Scottate le animelle, i filoni e le cervella in acqua bollente per alcuni minuti, spellate e tagliate a grossi dadi; fate rosolare il burro, poi aggiungete il vitello a fettine sottili e ben infarinate e quando ha preso colore condite di sale e pepe, spruzzate col succo di un limone, aggiungete le cervella, i filoni e le animelle, i piselli (che dovranno es sere freschissimi e molto piccoli) e le punte degli asparagi, i pomodori spellati e spezzettati, le olive spaccate in due e snocciolate. Fate evaporare il sugo eccessivo a fuoco ardente: cinque minuti prima di servire aggiungete i fegatini di pollo a fette sottili.
spezzettati, le olive spaccate in due e snocciolate. Fate evaporare il sugo eccessivo a fuoco ardente: cinque minuti prima di servire aggiungete i fegatini
Carne. — Quand'io era fanciullo, la carne era creduta un cibo riscaldante e che disponeva alla infiammazione e all'apoplessia e oggi si è reso piena giustizia alla carne, e si è andato anche più in là del vero, adulandola. È naturale che ciò avvenga: l'uomo sprezza facilmente e spesso adula; ma fra l'adulazione e lo sprezzo ci sta la giustizia, che è difficile a tutti e poco di moda. La carne è il prototipo degli alimenti e più facilmente d'ogni altro cibo si cambia in carne nostra, in sangue, in cervello: ma le donne, i bambini e alcune speciali costituzioni rifuggono con grande avversione dall'uso continuo ed eccessivo della carne, preferendo i legumi, le verdure, le frutta. Conviene studiare queste antipatie e riconosciute ragionevoli, rispettarle. Nulla è più sragionevole del dogma e la ragione umana regna e governa sempre fra sottili distinzioni e differenze infinite. Invece voi udite ogni giorno di questi dogmi: la carne è il cibo più perfetto, conviene quindi mangiare sempre carne. Vedete gli Inglesi! Sono un gran popolo, perchè vivono quasi esclusivamente di carne; se gli Italiani diverranno carnivori, diventeranno potenti e sapienti quanto gli Inglesi! — Ragionamenti duri come la pietra, logica tutta d'un pezzo come il si e come il no; le due cose più false del mondo.
dall'uso continuo ed eccessivo della carne, preferendo i legumi, le verdure, le frutta. Conviene studiare queste antipatie e riconosciute ragionevoli
In questo Mondo non è la Patria che forma l'uomo, ma bensì il talento, il buon gusto, ed una immaginazione feconda; è vero peraltro che i Cuochi Francesi ci hanno di molto superato nell'arte della Cucina, ma i progressi più o meno felici di qualunque arte, o professione dipendono del tutto dallo spirito d'un'intera nazione. Io benchè Italiano ho fatto il mio noviziato nelle cucine Francesi, e particolarmente in Parigi, in quella del fu Maresciallo di Richelieu; in Napoli in quella del fu Principe di Francavilla, Cucina del tutto Francese; ho travagliato in diverse campagne di Luigi XV. ho viaggiato al Servizio del Generale Schouvaloff, al quale sono anche debitore di avere veduta una parte della Russia avendomi egli chiamato in S. Pietroburgo nel 1778. ove sono stato Maestro di Casa del fu Principe Gregorio di Orloff, e finalmente Cuoco di Sua Maestà l'Imperatrice di tutte le Russie Caterina II. che con mio sommo rammarico e discapito dovetti lasciare a cagione dell'eccessivo freddo del clima nocivo alla mia salute, onde posso dire di aver veduto, ed in conseguenza potuto distinguere, imparare, e lavorare, e rendo a Maestri dell'arte quella giustizia, ch' è loro pur troppo dovuta.
Caterina II. che con mio sommo rammarico e discapito dovetti lasciare a cagione dell'eccessivo freddo del clima nocivo alla mia salute, onde posso dire
In questo Mondo non è la Patria che forma l'uomo, ma bensì il talento, il buon gusto, ed una immaginazione feconda; è vero peraltro che i Cuochi Francesi ci hanno di molto superato nell'arte della Cucina, ma i progressi più o meno felici di qualunque arte, o professione dipendono del tutto dallo spirito d'un'intera nazione. Io benchè Italiano ho fatto il mio noviziato nelle cucine Francesi, e particolarmente in Parigi, in quella del fu Maresciallo di Richelieu; in Napoli in quella del fu Principe di Francavilla, Cucina del tutto Francese; ho travagliato in diverse campagne di Luigi XV. ho viaggiato per lo spazio di sei anni in una gran parte dell'Europa al servizio di S.E. Gio Schouvaloff, Gran Ciamberlano di S.M. l'Imperatrice di tutte le Russie Caterina II. che con mio sommo rammarico e discapito dovetti lasciare a cagione dell'eccessivo freddo del clima nocivo alla mia salute, onde posso dire di aver veduto, ed in conseguenza potuto distinguere, imparare, e lavorare, e rendo ai Maestri dell'arte quella giustizia, ch'è loro pur troppo dovuta.
Russie Caterina II. che con mio sommo rammarico e discapito dovetti lasciare a cagione dell'eccessivo freddo del clima nocivo alla mia salute, onde
I Toscani, i Fiorentini in ispecie, sono così vaghi degli ortaggi, che vorrebbero cacciarli per tutto e per conseguenza in questo piatto mettono la bietola che, mi pare, ci stia come il pancotto nel credo. Questo eccessivo uso di vegetali non vorrei fosse una, e non ultima, delle cagioni della flaccida costituzione di alcune classi di persone, che, durante l'influenza di qualche malore, mal potendo reggerne l'urto, si vedono cadere fitte come le foglie nel tardo autunno.
bietola che, mi pare, ci stia come il pancotto nel credo. Questo eccessivo uso di vegetali non vorrei fosse una, e non ultima, delle cagioni della
Se l'esperienza s'è acquistata con la pratica, la sensazione che prova la mano avvicinata al forno o fornello, vi dirà se il calore ha raggiunto il grado voluto, o se lo ha oltrepassato. Ma se l'esperienza manca, o dice niente, si ponga nel forno un pezzo di carta. Se questa ingiallisce senza troppo indugio, il calore è nella misura voluta; ma se la carta si fa in un subito, o quasi, nera, il calore sarà eccessivo ed il forno renderebbe carbone per carne.
troppo indugio, il calore è nella misura voluta; ma se la carta si fa in un subito, o quasi, nera, il calore sarà eccessivo ed il forno renderebbe carbone
441. Costolette di montone alla graticola. - Togliete alle costolette le pelli, il grasso eccessivo, i grumi di sangue. Mortificatele e salate leggermente, ponetele sulla graticola a fuoco vivo. Cotte da una parte voltatele. Compiuta la cottura servitele con patate fritte (ric. 465), o con punte di asparagi.
