Quelle che si trovano attaccate sul fondo de' vascelli, e che in Venezia appellansi volgarmente Pedocchi dell'arsenale, sono più lunghe nella loro forma, e nel loro calice, che le altre, le quali hanno comunemente la bocca ristretta, ed il loro colore è o bianco, o rosso, o violetta.
forma, e nel loro calice, che le altre, le quali hanno comunemente la bocca ristretta, ed il loro colore è o bianco, o rosso, o violetta.
La stagione più opportuna per fare questa conserva è quando le rose sono in piena fioritura dai 15 di maggio ai 10 di giugno. Occorrono rose dette maggesi, che sono di colore roseo ed odorose. Sfogliatele e recidete ad ogni foglia la punta gialliccia che trovasi in fondo alla medesima gettandola via e, per far questa operazione con meno perdita di tempo, prendete con la sinistra tutto il ciuffo, ossia la corolla della rosa, e con la destra, armata di forbici, tagliatela giro giro poco più sopra della base del calice. Ecco le dosi:
, armata di forbici, tagliatela giro giro poco più sopra della base del calice. Ecco le dosi:
Fate bollire lo zucchero nell'acqua per 10 minuti, versatelo nel sugo, passate il composto dallo staccio un'altra volta e ponetelo nella sorbettiera. Servitelo in bicchierini a calice colla colmatura, o tutto in un pezzo.
. Servitelo in bicchierini a calice colla colmatura, o tutto in un pezzo.
Prendete 6 od 8 melanzane, avvertendo di non sceglierle molto grosse affinchè non siano troppo mature,; mondatele, recidendo loro il picciuolo ed il calice; tagliatele a fette e mettetele in acqua fresca. Poi trinciate sottilmente una cipolla, fatela soffriggere in cazzaruola con olio, sale e poco pepe: quando comincia a rosolare, unitevi le melanzane, che avrete ritirate dall'acqua e fatte sgocciolare. Lasciate cuocere per alcuni minuti, rivoltandole con un mestolo, ed aggiungetevi 2 o 3 pomodori, già sbucciati e mondati dei loro semi e quindi trinciati minutamente sul tagliere.
calice; tagliatele a fette e mettetele in acqua fresca. Poi trinciate sottilmente una cipolla, fatela soffriggere in cazzaruola con olio, sale e poco
Staccate dalle melanzane, dette anche petonciani, l'involucro presso il gambo che serve loro di calice, tagliatele in mezzo e lavatele in acqua fresca; poi, con un cucchiaino, vuotatele della polpa facendole lessare sino a mezza cottura. Rimettetele poscia nell'acqua fresca, e lessate, per poco, nella stessa pentola, anche la polpa estratta dalle melanzane, che passerete egualmente nell'acqua fresca. Dopo alcuni minuti la spremerete e la pesterete nel mortaio unitamente a 2 spicchi di aglio, con una manciata di funghi secchi già ammollati, o meglio funghi freschi, fatti però prima soffriggere nell'olio.
Staccate dalle melanzane, dette anche petonciani, l'involucro presso il gambo che serve loro di calice, tagliatele in mezzo e lavatele in acqua
Si strizzano gli aranci e il limone e se ne passa il sugo. Si fa bollire lo zucchero nell'acqua per 10 minuti, si versa nel sugo, si passa il composto dallo staccio un'altra volta e si pone nella sorbettiera. Si serve in bicchierini a calice e tutto d' un pezzo.
composto dallo staccio un'altra volta e si pone nella sorbettiera. Si serve in bicchierini a calice e tutto d' un pezzo.
198. Conserva di violette, calmante e buona per la tosse. - Ponete in un tegame di terra 3 ettogr. Di zucchero bianco con un quinto d'un litro d'acqua, più il sugo d'un mezzo limone, bollito un momento, cioè alla gran piuma, aggiungete 1 ettogr. Di fiori di violette freschi, di buon odore, nette dal calice e gambo, trite e peste fine, finite di cuocere come s'è detto sopra N. 197.
dal calice e gambo, trite e peste fine, finite di cuocere come s'è detto sopra N. 197.
