia, antica città della Sabina, patria di
Prendete una quantità di farina e ponetela su di una tavola ben liscia, o sopra una madia; fatevi un vano nel mezzo e metteteci dentro 150 grammi di burro e sufficiente sale; se il burro è sodo, maneggiatelo prima per ammorbidirlo; mescolate a poco a poco la farina col burro ed il sale inumidendola con acqua tiepida, e quando tutto sia ben amalgamato in modo che non vi restino grumosità, impastate la pasta, a forza di braccia, il più presto possibile, fintantoché sia soda e ben legata insieme. Radunate la pasta, spianatela 2 o 3 volte colla palma della mano, cospargetela di farina sotto e sopra, affinchè non resti attaccata alla tavola; riunite la pasta in cumulo e avviluppatela in un lino alquanto umido, non servendovene che mezz'ora dopo. Se ne volete maggior quantità, mettete il burro ed il sale in proporzione del peso della farina. In questa pasta è d'uopo più burro nell' inverno che in estate, perchè a cagione del freddo è più difficile a maneggiarsi, e per renderla più fina occorre più burro.
possibile, fintantoché sia soda e ben legata insieme. Radunate la pasta, spianatela 2 o 3 volte colla palma della mano, cospargetela di farina sotto e
5. Esempio: se un commensale punta un dito sulla mammella sinistra della cameriera-listavivande dove è scritto CAIRO, uno dei camerieri si allontanerà silenziosamente e ritornerà subito portando la vivanda corrispondente a quella città. In questo caso: «Amore sul Nilo», piramidi di datteri senz'osso immerso in vino di palma. Attorno alla piramide maggiore, cubi di latticini di cannella ripieni di chicchi di caffè bruciato, e pistacchi.
'osso immerso in vino di palma. Attorno alla piramide maggiore, cubi di latticini di cannella ripieni di chicchi di caffè bruciato, e pistacchi.
Fecole esotiche. Arronroot, tapioca, sagù e saleppe. Tra le fecole esotiche, vale a dire, che provengono da paesi stranieri, le più ricercate sono l'arronroot, il tapioca, il sagù ed il saleppe. La prima è la fecola estratta dalla radice di una pianta dell'America del Sud, la cui coltivazione fu importata nelle colonie dell'India inglese. Il tapioca, o tapioca delle isole, è la fecola estratta dalle radici del manioc e ridotta in grani di un bianco giallastro. Il sagù dell'India, estratto dall'interno di un tronco di palma, è una fecola sotto la forma di grani più o meno grossi, più o meno regolari, durissimi, senza odore, di sapore piuttosto insipido. La fecola, conosciuta sotto il nome di saleppe di Persia, proviene dalle varie specie dell'orchide.
bianco giallastro. Il sagù dell'India, estratto dall'interno di un tronco di palma, è una fecola sotto la forma di grani più o meno grossi, più o meno
Anzichè vaniglia, potete far rifondere nel latte del lauro, palma in foglia, o cannella, o corteccia di limone; oppure aggiungere ai tuorli d'uovo diluiti col latte inzuccherato , sia fiore d'arancio, sia essenza di caffè o tè verde, sia cioccolatte, che farete prima stemperare in un poco d'acqua. La crema allora prenderà il nome della essenza che vi avrete aggiunta.
Anzichè vaniglia, potete far rifondere nel latte del lauro, palma in foglia, o cannella, o corteccia di limone; oppure aggiungere ai tuorli d'uovo
Mettete il semolino in un vaso di terra piatto e molto largo oppure in una teglia di rame stagnata, conditelo con un pizzico di sale e una presa di pepe e versandogli sopra a gocciolini per volta due dita (di bicchiere) scarse di acqua, macinatelo colla palma della mano per farlo divenir gonfio, granelloso e sciolto. Finita l'acqua versategli sopra, poco per volta, una cucchiaiata d'olio e seguitate a manipolarlo nella stessa maniera durando fra la prima e la seconda operazione più di mezz'ora. Condizionato il semolino in questa maniera mettetelo in una scodella da minestra e copritelo con un pannolino il sopravanzo del quale, passandolo al disotto, legherete stretto con uno spago.
pepe e versandogli sopra a gocciolini per volta due dita (di bicchiere) scarse di acqua, macinatelo colla palma della mano per farlo divenir gonfio
Prendete carne magra di bestia grossa, nettatela dai tendini e dalle pelletiche e tritatela ben fine prima col coltello poi colla lunetta. Conditela con sale, pepe e parmigiano grattato: aggiungete l'odore delle spezie, piacendovi, ma c'è il caso allora che sappia di piatto rimpolpettato. Mescolate bene e date alla carne la forma di una palla; poi con pangrattato sotto e sopra, onde non s'attacchi, tiratela col matterello sulla spianatoia, rimovendola spesso per farne una stiacciata sottile poco più di uno scudo. Tagliatela a pezzi quadri e larghi quanto la palma di una mano e cuoceteli in una teglia col burro. Quando queste scaloppine avranno preso colore annaffiatele con sugo di pomodoro) o conserva diluita nel brodo o nell'acqua e servitele.