441. Costolette di montone alla graticola. - Togliete alle costolette le pelli, il grasso eccessivo, i grumi di sangue. Mortificatele e salate
Non è consigliabile conservare in tal guisa quelle destinate al nutrimento della famiglia; le quali invece si conservano mettendole, quando sono ben asciutte al sole, al riparo dal freddo intenso, dall'umidità, dall'eccessivo disseccamento e dalla luce. La luce fa inverdire le patate, e fa sviluppare la solanina, che nell'alimentazione può provocare disturbi. Le patate si conservano a mucchi e non sparpagliate sul suolo.
asciutte al sole, al riparo dal freddo intenso, dall'umidità, dall'eccessivo disseccamento e dalla luce. La luce fa inverdire le patate, e fa
Nella zuppiera si dispongono alcune fette di pane, passate leggermente al fuoco sulla graticola; e vi si versa sopra il contenuto della casseruola e cioè brodo e pesce. Il brodo non deve essere eccessivo.
cioè brodo e pesce. Il brodo non deve essere eccessivo.
Battete leggermente le bracioline, mettete in un tegame piuttosto largo e basso un po' d'olio e quando sarà caldo ponetevi le bracioline, conditele con sale e pepe, coprite il tegame e fatele cuocere a fuoco moderato. Quando vedrete le bracioline ben cotte, togliete l'unto eccessivo e innaffiatele col vino. Fate evaporare il vino e poi aggiungete la salsa di pomidoro che diluirete con qualche cucchiaio d'acqua, fate terminare di cuocere a fuoco molto debole in modo che le bracioline possano bene insaporirsi e servitele coperte della loro salsa con un contorno di verdure come fagiolini o spinaci.
con sale e pepe, coprite il tegame e fatele cuocere a fuoco moderato. Quando vedrete le bracioline ben cotte, togliete l'unto eccessivo e innaffiatele
Se tali sono gli effetti benefici che le sostanze carnee producono sull'organismo, dobbiamo pur riconoscere che, se prese in eccesso, possono esporre l'uomo a seri pericoli. Esse arrestano le trasformazioni, producono stitichezza, e forniscono un lavoro eccessivo agli organi emuntori e sopratutto ai reni. Inoltre l'incompleta elaborazione degli alimenti animali provoca nell'intestino fermentazioni velenosissime, per cui è necessario unire le carni a cibi vegetali i quali, lasciando molto residuo, facilitano la funzione intestinale.
l'uomo a seri pericoli. Esse arrestano le trasformazioni, producono stitichezza, e forniscono un lavoro eccessivo agli organi emuntori e sopratutto
La guerra, con le sue ferree leggi di economia e di ristrettezza, ha insegnato alla donna italiana ad usare con oculata parsimonia, sia il liquido dorato che ci è fornito dalla drupa dell'olivo, sia il prodotto prezioso, ottenuto dalla panna del latte. Così le pietanze non diguazzano più nell'unto che le rendeva talvolta poco digeribili e disgustose e le insalate non nuotano più nel condimento eccessivo che la donna incauta versava spensieratamente dall'ampolla nella compostiera!
che le rendeva talvolta poco digeribili e disgustose e le insalate non nuotano più nel condimento eccessivo che la donna incauta versava
Per il buon rendimento della cucina economica, occorre, prima di tutto un buon impianto per evitare accensioni difficili, consumo eccessivo di combustibile, invasioni di fumo, ecc.
Per il buon rendimento della cucina economica, occorre, prima di tutto un buon impianto per evitare accensioni difficili, consumo eccessivo di
Altri accorgimenti si devono usare per ottenere dagli elementi riscaldanti il massimo rendimento. Così avanti di porre in uso l'impianto della cucina economica è bene farlo visitare da un fumista, perchè suggerisca i mezzi più pratici e razionali, allo scopo di consumare la minor possibile quantità di combustibile. Occorre anche far verificare frequentemente gli elementi della stufa: la griglia e i tubi riscaldanti perchè le incrostazioni che si formano disperdono il calore e portano ad un consumo eccessivo di legna o di carbone.
formano disperdono il calore e portano ad un consumo eccessivo di legna o di carbone.
Mischiate ogni cosa con le mani, poi fatene tanti pezzetti di questa pasta, infarinandoli leggermente dando ad essi la forma di un grosso chicco di fava. Collocate questi pezzetti su una teglia leggermente unta di burro ed infarinata, e fateli cuocere in forno giusto, cioè che il calore di esso non sia eccessivo.
Dimenate in una catinella 70 gr. di burro, unitevi un ovo intero e 3 rossi, 5-6 cucchiai di latte, due cucchiai di zucchero, la scorza gialla d'un limone trita finissima, e circa 325 gr. di farina fine che avrete passata tre volte allo staccio con 20 gr. (una cartina) di buon lievito di soda. La quantità della farina non si può precisare, essa dipende dalla sua qualità. Se il composto riuscirà troppo sodo vi aggiungerete qualche cucchiaio di latte, se sarà invece troppo molle lo rassoderete, sempre ben rimestando, che s'intende, con un po' di farina. Rovesciatelo quindi sulla spianatoia infarinata e stendetelo col matterello della grossezza d'una moneta di 5 lire. Tagliatelo con un bicchiere in tanti rotondini, sulla metà di questi collocate un pezzetto di marmellata densa di frutto della grossezza d'una bella nocciola passando giro giro al dischetto (sopra, non dalle parti) una penna intinta nell'albume naturale. Copriteli quindi coi rotondini rimasti, comprimendone gli orli a ciò non si aprano friggendo, ritagliateli con un bicchiere più piccolo e rimpastate i rimasugli. Compiuta l'operazione gettateli nello strutto bollente, ove devono nuotare in uno spazio sufficente per potersi gonfiare. Ritirate di quando in quando la padella sull'orlo del fornello a ciò il calore non sia eccessivo e badate di tenerla coperta e di scuoterla col manico. Quando le bombe sono fritte da una parte, voltatele affinchè prendano uno bel colore dorato. Servitele calde e spolverizzate di zucchero. Se voleste farle col lievito di birra non avrete che a prendere il composto della ricetta n. 66 mettendovi i soli rossi delle ova, scarseggiando col burro e tenendo la pasta più soda. Le bombe di lievito di birra devono fermentare su d'una assicella infarinata, coperte d'un pannolino prima d'andare in padella.
