Uva. — Frutto allegro, frutto dolce, frutto bello, frutto galantuomo, che è degno in tutto di essere il padre o la madre di quel santo liquore che è il vino. I forti generano i forti, disse un antico e prima di lui lo aveva proclamato ai quattro venti mamma natura. Così l'uva che è dolce senz'essere nauseante, che è saporita senz'essere stomachevole, che rinfresca e nutrisce, che dà alle nostre labbra tanti baci, quanti sono i molti acini dei suoi ricchi grappoli, e al palato tanti sapori, quante sono le mille varietà della vite, genera dalle sue viscere quel divino liquore che ebbe un Dio nell'Olimpo greco, ma che avrà un culto dagli uomini, finchè una zolla del nostro pianeta sarà calpestata da piede di creatura intelligente.
suoi ricchi grappoli, e al palato tanti sapori, quante sono le mille varietà della vite, genera dalle sue viscere quel divino liquore che ebbe un Dio
Antremè = Abbiate due libbre di fravole nettate bene, levatene una libbra delle più grosse; passate le altre al setaccio, fatele cuocere dolcemente con sciroppo di zucchero quanto basti; quando saranno cotte, e consumate una cosa giusta, fatele raffreddare. Coprite delle barachiglie piatte da pasticcietti di pasta frolla, o all' Inglese, formate colla medesima pasta grossa come uno scudo tanti coperchi, quante sono le baracchiglie, bucateli tutto all'intorno con un cannellino di latta, e fateli cuocere ad un forno temperato, unitamente alle baracchiglie, e glassateli sopra con zucchero fino. Nel momento di servire mescolate le fravole collo sciroppo suddetto, riempiteci le Tartellette, copritele con i loro coperchi, e ponete sopra nel mezzo de' medesimi una grossa fravola bene inzuccherata, e servite subito. Osservate che la pasta frolla deve essere fatta con meno butirro, ed un tantino di vino.
pasticcietti di pasta frolla, o all' Inglese, formate colla medesima pasta grossa come uno scudo tanti coperchi, quante sono le baracchiglie, bucateli
Antremè = Allorchè averete levate le Chioccole dalle loro conchiglie come sopra, mettetele in una cazzarola con un buon pezzo di butirro, o olio; passatele sopra il fuoco, sbruffateci quindi un pochino di vino bianco, condite con pepe schiacciato, e petrosemolo trito; aggiustatele dentro ad altre conchiglie, quante ve ne possono stare con tutto il loro condimento, come sarebbero di Ostriche, di Cocciole, di Came, di Gongole etc., copritele con mollica di pane grattata, e se non sono all'olio fatela friggere ben bionda nel butirro: in questo caso fatele stufare al forno, e nell'altro mettetele a l fuoco sopra la gratella, e passateci sopra la pala rovente sènza toccare, e servite si le une, che le altre con un buon sugo di limone.
conchiglie, quante ve ne possono stare con tutto il loro condimento, come sarebbero di Ostriche, di Cocciole, di Came, di Gongole etc., copritele con
Allorchè la Cena si dà in occasione di Soggetto rispettabile, si deve esattamente servire coma si serve un Pranzo, cioè a tre Servizi, compresovi la Credenza, Se poi non sono Cene di grande impegno, si servano in Ambigù, vale a dire tutto in una portata senza Zuppe, quante volte il Padrone non le ordini espressamente. In questo caso si servono, quattro, o otto, piatti forti di Rilievo alle Zuppe se vi sono, quattro o otto Rifreddi più piccioli dei primi, otto, o dodici Arrostì, ed il resto tanti Antrè, e tanti Antremè, e numero eguale di tondini di Credenza, coll'attenzione che mettendoli in Tavola si debbano distribuire uno di Cucina, ed uno di Credenza, e toccarsi l'uno coll'altro.