226. Sciroppo di fiori di violette, di rose e di papavero. - Avrete 2 ettogrammi di fiori di violette, raccolte di fresco, asciutte, di buon odore, nette dal calice e gambo; poste in un vaso di maiolica versatele sopra il quinto d'un litro di acqua bollente, lasciatele così coperte finchè fredde, filtrate il liquido alla tovaglia o carta sciugante, unitevi il doppio di suo peso di zucchero bianco pesto, fatelo fondere adagio sul fuoco, finchè cominci a bollire; versatelo in un vaso e raffreddato copritelo e conservatelo al bisogno. Il sciroppo di fiori di malva, di rose, di papavero si fa allo stesso modo. Il sciroppo di questi fiori è tranquillizzante, rinfrescativo, buono per la tosse, e pel raffreddore; se ne prende un cucchiaio per volta mescolato o non coll'acqua.
, nette dal calice e gambo; poste in un vaso di maiolica versatele sopra il quinto d'un litro di acqua bollente, lasciatele così coperte finchè fredde
Per pulirle è necessario reciderle il calice, sbucciarle, tagliarle a secondo l'uso che se ne deve fare spolverizzarle di sale affine di farle sgocciolare; prima di cucinarle si lavano accuratamente e si asciugano per far perdere loro l'acqua amarognola di cui sono impregnate.
Per pulirle è necessario reciderle il calice, sbucciarle, tagliarle a secondo l'uso che se ne deve fare spolverizzarle di sale affine di farle
N.B. — Per evitare complicazioni si può mettere il composto in tanti bicchieri a calice, e collocar questi in un recipiente chiuso, con ghiaccio salato sotto e sopra.
N.B. — Per evitare complicazioni si può mettere il composto in tanti bicchieri a calice, e collocar questi in un recipiente chiuso, con ghiaccio
Si condisce dai confetturieri — serve a fare uno sciroppo zuccherino e a prepararne colla fermentazione un liquore inebriante, una specie di nettare o vino che una volta in Oriente era riservato ai soli sovrani. In Oriente il dattero è condimento di pane e cibo ai quadrupedi. Coi semi torrefatti del dattero, si prepara un caffè in Francia, che per la sua innocenza può collocarsi al limbo. In medicina è adoperato come pettorale, raddolcente Bonastre ottenne dai datteri, succilaggine, gomma, zuccaro e albumina. Il midollo della palma si mangia come un ghiotto boccone. II calice dei fiori è adoperato come vaso da bere. I rami della palma lavorati si distribuiscono coll'ulivo, nella domenica, chiamata perciò delle Palme, in ricordanza dell'entrata trionfale del Salvatore in Gerusalemme. Le sue foglie servono a fabbricare corde, gomene, stuoje, cesti, ecc. In Spagna e Sicilia avvi la palma, ma in proporzioni molto modeste e i suoi frutti non riescono mai o quasi mai a maturanza. E questa la Palma che si dava ai vincitori delle battaglie — è di questa che ancor oggi corre il detto: Avere la palma, conquistare la palma. Del dattero ne parla Paolo Egineta e Zenofonte nel 2° libro della spedizione di Ciro, che li cita come un cibo divino, riservato ai soli ricchi. Molti soldati di Alessandro il Grande ci avevano lasciata la pelle per averne fatto delle pelli. Fino d'allora si candivano perchè i freschi eran fin d'allora ritenuti indigesti e nocevoli ai denti — tanto che appena mangiato, si sciaquava la bocca.
Bonastre ottenne dai datteri, succilaggine, gomma, zuccaro e albumina. Il midollo della palma si mangia come un ghiotto boccone. II calice dei fiori è
L'Alchechingero o Fisalide, è una radice serpeggiante, perenne dei boschi d'Italia e di Germania. Da Maggio ad Agosto, fiori bianchi, viene in piena terra, in esposizione ombrosa. Se ne conoscono 14 varietà. La specie coltivava anche da noi, che proviene dal Perù, si chiama physalis-purbescens o peruviana a caule più alto e ramoso, è pianta erbacea perenne, da serra perchè non resiste sempre ai geli. Ama terra sostanziosa e leggera, dà bacche giallognole dolci-acidule, della grossezza d'un lazzeruolo, ravvolte in un calice vescicolare, pure gialliccio che si mangia come frutta da tavola. L'infelice Carlotta, imperatrice del Messico ne era ghiottissima. — In medicina sono diuretiche, rinfrescative, eccellenti nella nefrite, idropisia, ritenzione d'orina. Vogliono concilii il sonno. Nel linguaggio dei fiori: Errore I Romani la chiamavano herba vescicatoria. La Phiralis-Alkikingi-vescicaria, a palloncini, produce - bacche ritenute narcotiche, ma che pure, coltivata, sono bonissime a mangiarsi. E pianta erbacea perenne dei luoghi sassosi. Più veramente narcotica è la corteccia della sua varietà Physalis somnifera, volgarmente: Solatro sonnifero.