potersi gonfiare. Ritirate di quando in quando la padella sull'orlo del fornello a ciò il calore non sia eccessivo e badate di tenerla coperta e di
Sciogliete con poc'acqua il lievito che dev'essere freschissimo, diluitelo con tutta l'acqua occorrente, poi versate il liquido nella farina che avrete posta sulla spianatoia, aggiungendovi il sale sciolto anch'esso in un cucchiaio d'acqua. Maneggiate fortemente il composto colle mani ora aperte, ora serrate in pugno, mettetelo quindi in una catinella fonda, coprite questa con un tovagliolo di bucato un po' infarinato e con un tagliere e chiudetela entro un armadio lasciandovela per alcune ore, p. e. dalla sera alla mattina. Trascorso questo tempo, il pastone, fermentando, si sarà aumentato circa il triplo del suo primitivo volume e apparirà spugnoso e leggero. A questo punto lo collocherete di nuovo sulla spianatoia e lo lavorerete lungamente, come prima, senz'aggiungervi nemmeno una briciola di farina, lo sbatterete contro l'asse, lo straccerete a pezzi e lo tornerete a ricomporre riducendolo alla fine come una bella palla elastica e liscia. Dopo questo lavoro, che esige circa 20 minuti di tempo, non vi resta che spianare i pani, cioè dividere la pasta in pezzi regolari e cilindrici. Con un chilogrammo di farina ne farete due della lunghezza di due palmi scarsi. Questi pani si dispongono nelle tegghie o sulle lamiere unte di burro e infarinate quando s'intenda metterli sulla brace o nei piccoli forni dei focolari; sulle assi, quando si abbia il destro di cuocerli nei forni appositi dove s'introducono mediante una pala. Tuttavia, prima di passare alla cottura, farete sempre fermentare i pani, ben coperti, ancora una volta in una camera molto calda o accanto a qualche fornello finchè sono abbondantemente raddoppiati di volume. La fermentazione esige qualche cura: se calore è troppo scarso essa procede lenta e stentata, se eccessivo la pasta rischia di guastarsi e non si solleva regolarmente. Conviene anche evitare che i pani, lievitando, piglino aria, nel qual caso si rivestono d'una crosta inopportuna. Il forno deve essere piuttosto ardito. Prima d'infornarli e appena sfornati (il tempo della cottura varia secondo la grossezza del pane e i gradi del calore fra 40 e 60 minuti) bagnateli con acqua fredda a ciò prendano un po' di lucido. La crosta di questo pane deve essere sottile e la midolla spugnosa e leggera.
volume. La fermentazione esige qualche cura: se calore è troppo scarso essa procede lenta e stentata, se eccessivo la pasta rischia di guastarsi e non
Regola generale per una buona cottura di carni braciate, è quella di procedere dolcemente. Si tratta non solamente di conservare alle carni il loro caratteristico sapore e i loro succhi nutritivi, ma di impregnarle dell'aroma dei legumi e dei condimenti che concorrono alla cottura. Mettete del burro o dell'olio in una casseruola e guarnitene il fondo con qualche cotenna, cipolla e carote gialle, un po' di sedano e del prezzemolo, il tutto tagliuzzato. Ponete la carne da braciare su questo fondo di aromi e fate rosolare pian piano fino a che la carne e i legumi avranno preso una leggera colorazione bionda. Questa prima parte dell'operazione ha per scopo di formare intorno alla carne un leggero strato abbrustolito, che impedirà ai succhi della carne di andare dispersi. Rosolata la carne, se il grasso della casseruola fosse eccessivo, colatelo tutto o in parte, bagnate con un po' di vino e quando il vino sarà asciugato, ricoprite la carne di brodo od acqua, coprite la casseruola, moderate ancor di più il fuoco e lasciate cuocere adagio adagio. La cottura della carne deve coincidere con la formazione della salsa, che dovrà essere assai ristretta, come uno sciroppo.
della carne di andare dispersi. Rosolata la carne, se il grasso della casseruola fosse eccessivo, colatelo tutto o in parte, bagnate con un po' di vino e
E non in fondo alla padella solo, ma in fondo alla teglia e in fondo alla casseruola. E che ci si trova dunque? Un piccolo tesoro che generalmente viene gettato via. Dopo aver cotto delle fettine in padella o delle «escaloppes» in teglia o anche dopo aver fatto dell'arrosto in casseruola, generalmente si ha la cattiva abitudine di rovesciare la carne sul piatto con tutto il grasso della cottura, il quale grasso il più delle volte è eccessivo e condisce in modo nauseabondo la carne preparata. Avrete osservato che nel fondo della padella o della teglia o della casseruola restano come dei piccoli grumi nerastri ai quali nessuno fa caso e che la donna di cucina lava e spreca. Ora proprio quei piccoli grumi nerastri rappresentano la parte veramente saporosa, con la quale voi potrete preparare una magnifica salsetta. Procedete dunque così: Cotta la carne, scolate via tutto il grasso e questo grasso non mandatelo in tavola, ma raccoglietelo in un tegamino, per utilizzarlo poi in qualche altra preparazione e versate nella padella o teglia o casseruola qualche cucchiaiata di brodo o d'acqua. Rimettete il recipiente sul fuoco, e con un cucchiaio di legno staccate bene i piccoli grumi. Vedrete che si scioglieranno facilmente e vi daranno un liquido nerastro che è appunto formato da una parte dei succhi della carne che si sono solidificati nel fondo durante la cottura. Se volete migliorare questo sugo potrete aggiungerci un piccolissimo pezzo di burro e un nonnulla di marsala. Ma, comunque, avrete arricchito la carne di una salsetta saporita, la quale non è certo da paragonarsi a quel lago di grasso, fatale allo stomaco, con cui molti portano in tavola la carne. Sono piccole cose, ma utili a sapersi: dei nonnulla che non vanno trascurati.