Credenza, Se poi non sono Cene di grande impegno, si servano in Ambigù, vale a dire tutto in una portata senza Zuppe, quante volte il Padrone non le
Antremè = Abbiate una libbra e mezza di fravole nettate bene, levatene mezza libbra delle più grosse; passate le altre al setaccio, fatele cuocere dolcemente con sciroppo di zucchero quanto basti; quando saranno cotte, e consumate una cosa giusta, fatele raffreddare. Coprite delle barachiglie piatte da pasticcietti di pasta frolla, o all'Inglese, formate colla medesima pasta grossa come uno scudo tanti coperchi, quante sono le barachiglie, bucateli tutto all'intorno con un cannellino di latta, e fateli cuocere ad un forno temperato, unitamente alle baracchiglie, e glassateli sopra con zucchero fino. Nel momento di servire mescolate le fravole collo sciroppo suddetto, riempiteci le Tartellette, copritele con i loro coperchi, e ponete sopra nel mezzo de' medesimi una grossa fravola bene inzuccherata, e servite subito. Osservate che la pasta frolla deve essere fatta con meno butirro, ed un tantino di vino.
piatte da pasticcietti di pasta frolla, o all'Inglese, formate colla medesima pasta grossa come uno scudo tanti coperchi, quante sono le barachiglie
È l'osso buco un pezzo d'osso muscoloso e bucato dell'estremità della coscia o della spalla della vitella di latte, il quale si cuoce in umido in modo che riesca delicato e gustoso. Mettetene al fuoco tanti pezzi quante sono le persone che dovranno mangiarlo, sopra a un battuto crudo, e tritato di cipolla, sedano, carota e un pezzo di burro; conditelo con sale e pepe. Quando avrà preso sapore aggiungete un altro pezzetto di burro intriso nella farina per dargli colore e per legare il sugo e tiratelo a cottura con acqua e sugo di pomodoro o conserva. Il sugo passatelo, digrassatelo e rimesso al fuoco, dategli odore con buccia di limone tagliata a pezzettini, unendovi un pizzico di prezzemolo tritato prima di levarlo dal fuoco.
modo che riesca delicato e gustoso. Mettetene al fuoco tanti pezzi quante sono le persone che dovranno mangiarlo, sopra a un battuto crudo, e tritato di
Per grammi 700 di pesce, trinciate fine mezza cipolla e mettetela a soffriggere con olio, prezzemolo e due spicchi d'aglio intero. Appena che la cipolla avrà preso colore, aggiungete grammi 300 di pomodori a pezzi, o conserva, e condite con sale e pepe. Cotti che siano i pomodori, versate sui medesimi un dito d'aceto se è forte, e due se è debole, diluito in un buon bicchier d'acqua. Lasciate bollire ancora per qualche minuto, poi gettate via l'aglio e passate il resto spremendo bene. Rimettete al fuoco il succo passato, insieme col pesce che avrete in pronto, come sarebbero, parlando dei più comuni, sogliole, triglie, pesce cappone, palombo, ghiozzi, canocchie, che in Toscana chiamansi cicale, ed altre varietà della stagione, lasciando interi i pesci piccoli e tagliando a pezzi i grossi. Assaggiate se sta bene il condimento; ma in ogni caso non sarà male aggiungere un po' d'olio tenendosi piuttosto scarsi nel soffritto. Giunto il pesce a cottura e fatto il cacciucco, si usa portarlo in tavola in due vassoi separati: in uno il pesce asciutto, nell'altro tante fette di pane, grosse un dito, quante ne può intingere il succo che resta, ma prima asciugatele al fuoco senza arrostirle.
asciutto, nell'altro tante fette di pane, grosse un dito, quante ne può intingere il succo che resta, ma prima asciugatele al fuoco senza arrostirle.