giallognole dolci-acidule, della grossezza d'un lazzeruolo, ravvolte in un calice vescicolare, pure gialliccio che si mangia come frutta da tavola. L
Il Pepe quale lo conosciamo è il frutto secco, immaturo del piper nigram, pianta vivace, che cresce spontaneamente, sulle coste del Malabar, Indostan, Malaca, Ceylan. Nella state à fiori senza calice in grappoli lunghi, bianchi, frutti a foggia di bacche, dapprincipio verdi, poi rossi, e finalmente gialli. Raccolgonsi prima che siano completamente maturi e vengono essicati al sole o al foco, ciò che imparte alla superficie della bacca le rugosità ed il colore bruno nero. Maturi perdono il loro sapore bruciante. Da noi, il pepe è pianta da serra, ed anche potendo allignare nelle parti nostre meridionali, darebbe frutti di nessuna forza. Il suo nome dal greco pepto, digerire, cocere, che à virtù stomatica, riscaldante. Nel linguaggio delle piante: Rabbia. Fu per molto tempo ritenuto che il pepe bianco fosse una varietà del nero. Ma il pepe bianco, non è altro che il pepe nero lasciato maturare, poi fatto macerare per due settimane nell'aqua di mare e di calce, e spogliato, mercè questa macerazione, delle parti esterne del pericarpio, dopo di averlo fatto essicare, così che il suo sapore è meno piccante e meno aromatico, e la sua azione meno attiva. Il migliore' pepe bianco è quello di Tellicherry sulla costa del Malabar, ed il migliore pepe nero, deve avere grani sferici, regolari, oscuri, non galeggianti sull'aqua.
, Malaca, Ceylan. Nella state à fiori senza calice in grappoli lunghi, bianchi, frutti a foggia di bacche, dapprincipio verdi, poi rossi, e finalmente
Prendete 6 od 8 melanzane; mondatele recidendo loro il picciuolo ed il calice, tagliatele a fette e mettetele in acqua fresca. Trinciate intanto sottilmente una cipolla; fatela soffriggere in casseruola con olio, sale e poco pepe, e quando comincia a rosolare, unitevi le melanzane, che avrete ritirate dall'acqua e fatte sgocciolare. Lasciate cuocere per alcuni minuti, rivoltando con un mestolo, ed aggiungete subito 2 o 3 pomidori, già sbucciati, mondati de' loro semi e trinciati minutamente sul tagliere colla mezzaluna. Allorchè poi le melanzane saranno cotte, versatevi sopra due uova sbattute, rimestate per .un minuto, ritirate dal fuoco la casseruola, e versatone il contenuto in un piatto, servitelo tosto in tavola.
Prendete 6 od 8 melanzane; mondatele recidendo loro il picciuolo ed il calice, tagliatele a fette e mettetele in acqua fresca. Trinciate intanto
Staccate dalle melanzane l'involucro presso il gambo, che serve loro di calice, tagliatele in mezzo e lavatele in acqua fresca; poi con un cucchiajno vuotatele della polpa e fatele lessare sino a mezza cottura. Rimettetele poscia nell'acqua fresca, e nella stessa pentola lessate un poco anche la polpa estratta dalle melanzane, che indi passerete egualmente nell'acqua fresca, e dopo alcuni minuti spremerete e pesterete nel mortajo unitamente a due spicchi d'aglio ed una manciata di funghi secchi già ammollati, o meglio funghi freschi fatti prima soffriggere un poco nell'olio. Quando il tutto è ben pestato, unitevi un uovo, un po' di ricotta, parmigiano grattalo, spezie e sale necessario, e mescolate ogni cosa onde assimilare bene il composto, del quale riempirete le mezze melanzane già vuotate, come è detto sopra, avendole prima fatte sgocciolare e poi spolverizzate internamente con poco sale. Finalmente, così ammannite, accomodatele in una teglia con olio, e fatele cuocere al forno.