, generalmente si ha la cattiva abitudine di rovesciare la carne sul piatto con tutto il grasso della cottura, il quale grasso il più delle volte è eccessivo e
Identiche dosi e identico procedimento. Per la farcia di selvaggina bisognerà tener presente che ove si ottenesse un grado eccessivo di densità, la rettificazione della farcia va fatta, anzichè con la crema o la besciamella, con qualche cucchiaiata di salsa bruna, intendendosi, come sapete, per salsa bruna un denso sugo di carne senza pomodoro. Nella farcia di selvaggina si dovrà poi aggiungere come condimento una puntina di pepe rosso di Caienna, essendo caratteristica di questa farcia un gusto leggermente piccante.
Identiche dosi e identico procedimento. Per la farcia di selvaggina bisognerà tener presente che ove si ottenesse un grado eccessivo di densità, la
Questa ricetta tradizionale costituiva l'invariabile punto di partenza dei pranzi di Pasqua del bel tempo antico. La confezione è delle più facili. Si prepara, come di consueto, un brodo di manzo, aggiungendo nella pentola — ciò che è di rigore — un pezzo di petto o di spalla di agnello. Si rompono in una terrinetta dieci torli d'uovo, si diluiscono col sugo di un limone e si sbattono. Poco tempo prima di mandare la zuppa in tavola si mettono le uova sbattute in una casseruola grande e vi si versa pian piano il brodo bollente, mescolando continuamente con un cucchiaio di legno. Questa operazione va fatta fuori del fuoco. Quando avrete versato nella casseruola la quantità di brodo occorrente per dieci porzioni, mettetela vicino al fuoco e senza smettere mai di mescolare fate addensare leggermente il brodo. Badate che il calore non sia eccessivo e il liquido non bolla, altrimenti l'uovo si straccia e invece del brodetto otterreste una «stracciatella» la quale, come sapete, è un'altra cosa. La ricetta tradizionale vuole si aggiunga al brodetto anche una pizzicata di foglioline di maggiorana fresca: è questione di gusti. Tagliate delle fettine di pane sottili, abbrustolitele sul fuoco e distribuitene tre o quattro per scodella. A parte fate servire del parmigiano grattato.
senza smettere mai di mescolare fate addensare leggermente il brodo. Badate che il calore non sia eccessivo e il liquido non bolla, altrimenti l'uovo
Tra la minestra in brodo e i maccheroni, di cui taluni fanno un uso eccessivo, c'è tutta una varietà di minestre e di minestroni generalmente a base d'erbe, i quali costituiscono un cibo raccomandabilissimo anche dal lato igienico, tenuto conto che il tanto decantato brodo, a meno che si tratti di «consommés» ristrettissimi, ha un valore nutritivo quasi nullo. Tutte le città, si può dire, hanno un loro particolare minestrone, i quali su per giù si rassomigliano. Esamineremo i minestroni più tipici come quello genovese, quello milanese, quello toscano, per chiudere con qualche ricetta di minestre romane e napoletane: un breve, ma interessante viaggio gastronomico a traverso il fumo e il profumo delle zuppiere di qualcuna delle principali regioni italiane.
Tra la minestra in brodo e i maccheroni, di cui taluni fanno un uso eccessivo, c'è tutta una varietà di minestre e di minestroni generalmente a base
Per sei persone, calcolate 500 grammi di riso. Mettete sul fuoco una casseruola con un ettogrammo di burro e un po' meno di mezza cipolla tagliata sottilmente, aggiungete un ettogrammo abbondante di fegatini di pollo, mezzo ettogrammo di prosciutto in listerelle, due ettogrammi di animelle di abbacchio ritagliate in due, un pugno di funghi secchi già fatti rinvenire in acqua fresca, e fate cuocere su fuoco moderato affinchè il tutto possa rosolare dolcemente ma senza prendere un eccessivo colore. Bagnate allora con mezzo bicchiere di vino bianco e mezzo bicchiere di marsala, aggiungete il riso, e, insieme al riso un ettogrammo abbondante di piselli sgranati, teneri e di buona qualità, e mezzo ettogrammo di tartufi neri tagliati in dadini. Mescolate fino a che l'umidità dei vini non sia evaporata. Bagnate allora il riso con del brodo e con un ramaiolo di sugo di carne senza pomodoro o, in mancanza di questo, con un buon cucchiaino di estratto di carne in vasetti. Condite con sale, un pizzico di pepe bianco e lasciate che il riso cuocia pian piano per il tempo necessario alla sua completa cottura. A questo punto ultimatelo con un altro mezzo ettogrammo abbondante di burro e un ettogrammo e mezzo di parmigiano grattato. Date un'ultima mescolata, versate il riso sul piatto e fatelo portare immediatamente in tavola. Nella ricetta originale figurano anche delle creste di pollo. Ma siccome queste sono generalmente un po' dure, sarà bene prelessarle e metterle poi giù insieme ai fegatini durante la prima fase dell'operazione. Nelle stagioni in cui non ci sono piselli freschi, ci si può servire efficacemente di piselli conservati in scatola, purchè si abbia l'avvertenza di scegliere una buona marca. Abbiamo pubblicato la ricetta nella sua tipica integrità. Noi non consigliamo modificazioni od economie. Questo risotto è squisito a patto che sia eseguito così. Certo non è piatto molto economico da eseguirsi tutti i giorni, ma in occasione di qualche solennità, o avendo degli ospiti, avrete la certezza di farvi onore e di portare sulla mensa una preparazione veramente gustosa, che predisporrà lietamente i commensali al resto del pranzo
rosolare dolcemente ma senza prendere un eccessivo colore. Bagnate allora con mezzo bicchiere di vino bianco e mezzo bicchiere di marsala, aggiungete il
Prendete ora una teglia del diametro di circa venti centimetri, imburratela e poi mettete sul fondo di essa la parte maggiore della pasta, spianandola con le dita e formando una specie di scodella un po' sollevata nei bordi. Sulla pasta disponete la metà delle fettine di mozzarella e su queste stendete i filetti di pomodoro cotti. Condite con sale e pepe e con una cucchiaiata o due di foglie di basilico fresco, tagliuzzate. Finalmente sui filetti di pomodoro allineate le listelline di prosciutto, e terminate con un secondo strato di fettine di mozzarella. Ultimate il ripieno seminando su tutto un buon pugno di parmigiano grattato. Rompete un uovo in un piatto, sbattetelo come per frittata e con un pennello dorate l'orlo della pasta, che avrete avuto cura di lasciar libero. Prendete l'altro pezzo di pasta rimasta, il pezzo più piccolo, stendetelo alla svelta col rullo di legno aiutandovi con un po' di farina, formatene un disco e con questo disco ricoprite la pizza. Pigiate piano piano intorno affinchè i due dischi combacino bene, e poi mettete nuovamente la pizza a lievitare in un luogo tiepido, e al riparo da correnti d'aria. Appena la pizza sarà nuovamente lievitata — per il che occorrerà circa un'ora — doratela superficialmente coll'uovo sbattuto che vi è avanzato, procedendo con molta leggerezza per non sgonfiare la pasta e infornate in forno di buon calore, ma non eccessivo. Generalmente per una buona cottura occorrono una ventina di minuti, o al massimo mezz'ora.