Fate un miscuglio d'ogni cosa, avendo frullate prima le uova a parte, e lasciatelo in riposo per qualche ora; poi mettetelo in un tovagliuolo e legatelo bene stretto con uno spago per formare una palla. Ponete al fuoco una pentola d'acqua e quando bolle immergetelo nella medesima, in modo che non tocchi il fondo del vaso, lasciandolo bollire adagio tante ore quante sono le uova. Levatelo dal tovagliuolo con riguardo, fategli al disopra una pozzetta e, versato in essa un bicchierino o due di cognac o di rhum che si spanda per tutto il dolce, dategli fuoco e così caldo e in fiamme mandatelo in tavola per esser tagliato a fette e mangiato quando la fiamma è estinta. Tre uova basteranno per sei persone.
tocchi il fondo del vaso, lasciandolo bollire adagio tante ore quante sono le uova. Levatelo dal tovagliuolo con riguardo, fategli al disopra una
Per quante ricerche io abbia fatto onde appurare tali notizie, non mi è riuscito di venirne a capo. Ciò che vi è di positivo su tale argomento è questo, e cioè: che l'uso delle bibite ghiacciate, con l'aiuto della neve e del ghiaccio in conserva, è di origine orientale e rimonta alla più remota antichità e che la moda dei gelati fu introdotta in Francia verso il 1660 da un tal Procopio Coltelli palermitano, il quale aprì sotto il suo nome Café Procope una bottega a Parigi di faccia al teatro della Comédie française ed era quello il luogo di ritrovo di tutti i begli ingegni parigini. La rapida fortuna di questo caffè, ove ai gelati si cominciò a dar la forma di un uovo e di un ovaiuolo al bicchiere che li conteneva, spinse i venditori di limonate e bibite diverse a imitare il suo esempio, e fra essi va ricordato il Tortoni che colla voga dei suoi deliziosi gelati riuscì ad avviare un caffè di fama europea e ad arricchire.
Per quante ricerche io abbia fatto onde appurare tali notizie, non mi è riuscito di venirne a capo. Ciò che vi è di positivo su tale argomento è
Si prendono pesche spicche, mature e sane, si gettano due alla volta, per un minuto, nell'acqua bollente e, tolte dall'acqua, si sbucciano senza toccar la polpa. Poi s'involtano molto e bene nello zucchero bianco in polvere e si collocano in un bolo, ossia in un vaso fondo e decente; indi si prendono tanti quadretti di zucchero quante sono le pesche, si strofinano sulla buccia di un limone di giardino maturo finchè ogni quadretto siasi impregnato dell'essenza del limone e si nascondono fra le pesche. Si lasciano così accomodate per due ore almeno (il più non guasta) e prima di portare il vaso in tavola si tiene tutto chiuso e coperto fra molto ghiaccio per due o tre ore. Ritornata la stagione delle pesche non ho mancato di mettere in prova questa ricetta e posso dirvi subito che essa ha del merito. Io mi sono servito di un vaso di metallo, di zucchero a velo a buona misura ed ho sparso sale fra il ghiaccio.
prendono tanti quadretti di zucchero quante sono le pesche, si strofinano sulla buccia di un limone di giardino maturo finchè ogni quadretto siasi
Dividete questo pisto in tante parti quante sono le fettoline di vitello, spalmatele su con la lama di un coltelto, rotolate la fetta di vitella, CREMA BAVARESE ALLA PRIMAVERILE. (69) Prendete 2 oncie di pistacchi, sbollentateli, pelateli, e dopo asciugati, triturateli ben fini sotto al coltello. Metteteli poscia in una terrina e legateli con alcuni cucchiai di gelatina dolce quasi rappresa. Preparate 2 o 3 decilitri di gelatina colorata in rosso, egual quantità di gelatina sbattuta, assai bianca, oppure di blanc-manger. Fate spessire i due composti sulla neve, onde farli coagulare, per poi introdurli separatamente in un cartoccio, spingendoli man mano nelle scannellature di uno stampo, poggiato da un solo lato sulla neve. Alternate i colori nelle scannellature, decorate il fondo egualmente, incamiciate leggermente questa decorazione con gelatina semi-rappresa, e colmate il vuoto con un apparecchio di bavarese alla fragola od ai lamponi, oppure ai ribes. Dopo ben rassodato il composto, immergete lo stampo nell'acqua tiepida, capovolgetelo su un piatto, su cui vi sia un fondo in pastigliaggio, con una colonnina nel mezzo, la di cui sommità ornerete con un pennacchietto di zucchero filato. su se stessa in forma di un grosso turacciolo, chiudete le estremità, e poi infilate le polpette due per due in uno stecco, infarinatele e fatele cuocere moderatamente in un recipiente in cui vi sia del burro depurato in sufficente quantità.