Staccate dalle melanzane l'involucro presso il gambo, che serve loro di calice, tagliatele in mezzo e lavatele in acqua fresca; poi con un cucchiajno
1. Peperoni sotto l'aceto. — A questo scopo si scelgono generalmente piccoli peperoni, si mozza loro il gambo, si lavano, si fanno asciugare e un pochino appassire, poi si collocano in una pentola, a strati, spolverizzandoli di sale in abbondanza e, quando la pentola è colma, vi si versa sopra dell'aceto freddo, fortissimo, e si copre ogni cosa con una carta e con un tondino di legno, a ciò i peperoncini non marciscano venendo a galla e sporgendo dal liquido. Di tratto in tratto conviene esaminarli e mescolarli con un cucchiaio di legno. Essi si possono gustare in capo a 6-8 settimane. Volendo renderli più morbidi non avete che a farvi un taglio per il lungo nella punta. Se l'aceto diventasse debole e torbido converrebbe cambiarlo. V'è chi leva ai peperoni anche il piccolo calice verde.
L'Alchechingero o Fisalide, è una radice serpeggiante, perenne dei boschi d'Italia e di Germania. Da maggio ad agosto à fiori bianchi, viene in piena terra, in esposizione ombrosa. Se ne conoscono 14 varietà. La specie, coltivata anche da noi, che proviene dal Perù, si chiama physalis-pubescens o peruviana a caule più alto e ramoso, è pianta erbacea perenne, da serra perchè non resiste sempre ai geli. Ama terra sostanziosa e leggera, dà bacche giallognole dolci-acidule, della grossezza d' un lazzeruolo, ravvolte in un calice vescicolare, pure gialliccio, e si mangia come frutta da tavola. Il suo nome di physalis, dal greco physa, vescica, perchè il frutto o bacca glandulosa e biloculare, è chiuso in un calice gonfio e vescicoloso. Il seme à virtù produttiva per 8 anni. L'infelice Carlotta, imperatrice del Messico, ne era ghiottissima. In medicina sono diuretiche, rinfrescative, eccellenti nella nefrite, idropisia, ritenzione d'orina. Vogliono concilii il sonno. Nel linguaggio dei fiori: Errore. I Romani la chiamavano herba vescicatoria. La Phisalis-Alkikingivescicaria, a palloncini, produce bacche ritenute narcotiche, ma che pure, coltivata, sono bonissime a mangiarsi. È pianta erbacea perenne dei luoghi sassosi. Più narcotica è la corteccia della sua varietà Physalis somnífera, volgarmente: Solatro sonnifero.
giallognole dolci-acidule, della grossezza d' un lazzeruolo, ravvolte in un calice vescicolare, pure gialliccio, e si mangia come frutta da tavola. Il
Il Dattero, o Dattilo, è il frutto della palma oriente, albero sempre verde della Barberia, Egitto, Giudea, Siria, America meridionale e di molte parti dell'Africa. È diritto, arriva fino ai 40 metri d'altezza, e talvolta all'età di 200 anni e può portare più di 100 chilogrammi di frutto. Il suo legno è amaro e il frutto dolce. Da noi è pianta da serra calda. Si propaga per semi, che con molto calore nascono dopo 6 settimane. Non dà frutti che dopo moltissimi anni. Il suo nome dal greco Dactulos, dito, perchè questo frutto rassomiglia l'ultima falange delle dita. Nel linguaggio delle piante significa: Riconciliazione. Le sue bacche, i frutti nocciolosi oblunghi, che danno le sue sommità, sono quelli che noi chiamiamo datteri. Si mangiano freschi e secchi — i freschi sono meno sani. A noi pervengono essicati e a bon mercato. È frutto saporito e di facile digestione, da dessert quaresimale. I migliori sono quelli d'Alessandria d'Egitto. Si condisce dai confetturieri — serve a fare uno sciroppo zuccherino e a prepararne, colla fermentazione, un liquore inebbriante, una specie di nettare o vino che una volta in Oriente era riservato ai soli sovrani. In Oriente il dattero è condimento