, rimovendola spesso per farne una stiacciata sottile poco più di uno scudo. Tagliatela a pezzi quadri e larghi quanto la palma di una mano e cuoceteli in
Il posto migliore per questo piatto è il sotto-noce, ma può servire anche il magro del resto della coscia o del culaccio. Tagliatele sottili e della dimensione della palma di una mano: battetele e date loro una forma smussata ed elegante come, ad esempio, la figura del cuore, cioè larga da capo e restringentesi in fondo. Poi preparatele in un piatto con agro di limone, pepe, sale e pochissimo parmigiano grattato. Dopo essere state un'ora o due in questa infusione, passatele nell'uovo sbattuto e tenetecele altrettanto. Poi spolverizzatele di pangrattato fine, mettetele a soffriggere col burro in una teglia di rame, e quando saranno appena rosolate da una parte, voltatele e sopra la parte cotta distendete prima delle fette di tartufi e sopra a queste delle fette di parmigiano; ma sì le une che le altre tagliatele sottili il più che potete. Fatto questo, terminate di cuocerle con fuoco sotto e sopra aggiungendo brodo o sugo di carne; poi levatele pari pari e disponetele in un vassoio col loro sugo all'intorno strizzandoci l'agro di un limone o mezzo solo se sono poche. Nella stessa maniera si possono cucinare le costolette d'agnello dopo aver ripulito, raschiandolo, l'osso della costola.
dimensione della palma di una mano: battetele e date loro una forma smussata ed elegante come, ad esempio, la figura del cuore, cioè larga da capo e
Tagliate il baccalà a pezzi larghi quanto la palma della mano e infarinatelo bene. Poi mettete un tegame o una teglia al fuoco con parecchio olio e due o tre spicchi d'aglio interi, ma un po' stiacciati. Quando questi cominciano a prender colore buttate giù il baccalà e fatelo rosolare da ambedue le parti, rimuovendolo spesso perchè non si attacchi. Sale non ne occorre o almeno ben poco previo l'assaggio, ma una presa di pepe non ci fa male. Per ultimo versategli sopra qualche cucchiaiata di sugo di pomodoro N. 5 o conserva diluita nell'acqua: fatelo bollire ancora un poco e servitelo.
Tagliate il baccalà a pezzi larghi quanto la palma della mano e infarinatelo bene. Poi mettete un tegame o una teglia al fuoco con parecchio olio e
Cotoletta. Parola francese di uso comune per indicare un pezzo di carne magra, ordinariamente di vitella di latte, non più grande della palma di una mano, battuta e stiacciata, panata e dorata.
Cotoletta. Parola francese di uso comune per indicare un pezzo di carne magra, ordinariamente di vitella di latte, non più grande della palma di una
IL LIBRO CULINARE di Caterina Prato venne finora distinto coi seguenti premi: Esposizione d'arte culinaria a Baden 1897: Medaglia d'oro. Esposizione internazionale d'arte culinaria a Trieste 1898: Diploma d'onore e Medaglia d'oro. Esposizione internazionale d'arte culinaria a Vienna 1898: Diploma d'onore e Medaglia d'oro. Esposizione per l'arte culinaria della «Società della Croce azzurra» a Vienna 1899: Diploma d'onore alla Medaglia colla Palma d'oro.
'onore e Medaglia d'oro. Esposizione per l'arte culinaria della «Società della Croce azzurra» a Vienna 1899: Diploma d'onore alla Medaglia colla Palma
Dolci. S'impastano lestamente 28 deca di patate arroste e schiacciate con 28 deca di farina e 14 deca di burro sminuzzato, sale, 1 uovo, e colla palma delle mani s'arrotola la pasta in guisa di salsiccia, dalla quale si tagliano giù dei pezzetti grossi quanto una noce. Si formano poi di questi sul tagliere infarinato dei bastoncelli appuntiti, grossi quanto un dito mignolo, che, messi a rosolare nel burro fuso bollente, si pongono di seguito in un recipiente largo, versandovi sopra 2 decilitri di latte frullato con 2 tuorli e zucchero e si mettono coperti al forno fino a che il latte ne sarà assorbito e si servono poi cosparsi di zucchero alla vaniglia.