Dividete questo pisto in tante parti quante sono le fettoline di vitello, spalmatele su con la lama di un coltelto, rotolate la fetta di vitella
Levate l'ossa ad una quantità di olive, tante quante bastano per investire uno stampo di timballo di forma a cupola, imbianchitele, scolatele ed asciugatele su un pannolino per poi riempirle con una farcia da quenelles mediante un piccolo cornetto, spalmate abbondantemente lo stampo di burro; disponetevi internamente le olive in linea retta appoggiandole contro le pareti con un pennello intinto nell'uovo, e assicurandole con farcia, arrivate all'orlo dello stampo, intonacatelo internamente con farcia. Avrete in pronto, cotti in una mirepoix, i filetti di tre anitre selvatiche, che lascerete intiepidire nel loro sugo; divedete ogni filetto in tre liste e metteteli un istante sul fuoco con un po' di buon sugo ristretto, e quando saranno glassati versatevi entro un poco di salsa spagnuola molto ristretta; aggiungete qualche animella d'agnello mettete l'intingolo nel timballo, copritelo con farcia per cuocerlo a bagno maria; rovesciate lo stampo sul piatto e di li a poco ritiratelo, asciugate l'unto, cospargete leggermente il timballo con salsa spagnuola, mista con l'essenza d'anitra salvatica e vino madera, e servite la stessa salsa a parte.
Levate l'ossa ad una quantità di olive, tante quante bastano per investire uno stampo di timballo di forma a cupola, imbianchitele, scolatele ed
il « canapè » è rappresentato da dischetti tagliati da una pasta margherita. Ritagliatene tanti dischetti quante sono le pesche (o meglio le mezze pesche) che dovrete presentare in tavola, e prima fateli seccare leggermente e colorire in forno senza che abbiano a bruciare. Ancora caldi, poneteli su un piatto fondo, e con un mezzo bicchiere di marsala precedentemente dolcificato con un cucchiaino di zucchero, bagnateli ai due lati senza inzupparli eccessivamente, altrimenti si spappolano. Adagiate questi dischetti sul piatto di portata, e su ognuno di essi posate una mezza pesca, precedentemente macerata per mezz'ora in un bagno di Alkermes o Maraschino (o metà dell'uno e metà dell'altro) e zucchero. Il cavo lasciato dal nocciolo, andrà riempito di marmellata di ciliege diluita nel liquido rimasto dall'infusione delle mezze pesche. Ora non vi resta che porle nel frigorifero. Saranno più buone se avrete riempito il fondo del piatto di crema.
il « canapè » è rappresentato da dischetti tagliati da una pasta margherita. Ritagliatene tanti dischetti quante sono le pesche (o meglio le mezze
Tagliate la carne a fette, battetele leggermente sul tagliere, poi passatele nelle uova sbattute e salate. Intanto, a parte, preparate tante salsicce quante sono le fette di carne e qualche foglia di salvia. Impanate ad una ad una le fette di carne, salate, mettetevi nell'interno la salsiccia e arrotolatele; poi, così preparate, passatele nell'uovo sbattuto. Tenete pronto uno spiedo sul quale disporrete i « tordi » alternati con dei quadrettini di pane che avrete anch'essi passati nell'uovo. Cuocete nel forno da campagna appoggiando lo spiedo sui bordi di una teglia in cui avrete messo dell'olio, in modo che i « tordi » tocchino appena appena l'olio. Ungete di tanto in tanto con l'olio contenuto nella teglia e serviteli poi caldi o freddi a piacere.