infornate in forno di buon calore, ma non eccessivo. Generalmente per una buona cottura occorrono una ventina di minuti, o al massimo mezz'ora.
Molti hanno una ingiustificata avversione per il baccalà, che è invece un elemento prezioso nell'alimentazione. La poca simpatia di taluni dipende dal fatto che non si portano al baccalà tutte le cure necessarie: da cui l'odore poco simpatico, l'eccessivo gusto salato, e la carne spesso stoppacciosa. Il baccalà va bagnato in casa un paio di giorni prima di cucinarlo, e gli va tolta la pelle prima di metterlo in bagno. Mettetelo in un recipiente con abbondante acqua e cambiategliela spesso, oppure tenetelo sotto la fontanella dell'acquaio ad acqua corrente. Levategli poi le spine principali, le pinne, dividetelo in pezzi, e vedrete che questo cibo merita tutta la considerazione. Quando dovrete scegliere una qualità di baccalà preferite il Labrador perchè più fine. Anche eccellente è il francese, ma non si trova sempre sul mercato. Il così detto S. Giovanni, di carne più scura, ha il torto di tramandare un odore forte; e l'Islanda, che è il più diffuso e il più a buon mercato, riesce troppo spesso insipido e sfilaccioso. Per otto persone sarà sufficiente un chilo di baccalà secco. Quando sarà bene bagnato, levategli quante più spine potrete e poi dividetelo in piccoli pezzi quadrati o rettangolari che metterete ad asciugare in un tovagliolo. Infarinate questi pezzi e friggeteli nell'olio, nel quale avrete fatto soffriggere uno spicchio di aglio. Friggete il baccalà di bel color d'oro e ben croccante. Accomodatelo in un piatto e ricopritelo con una salsa densa fatta con aglio, olio e pomodoro, e ultimata con una cucchiaiata di prezzemolo trito.
dal fatto che non si portano al baccalà tutte le cure necessarie: da cui l'odore poco simpatico, l'eccessivo gusto salato, e la carne spesso
Prendete quel numero di rane occorrenti e che siano state naturalmente spellate e accuratamente risciacquate. Staccate tutte le coscie e mettetele da parte in acqua fredda. Il resto delle carcasse avanzate serviranno a preparare la salsa. Prendete dunque una casseruola, metteteci un dito d'olio, un po' di cipolla tritata fina e un pezzettino d'aglio schiacciato. Quando la cipolla sarà bionda bagnatela con un dito di vino bianco e quando l'umidità del vino sarà evaporata, aggiungete le carcasse delle rane, sale, pepe e un pizzico di funghi secchi. Bagnate tutto ciò con sufficiente acqua e — avendolo a disposizione — del brodo di pesce; coprite la casseruola e lasciate bollire per circa un'ora a fuoco moderato in modo da avere un brodo gustoso ed aromatico. Passate questo brodo da un colabrodo e raccoglietelo in un'altra casseruola, regolandovi che il liquido non sia però eccessivo, nel qual caso usatene meno della intiera quantità. In questo brodo mettete le coscie delle rane; dopo averle asciugate e infarinate e fatele cuocere su fuoco moderatomescolando di quando in quando. A cottura completa aggiungete nella salsa una cucchiaiata di prezzemolo e poi, fuori del fuoco, uno o due rossi d'uovo che avrete sciolto con un pochino d'acqua. Mescolate e tenete in caldo vicino al fuoco. Avrete preparato intanto dei crostini di pane fritti o anche tostati sulla gratella. Accomodate i crostini nel piatto di servizio e su essi versate le coscie delle rane col loro intingolo il quale, ripetiamo, non deve essere troppo liquido, nè troppo abbondante, ma deve formare una gustosa salsa piuttosto legata, e in quantità tale da bagnare i crostini. Invece di sciogliere i rossi d'uovo con la sola acqua si possono sciogliere anche con il sugo di mezzo limone.
gustoso ed aromatico. Passate questo brodo da un colabrodo e raccoglietelo in un'altra casseruola, regolandovi che il liquido non sia però eccessivo, nel
Stendete allora la rete sul tavolo, versate la farcia nella terrina dove ci sono i dadi di carne, prosciutto, ecc., e con un cucchiaio — o quel che sarebbe meglio con le mani — impastate leggermente il tutto, in modo che i dadi vengano a trovarsi legati fra loro dal composto molle della farcia. Non vi preoccupate del marsala nella terrinetta: esso verrà incorporato nell'impasto e servirà a rendere più profumata la galantina. Fatto questo, prendete con le mani la massa impastata e deponetela sulla rete cercando di darle una forma arrotondata; ricoprite l'impasto di carne con la rete e rinchiudetevelo come voleste incartarlo. Mentre andate involgendo la galantina nella rete, procurate, con le mani, di darle l'aspetto di un coteghino. Ripiegate le due estremità della rete e con un grosso ago cucite intorno intorno, come se si trattasse di un pacco postale. Avvolgete la galantina in una salvietta che torcerete alle due estremità come una grossa caramella, e fermate ogni estremità con una forte legatura. Altre due legature farete nel mezzo della galantina, così che essa rimanga solidamente imballata. Mettetela in una casseruola con acqua, sale, e i soliti odori (cipolla con un chiodo di garofano, carota gialla, sedano, prezzemolo) e quando l'acqua starà per bollire, tirate la casseruola sull'angolo del fornello e badate che la galantina cuccia per un'ora e mezzo, bollendo insensibilmente. Se il liquido bollisse troppo forte la farcia interna, in luogo di stringersi, si disgregherebbe. Trascorso il tempo fissato estraete la galantina dal suo bagno, lasciatela riposare cinque o sei minuti, poi tagliate le legature e svolgetela dalla salvietta. Gettate questa salvietta in una catinella con acqua fredda, risciacquatela un poco, strizzatela, stendetela sul tavolo e in essa involgete di nuovo la galantina, legandola come prima. Appoggiate una tavoletta o un piatto ovale sulla galantina ponendoci sopra un paio di ferri da stiro o qualunque altro peso. Lasciate stare così fino al giorno dopo affinchè la galantina possa ben pressarsi. Il peso non deve essere eccessivo, altrimenti la galantina, troppo compressa, potrebbe riuscire secca. L'indomani togliete le legature, aprite la salvietta e tagliate la galantina in fette servendovi di un coltello bene affilato, il brodo avanzato potrete utilizzarlo, dopo averlo sgrassato accuratamente, per fare delle minestre o dei minestroni, o meglio ancora, potrete servirvene per confezionare della gelatina. S'intende che volendo adoperare il brodo per la gelatina dovrete unirvi della colla di pesce o mettere a bollire con la galantina un paio di piedi di vitello allo scopo di comunicare al brodo quell'elemento colloso necessario per farlo rapprendere.