di pane, e cibo ai quadrupedi. Coi semi torrefatti del dattero, si prepara un caffè in Francia, che per la sua innocenza può collocarsi al limbo. In medicina è adoperato come pettorale, raddolcente. Bonastre ottenne dai datteri, succilaggine, gomma, zuccaro e albumina. Il midollo della palma si mangia come un ghiotto boccone. Il calice dei fiori è adoperato come vaso da bere. I rami della palma, lavorati, si distribuiscono coll'ulivo, nella domenica chiamata delle Palme, in ricordanza dell'entrata trionfale del Salvatore in Gerusalemme. Le sue foglie servono a fabbricare corde, gomene, stuoje, cesti, ecc. In Spagna e Sicilia avvi la palma, ma in proporzioni molto modeste e i suoi frutti non riescono mai o quasi mai a maturanza. È questa la Palma che si dava ai vincitori delle battaglie — è di questa che ancor oggi corre il detto: Avere la palma, conquistare la palma. Del dattero ne parla Paolo Egineta e Senofonte nel 2.° libro della Spedizione di Ciro, che li cita come un cibo divino, riservato ai soli ricchi. Molti soldati di Alessandro il Grande ci avevano lasciata la pelle per averne fatto delle pelli. Fino d' allora si candivano perchè i freschi eran fin d' allora ritenuti indigesti e nocevoli ai denti — tanto che appena mangiato, si sciaquava la bocca. Dei datteri si dice:
mangia come un ghiotto boccone. Il calice dei fiori è adoperato come vaso da bere. I rami della palma, lavorati, si distribuiscono coll'ulivo, nella
Il pepe, quale lo conosciamo, è il frutto secco, immaturo del piper nigrum, pianta vivace che cresce spontaneamente sulle coste del Malabar, Indostan, Malaca, Ceylan. Nella state à fiori senza calice in grappoli lunghi, bianchi, frutti a foggia di bacche, da principio verdi, poi rossi, e finalmente gialli. Raccolgonsi prima che siano completamente maturi, e vengono essiccati al sole o al foco, ciò che imparte alla superficie della bacca le rugosità ed il colore bruno-nero. Maturi, perdono il loro sapore bruciante. Da noi, il pepe è pianta da serra ed anche potendo allignare nelle nostre parti meridionali, darebbe frutti di nessuna forza. Il suo nome, dal greco pepto, digerire, cocere, che à virtù stomatica, riscaldante. Nel linguaggio delle piante: Rabbia. Fu per molto tempo ritenuto che il pepe bianco fosse una varietà del nero. Ma il pepe bianco non è altro che il pepe nero lasciato maturare, poi fatto macerare per due settimane nell'acqua di mare e di calce, e spogliato, mercè questa macerazione, delle parti esterne del pericarpio, dopo di averlo fatto essiccare, cosi che il suo sapore è meno piccante e meno aromatico, e la sua azione meno attiva. Il migliore pepe bianco è quello di Tellicherry, sulla costa del Malabar, ed il migliore pepe nero deve avere grani sferici, regolari, oscuri, non galeggianti sull'acqua.
, Malaca, Ceylan. Nella state à fiori senza calice in grappoli lunghi, bianchi, frutti a foggia di bacche, da principio verdi, poi rossi, e finalmente
Pigliate 6 od 8 melanzane; mondatele tagliando loro il picciuolo ed il calice, tagliatele a fette e mettetele in acqua fresca. Trinciate intanto sottilmente una cipolla; fatela soffriggere in casseruola con olio, sale e poco pepe, e quando comincia a rosolare, unitevi le melanzane, che avrete ritirate dall'acqua e fatte sgocciolare. Lasciate cuocere per alcuni minuti, rivoltando con un mestolo, ed aggiungete subito 2 o 3 pomidori, già sbucciati, mondati de' loro semi e trinciati minutamente. Quando poi le melanzane son cotte, versatevi sopra due uova sbattute, rimestate per un minuto, ritirate dal fuoco la casseruola, e vuotate il contenuto in un piatto, servendole subito.
