Tutti son Cuochi, tutti fan la Cucina, ognuno fino ad ora ha mangiato: è inutile dunque un Trattato su questo genere, cosi dirà qualche cuoco solo di nome, o qualch'altra persona, che non sa cosa sia un buono, e sano alimento. Per essere eccellente in questa professione senza limiti, e che si estende fin dove giunge una felice immaginazione, non basta saper fare un'ordinario, un pranzo, o una cena; bisogna saperlo far bene, mentre in tutte le professioni vi è il buono, il mediocre, ed il cattivo; ma quel che v'è più di male, che ognun suppone di essere un Cuoco perfetto, nel tempo stesso che forse ne ignora i primi principi. Più un uomo ha talento, e meno ha presunzione, come si vede coll'esperienza, essendo l'amor proprio un terribile ostacolo a qualunque avanzamento.
forse ne ignora i primi principi. Più un uomo ha talento, e meno ha presunzione, come si vede coll'esperienza, essendo l'amor proprio un terribile
Bisogna leggere in Seneca il ritratto ch'egli ne fa; dico in Seneca, perchè la sua severità, o se si vuole la sua bile c'insegna molte cose, che degli uomini più indulgenti per i difetti del loro secolo, passano ordinariamente sotto silenzio: non si vede, dice questo Scrittore, che dei Sibariti stesi mollemente sopra i loro letti, contemplando la magnificenza delle loro mense, sodisfacendo le loro orecchie del concerto il più armonioso, i loro occhj degli oggetti i più vezzosi, il loro odorato dei profumi i più squisiti, ed il loro palato delle vivande le più dilicate:
degli uomini più indulgenti per i difetti del loro secolo, passano ordinariamente sotto silenzio: non si vede, dice questo Scrittore, che dei Sibariti
In fine deve avere quel bel dettaglio, che a un colpo d'occhio sappia conoscere il lavoro che si ha da fare, la provvisione che vi bisogna, il tempo che vi vuole per farlo, e la gente necessaria alla manipulazione. Ma per sapere tutto questo bisogna, che chi dirigge sia maestro nella professione. Pur troppo si vede per una Tavola di quaranta, o cinquanta Coperte fare una spesa per una di cento, e qualche volta di più, e ciò accade non per altro motivo, che per mancanza di precisione, e capacità, in chi lavora, o dirige.
. Pur troppo si vede per una Tavola di quaranta, o cinquanta Coperte fare una spesa per una di cento, e qualche volta di più, e ciò accade non per altro
Questo pesce viene nominato anche Dorato a cagione del color giallo che ha su' fianchi; ma comunemente è appellato pesce di S. Pietro sulla credenza, che questo Apostolo prendesse un tal pesce per comando del Salvatore, e che trovasse una moneta nella di lui bocca, onde pagare il tributos e che l'impronta delle due dita abbia formata la macchia, che gli si vede sul ventre. Esso vive di cadaveri, e di tutto ciò che ritrova nel mare, abita volontieri fra gli scogli, o dell'Oceano, o del Mediterraneo. La sua carne è meno dura di quella del Rombo, di un buon sugo, facile alla digestione, ed era molto stimata dagli antichi, ma al presente viene riguardato questo pesce come assai ordinario, e di poco pregio. Il migliore è quello, che si prende nell'Inverno, e nella Primavera.
'impronta delle due dita abbia formata la macchia, che gli si vede sul ventre. Esso vive di cadaveri, e di tutto ciò che ritrova nel mare, abita
Tutti son cuochi, tutti fan la cucina, ognuno fino ad ora ha mangiato: è inutile dunque un Trattato su questo genere, cosi dirà qualche cuoco solo di nome, o qualch'altra persona, che non sa cosa sia un buono, e sano alimento. Per essere eccellente in questa professione senza limiti, e che si estende fin dove giunge una felice immaginazione, non basta saper fare un'ordinario, un pranzo, o una cena; bisogna saperlo far bene, mentre in tutte le professioni vi è il buono, il mediocre, ed il cattivo; ma quel che v'è più di male, che ognun suppone di essere un cuoco perfetto, nel tempo stesso che forse ne ignora i primi principi. Più un uomo ha talento, e meno ha presunzione, come si vede coll'esperienza, essendo l'amor proprio un terribile ostacolo a qualunque avanzamento Ecco una delle ragioni, per cui in Italia l'arte della Cucina da due secoli a questa parte è andata sempre più in decadenza. Un cuoco si crederebbe tacciato d'ignoranza, se fosse sorpreso leggendo un libro, che tratta della sua professione; come se un Avvocato, un Medico, un Architetto dovessero vergognarsi di applicarsi alla lettura di quelle Opere, onde raffinare maggiormente i! proprio talento. Chi ha mai pensato, che lo studio possa dare un'idea poco vantaggiosa, del merito, e che debba nuocere all'abilità, e al sapere di chi vi si applica? Noi non abbiamo in Italia quei lunghi, ed assidui lavori, onde colla prattica potersi istruire, nè a tutti si presentano quelle occasioni di vedere il Mondo, e di osservare nei paesi esteri la maniera diversa dalla nostra, colla quale preparano, non solo gli alimenti a noi cogniti, ma eziandio quelli da noi non mai veduti; di modo che volendo correggere questo difetto del caso, non solo bisogna abbracciare con avidità tuttociò, che può istruire, ma di più bisogna andare in traccia di quanto può contribuire a perfezionarsi nella pro pria professione.
forse ne ignora i primi principi. Più un uomo ha talento, e meno ha presunzione, come si vede coll'esperienza, essendo l'amor proprio un terribile
Bisogna leggere in Seneca il ritratto ch'egli ne fa; dico in Seneca, perchè la sua severità, o se si vuole la sua bile c'insegna molte cose, che degli uomini più indulgenti per i difetti del loro secolo, passano ordinariamente sotto silenzio: non si vede, dice questo Scrittore, che dei Sibariti stesi mollemente sopra i loro letti, contemplando la magnificenza delle loro mense, sodisfacendo le loro orecchie del concerto il più armonioso, i loro occhj degli oggetti i più vezzosi, il loro odorato dei profumi i più squisiti, ed il loro palato delle vivande le più dilicate: mollibus, lambusque fomentis totum lacessitur corpus, etc. ne nares interim cessent, odoribus variis inficitur locus ipse, in quo luxurie paventantur;: in effetto abbiamo da loro l'uso dalla moltiplicità dei servizi, e lo stabilimento di quei servi, che si chiamano Scalco, Bottigliere, Uffiziante ec.; e singolare il modo, col quale essi venivano serviti; il Maestro di Casa era obbligato d'invigilare alle spese della Tavola ch'erano immense, e servirla; lo Scalco a trinciare, e ciò il più delle volte in cadenza a suono di musica; il Bottigliere doveva aver cura dei vini, e servirli; l'Uffiziante girare i piatti, e le carni trinciate, ec. e vi erano altri che doveano cacciare le mosche con dei grandi ventagli di penne.
degli uomini più indulgenti per i difetti del loro secolo, passano ordinariamente sotto silenzio: non si vede, dice questo Scrittore, che dei Sibariti
In fine deve avere quel bel dettaglio, che a un colpo d'occhio sappia conoscere il lavoro che si ha da fare, la provvisione che vi bisogna, il tempo che vi vuole per farlo, e la gente necessaria alla manipulazione. Ma per sapere tutto questo bisogna, che chi dirigge sia maestro nella professione. Pur troppo si vede per una Tavola di quaranta, o cinquanta Coperte fare una spesa per una di cento, e qualche volta di più, e ciò accade non per altro motivo, che per mancanza di precisione, e capacità, in chi lavora, o dirige.