o qualunque altro peso. Lasciate stare così fino al giorno dopo affinchè la galantina possa ben pressarsi. Il peso non deve essere eccessivo
La prima parte dell'operazione non presenta difficoltà serie. Ciò che è un po' più difficile è la seconda parte, specialmente difficile a dirsi, che in pratica è molto più semplice di quanto sembri. Mettete nel polsonetto 250 grammi di zucchero, possibilmente in pezzi, un cucchiaio da tavola di glucosio e poca acqua: tanta che possa inzuppare lo zucchero. Non disponendo di glucosio mettete nello zucchero un mezzo cucchiaino da caffè di cremor di tartaro. Il glucosio è però preferibile perchè comunica al fondant una maggiore pastosità. Mettete il polsonetto sul fuoco e appena lo zucchero bollirà passatelo da un colino fino. Rimettetelo nel polsonetto e incominciate la cottura. La quale dovrà essere arrestata al grado della bolla (vedi «Cottura dello zucchero»), quando cioè immergendo un po' di zucchero — preso col dito bagnato o con uno stecchino — in una scodella piena d'acqua, lo zucchero si raccoglierà in una pallina morbida e trasparente. Spruzzate allora un po' di acqua sullo zucchero e rovesciatelo sulla tavola di marmo, ben nettata precedentemente e bagnata d'acqua. Spruzzate ancora un altro po' d'acqua sullo zucchero e lasciatelo freddare un pochino. Prendete [immagine e didascalia: Griglia da pasticceria] poi una robusta spatola di legno e incominciate a lavorare lo zucchero spingendolo dinanzi a voi e poi rovesciandolo sempre verso il centro. L'operazione è un po' simile a quella del muratore quando impasta la calce. Occorreranno per impastare bene lo zucchero circa una ventina di minuti di lavoro. Man mano che lo zucchero s'impasta si sbianchisce e diviene sempre più duro ed elastico. Poi a un tratto si snerva, si allarga e s'indurisce. Il fondant è fatto. Si raccoglie in una palla, si mette in una terrinetta, si copre con una salviettina umida e si conserva. Quando si vuole adoperare se ne prende una parte o tutto, secondo la necessità del lavoro, si mette in una piccola casseruola e si scalda leggermente. II calore deve essere appena sensibile: immergendo un dito nel fondant non si deve sentire un eccessivo calore. Risulterà come una crema densa. Il fondant da noi descritto è bianco latteo. Per averlo in altre tinte basterà metterci qualche goccia dei soliti colori innocui da pasticceria.
. II calore deve essere appena sensibile: immergendo un dito nel fondant non si deve sentire un eccessivo calore. Risulterà come una crema densa. Il
Le dosi sono: Farina di prima qualità gr. 180; burro gr. 125; lievito di birra gr. 25; uvetta secca gr. 60; uova intere n. 3; un pizzico di sale; una cucchiaiata di zucchero in polvere. Stacciate la farina, e prendetene la quarta parte che scioglierete in una tazza con il lievito e circa due dita d'acqua appena tiepida, in modo da avere una pasta piuttosto liquida, coprite la tazza e mettetela in luogo tiepido, ma non troppo vicino al fuoco. Questa precauzione è indispensabile, perchè se il lievito sente troppo calore si brucia e perde tutta la sua efficacia. Dopo circa un quarto d'ora il lievito avrà raddoppiato il suo volume. Versatelo allora in una terrinetta dove avrete messo il resto della farina, un pizzico di sale, le tre uova e il burro, di cui conserverete un pezzetto che vi servirà per imburrare la stampa. Impastate tutto con la mano, e poi lavorate con forza la pasta, sollevandola con le dita e sbattendola energicamente contro le pareti della terrina. Dopo cinque o sei minuti la pasta dovrà essere liscia, vellutata ed elastica, e dovrà staccarsi tutta intera. Aggiungete allora lo zucchero, lavorate un altro poco, e mettete in ultimo l'uvetta, che avrete accuratamente mondata e tenuta in bagno in un pochino d'acqua tiepida. Imburrate una stampa della capacità di un litro e mezzo circa. Preferite una stampa piuttosto alta, a disegno ampio, e vuota nel mezzo. Prendete la pasta a piccoli pezzi e fateli cadere nella stampa. La pasta dovrà occupare poco più di un terzo di essa. Mettete la stampa in luogo tiepido e lasciate lievitare. Guardate bene che non vi siano correnti d'aria, nè un eccessivo calore. Dopo un'ora e un quarto, o un'ora e mezzo, la pasta sarà salita fino all'orlo della stampa. Infornate allora il babà, tenendolo per una mezz'ora in forno moderato, così da averlo di un bel colore d'oro. Per assicurarvi della cottura potrete anche immergere nel dolce un lungo ago e vedere se vi rimane attaccata della pasta ancora cruda. Sformate il babà e versateci sopra a cucchiaiate uno sciroppo bollente al rhum, che avrete preparato così. Mettete al fuoco una casseruolina con mezzo bicchiere d'acqua e tre cucchiaiate di zucchero. Fate bollire, ritirate lo sciroppo dal fuoco e mescolatevi un bicchierino di rhum. Per rifinire il babà a perfetta regola d'arte conviene ora fare un piccolo lavoro accessorio, ultimando il dolce con una leggerissima copertura di zucchero detta «ghiaccia piangente». Quest'ultima parte dell'operazione non è, a rigor di termini, necessarissima; ma quando vi sarete abituate ad ultimare il babà in questo modo, continuerete a farlo così, poichè troverete che il lievissimo e semplice lavoro supplementare comunica al babà una finezza di gran lunga superiore. Mettete in una tazza da caffè e latte tre o quattro cucchiaiate di zucchero al velo. In mancanza di questo supplirete con dello zucchero pestato finissimo e poi passato per un setaccino di velato. Inumidite lo zucchero con poca acqua e mescolate con un cucchiaino aggiungendo man mano altra acqua, fino ad avere la densità di una crema piuttosto colante. Regolatevi quindi nell'aggiungere acqua e non mettetene che la quantità strettamente necessaria per non essere costrette ad aggiungere altro zucchero. Preparato questo composto di zucchero spalmate di marmellata d'albicocca il babà già inzuppato, mettendone poca e dappertutto, e poi con un cucchiaio fate cadere dalla cupola in giù lo zucchero colante. Questa operazione è bene farla dopo aver messo il babà in una teglia. Se lo zucchero si spargesse sul fondo di essa Io riporterete sul dolce servendovi di una lama di coltello. Seminate sulla sommità del babà delle pizzicate di