Pigliate 6 od 8 melanzane; mondatele tagliando loro il picciuolo ed il calice, tagliatele a fette e mettetele in acqua fresca. Trinciate intanto
Staccate dalle melanzane l'involucro presso il gambo, che serve loro di calice, tagliatele in mezzo e lavatele in acqua fresca; poi con un cucchiaino vuotatele della polpa e fatele lessare sino a mezza cottura. Rimettetele nell'acqua fresca, e nella stessa pentola lessate un poco anche la polpa estratta dalle melanzane, che passerete egualmente nell'acqua fresca, e dopo alcuni minuti spremerete e pesterete nel mortajo con due spicchi di aglio ed una manciata di funghi secchi già ammollati, o meglio funghi freschi fatti prima soffriggere un poco nell'olio. Quando il tutto è ben pestato, unitevi un uovo, un po' di ricotta, parmigiano grattato, spezie e sale necessario, e mescolate ogni cosa per assimilare bene il composto, del quale riempirete le mezza melanzane già vuotate come è detto sopra, avendole prima fatte sgocciolare e spolverizzate internamente con poco sale. Così preparate ponetele in una tegghia con olio, e fatele cuocere al forno.
Staccate dalle melanzane l'involucro presso il gambo, che serve loro di calice, tagliatele in mezzo e lavatele in acqua fresca; poi con un cucchiaino
Staccate dalle melanzane, dette anche « petonciani » l'involucro presso il gambo che serve loro di calice, tagliatele in mezzo e lavatele in acqua fresca; poi, con un cucchiaino, vuotatele della polpa facendole lessare sino a mezza cottura. Rimettetele poscia nell'acqua fresca, e lessate, per poco, nella stessa pentola, anche la polpa estratta dalle melanzane, che passerete egualmente nell'acqua fresca. Dopo alcuni minuti la spremerete e la pesterete nel mortaio unitamente a 2 spicchi di aglio, con una manciata di funghi secchi già ammollati, o meglio funghi freschi, fatti però prima soffriggere nell'olio. Quando il tutto sarà ben pestato, unitevi un uovo, un poca di ricotta, del parmigiano grattato, spezie e sale a piacere, mescolando ogni cosa onde assimilare bene il composto, del quale riempirete le mezze melanzane già vuotate come è detto sopra, avvertendo prima di farle sgocciolare e poi spolverizzarle internamente con poco sale. Finalmente, così preparate, accomodatele in una teglia con olio e fatele cuocere al forno.
Staccate dalle melanzane, dette anche « petonciani » l'involucro presso il gambo che serve loro di calice, tagliatele in mezzo e lavatele in acqua
Mescolate bene i detti ingredienti e formate così una pastella non molto densa; gettateci dentro delle rose rosse vellutate spampanate, dopo aver tolto il gambo all'altezza del calice, e friggetele in olio bollente come si usa fare per i carciofi alla giudea. Servitele a tavola caldissime.
tolto il gambo all'altezza del calice, e friggetele in olio bollente come si usa fare per i carciofi alla giudea. Servitele a tavola caldissime.
Sceglieteli molto maturi e ben rossi, togliete il calice e metteteli a cuocere sopra un fuoco lento, rimestando. Versateli poi in un pannolino od in un paniere, e lasciateli sgocciolare sino al domani. Passateli allo staccio, e mettete la polpa in bottiglie, facendo cuocere 15 minuti a bagno-maria.
Sceglieteli molto maturi e ben rossi, togliete il calice e metteteli a cuocere sopra un fuoco lento, rimestando. Versateli poi in un pannolino od in
Questa tavola viene servita in egual modo anche per vintiquattro o più persone. Dinanzi ogni coperto si pongono quattro bicchieri a calice della medesima forma, ma di varia grandezza, l'uno pel vino ordinario, l'altro pel Borgogna o Bordeaux, il terzo pello Sciampagna, il quarto pel vino di Madera o di Xeres. Fra ogni coperto avvi una carafina per l'acqua o pel vino. Nel mezzo della tavola stanno due scalda-vivande ovali che servono per gli arrosti e le prime portate, e vengono quindi al dessert sostituiti da piattini montati o corbelli di frutta. Le otto figure che trovansi, quattro a destra e sinistra di esse scalda-vivande rappresentano dieci piatti da dessert variati con gusto, portanti frutta candite e ghiottonerie di zucchero od altro, le une più appetitose delle altre. Nel mezzo della tavola avvi un corbello di fiori; e alle estremità due altri di frutta. In questi due ultimi posti però possono anche collocarsi due candelabri.