. Pur troppo si vede per una Tavola di quaranta, o cinquanta Coperte fare una spesa per una di cento, e qualche volta di più, e ciò accade non per altro
L'altra maniera, che è la più facile, e la più sicura è questa. Alzate la coscia diritta del Pollastrello, spennategli un poco questa parte, fategli un picciolo taglio nel ventre sotto la detta coscia, badando di non offendere qualche nervetto che trovasi da questo lato; introducete il dito nella ferita, e portate via con diligenza i due granelletti al Pollastrello, cucite, e ungete come sopra, tanto la ferita del fianco, quanto il taglio della cresta. Questo metodo è il migliore, perchè non vi bisogno di scansare gl'intestini, mentre i granelletti si trovano subito, e si tirano fuori con più facilità, perchè si castrano perfettamente, e non per metà, e perchè finalmente non si vede il taglio, nel caso che il Cappotte si abbia d'apprestare nella Cucina in usa maniera elegante.
facilità, perchè si castrano perfettamente, e non per metà, e perchè finalmente non si vede il taglio, nel caso che il Cappotte si abbia d'apprestare
Questo pesce viene nominalo anche Dorato a cagione del color giallo che ha su' fianchi, ma comunemente è appellato pesce di S. Pietro sulla credenza, che questo Apostolo prendesse un tal pesce per comando del Salvatore, e che trovasse una moneta nella di lui bocca, onde pagare il tributo, e che l'impronta delle due dita abbia formata la macchia, che gli si vede sul ventre. Esso vive di cadaveri, e di tuto ciò che ritrova nel mare, abita volentieri fra gli scogli, o dell'0ceano, o del Mediterraneo. La sua carne è meno dura di quella del Rombo, di un buon sugo, facile alla digestione, ed era molto stimata dagli antichi, ma al presente viene riguardato questo pesce come assai ordinario, e di poco pregio.
'impronta delle due dita abbia formata la macchia, che gli si vede sul ventre. Esso vive di cadaveri, e di tuto ciò che ritrova nel mare, abita
Questo pesce è molto vischioso, onde ha gran bisogno del soccorso de' condimenti, a motivo, che produce de' sughi assai grossolani. Benchè l'uso della Tinca sia condannato quasi da tutti gli Autori, a cagione di un sugo vischioso, e grossolano, che produce, come essi asseriscono, non si lascia per questo d'impiegarla spesso fra gli alimenti, e non si vede neppure, che produca de' cattivi effetti; a meno, che non se ne mangi con eccesso: e se la carne di questo pesce non è molto salubre, non è almeno generalmente nociva, come si è osservato coll'esperienza.
questo d'impiegarla spesso fra gli alimenti, e non si vede neppure, che produca de' cattivi effetti; a meno, che non se ne mangi con eccesso: e se la
Anche questo piatto, se non si vede manipolare, è difficile che riesca bene; mi proverò a descriverlo, ma non garantisco di farmi capire. A me queste ciambelline furono insegnate col nome di beignets; ma la loro forma mi suggerisce quello più proprio di ciambelline, e per tali ve le offro. Mettete al fuoco in una cazzaruola grammi 180 di acqua, un pezzetto di burro quanto una grossa noce, due cucchiaini di zucchero e un pizzico di sale. Quando il liquido bolle, stemperateci grammi 120 di farina gettandola tutta a un tratto onde non si formino bozzoli e dimenate subito col mestolo. Levatela presto dal fuoco e mentre è così a bollore scocciate nella medesima un uovo e mescolate forte finchè sia bene incorporato; poi ad intervalli, quando il composto è diaccio, aggiungete altre due uova lavorando sempre e molto col mestolo finchè sia ben mantecato; e ciò si conosce dall'azione del mestolo stesso, il quale, nei vuoti che lascia, si tira dietro un sottil velo di pasta. Datele l'odore di vainiglia e preparate sulla spianatoia una certa quantità di farina sulla quale verserete la detta pasta. Allora cominciate a palparla colle mani imbrattate nella stessa farina e avvoltolatevela entro in modo che della farina se ne appropri tanta da rendersi maneggevole, ma però morbida alquanto.
Anche questo piatto, se non si vede manipolare, è difficile che riesca bene; mi proverò a descriverlo, ma non garantisco di farmi capire. A me queste
Come avrete notato in questa e in molte altre ricette della presente raccolta, la mia cucina inclina al semplice e al delicato, sfuggendo io quanto più posso quelle vivande che, troppo complicate e composte di elementi eterogenei, recano imbarazzo allo stomaco. Ciò non ostante un mio buon amico, per iscambio, la calunniava. Essendo egli stato colpito da paralisi progressiva, che lo tenne infermo per oltre tre anni, non trovava altro conforto alla sua disgrazia che quello di mangiar bene, e quando ordinava il pranzo alla sua figliuola non mancava di dirle: — Bada di non darmi gl'intrugli dell'Artusi. — Questa signorina, che era la massaia di casa, avendo ricevuta la sua educazione in un collegio svizzero del cantone francese, si era colà provveduta del trattato di cucina di Madame Roubinet; e volgendo a questo tutta la sua simpatia, poco o punto si curava del mio. Gl'intrugli lamentati dal padre erano dunque di questa madama dal rubinetto, la quale, si vede, dava con questo la via, più che non farei io, alle acque torbe della cucina.
dal padre erano dunque di questa madama dal rubinetto, la quale, si vede, dava con questo la via, più che non farei io, alle acque torbe della cucina.
Le aringhe vivono in numero sterminato nelle profondità dei mari dell'estrema Europa e si fanno vedere alla superficie solo al tempo della riproduzione, cioè nei mesi di aprile, maggio e giugno, e dopo deposte le uova scompariscono nella profondità della loro abituale dimora. Si vede il mare talora per diverse miglia di seguito luccicante e l'acqua divenir torbida per la fregola e per le squamme che si distaccano. In Inghilterra arrivano dal luglio al settembre e la pesca, che si fa con reti circolari, n'è sì abbondante sulle spiagge di Yarmouth che talvolta se ne sono preparate fino a 500 mila barili.
riproduzione, cioè nei mesi di aprile, maggio e giugno, e dopo deposte le uova scompariscono nella profondità della loro abituale dimora. Si vede il mare talora
Si dice, e a ragione, che i fagiuoli sono la carne del povero, e infatti quando l'operaio, frugandosi in tasca, vede con occhio malinconico che non arriva a comprare un pezzo di carne bastante per fare una buona minestra alla famigliuola, trova nei fagiuoli un alimento sano, nutriente e di poca spesa. C'è di più; i fagiuoli restano molto in corpo, quetano per un pezzo gli stimoli della fame; ma…. anche qui c'è un ma, come ce ne sono tanti nelle cose del mondo, e già mi avete capito. Per ripararvi, in parte, scegliete fagiuoli di buccia fine o passateli; quelli dall'occhio hanno meno degli altri questo peccato.
Si dice, e a ragione, che i fagiuoli sono la carne del povero, e infatti quando l'operaio, frugandosi in tasca, vede con occhio malinconico che non
Si sbattono otto rossi d'uovo in una casseruola, quindi si rimescolano a poco a poco con un mezzo boccale di crema assai densa; il tutto si fa poi bollire, e sempre rimenando, vi si versa a poco a poco un boccale o anche un boccale ed 1/4 di birra, entro la quale si è già posta in infusione cannella e zuccaro in quantità bastante, perchè sia raddolcita. Vi si aggiunge un poco di sugo di limone continuando sempre a rimenare; poi si leva dal fuoco allorchè la materia si vede giunta ad una densità conveniente, e si versa sopra le fette di pane tostate ed arrostite.
allorchè la materia si vede giunta ad una densità conveniente, e si versa sopra le fette di pane tostate ed arrostite.