di essa. Mettete la stampa in luogo tiepido e lasciate lievitare. Guardate bene che non vi siano correnti d'aria, nè un eccessivo calore. Dopo un'ora
Per questo delicato lavoro di bomboneria occorrono le violette doppie di Parma e — naturalmente — freschissime. Si privano del gambo e si tuffano in acqua fresca per ripulirle bene. Si tolgono delicatamente dall'acqua, si raccolgono su un ampio setaccio e si lasciano sgocciolare per qualche ora, tenendole in un luogo fresco. Bisogna adesso preparare dello zucchero nel seguente modo. Prendete una buona quantità di zucchero, in polvere molto fina, mettetelo su un setaccio di seta e fatene cadere la parte impalpabile, cioè lo zucchero cosidetto al velo, che riserverete per altri lavori. Sul setaccio rimarrà della polvere di zucchero che, presa tra le dita, rassomiglia ad un semolino a grana finissima, e che è appunto quello che serve alla preparazione. Questo zucchero va adesso colorito in viola. Per i vari lavori di pasticceria ci sono in commercio degli speciali colori innocui di diverse Case, e già pronti per l'uso. Siccome però tutti questi colori sono molto concentrati e densi, per il lavoro delle violette candite bisogna diluirli, affinchè il colore possa aver modo di ripartirsi tra tutti i granellini dello zucchero. Per diluire il colore si fa così: si prende un po' di color viola concentrato e si stempera con mezzo bicchiere d'acqua bollente. Avvenuta la soluzione si lascia freddare e si rifinisce con un bicchierino d'alcool puro e una o due gocce di essenza di violetta. Si raccoglie il colore ottenuto in una bottiglina e si conserva. Si stende lo zucchero su un foglio grande di carta bianca e vi si versa, a gocce, il colore viola, impastando bene con le due mani affinchè questo colore, che è dotato di grande potenza colorante, vada a tingere uniformemente ogni granellino. Si giudica del risultato ottenuto, e se l'intonazione generale dello zucchero non rispondesse al vero colore delle violette di Parma, se ne può correggere la nuance con qualche goccia di color «rosa brillante». Stendete bene lo zucchero sulla carta, e lasciate asciugare completamente, all'aria. Sciogliete a bagnomaria della gomma arabica in pezzi con poca acqua e a parte preparate uno sciroppo di zucchero al profumo di vainiglia. Questo sciroppo misurato col pesa-sciroppi dovrà segnare 32 gradi. Unite la gomma fusa e densa allo sciroppo e tenete il tutto in caldo, senza che il calore però sia eccessivo. Prendete le violette, mettetene poche alla volta in una terrinetta di porcellana e versateci su un pochino del composto di gomma e sciroppo: tanto che basti appena appena a bagnarle. Operando con attenzione, girate le violette nel liquido affinchè restino inumidite in ogni parte. Appoggiatele subito sullo zucchero colorato e rotolatele in esso con grande delicatezza in modo da far loro raccogliere la maggiore quantità di zucchero. Procedete così fino ad avere esaurito tutte le violette e poi collocatele bene allargate su un grande setaccio di seta lasciandole per qualche giorno in luogo tiepido, onde abbiano ad asciugarsi completamente.
e tenete il tutto in caldo, senza che il calore però sia eccessivo. Prendete le violette, mettetene poche alla volta in una terrinetta di porcellana
In quanto alla carne di cavallo, senza tema di cadere nelle esagerazioni degli ippofagi, si può asserire essere essa sana, nutritiva e gustosa quasi quanto quella: di bue, semprechè l'animale da cui proviene non sia nè ammalato, nè strapazzato da eccessivo lavoro, nè decrepito. La nota saliente di questa carne è la scarsezza di grasso, compensata d'altronde da una corrispondente ricchezza di principii albuminoidi e povertà di acqua. Per lo che, in casi di stringenti necessità di guerra od altro, può ritenersi tornerebbe preziosissima questa carne per l'alimentazione delle truppe.
quanto quella: di bue, semprechè l'animale da cui proviene non sia nè ammalato, nè strapazzato da eccessivo lavoro, nè decrepito. La nota saliente di
3° L'uso del ghiaccio quando il caldo della stagione sia veramente eccessivo. Però occorre osservar bene di non porre il ghiaccio a diretto contatto della carne, perchè in questo caso, anzichè preservarla, la predisporrebbe ad una pronta, alterazione, non appena cessata l'azione sua perfrigerante.
3° L'uso del ghiaccio quando il caldo della stagione sia veramente eccessivo. Però occorre osservar bene di non porre il ghiaccio a diretto contatto
63. — Importanza loro per il soldato. Norme che ne regolano la distribuzione. Se gli alimenti nervosi sono capaci di eccitare la vita dei nervi e del cervello, se valgono a sospendere o rallentare gli atti di regressione organica, se possono disporre il ventricolo ad aspettare il ristoro più solido e durativo degli alimenti veri e propri, cullandolo per soprappiù in un particolare benessere, nessuno vorrà disconoscerne la grande opportunità nell'alimentazione del soldato, destinato a lavoro energico e spesso eccessivo, che esige straordinario logorio organico, e subordinato sovente a privazioni di ogni sorta, primissima fra tutte quella di dover sentire suonare talvolta in ritardo l'ora del suo pasto che esigenze imperiose non consentiranno nemmeno proporzionale al bisogno del momento.