palma delle mani s'arrotola la pasta in guisa di salsiccia, dalla quale si tagliano giù dei pezzetti grossi quanto una noce. Si formano poi di questi sul
Si sminuzzano 7 deca di burro in 25 deca di farina, facendone coll'aggiunta di 1 uovo, 2 tuorli, poca panna dolce o acidula, o latte tiepido e sale lestamente un impasto, che si lascia riposare per 1 ora; poi si tagliano giù dei pezzi grandi come una noce, che colla palma delle mani si rotola in tanti bastoncelli della grossezza d'una matita. Queste tagliatelle si cuociono in 1 litro di latte, ed ingiallito che si abbiano 7 deca di zucchero in 2 deca di burro cotto, vi si mettono a stufare le medesime per 1/2 ora al forno acciò piglino una crostina, poi s'imbandiscono cosparse abbondantemente di zucchero.
lestamente un impasto, che si lascia riposare per 1 ora; poi si tagliano giù dei pezzi grandi come una noce, che colla palma delle mani si rotola in
Si fa una pasta frolla Nro. III (pag. 76, o col vino e fior di latte come Nro. II), lasciandola riposare 1/2 ora; poi si formano dei panettini, che si spianano alla grandezza d'una palma di mano; s'intagliano questi tondelli colla ruotina a denti in striscie larghe un dito, badando che l'orlo tutt'intorno resti intatto. Dipoi si passa il manico d'una mestola attraverso ogni seconda striscia, e così disposta la pasta si pone nel burro bollente, agitandola colla padella, acciò si gonfi bene. Si frigge ogni pezzo separatamente in una padellina stretta, per obbligare la pasta di gonfiarsi in alto. Dipoi la si spolverizza con zucchero alla vaniglia, servendo a parte, in salsiera della conserva, oppure fragole fresche passate e bene inzuccherate.
si spianano alla grandezza d'una palma di mano; s'intagliano questi tondelli colla ruotina a denti in striscie larghe un dito, badando che l'orlo tutt
Ad una pasta frolla Nro. II (pag. 76) s'aggiunge dell'anice trito, e spianata che sia alla grossezza d'una costa di coltello, se ne intagliano colla ruotella delle striscie larghe un dito e lunghe una palma. Queste striscie si arrotolano una per volta sulla punta del manico d'una mestola, mettendole così a friggere. Fattele scivolare con precauzione giù dal manico spolverate di zucchero si mettono sopra un piatto in luogo caldo, finchè tutta la pasta sia fritta, e si servono con una salsa dolce (pag. 69).
ruotella delle striscie larghe un dito e lunghe una palma. Queste striscie si arrotolano una per volta sulla punta del manico d'una mestola
Tagliati a fette sottili. Si prepara la pasta come quella per il pan di latte senza tuorlo, colla neve però di 2 chiare, manipolandola ben bene fino a che faccia delle bolle. Indi si lavora sulla tavola, arrotolandola colla palma delle mani a guisa di salsiccione, dal quale si tagliano giù delle fette grandi come un uovo; ognuna di queste si arrotola in bastoncelli lunghi un dito, avvolgendoli poi a mo' di chiocciola (Fig. 45). Fig. 45. biscotti (Zwieback) Così si adagiano stretti uno presso l'altro sulla lamiera a formarne 2 pani oblunghi, in modo che l'estremità dei bastoncini poggino sulla lamiera, e coperti si lasciano poi lievitare. Prima di mettere questi pani al forno, quando sono a metà cottura e dopo cotti interamente vengono spalmati con acqua. Il giorno seguente si tagliano con un coltello sottile ed affilato delle fette della grossezza d'una costa da coltello, che tenute al disopra d'un piatto, d'ambo le parti si cospargono abbondantemente con zucchero (presso a poco 40 deca per la massa sudetta) e sovraposte una sull'altra uniformemente in diverse porzioni, si lasciano in riposo un'ora finchè lo zucchero sia divenuto umido. Dipoi si taglia ogni porzione traversalmente per lungo, disponendo queste fette sottili sulla lamiera non unta, per metterle a rosolare nel forno senza rivoltarle.