Un filetto di bue ben pulito dal grasso e dai nervi, e messo in marinata per 24 ore in una terrina con prezzemolo, un mezzo spicchio d'aglio ed 8 o 10 funghi, il tutto tritati, sale, noce moscata e un poco d'olio di Sabina, due ore prima di servirlo ponetelo in una teglia ovale, bresera con tutta la sua marinata coprite col GATEAU NOBILE. (67) Fatevi una pasta a savarè, dipoi imburrate e infarinate due o tre bordure liscie in cui metterete la suddetta pasta; allorquando sarà lievitata fatela cuocere in forno temperato, e dopo cotta levatela dagli stampi e lasciatela freddare. Poscia tagliatela a fette trasversalmente, della grossezza di due centimetri, bagnatele con un punch al maraschino. Avrete in pronto una crema pasticciera alla vainiglia la quale spalmerete in strati sulle fette per poi ricomporre il gâteau. Fate attenzione che le fette restino bene eguali e ben combaciate. Dopo formato il gâteau glassatelo con un zucchero al fondant di pistacchi che resti di un bel verde e decorato con una reale bianca, fate una bordura di croccante di mandorle e un corno di abbondanza con 16 pezzi come si vede nel modello; montate il gâteau sopra la bordura di croccante, riempitelo di frutta candite, aggiustate sopra il corno, e decorate bene il tutto come dal disegno che vi presentiamo. N. B. — Il zoccolo è fatto in pastigliaggio. suo coperchio e con fuoco sotto e sopra o pure al forno, fategli prendere un bel colore e di poi bagnate con marsala, bagnatelo spesso con il pennello o con cucchiaio a ciò resti ben glassato, fate attenzione di non bucarlo acciò non esca del sangue, tenetelo a fuoco fino a completa cottura ma che l'interno del filetto, sia ben rosso e succulento. Al momento di servire avrete pronto una guarnizione di funghi che metterete attorno al filetto, indi poi passate il succo in un cornetto e bene disgrassato unitevi del burro di alici ben girato al momento servite in una salsiera a parte.
croccante di mandorle e un corno di abbondanza con 16 pezzi come si vede nel modello; montate il gâteau sopra la bordura di croccante, riempitelo di
Presa la quantità di lepre proporzionata alla grandezza del pasticcio che si vuol fare, le si levino le ossa, e si metta in marinaggio caldo, cioè in una casseruola con poco olio vergine, una presa di pepe pesto, otto garofani pure pesti, un piccolo battuto di cipolla, prezzemolo, due foglie di alloro, sei granelli di ginepro, aggiungendovi un poco di sale; si metta sopra al fuoco, e con un mestolo si rimuova continuamente; quando si vede che incomincia a soffriggere, vi si metta un poco di aceto ben forte, poi si rivolti e fate in modo che torni a soffriggere; allora si cavi e si ponga a freddare coprendolo bene; ma innanzi di formare il pasticcio, si terrà due giorni in detto marinaggio, dippoi si farà come si disse per il pasticcio di starne, tenendo in tutto lo stesso metodo fuorchè nella cottura, poichè a questo gli si daranno quattro ore. Quando sarà a metà cotto, vi si metterà dal buco superiore del pasticcio un mezzo ramaiuolo di brodo di carne, lasciandolo così terminare di cuocere. Cotto che sarà a perfezione, si levi, e si metta a freddare, dovendo essere ben freddo avanti di aprirlo, e vi si aggiunga la gelatina composta come fu superiormente insegnato. Avvertasi pure che riescirà più perfetto se lo preparerete tre giorni prima di quello in cui dovrà essere servito. Questo genere di pasticci riescono gustosissimi, e si conservano lungamente nell'inverno.
alloro, sei granelli di ginepro, aggiungendovi un poco di sale; si metta sopra al fuoco, e con un mestolo si rimuova continuamente; quando si vede che
Si prenderanno dei tordi freschi e grassi nella quantità proporzionata al numero delle persone per le quali dovrà servire. Per dieci persone cene vorranno due dozzine; a questi si leverà il capo unitamente al collo, togliendone pur anche le gambe, ed infilzando dippoi nel corpo le coscie, ben inteso dopo che saranno stati ben ripuliti dagli interiori; dippoi uno alla volta infilzati in uno spiedino in legno o in ferro, si devono fiammeggiare sopra la fiamma del carbone BUFFET PER SALA DA PRANZO (17) Il copritore di tavola, o chi ne fa le veci, suole disporre su questo mobile tutto ciò che si riferisce al servizio di tavola stesso; come a dire piatti, posate di ricambio, vini, fruttiere, ec. ec. Chi primeggia in questo genere di mobilio è il sig. A. Levera, il di cui stabilimento fondato fin dal 1850, ha riportato le più alte onorificenze in tutte le Esposizioni. Il fabbricante Sig. Levera è fornitore delle R.R. Case, ed ha due sedi una in Via del Corso 397, (stabile proprio) ed un'altra in Firenze in Via del Giglio N. 11. Il disegno che noi presentiamo, quantunque sia uno dei migliori, non è uno dei primissimi usciti da questo importantissimo stabilimento. acceso, oppure dello spirito; dopo di che si laveranno bene, mettendoli poi in una casseruola stagnata e ben pulita con un pezzo di burro, un poco sale, una presa di pepe pesto, un poco di noce moscata grattuggiata, un battuto di mezza cipolla, ed un poco prezzemolo tritati ben fini, e si porranno al fuoco, aggiungendovi del buon sugo di carne, dopo che saranno un poco soffritti, e lasciandolo consumare. Si leveranno allora dal fuoco mettendoli a freddare; intanto si prepari il suo ripieno che si potrà fare con una libbra e 1/2 di fegato di vitello, ben ripulito dalle glandole (qualora ve ne fossero, ma un cuoco che si rispetta non ne compra mai, se non lo vede sincero,) e ben lavato, si deve battere finamente sopra un tagliere con un coltello; di poi vi si metteranno dei piccoli dadi di prosciutto, una mollica di pane inzuppata nel suddetto sugo, due rossi d'uovo, un poco di sale, una presa di pepe pesto un poco di noce moscata grattata, un piccolo battuto ben fino di prezzemolo ed una o due foglie di alloro mescolando bene tutte queste cose. Prendasi quindi una casseruola ovale, si fasci bene al di dentro con fette di lardo ben sottili, e nel fondo della medesima vi si metterà la grossezza di un dito del suddetto ripieno, sopra al quale si accomoderanno i tordi con simmetria, e mettendovi dell'altro ripieno così continuando finchè ve ne rimane: dopo si cuoprirà con fette di lardo, poi con un foglio di carta, e si metterà a cuocere nel forno ben temperato, cioè non tanto caldo: quando principierà a bollire, ci si metterà un poco del suddetto sugo, dandogli di cottura due ore, osservando che si asciughi senza prendere di bruciato. Si levi allora dal fuoco, e divenuto freddo si levi dalla casseruola, gli si tolgano le fette di lardo, e posto su di un piatto, si serva contornato di verdura.
si rispetta non ne compra mai, se non lo vede sincero,) e ben lavato, si deve battere finamente sopra un tagliere con un coltello; di poi vi si
Colla di piedi d'Agnello. È questa colla molto più economica e più sana di quella di pesce per le gelatine. La potete preparare prendendo due libbre di piedi d'agnello puliti e senza peli, i quali taglierete a pezzetti, e laverete in due o tre acque acciò perdano il sangue; quindi imbiancateli nell'acqua quasi bollente, cambiatela due o tre volte per far loro perdere il puzzo disgustoso di selvatico e le parti grasse che contengono. Quindi, li collocherete in una casseruola o marmitta grande con 16 boccali d'acqua, e posta a fuoco li farete bollire per 10 ore sino a che tutto quell'umido siasi ridotto e ristretto ad un boccale, e procurando sempre di togliere tutta la schiuma ed il marciume che man mano si accumulano sulla superficie del brodo. Lo passerete quindi per uno staccio e lo lascerete raffreddare, poi sgrassato con diligenza, vi metterete due chiare d'uova sbattute e porrete di nuovo la gelatina al fornello mescolandola sino a che vorrà bollire. Quando comincia a granire, e che a traverso della chiara si vede il brodo limpido, spremetegli dentro il sugo di uno o due limoni, con tre o quattro goccie di acqua fresca, tirate la casseruola alla riva del fornello, cuopritela con fuoco sopra lasciandola chiarificare, passatela alla salvietta. Questa dose serve per legare la gelatina quanto due once di colla di pesce.
di nuovo la gelatina al fornello mescolandola sino a che vorrà bollire. Quando comincia a granire, e che a traverso della chiara si vede il brodo
Si fa un battuto con un quarto di cipolla, uno spicchio d'aglio, un pezzo di sedano lungo un dito, alcune foglie di basilico e di prezzemolo a sufficienza. Si condisce con un poco d'olio, sale e pepe, si spezzano sette o otto pomodori e si mette al fuoco ogni cosa insieme. Si mescola di quando in quando, e allorchè si vede il sugo condensato, come una crema liquida, si passa dallo staccio e si serve. Questa salsa serve a moltissimi usi; è ottima col lesso, è ottima per condire le paste asciutte a cacio e burro e i vari risotti.