quante sono le fette di carne e qualche foglia di salvia. Impanate ad una ad una le fette di carne, salate, mettetevi nell'interno la salsiccia e
Con il semolino e le uova, non si può precisarne il numero perchè dipende da quante ne assorbe il semolino, preparate una pasta che lavorerete a lungo fin che sarà uniforme e vellutata. Lasciatela riposare per più di un'ora e intanto fate rosolare una cipolla tritata in abbondante olio, appena sarà dorata aggiungetevi la carne tagliata a dadini, la carota tagliuzzata fine e fate cuocere lentamente versandovi di tanto in tanto un poco di brodo. Quando la carne è cotta, unitevi il prosciutto tagliato a pezzetti, una manciata di prezzemolo tritato, il burro, un cucchiaino di concentrato di pomidoro sciolto in poca acqua tiepida, sale, e da ultimo un bicchierino di vino bianco secco. Lasciate cuocere ancora lentamente, poi prendete un recipiente capace, riempitelo d'acqua salata, e fatelo bollire forte. Intanto stendete la pasta col matterello e fatene delle sfoglie sottilissime, che taglierete col taglia-pasta a rotelle della dimensione di un piatto. Immergete questi dischi di pasta nell'acqua bollente, una alla volta, e quando sono al dente scolateli col mestolo forato aiutandovi anche con un cucchiaio perchè non abbiano a rompersi. Preparate una teglia alta in cui avrete messo il sugo del ripieno, del formaggio dolce grattugiato e disponetevi a strati i dischi di pasta e il sugo, finchè avrete finito tutti gli ingredienti. Condite l'ultimo strato di pasta con sugo, formaggio e fiocchetti di burro. Cuocete nel forno da campagna elettrico o a gas, lasciate dorare un poco la superficie e poi servite nel medesimo recipiente, possibilmente di pirofila.
Con il semolino e le uova, non si può precisarne il numero perchè dipende da quante ne assorbe il semolino, preparate una pasta che lavorerete a
È questo un piatto molto decorativo, assai facile da preparare. Assodate una o due uova per persona e togliete loro una fettina dalla parte meno appuntita in modo che possano stare ritte sul piatto di portata. Avrete anche tanti pomidoro quante sono le uova, e avrete badato a sceglierli non troppo grandi e ben rotondi. Toglietene una fetta dalla parte del picciolo e vuotateli accuratamente dei semi e dell'acqua che contengono. Versate sul piatto di servizio che sarà preferibilmente rotondo, un buono strato di maionese non troppo densa, spolverizzandola di prezzemolo tritato. A distanza regolare disponete sul piatto le uova sode, su ognuna delle quali poserete un pomidoro che formerà la cappella del fungo. Su ogni cappella potrete versare qualche goccia di maionese e otterrete un effetto molto decorativo e gaio. Contornate il piatto di prezzemolo perfettamente fresco.
appuntita in modo che possano stare ritte sul piatto di portata. Avrete anche tanti pomidoro quante sono le uova, e avrete badato a sceglierli non troppo
Si prendono pesche spicche, mature e sane, si gettano, due alla volta, per un minuto, nell'acqua bollente e, tolte dall'acqua, si sbucciano senza toccar la polpa. Poi s'in voltolano molto e bene nello zucchero bianco in polvere e si collocano in un vaso piuttosto fondo. Si prendono tanti quadretti di zucchero quante sono le pesche, si strofinano sulla buccia di un limone di giardino, ben maturo, fino a che ogni quadretto sia impregnato dell'essenza del limone e si nascondono fra le pesche. Si lasciano così accomodate per due ore almeno e prima di portare il vaso in tavola, si tiene tutto chiuso e coperto fra molto ghiaccio per due o tre ore.
di zucchero quante sono le pesche, si strofinano sulla buccia di un limone di giardino, ben maturo, fino a che ogni quadretto sia impregnato dell
4. Uova molli in tegamino con panna o con burro. — Mettete in un tegamino di terra o di maiolica o di ferro smaltato della grandezza da contenere 2 uova, un po' di burro fuso, un quarto d'un bicchiere di fior latte, un po' di sale, rompete 2 uova fresche, poneteli tegame su brace dolce con fuoco ardente sopra, oppure sulla gratella con brace ardente sotto e con la pala di ferro roventissima sopra finchè siano cotte sopra e all'intorno, spolverizzatele di sale e pepe e servitele subito e così farete per tante quante vi fa bisogno; si fanno cuocere con burro invece del latte e fiore, o con burro e anche acciuga schiacciata insieme e passato al setaccio.