Questa tavola viene servita in egual modo anche per vintiquattro o più persone. Dinanzi ogni coperto si pongono quattro bicchieri a calice della
Staccate dalle melanzane l'involucro presso il gambo, che serve loro di calice, tagliatele in mezzo e lavatele in acqua fresca; poi con un cucchiaino vuotatele della polpa e fatele lessare sino a mezza cottura. Rimettetele poscia nell'acqua fresca, e nella stessa pentola lessate un poco anche la polpa estratta dalle melanzane, che indi passerete egualmente nell'acqua fresca, e dopo alcuni minuti spremerete e pesterete nel mortaio unitamente a due spicchi d'aglio ed una manciata di funghi secchi già ammollati, o meglio funghi freschi fatti prima soffriggere un poco nell'olio. Quando il tutto è ben pestato, unitevi un uovo, un po' di ricotta, parmigiano grattugiato, spezie e sale necessario, e mescolate ogni cosa onde assimilare bene il composto, del quale riempirete le mezze melanzane già vuotate, come è detto sopra, avendole prima fatte sgocciolare e poi spolverizzate internamente con poco sale. Finalmente, così ammannite, accomodatele in una tegghia con olio, e fatele cuocere al forno.
Staccate dalle melanzane l'involucro presso il gambo, che serve loro di calice, tagliatele in mezzo e lavatele in acqua fresca; poi con un cucchiaino
Prendete 7 o 8 melanzane; mondatele recidendo loro il picciuolo ed il calice, tagliatele a fette e mettetele in acqua fresca. Trinciate intanto sottilmente una cipolla; fatela soffriggere in una casseruola con olio, sale e poco pepe, e quando comincia a rosolare unitevi le melanzane, che avrete ritirate dall'acqua e fatte sgocciolare. Lasciate cuocere per alcuni minuti, rivoltando con un mestolo, ed aggiungete subito 2 o 8 pomidori, già sbucciati, mondati de' loro semi e trinciati minutamente sul tagliere colla mezzaluna. Allorchè poi le melanzane saranno cotte, versatevi sopra due uova sbattute, rimestate per un minuto, ritirate dal fuoco la casseruola, e versatone il contenuto in un piatto, servitelo tosto in tavola.
Prendete 7 o 8 melanzane; mondatele recidendo loro il picciuolo ed il calice, tagliatele a fette e mettetele in acqua fresca. Trinciate intanto
Il vino da pasto (bianco o nero) rimane per tutta la durata della mensa sulla tavola, comunemente in caraffine di cristallo, quelle vuote rimpiazzandosi con altre ricolme. Qualora vuolsi servire una qualità migliore, la si presenti al pospasto. Se invece vi sono dei vini a scelta, il domestico ha da dirne il nome. Nei pranzi signorili si fa recare un vino distinto già insieme agli assiettes (Madera, Sherry, Sauterne, Xeres), per le carni si presentano i vini rossi (il Chianti, Barbera, Bordeaux, vin del Reno ecc.), pell'arrosto lo sciampagna tenuto nel ghiaccio. Altre qualità di vini bianchi si tengono in fresco nell'acqua diaccia, il vino nero al contrario usasi bere alla temperatura della sala da pranzo, e ove lo si porti fresco dalla cantina, va immerso per un momento solo nell'acqua calda. Al dessert va presentato del vino dolce: Tokay, Moscato-Lunel ecc. o del vino spumante. Nelle mense più modeste, a seconda del grado di ricchezza impiegatovi, si servono i vini del paese. Alle gran mense usasi offrire dopo il manzo del ponce congelato in calice (ponche a la romana), e dopo il caffè di spesso ancora un liquore, come: Curaçao, Maraschino, Anisette ed altro, versato in appositi calicini.
congelato in calice (ponche a la romana), e dopo il caffè di spesso ancora un liquore, come: Curaçao, Maraschino, Anisette ed altro, versato in appositi
Pomidoro in ghiaccio alla sarda. Prendete dei bei pomidoro rotondi, colla buccia liscia e tutti eguali. Sopprimetene il calice verde con una fettina di polpa e vuotateli diligentemente. Preparate intanto dei filetti di pesce lesso o d'astaco, o di pollo, o d'altra carne cotta che vi piaccia, unitevi della buona gelatina sciolta, empite i pomidoro con questo composto, metteteli in ghiaccio e al momento di servirli copritene l'apertura con un cucchiaio di mayonnaise.