quando, e allorchè si vede il sugo condensato, come una crema liquida, si passa dallo staccio e si serve. Questa salsa serve a moltissimi usi; è ottima
Si mette al fuoco in una casseruola, una cucchiaiata di farina e un pezzetto di burro. Col mestolo si scioglie il burro e la farina insieme e quando questa comincia a prendere il colore nocciuola, vi si versa, a poco per volta, del latte, girando continuamente il mestolo, finchè non si vede il liquido condensato come una crema di color latteo. Se verrà troppo soda, si aggiunge del latte, se troppo liquida, si rimette al fuoco con un altro pezzetto di burro intriso nella farina. Una buona balsamella e un sugo di carne tirato a dovere costituiscono la base di una cucina fine e delicata.
questa comincia a prendere il colore nocciuola, vi si versa, a poco per volta, del latte, girando continuamente il mestolo, finchè non si vede il
Anche per i pesci succede, sul mercato, quello che succede per la carne da macello: in genere costano più quelli che valgono meno dal punto di vista alimentare e viceversa. E così si vede costare «dieci» una sogliola ed una spigola, ed in confronto «due» per esempio, le anguille o le sardine e specialmente quell'ammasso di minutissimi organismi (la frittaglia) che, al sapore gradito, accoppiano un alto valore nutritivo. È stato infatti dimostrato che un chilo di carne costituito da molti piccoli individui, ha un più alto valore alimentare di un chilo di carne, porzione di un organismo solo, con la differenza che questo costa molto sul mercato, mentre il chilo di minuti organismi, messi insieme, costa sempre meno e nutre di più.
alimentare e viceversa. E così si vede costare «dieci» una sogliola ed una spigola, ed in confronto «due» per esempio, le anguille o le sardine e
276. Pasta in tavolette d'ogni frutto - Avrete delle albicocche, pesche, mele cotogne, pere, fragole od altri frutti di vostro gusto, maturi al loro punto; pelate e tagliate a fette sottili le pere e le mele, levate il nocciuolo alle pesche ed albicocche, fatele cuocere con un po' d'acqua; cotte tenere passatele allo staccio, riposta la polpa in tegame su dolce fuoco, tramenate finchè sia ridotta come a polentina, passatela, fate indi fondere tanto zucchero quanto pesa la medesima con la metà di dette peso d'acqua, bollito 5 minuti aggiungete la polpa, fatela cuocere mestolando a ciò non s'attacchi al fondo del tegame, ridotta spessa che mestolando si vede il fondo del tegame, versatela spessa un dito su tondi o stampi di latta spolverizzati di zucchero, raffreddata, versatela su fogli di carta, ben inzuccherata tagliatela a dadi od a scudi, fateli seccare a dolce calore nella stufa e conservateli bene inzuccherati di zucchero bianco in iscatole.
'attacchi al fondo del tegame, ridotta spessa che mestolando si vede il fondo del tegame, versatela spessa un dito su tondi o stampi di latta
Onde il vapore che si sviluppa dal ripieno, mentre esso cuoce, non abbia a far scoppiare il pasticcio, si pratica sul coperchio un buco del diametro di un pollice, servendosi d'un cannello di latta o di sottil cartoncino col quale si trapassa la pasta al suo centro, onde da questo foro possa avere sfogo il vapore. Ciò fatto, si pone il pasticcio a cuocere in forno per 3 o 4 ore a moderatissimo calore (dopo che ne è stato ritirato il pane), e se si vede che prenda troppo colore la pasta del coperchio, si copre con un foglio di carta inumidita; chè altrimenti rosolerebbe e cuocerebbe la pasta del coperchio e rimarrebbe quasi cruda quella interna di cui avete intonacato le pareti della forma. Quando giudicherete che il pasticcio sia cotto uniformemente in ogni sua parte, ritiratelo dal forno, e riempitene il vuoto, che può essersi formato nel suo interno per l'evaporazione, con una gelatina di carne (n. 513). Indi rovesciatelo sur un piatto per toglierne la forma, e servitelo caldo.
si vede che prenda troppo colore la pasta del coperchio, si copre con un foglio di carta inumidita; chè altrimenti rosolerebbe e cuocerebbe la pasta
693. Caffè, tostatura, infusione. La principale cura che debbesi avere per ottenere un eccellente caffè, oltre alla scelta della sua qualità, consiste nel farne bene abbrustolire o tostare i chicchi; perocchè se troppo abbrustolito, il caffè si carbonizza e perde tutto il suo olio essenziale, che è l'aroma gradito che lo distingue; se troppo crudo, l'infusione ne risulta acida e disgustosa. Tutti conoscono l'ordigno di cui si fa uso per tostare il caffè, ed il quale consiste in un cilindro di lamiera attraversato nel suo asse da una bacchetta di ferro, le cui estremità posano su due forcelle fermate ai lati opposti d'un apposito fornello, sul quale il detto cilindro può per tal modo girare su sè stesso per il movimento che gli vien dato mediante un manubrio disposto ad una delle estremità della bacchetta di ferro che lo attraversa. La scelta del combustibile non è indifferente, e bisogna sempre preferire il carbone alla legna, perchè il primo manda un calore più uniforme e non produce fumo. Non si empia mai il cilindro che per metà, in modo che la bacchetta di ferro che l'attraversa non ne sia coperta, e che il caffè, gonfiandosi per l'effetto del calore, non rimanga troppo pigiato, e possa muoversi e venire facilmente agitato. Il fuoco devesi sempre mantenere eguale e moderato. Bisogna girare e rigirare il cilindro ora da destra ora da sinistra, fino al momento in cui il caffè manda assai fumo: allora si leva di frequente l'ordigno dal fuoco per scuoterlo ed agitarlo in ogni senso; e si termina di tostarlo quanto si vede che il fumo scappa dal cilindro in maggiore abbondanza. A questo punto il grano scoppietta, diventa lucido e come untuoso, di color cannella bruno, e spande un gradevole profumo: è questo il momento di ritirare dal fuoco il cilindro, per lasciare che la cottura si compia da sè medesima, mercè il vapore concentrato nell'apparecchio, che si continua a girare e ad agitare fuori del fuoco per alcuni altri minuti. Si apre allora il cilindro, si versa il caffè sur una tavola, vi si distende uniformemente, e dopo che si è alquanto raffreddato si passa a ventilarlo per farne escire le pellicole ed anche i corpi estranei che talvolta vi sono frammischiati; ma quest'operazione si può evitare se si sarà ben mondato il caffè prima di tostarlo. Il tempo che ordinariamente il caffè deve stare sul fuoco per giungere al punto giusto di tostatura, trattandosi d'una media quantità, varia da' 40 ai 50 minuti, a seconda del fuoco più o meno ardente che è nel fornello. Il caffè tostato con cura ed al punto voluto, non deve mai aver perduto, dopo quest'operazione, più del 18 o 20 per cento, vale a dire il quinto circa del suo peso.
ogni senso; e si termina di tostarlo quanto si vede che il fumo scappa dal cilindro in maggiore abbondanza. A questo punto il grano scoppietta, diventa
161. Grasso aromatizzato. Mettete in una casseruola 80 gram. di lardo pestato, 80 gram. di grasso di manzo, 40 gram. di butirro, il sugo di un limone, una foglia di lauro, due garofani, due carote, due cipolle tagliate in dadi, sale, pepe garofanato, un bicchiere di brodo o di acqua. Fate bollire il tutto agitando sempre con mestolo, finchè l'acqua non sia svaporata, e il lardo ed il grasso non siano bene strutti; bagnate allora con altra acqua, fate bollire e schiumate. Questo grasso conservasi in vasi di terra verniciati, e si adopera in varie occorrenze, come si vede nel decorso del libro.
, fate bollire e schiumate. Questo grasso conservasi in vasi di terra verniciati, e si adopera in varie occorrenze, come si vede nel decorso del libro.