'alimentazione del soldato, destinato a lavoro energico e spesso eccessivo, che esige straordinario logorio organico, e subordinato sovente a
§ 83. – Alterazioni della galletta e sua conservazione. La galletta, anche ben preparata, ben cotta, ben essiccata ed incassata a regola d'arte, può alterarsi, soprattutto quando sia subordinata all'umidità od all'eccessivo calore. In questi casi è invasa, alla superficie ed all'interno, da muffe che sono quelle stesse che furono ricordate al § 5, d, a proposito delle alterazioni del pane da munizione. Può esser pure invasa da insetti che la divorano e contamino con i loro escrementi, quali la piattola (blatta ortentalis), il punteruolo (silophilus granarius), la tarma (Tinea granella) ed altri che ponno invadere il frumento e la sua farina (Vedi §§ 10 e 14, g). Anche i sorci, le formiche ed altri animaletti, che sono attratti con facilità dalla galletta, possono alterarla profondamente.
alterarsi, soprattutto quando sia subordinata all'umidità od all'eccessivo calore. In questi casi è invasa, alla superficie ed all'interno, da muffe
Molti ne sono messi qua e là per questo libro e qui se ne pongono alcuni altri che possono servire per ravioli, pasticci sformati ecc. Si noti che se gli avanzi sono di carni diverse, nulla di meglio. Si disossano, si puliscono dai tendini e dalle pelletiche e dal grassume eccessivo, si tritano colla lunetta o meglio si passano parecchie volte dalla macchinetta tritacarne, si impastano, secondo la vivanda richiede, con uova, balsamella ecc., poi si rosolano nel burro, aggiungendo un paio di bicchierini di Marsala, un cucchiaio di capperi triti e si asciuga il tutto un pochino al fuoco. La carne di maiale arrostita (arista ecc.) si trita con la metà del suo peso di lardone, sale, pepe, un pizzico di spezie e alcuni tartufi. Serve a riempire pasticci o piccole terrine. Gli avanzi di pesce di polpa bianca si passano allo staccio e si aggiunge loro una quantità uguale di mollica di pane bagnata nel vino, o di balsamella con tre rossi d'uova sode, odore di tartufi e di spezie e di buccia di limone. Amalgamate nel burro e servitevene.
gli avanzi sono di carni diverse, nulla di meglio. Si disossano, si puliscono dai tendini e dalle pelletiche e dal grassume eccessivo, si tritano
Una zuppiera di magnifica minestra da tutti conosciuta e amata (riso, fegatini e fagioli in brodo di quaglie) sia recata in alto su tre dita dal cuoco stesso saltante sulla gamba sinistra. Giungerà o non giungerà? Forse si rovescierà e le macchie sul vestito nuziale correggeranno opportunamente l'insolente e poco fortunoso candore eccessivo.
Si riscaldi allora o solo dell'olio o solo del burro, a piacere (non però tutte e due le cose insieme, poiché farebbero spuma) in una casseruola di alluminio e si badi che il grasso non raggiunga un calore eccessivo.
alluminio e si badi che il grasso non raggiunga un calore eccessivo.
Lo stitico deve indagare le cause del male che lo affligge. L'inerzia degli intestini, la pochissima secrezione delle materie che li ingombrano e l'eccessivo agglomeramento di esse sono le origini del male, senza contare altre lontane cause, come l'abuso del mangiare e del bere, che contribuiscono ad accrescerle.
'eccessivo agglomeramento di esse sono le origini del male, senza contare altre lontane cause, come l'abuso del mangiare e del bere, che contribuiscono
I Toscani, i Fiorentini in ispecie, sono così vaghi degli ortaggi, che vorrebbero cacciarli per tutto e per conseguenza in questo piatto mettono la bietola che, mi pare, ci stia come il pancotto nel credo. Questo eccessivo uso di vegetali non vorrei fosse una, e non ultima, delle cagioni della flaccida costituzione di alcune classi di persone, che, durante l'influenza di qualche malore, mal potendo reggerne l'urto, si vedono cader fitte come le foglie nel tardo autunno.
bietola che, mi pare, ci stia come il pancotto nel credo. Questo eccessivo uso di vegetali non vorrei fosse una, e non ultima, delle cagioni della
10. Gnocchi di lievito al forno. — Fate lievitare, secondo la regola, (vedi Cap. 27) 30 grammi di lievito di birra con 3 cucchiai di farina e un po' di latte tiepido crudo. Lavorate intanto in una catinella 120 gr. di burro, prima solo poi con 2 uova intere e 2 tuorli, 30-40 gr. di zucchero e un po' di sale, quindi col lievito fermentato con 350-400 gr. di farina, unendovi del latte, se occorresse, e maneggiate la pasta colle mani entro la terrina finchè si fa morbida e liscia e si stacca bene. Fatela quindi fermentare e, quando è raddoppiata abbondantemente di volume, ungete con del burro una larga cazzarola, disponetevi la pasta in forma di gnocchi della grandezza di una mela media, spennellandoli da tutte le parti con del burro, lasciateli lievitare alcuni minuti ancora, indorateli coll'uovo sbattuto e cuoceteli al forno badando che il calore dalla parte di sotto non sia eccessivo. Spolverizzateli poi di zucchero vanigliato e serviteli con una crema.
, lasciateli lievitare alcuni minuti ancora, indorateli coll'uovo sbattuto e cuoceteli al forno badando che il calore dalla parte di sotto non sia eccessivo
Quanto è bello prendere il tè con le amiche (specie se di sopraffina qualità sono i biscotti nei piattini); e chiacchierar così, insieme, sul più e sul meno... sulle mode... sull'eccessivo studiare al quale la scuola costringe i poveri figlioli... sulla negra ballerina che in visibilio ha mandato persino i nostri mariti... su le donne di servizio... e sul modo personale di imbandire un piatto prelibato!
sul meno... sulle mode... sull'eccessivo studiare al quale la scuola costringe i poveri figlioli... sulla negra ballerina che in visibilio ha mandato