a che faccia delle bolle. Indi si lavora sulla tavola, arrotolandola colla palma delle mani a guisa di salsiccione, dal quale si tagliano giù delle
Di pasta bruna. Si sminuzzano 14 deca di burro con 14 deca di farina, mescolandovi coll'aiuto d'un coltello 3 uova sode passate per lo staccio, 14 deca di mandorle tritate colla buccia, cannella, garofano, pimento, il succo e la buccia di 1/2 limone nonchè 1 tuorlo fresco. Lavorato brevemente colle mani e spianato l'impasto all'altezza d'un dito mignolo, lo s'intaglia in forma di un disco grande quanto il cerchio della tortiera, e steso che sia sulla lamiera, si pennella l'orlo coll'uovo, l'interno però con una conserva di lamponi, ribes od albicocche, adagiando al disopra una grata fatta con bastoncelli di pasta arrotolati colla palma delle mani, mettendo dapprima un bastoncello nel mezzo, un secondo in croce a sghembo, 2 altri nella direzione del primo in distanza d'un dito, dipoi altri due nella direzione del secondo, alzando l'estremità del primo bastoncello prima di applicarveli. Procedendo in questo modo la rete si completa, e gl'intervalli frammezzo alle maglie hanno da formare una figura romboidale (quadrato smosso). Dipoi si comprime sull'estremità dei bastoncelli uniformemente recisi un orliccio di pasta, spalmandone la superficie coll'uovo sbattuto, e contornando il tutto d'un cerchio da torta od una striscia di carta, girata due volte attorno, le cui estremità si attaccano con una pastella di farina. Levata dal forno, la torta si spolverizza collo zucchero, applicando tra la grata dell'altra conserva fresca eguale alla prima.
bastoncelli di pasta arrotolati colla palma delle mani, mettendo dapprima un bastoncello nel mezzo, un secondo in croce a sghembo, 2 altri nella
Si presenta ai commensali il piatto di portata posto sopra una salvietta più volte ripiegata sulla palma della mano, offrendoglielo dal lato sinistro. Il servo deve porgere tutta la sua attenzione al piatto, onde tenerlo diritto e non insudiciare chicchessia colla salsa contenutavi. Nelle mense di riguardo la zuppiera ed i piatti fondi trovansi postate sopra una credenza (od un tavolo a parte), dove si scodellerà la zuppa per farla passare ai convitati. Le vivande composte, come salse ecc., ed i carnumi devonsi offrire lestamente una dopo l'altra, percui farà d'uopo che una seconda persona aiuti a servire, qualora il numero dei convitati fosse grande, oppure i commensali stessi passeranno uno all'altro la pietanza accessoria mentre il domestico loro porge successivamente l'altra di carne. Quando tutte le persone si sono servite d'una vivanda, questa offresi per regola una seconda volta e non più. Se si trovano delle signore a mensa, si comincia collo servire una di queste, e a un banchetto nuziale sempre dapprima la sposa. È indispensabile che le persone addette al servizio sieno bene informate sul modo di contenersi in circostanze di gala. Consumata che sia una pietanza, dopo cambiati i piatti, si serve tosto la seguente.
Si presenta ai commensali il piatto di portata posto sopra una salvietta più volte ripiegata sulla palma della mano, offrendoglielo dal lato sinistro
Crema. — Prendete un litro e mezzo di latte, e fatelo bollire, inzuccherandolo bene, ed allorquando è in ebollizione gettatevi dentro un pezzo di vaniglia, oppure aromatizzatelo in altro modo, come diremo in appresso. Prendete otto tuorli d'uovo, e fateli diluire, versando a poco a poco il latte, mescolando sempre, onde ottenere una completa amalgama della crema che farete in seguito passare per staccio di seta. — La crema dev'essere poi versata in casseruola contenente acqua calda o fredda non importa, la quale deve raggiungere i manichi dei vasi. Si torni a collocare la casseruola al fuoco ponendone anche sul coperchio della casseruola, affinchè assorba il vapore dell'acqua, tenendo però questa ad un medesimo calorico, e cioè quasi bollente, ma che non bolla mai, sino a che la crema siasi perfettamente formata, ritirandola dal fondo appena avrete la persuasione che essa è completamente cotta. — Si può benissimo invece della vaniglia porvi del lauro, palma in foglia, cannella, corteccia di limone, ovvero aggiungere ai tuorli d'uovo diluiti nel latte inzuccherato, fior di arancio, essenza di caffè, thè verde, cioccolatta, ecc., il tutto però stemperato in poca acqua calda. La crema allora prende il nome dell'essenza che vi si aggiunge.
completamente cotta. — Si può benissimo invece della vaniglia porvi del lauro, palma in foglia, cannella, corteccia di limone, ovvero aggiungere ai tuorli d'uovo