Ne à però di straforo anche per la noce, pel faggio, la betulla, il cedro, ginepro, rosa, pino silvestre, pescia, (Abies), per il pruno, il bianco spino, il sorbo, il carpine (Carpinus betula) e raramente pel castano. Due sorta di tartufi si ànno, l'oscuro ed il bianco. Il primo si vuole sia l'unico vero tartufo, l'altro il falso tartufo delle sabbie e del deserto. Si vuole ancora che il tartufo sia sempre bianco allorchè non à raggiunto la sua maturanza, e che raggiungendola diventi oscuro. Pare invece sia questione di terreno e di alimentazione — come pure da ciò dipende l'abbondanza o deficienza del suo aroma, che da noi sono più saporiti e delicati i bianchi, degli oscuri. Non abbiamo note sul modo con cui gli antichi dessero la caccia al tartufo. Fu nel medio Evo e in Italia, che si incominciò a impiegarvi il porco. Il Platina del secolo XVI nel suo libro De honesta Voluptate dice, che niente raggiunge l'istinto della scrofa di Norcia per scoprire i tartufi sotto terra. Dall'Italia questo modo passò in Francia dove il porco venne chiamato con stile poetico porc de course, couchon levrier, e il porco è ancora il principale agente di questa caccia. Un altro ausiliario del ricercatore dei tartufi è il cane. L'uso del cane è antichissimo, e naque pure in Italia. L'Inghilterra, dove il tartufo è poco comune, la Germania stessa, la Francia, ànno avuto da noi i barbini, come maestri modelli nell'arte. Nel 1724 il Conte di Wakkerbart li portò in Sassonia a farne la caccia a Sedlitz. Augusto II Re di Polonia, nel 1720 ne fece venire dall'Italia 10 che costarono 100 talleri ciascuno. Fu pure un italiano, Bernardo Vanini, che ottenne il monopolio dei tartufi nel Brandeburgo, coll'obbligo di fornirne la cucina di Corte. Anche il Würtenberg ebbe due barboni dalla corte di Torino e in Germania vennero di moda e si chiamavano trüffel-hunde, e canes tuberario-venatici. Anche altre razze di cani sono suscettibili di questa educazione. L'uomo pure di fine odorato può fare questa caccia. La terra sollevata in certi punti, o presentante una fenditura, tradisce la presenza del tartufo più vicino al suolo e più precoce. Provatevi e se non troverete il tubero troverete certamente... un sasso. Altra spia del tartufo è una certa specie di mosca detta helomyza (da helmius, verme) tuberivora, più lunga delle mosche comuni, d'un colore giallo rosso, colle ali color fumo e macchiate di nero e che à il volo lento e permette di seguirla. La si vede quasi sempre solitaria survolare sul punto che cela il tartufo maturo, e del quale è ghiotta. È questa mosca ed altre sue parenti prossime che diedero ad intendere per molto tempo, essere i tartufi una particolare loro produzione, mentre invece ne erano le consumatrici. Fra questi segnali il più conosciuto, è l'ingiallimento, lo stato morboso ed anche la morte delle piante erbacee, e dei piccoli arboscelli che vegetano sul luogo del tartufo. L'epoca della raccolta del tartufo in Francia è da Novembre a Marzo, ma sopratutto nel periodo di Natale. In Piemonte i più precoci maturano alla fine di Giugno e li chiamano fioroni, e viene quasi sempre a' piedi dei salici e dei pioppi in terreno argilloso, ma la raccolta incomincia in Agosto. In Francia ne sono ricche la Provenza, la Linguadoca, il Querey, il Pèrigord ed il Poitou. Il tartufo nero o la melanospora è comune in Italia, Francia, Spagna, va fino in Inghilterra a Rudloe nel Wiltshire, nella Sassonia e nell'Austria. Ne sono abbondanti da noi le montagne della Sabina e sopratutto Norcia. Il sapore l'aroma ed il colore variano a seconda dei paesi. Quella di Piemonte è bianca e sarebbe il tuber hyemalbum. Pare che la bianca sia più propria dei paesi del Nord, o per lo meno la vi si trova più frequente. Avvi anche il tartufo rosso (tuber rufum) che in Provenza si chiama mourre de chin (muso di cane) che per il suo odore speciale è rigettata dal commercio. V'à il falso tartufo, la genea verrucosa detta in Piemonte cappello di prete, il melanogaster variagatus, o muscato, la balsamia vulgaris, detta rosetta da noi. Si mangiano dai pochi intelligenti. Il solo tartufo falso che sempre si mangiò e si mangia ancora dagli Arabi è la terfezia leonis, o tartufo del deserto e delle sabbie. Dev'essere di quest'ultima specie il tartufo cucinato dai Romani che serviva a dar sapore alla salamoja e ad altre irritamenta gutœ. Gli Ateniesi concedettero ai figli di Cherippo la cittadinanza per avere introdotto un nuovo modo di cucinare i tartufi. L'Archistrato, o capo-cuoco in Atene faceva servire alla fine del pranzo dei tartufi cotti col grasso, sale, ginepro e canella. Cecilio Apicio il celebre cuoco che viveva sotto Trajano, ci à lasciato varie ricette dei tartufi nella sua De Re culinaria. Avicenna, oracolo della medicina d'allora, raccomanda di pelare i tartufi e di tagliarli a pezzi, farli bollire con aqua e sale poi farli cocere con erbe aromatiche e servirli colla carne salata. Marziale antepone i funghi ai tartufi dicendo:
macchiate di nero e che à il volo lento e permette di seguirla. La si vede quasi sempre solitaria survolare sul punto che cela il tartufo maturo, e del quale
Il nome di Fungo — dal greco Sphongos, sponga, a cagione della loro sostanza spongiosa, d'onde il Fongus dei latini — è dato a certe vegetazioni che si allontanano dalla comune, per natura, sostanza, forma, mancanza di foglie, di fiori. Ve ne sono d'ogni grandezza, d'ogni forma, filamentosi, membranosi, schiumosi, tuberosi, a carne consistente, spongiosa, coriacea, sugherosa, compatta. Alcuni danno seme, altri no. Infinito il numero delle specie: se ne conoscono più di 3000 varietà, ve ne sono in famiglia, a gruppi, solitari. Aderiscono al suolo o sul corpo sul quale vengono, per mezzo di fibrille, che non sono radici. Esalano un odore particolare ed umido, che è comune a tutti, con alcune gradazioni fra le diverse specie. Il sapore non è meno variabile — ordinariamente è sapido, acre, bruciante, stittico acido nauseante, aromatico a seconda del sugo del quale sono imbevuti. Amano luoghi boschivi umidi e grassi, vengono sulle sostanze vegetali ed animali in decomposizione. L'umidità calda ne genera lo sviluppo e la moltiplicazione principalmente in Autunno e Primavera. Vogliono i climi delle zone temperate. Le stesse specie di funghi non compariscono indifferentemente in tutte le stagioni. L'Asia boreale, la Cina, l'America settentrionale abbondano di funghi. Ànno sviluppo rapido, istantaneo compariscono da prima come piccoli filamenti o fibre che poi si tumefanno e s'ingrossano e crescono tosto a vista d'occhio a formare il fungo perfetto. Questo primo stato si chiama carcite o bianco di fungo. Una sola notte vede apparire migliaja di funghi, alcune ore, alcuni minuti bastano, a diverse specie per pervenire al loro ultimo sviluppo. L'assenza della luce e un'atmosfera tranquilla accelerano singolarmente la loro moltiplicazione. Pervenuti alla maturità emettono de' piccoli corpuscoli tondi, chiamati seminoli, è l'ultimo loro prodotto, come i semi nei vegetali. Sono finissimi, quasi polvere e situati sia nell'intera superficie, sia nella superficie superiore, sia internamente e vengono alla luce per laceramento o morte del fungo. La pioggia li fà deperire facilmente. Sono preda degli insetti e di alcuni animali erbivori, e i più avanzati in età, sono preferiti dagli insetti. E annesso dai chimici che sono potentissimi agenti d'ossidazione, e d'azotazione. I commestibili contengono secondo le varietà da 84 a 94 parti d'acqua, il resto è un composto di sali e sostanze organiche, vale a dire olii essenziali, materie resinose, grasse, coloranti, zuccherine, acidi organici diversi, materie gelatinose, gommose, raramente fecula-cellulosa, di composti azotati albumine ecc. Altri sono eduli, altri velenosi. Teoreticamente è impossibile dare una ragione, un indizio che distingua sicuramente gli eduli dai velenosi. Bisogna affidarsi, più che al medico alla conoscenza pratica locale delle specie, della forma, taglio, colore, aspetto, odore e sapore. A migliaja sono gli scienziati che ne parlarono, e tra questi il milanese Vittadini (1), ma fin ora la scienza non à detto l'ultima sua parola. S'è bensì trovata la maniera di coltivarli, ma su tante specie di funghi saporiti, appena s'è riescito di coltivarne le meno pregiate. Il progresso verrà non dubitiamone. Ma frattanto occhio alla padella! In generale rifiutare tutti i funghi non sani, o che cominciano a decomporsi, quelli che rotti tramandano un'umore lattiginoso, che crudi sono acri, che tingono in rosso la carta azzurra, che presentano una superficie viscosa, od umida, o macchiata, o brinata, che cambiano di colore rompendosi. Non vi affidate mai ai volgari esperimenti, che i funghi velenosi anneriscono il cucchiale d'argento, la cipolla, ed il prezzemolo ecc. Non acquistate mai funghi secchi sulla piazza, nè dal droghiere. Non mangiate funghi alle osterie, alberghi, principalmente di campagna. Se la vostra golaccia vi à pigliato nel trabocchetto e avete mangiato funghi velenosi — eccovi la ricetta del Mantegazza. Prima di tutto sappiate che il più delle volte i sintomi dell'avvelenamento compajono molto tardi, magari sette od otto ore dopo il delitto. Appena v'accorgete vomitate, cercate liberarvi subito delle materie velenose col vomito e col secesso. Cacciatevi due dita in bocca, la barba di una penna, aqua tepida molta — e se non vi riesce: solfato di rame o di zinco: mezzo grammo in cento grammi di aqua comune, — a cucchiaj ogni 5 minuti: purganti forti. Calmate i dolori con cataplasmi sul ventre — e se vi coglie stupefazione, cognac, rhum e frizioni secche ed aromatiche. Non prendete mai latte, compireste l'opera del veleno.