Pomidoro in ghiaccio alla sarda. Prendete dei bei pomidoro rotondi, colla buccia liscia e tutti eguali. Sopprimetene il calice verde con una fettina
Procedimento. Versate 2 quartucci d'acqua bollente su 200 gr. di violette d'Udine e di colore molto scuro, dalle quali avrete levato il verde del calice ; collocatele in un arnese di stagno per mantener loro il colore. Il giorno appresso passate il liquido senza comprimere i fiori e unitevi 900 gr. di zucchero in pane, sciogliendolo in un arnese di terra nuovo a fuoco dolcissimo. Dopo poche ebollizioni riponetelo in bottiglie.
calice ; collocatele in un arnese di stagno per mantener loro il colore. Il giorno appresso passate il liquido senza comprimere i fiori e unitevi 900 gr
36. Knickebein (bibita tedesca a due colori). — Versate in un bicchierino in forma di calice molto stretto in fondo un po' di liquore d'alchermes. Rompete un uovo, versate fuori con cura l'albume e lasciate scivolare destramente il rosso sull'alchermes, poi riempite adagio adagio il bicchierino con del maraschino di Zara. Potete fare questo scherzo con liquori svariati combinando i colori. Le uova devono essere freschissime, e i colori devono rimanere separati. S'intende che sul fondo del bicchierino dovete versare il liquore che ha maggior peso.
36. Knickebein (bibita tedesca a due colori). — Versate in un bicchierino in forma di calice molto stretto in fondo un po' di liquore d'alchermes
buccia senza disgiungerla in fondo e in modo che risulti su per giù come il calice d'un fiore; aprite anche gli spicchi, badando però che alla base restino uniti. Spolverizzate internamente le frutta con dello zucchero vanigliato in abbondanza e disponetele nelle alzate di cristallo con molte foglie frammezzo.
buccia senza disgiungerla in fondo e in modo che risulti su per giù come il calice d'un fiore; aprite anche gli spicchi, badando però che alla base
Ingredienti: Ribes gr. 500, lamponi gr. 500, fragole gr. 500, visciole gr. 250, amarasche gr. 250 (queste frutta si pesano sgranate e pulite dal calice e dallo stelo), zucchero chilogr. 1, acqua un quarto di litro, spirito litri 1 circa.
calice e dallo stelo), zucchero chilogr. 1, acqua un quarto di litro, spirito litri 1 circa.
Peperoni. Scegliete dei peperoncini tutti eguali, levate loro il gambo e il calice, se volete servirvene presto praticatevi una piccola incisione nella punta, in caso contrario lasciateli intatti. Metteteli in vasi di vetro, spolverizzateli con del sale in buona dose e copriteli d'aceto crudo. Abbiate le stesse precauzioni come per i cetrioli.
Peperoni. Scegliete dei peperoncini tutti eguali, levate loro il gambo e il calice, se volete servirvene presto praticatevi una piccola incisione
Il metodo adoperato con grande vantaggio a Laon e nei contorni, consiste nel cuocere i carciofi! a metà, nel purgarli da tutte le foglie e da quello che dicesi fieno interno, che altro non è se non che l'embrione dei fiori, conservando la parte carnosa che si trova alla base delle squame del calice; si gettano in seguito i carciofi! ancora caldi nell'acqua fredda, ove si imbiancano e pigliano consistenza; dispongono quindi sopra graticci di legno, e si espongono fino a quattro volte nel forno, tosto che se ne è tratto il pane; in questo modo essi diventano piccoli, duri e trasparenti e non ripigliano la prima loro forma, se non che immersi nell'acqua calda. Non meno di 40 carcioffi richieggonsi per formare una libbra di fundi secchi di grossezza comune; ma secchi si conservano per lungo tempo, purchè si tengano sempre in luogo asciutto, altrimenti l'umidità fa loro contrarre un odore di muffa.
che dicesi fieno interno, che altro non è se non che l'embrione dei fiori, conservando la parte carnosa che si trova alla base delle squame del calice