carcite o bianco di fungo. Una sola notte vede apparire migliaja di funghi, alcune ore, alcuni minuti bastano, a diverse specie per pervenire al loro
Il Giuggiolo è un arboscello a foglia caduca, che diventa anche albero ramoso, spinosissimo. Vuole esposizione soleggiata e difesa, terreno buono, teme l'umidità, resiste al freddo. Si propaga per polloni, per innesto, vegeta lentamente. Mette le foglie ultimo di tutti, fiori piccoli, gialli, solitari, in Giugno, frutti o bache rosse della forma e grossezza dell'oliva, matura a tardo autunno. Conta alcune varietà. È originario della Siria, si rinviene anche spontaneo nelle siepi delle montagne calcaree di Val di Noto. Nel linguaggio delle piante: Sollievo. Il frutto, benchè più apprezzato della Lazzeruola, è poco utile, perchè da noi non matura abbastanza e però si mangia appassito. Il legno, assai duro, serve all'ebanista, al tornitore e piglia bon pulimento. Sesto Papinio, console sotto Augusto, fu quello che primo lo portò in Italia dall'Africa. Plinio lo chiama jujubas. La giuggiola è digeribile e può conservarsi secca. Se ne fanno decotti soavi e paste pettorali, ma questa è arte superiore. Il popolo che la vede e la mangia quasi sempre immatura dice per ironia: andare in brodo di giuggiole.
è digeribile e può conservarsi secca. Se ne fanno decotti soavi e paste pettorali, ma questa è arte superiore. Il popolo che la vede e la mangia
Mescolate ed impastate bene insieme una manciata di prezzemolo minutamente tritato, 80 grammi di parmigiano grattalo, 160 grammi di pane biscotto pure grattato, 140 grammi di midollo di manzo liquefatto prima al fuoco e passato per colatojo, due tuorli d'uova, mezzo bicchiere di brodo, poca noce moscada ed un pizzico di spezie. Fatto così il ripieno, ve ne servirete per fare i marubini, che sono per la forma una specie di agnellotti (num. 96), da' quali differiscono, come si vede, per la qualità del ripieno, ed anche per la pasta, che si fa bensì come quella descritta al num. 66, ma vi si unisce un poco di burro nel manipolarla. È altresì da avvertirsi, che la pasta, appunto a cagione del burro che contiene, non si attaccherebbe ai lembi, ed il ripieno non resterebbe chiuso, se non si avesse la precauzione di bagnare le cialde con chiara d'uovo, servendosi delle barbe d'una penna.
), da' quali differiscono, come si vede, per la qualità del ripieno, ed anche per la pasta, che si fa bensì come quella descritta al num. 66, ma vi si
Friggere del pesce sembra, a prima vista, la cosa più facile di questo mondo, eppure, raramente si vede del pesce fritto a dovere, specie nei locali pubblici. Taluno vi presenta del pesce infarinato e dorato (1) il quale dopo un minuto che è stato fritto, rinviene e quel pesce con quell'involucro esterno rammollito mi fa l'effetto di un pesce in veste da camera; tale altro vi presenta del pesce fritto, dopo essere stato solamente infarinato, ma talmente secco e cristallizzato, anche internamente, che stritola sotto i denti, e che di pesce non ha più neanche il sapore.
Friggere del pesce sembra, a prima vista, la cosa più facile di questo mondo, eppure, raramente si vede del pesce fritto a dovere, specie nei locali
Il nome Fungo — dal greco Sphongos, spugna, a cagione della loro sostanza spugnosa, d'onde il Fongus dei latini — è dato a certe vegetazioni che si allontanano dalla comune, per natura, sostanza, forma, mancanza di foglie, di fiori. Clemente Rossi ne dà questa definizione (ve la do per debito di coscienza): II fungo è una pianta crittogama parassita, priva di consistenza erbacea. Nel linguaggio delle piante: Tradimento. Ve ne sono d'ogni grandezza, d' ogni forma: filamentosi, membranosi, schiumosi, tuberosi, a carne consistente, spugnosa, coriacea, sugherosa, compatta. Alcuni danno seme, altri no. Infinito il numero delle specie: se ne conoscono più di 3000 varietà, ve ne sono in famiglia, a gruppi, solitari. Aderiscono al suolo o sul corpo sul quale vengono, per mezzo di fibrille, che non sono radici. Esalano un odore particolare ed umido, che è comune a tutti, con alcune gradazioni fra le diverse specie. Il sapore non è meno variabile, ordinariamente è sapido, acre, bruciante, stittico, acido, nauseante, aromatico, a seconda del sugo del quale sono imbevuti. Amano luoghi boschivi umidi e grassi, vengono sulle sostanze vegetali ed animali in decomposizione. L'umidità calda ne genera lo sviluppo e la moltiplicazione, principalmente in autunno e primavera. Vogliono i climi delle zone temperate. Le stesse specie di funghi non compariscono indifferentemente in tutte le stagioni. L'Asia boreale, la Cina, l'America settentrionale abbondano di funghi. Ànno sviluppo rapido, istantaneo, compariscono da prima come piccoli filamenti o fibre, che poi si tumefanno e s'ingrossano e crescono tosto a vista d'occhio a formare il fungo perfetto. Questo primo stato si chiama carette o bianco di fungo. Una sola notte vede apparire migliaia di funghi, alcune ore, alcuni minuti bastano a diverse specie per pervenire al loro ultimo sviluppo. L'assenza della luce e un'atmosfera tranquilla accelerano singolarmente la loro moltiplicazione. Pervenuti alla maturità, emettono de' piccoli corpuscoli tondi, chiamati seminoli, è l'ultimo loro prodotto, come i semi nei vegetali. Sono finissimi, quasi polvere e situati sia nell'intera superficie, sia nella superficie superiore, sia internamente e vengono alle luce per laceramento o morte del fungo. La pioggia li fa deperire facilmente. Sono preda degli insetti e di alcuni animali erbivori, e i più avanzati in età, sono preferiti dagli insetti. È ammesso dai chimici che sono potentissimi agenti di ossidazione e d'azotazione. I commestibili contengono, secondo la varietà, da 84 a 94 parti d' acqua, il resto è un composto di sali e sostanze organiche, vale a dire olii essenziali, materie resinose, grasse, coloranti, zuccherine, acidi organici diversi, materie gelatinose, gommose, raramente fecula-cellulosa, di composti azotati, albumine, ecc.
perfetto. Questo primo stato si chiama carette o bianco di fungo. Una sola notte vede apparire migliaia di funghi, alcune ore, alcuni minuti bastano a
venta anche albero ramoso, spinosissimo. Vuole esposizione soleggiata e difesa, terreno buono, teme l'umidità, resiste al freddo. Si propaga per polloni, per innesto, vegeta lentamente. Mette le foglie ultimo di tutti, fiori piccoli, gialli, solitari, in giugno, frutti o bacche rosse della forma e grossezza dell'oliva, matura a tardo autunno. Conta alcune varietà. È originario della Siria, si rinviene anche spontaneo nelle siepi delle montagne calcaree di Val di Noto. Nel linguaggio delle piante: Sollievo. Il frutto, benchè più apprezzato della Lazzeruola, è poco utile, perchè da noi non matura abbastanza e però si mangia appassito. Il legno, assai duro, serve all'ebanista, al tornitore e piglia bon pulimento. Sesto Papinio, console sotto Augusto, fu quello che primo lo portò in Italia dall'Africa. Plinio lo chiama jujubas. La giuggiola è digeribile e può conservarsi secca. Se ne fanno decotti soavi e paste pettorali, ma questa è arte superiore. Il popolo che la vede e la mangia quasi sempre immatura dice per ironia: andare in broda di giuggiole.
decotti soavi e paste pettorali, ma questa è arte superiore. Il popolo che la vede e la mangia quasi sempre immatura dice per ironia: andare in broda
Fu nel Medio Evo e in Italia che si incominciò a impiegarvi il porco. Il Platina, del secolo XVI, nel suo libro De honesta uoluptate dice, che niente raggiunge l'istinto della scrofa di Norcia per scoprire i tartufi sotto terra. Dall'Italia questo modo passò in Francia dove il porco venne chiamato, con stile poetico, porc de course, couchon levrier, e il porco è ancora il principale agente di questa caccia. Un altro ausiliario del ricercatore dei tartufi è il cane. L'uso del cane è antichissimo, e naque pure in Italia. L'Inghilterra, dove il tartufo è poco comune, la Germania stessa, la Francia, ànno avuto da noi i barbini, come maestri modelli nell'arte. Nel 1724 il conte di Wakkerbart li portò in Sassonia a farne la caccia a Sedlitz. Augusto II re di Polonia, nel 1720 ne fece venire dall'Italia dieci che costarono cento talleri ciascuno. Fu pure un italiano, Bernardo Vanini, che ottenne il monopolio dei tartufi nel Brandeburgo, coll'obbligo di fornirne la cucina di Corte. Anche il Würtenberg ebbe due barboni dalla corte di Torino e in Germania vennero di moda e si chiamavano truffel-hunde, e canes tuberario venatici. Anche altre razze di cani sono suscettibili di questa educazione. L'uomo pure, di fine odorato, può fare questa caccia. La terra sollevata in certi punti, o presentante una fenditura, tradisce la presenza del tartufo più vicino al suolo e più precoce. Provatevi, e se non troverete il tubero, troverete certamente.... un sasso. Altra spia del tartufo è una certa specie di mosca detta helomyza (da helmius, verme) tuberivora, più lunga delle mosche comuni, d'un colore giallo-rosso, colle ali color fumo e macchiate di nero e che à il volo lento e permette di seguirla. La si vede quasi sempre solitaria sorvolare sul punto che cela il tartufo maturo, e del quale è ghiotta. È questa mosca, ed altre sue parenti prossime, che diedero ad intendere per molto tempo, essere i tartufi una particolare loro produzione, mentre invece ne erano le divoratrici. Fra questi segnali, il più conosciuto è l'ingiallimento, lo stato morboso ed anche la morte delle piante erbacee e dei piccoli arboscelli che vegetano sul luogo del tartufo. L'epoca della raccolta del tartufo in Francia è da novembre a marzo, ma sopratutto nel periodo di Natale. Ne sono ricche la Provenza, la Linguadoca, il Querey, il Pèrigord ed il Poitu. Il tartufo nero, o la melanospora è comune in Italia, Francia, Spagna, va fino in Inghilterra, a Rudloe nel Wiltshire, nella Sassonia e nell'Austria. Ne sono abbondanti da noi le montagne della Sabina e sopratutto Norcia. Il sapore, l'aroma ed il colore variano a seconda dei paesi. Quella di Piemonte è bianca e sarebbe il tuber hyemalbum. Pare che la bianca sia più propria dei paesi del Nord, o per lo meno la vi si trova più frequente. Avvi anche il tartufo rosso (tuber rufum) che in Provenza si chiama mourre de chin (muso di cane) che per il suo odore speciale è rigettato dal commercio. Vi à il falso tartufo, la genea verrucosa detta in Piemonte cappello di prete, il melanogaster variagatus, o muscato, la balsamia vulgaris, detta rosetta da noi. Si mangiano dai pochi intelligenti. Il solo tartufo falso che sempre si mangiò e si mangia ancora dagli Arabi è la terfezia leonis, o tartufo del deserto e delle sabbie. Dev'essere di quest'ultima specie il tartufo cucinato dai Romani che serviva a dar sapore alla salamoja e ad altre irritamenta gulae. Gli Ateniesi concedettero ai figli di Cherippo la cittadinanza, per avere introdotto un nuovo modo di cucinare i tartufi. L'Archistrato, o capo-cuoco in Atene, faceva servire alla fine del pranzo dei tartufi cotti col grasso, sale, ginepro e canella, e spruzzati di vino del Chjo. Cecilio Apicio, il celebre cuoco che viveva sotto Trajano, ci à lasciato varie ricette dei tartufi nella sua De re culinaria. Avicenna, oracolo della medicina d'allora, raccomanda di pelare i tartufi e di tagliarli a pezzi, farli bollire con aqua e sale, poi farli cocere con erbe aromatiche e servirli colla carne salata. Marziale antepone i funghi ai tartufi dicendo:
macchiate di nero e che à il volo lento e permette di seguirla. La si vede quasi sempre solitaria sorvolare sul punto che cela il tartufo maturo, e del
Si lavora il burro, si aggiungono man mano: lo zucchero, le uova, i rossi la farina, l'uvetta, i canditi, e finalmente il carbonato d'ammoniaca. Invece di foderare la stampa con la carta, si può, più semplicemente, imburrare e infarinare. Un'ora e mezzo di forno temperato. Il Manfredi, come si vede, abbonda nell'uva e nei canditi: ciò che ci sembra logico, dato il nome e il carattere del dolce. Con questa dose si ha un Plum-cake per molte persone. Al'occorenza si potrà ridurre, in proporzione. Il carbonato di ammoniaca si può comperare in qualunque farmaceutica. È innocuo. Ricordiamo alle lettrici, le quali non avessero la bilancia, che, su per giù, una cucchiaiata ben colma di farina pesa circa 30 grammi, e una cucchiaiata colma di zucchero ha lo stesso peso. È quindi facile regolarsi.
. Invece di foderare la stampa con la carta, si può, più semplicemente, imburrare e infarinare. Un'ora e mezzo di forno temperato. Il Manfredi, come si vede
Per la cotognata propriamente detta si adopera invece la polpa delle mele. La cotognata si può fare in due modi: o mantenendola morbida come una comune marmellata o confezionandola dura come quella che si vede nelle vetrine dei pasticcieri in pani quadrati o in forme svariate. Il procedimento non offre nessuna difficoltà. Cuccete le mele intiere o in spicchi, ma senza sbucciarle (il primo modo è preferibile) e appena le mele saranno cotte ma non sfatte estraetele dall'acqua, sbucciatele e passatele dal setaccio. Raccogliete tutta la polpa, pesatela, aggiungete un uguale peso di zucchero e cuocere su fuoco moderato, sempre mescolando fino a che la marmellata abbia raggiunto il giusto grado di cottura. Ultimata la marmellata si può, secondo i gusti, aromatizzarla con qualche goccia di sugo di limone.
comune marmellata o confezionandola dura come quella che si vede nelle vetrine dei pasticcieri in pani quadrati o in forme svariate. Il procedimento non
capitolo II «Panifici in campagna»), si vede un piano dimostrativo di un panificio di campagna, dal quale si può prendere una chiara idea di questo genere di impianti importantissimi. Vi si trovano inoltre descritti vari sistemi di forni che si sogliono adoperare in campagna per la cozione del pane, fra i quali primo figura il forno regolamentare da campagna in muratura a volta cilindrica (modello 1865), che fece sempre ottima prova ogniqualvolta vi si ebbe ricorso. Può costruirsi in 24 ore da esperti operai ed occorrono 22-24 ore per il primo riscaldamento, cosicchè in 48 o 50 ore può effettuarsi la prima infornata del pane. Raggiunge la temperatura di 300°-350°. È capace di 200 pani; ne effettua la cottura in 3/4 d'ora e permette 8-9 infornate successive nelle 24 ore.
capitolo II «Panifici in campagna»), si vede un piano dimostrativo di un panificio di campagna, dal quale si può prendere una chiara idea di questo
§ 98. — Possibilità di questo esame nelle contingenze militari. Per bene stabilire il valore di un'acqua potabile, all'esame tìsico ed all'analisi chimica è importante si associ l'esame microscopico. «Nelle acque, dove il chimico riconosce soltanto la presenza della materia organica, perchè ne trova qualche traccia nel suo crogiuolo, il micrografo vede degli esseri viventi; infusori, alghe, microbi.» (Certes). Ed è per questo appunto che oggi l'analisi micrografica dell'acqua assorbe molto l'attenzione degli studiosi, ed induce perfino qualcuno a porre in di-scussione l'utilità della sua analisi chimica, perchè insufficiente a svelarvi quelle minime forme viventi che il microscopio solo può sorprendervi, e che le pazienti ricerche degli ultimi venti anni rivelarono fattrici potentissime di gravi malattie infettive.
trova qualche traccia nel suo crogiuolo, il micrografo vede degli esseri viventi; infusori, alghe, microbi.» (Certes). Ed è per questo appunto che oggi l
Gli odori forti come quello della canfora, del tabacco, del muschio, ecc„ tengono lontani i tarli dal deporre la loro prole frammezzo alle spoglie di animali delle quali si ciba e si veste: e forse non è noto a tutti che non è già quella farfalla che si vede svolazzare, massime di notte, quella che corrode le lane, i peli, e le piume, ma sono i figli che da essa nascono e durante lo stato di verme? Per cui involte le stoffe e pelliccie in tele di lino, cotone o seta si preserveranno sicuramente da tali insetti. Regola generale quindi è di battere bene le vesti e le pelliccie avanti riporle, perchè se già vi annidassero tali insetti, ne vengano espulsi; e quindi involgerle in una pezza come sopra si disse a guisa di sacco senza che vi possa rimanere un buco sufficiente perchè possa penetrarvi la farfalla madre a deporvi le uova.
animali delle quali si ciba e si veste: e forse non è noto a tutti che non è già quella farfalla che si vede svolazzare, massime di notte, quella che
Si dice, e a ragione, che i fagiuoli sono la carne del povero; e infatti quando l'operaio, frugandosi in tasca, vede con occhio malinconico che non arriva a comperare un pezzo di carne che basti per fare una buona minestra alla famigliuola, trova nei fagiuoli un alimento sano, nutriente e di poca spesa. C'è di più; i fagiuoli, restando molto in corpo, quetano per un pezzo gli stimoli della fame; ma… anche qui c'è un ma come ce ne sono tanti nelle cose del mondo, e già mi avete capito. Per ripararvi, in parte, scegliete fagiuoli di buccia fine o passateli: quelli dall'occhio hanno meno degli altri questo peccato. Per rendere poi la zuppa di fagiuoli più grata al gusto e più saporita, dato che se ne debba fare una quantità sufficiente a quattro o cinque persone, fatele un soffritto in questa proporzione: prendete un quarto di cipolla, uno spicchio d'aglio, un pizzico di prezzemolo e un bel pezzo di sedano bianco. Tritate finissimi questi odori colla lunetta e metteteli al fuoco con olio a buona misura; siate generosi a pepe. Quando il soffritto avrà preso colore, unitevi due ramajuoli della broda dei fagiuoli, aggiungete un poco di sugo di pomidoro o di conserva, fate alzare il bollore e versatelo nella pentola de' fagiuoli.
Si dice, e a ragione, che i fagiuoli sono la carne del povero; e infatti quando l'operaio, frugandosi in tasca, vede con occhio malinconico che non
11. Fate cuocere nell'acqua con poco sale dei bei maroni o castagne, appena calde levateci la prima scorza e rimettetele a cuocere nell'acqua che così gli leverete meglio la seconda: purgate del zucchero e tiratelo alla perfetta cottura che si conosce mettendovi la paletta sforata e poi soffiandovi contro se si vede volar fuori il zucchero, allora con uno stecco immergete nel medesimo le castagne una per una, indi servitele sopra una salvietta o tamburino, o carta stratagliata; oppure potrete anche incartarle in carta colorata, o giazzarle con una giazza reale colorita d'amaranto, ed asciutte alla stuffa servitele come sopra.
contro se si vede volar fuori il zucchero, allora con uno stecco immergete nel medesimo le castagne una per una, indi servitele sopra una salvietta o
Sovente avviene che i fornai, avendo farina di cattiva qualità, e non volendo soffrire alcuna perdita, si studiano di rimediare alla cattiva apparenza del pane con quella farina preparata, che d'ordinario rimane assai bruno, con un miscuglio composto di eguale quantità di sale comune, di solfalo d'allumina e di potassa o allume di rocca. I medici più dotti hanno giudicato questa frode assai pregiudicievole alla salute, ma facilmente si conosce; non si ha che a sbriciolare grossolanamente il pane sospetto, ad infonderlo nell'acqua fredda distillata, e a far passare il liquido attraverso di «n pannolino, comprimendolo leggermente; si divide questo in due parti, in una delle quali si versano alcune gocce di idroclorato di barite, nell'altra dell'ammoniaca; se il pane è adulteralo, nel primo mescuglio l'acqua diventa biancastra, e cosi si scopre la presenza dell'acido solforici, nel secondo si vede tosto un precipitato in fiocchi che denota l'allumina.
si vede tosto un precipitato in fiocchi che denota l'allumina.
Si sbattono otto rossi d'uova in una casseruola, quindi si rimescolano a poco a poco con un mezzo boccale di crema assai densa; il tutto si fa poscia bollire, e sempre rimenando, vi si versa a poco a poco un boccale, o anche un boccale ed un quarto di birra, entro la quale si è già posta in infusione cannella e zucchero in quantità bastante, perchè sia raddolcita; vi si infonde un poco di sugo di limone; si continua sempre a rimenare; poi si leva dal fuoco allorchè la materia si vede giunta ad una densità conveniente, e si versa sopra le fette di pane toste o arrostite.
leva dal fuoco allorchè la materia si vede giunta ad una densità conveniente, e si versa sopra le fette di pane toste o arrostite.
Questo riso fabbricavasi già da qualche tempo, ma la vedova Chauvean di Montlouis ha inventato un metodo nuovissimo e assai più facile. I pomi di terra cotti nell'acqua si pongono a sgocciolare per una notte intera; poi si tagliano in pezzi, che con forte pressione si fanno passare attraverso uno staccio di ottone, e cadere sopra una lamina di latta, che tutto all'intorno ha il rialzo di un pollice. La materia premuta nello staccio cade su la lamina in forma di neve, e quando la lamina è piena sino all'altezza dell'orlo, se ne sostituisce un'altra. Queste lamine piene si portano al forno riscaldato come per cuocere il pane. La materia è cotta perfettamente, allorchè si vede staccarsi dalle lamine; allora si toglie dal forno, e si pesta in un grande mortaio; ridotta che sia in pezzi della grossezza ordinaria dei maccheroni, si fa passare in un mulino costruito come le macine del tabacco, ove que' pezzi si dividono inegualmente. Dopo di questo la macinatura si fa passare in tre diversi stacci, e se ne traggono tre specie di riso, diverse di grossezza, ed anche della farina di riso che a molti usi riesce opportuna.
riscaldato come per cuocere il pane. La materia è cotta perfettamente, allorchè si vede staccarsi dalle lamine; allora si toglie dal forno, e si pesta in