, spolverizzatele di sale e pepe e servitele subito e così farete per tante quante vi fa bisogno; si fanno cuocere con burro invece del latte e fiore, o con
6. Animelle o cervelle alla sainte florentine. — Prendete delle animelle o cervelle quante ve n'abbisogna, levate la pellicola se cervelle, e i filacci grassi se animelle, dissanguatele ponendole nell'acqua tiepida e cambiandogliela finchè bianche; fatele bollire 3 minuti con acqua, sale, aceto, un po' di prezzemolo e cipolla, gettatele nell'acqua fredda, tagliatele a fette spesse due scudi, marinatele con un po' d'aceto, olio, sale, pepe, prezzemolo trito, e dopo averle lasciate un poco asciugatele, infarinatele bene, bagnatele nell'uova sbattute con un po' di sale e formaggio e gettatele in padella in cui avrete abbondante grassa o strutto bollente sul fuoco, friggetele d'un bel color dorato, cotte e croccanti servitele calde su servietta.
6. Animelle o cervelle alla sainte florentine. — Prendete delle animelle o cervelle quante ve n'abbisogna, levate la pellicola se cervelle, e i
36. Frittelle d'erbe alla cappuccina (soubriques verdi). — Mondate la quantità che desiderate d'erbe fresche, come bietola, borrana, spinaci, aglio, cipolline fresche, pimpinella, prezzemolo, menta, crétano, lavatele e tritatele finissime, mettetele in tegame con burro, fatele friggere ed asciugate l'erbe sul fuoco adagio; aggiungetevi un po' di cacio, pepe, spezie, noce moscata, un pizzico di zucchero, delle ostie trite fine od un po' di mollica di pane grattugiata fina, giusto di sale mettete tante uova quante bastano formarne una pasta piuttosto densa sì che mettendone grosso come una noce a friggere nel burro non s'allarghi e rimanga nè troppo dura nè troppo molle; il tutto ben mischiato fate le frittelle e friggetele come s'è detto sopra N. 34.
mollica di pane grattugiata fina, giusto di sale mettete tante uova quante bastano formarne una pasta piuttosto densa sì che mettendone grosso come una noce
22. Polpettine e polpettone alla borghese. — Prendete 6 ettogrammi di coscia di vitello, netta dai nervi e dalla pellicola, tagliatela a fette larghe tre dita, spesse un dito, schiacciatele sottili e pareggiatele: fate una farcia coi ritagli della coscia; avrete 3 ettogrammi di carne, 2 ettogrammi di lardo o grassa di rognone, un po' d'aglio, prezzemolo, quanto una noce di mollica di pane inzuppata nel latte e spremuta, sale, pepe e spezie; tritate il tutto ben fino, aggiungetevi 1 uovo intero e pestatelo nel mortaio, fatene tanti mucchietti quante sono le fette di carne,avviluppatene uno in ciascuna di queste, formate le polpette grosse come il dito pollice, leggermente spolverizzate di farina bianca legatele; poste in tegame con 1 ettogramma di burro, fatele friggere adagio; un po' rosolate, bagnatele con un po' di brodo e fatele cuocere tenere a cottura ridotta; servitele con salsa sopra o con qualche purée (Vedi N. 21, guerniture). Invece di fare tante polpettine se ne fa una sola detta polpettone con una larga fetta di coscia battuta sottile.
; tritate il tutto ben fino, aggiungetevi 1 uovo intero e pestatelo nel mortaio, fatene tanti mucchietti quante sono le fette di carne,avviluppatene uno in
Sia nell'uno che nell'altro modo, voi dopo averle nettate, sventrate, e passate sulla fiamma dello spirito o del carbone di legna per toglierne quella peluria che non gli si può togliere in nessun altro modo, metterete sul petto di ciascuna quaglia una lista di foglie di vite (lunga sei centimetri almeno e larga tre) leggermente unta di burro o di strutto ed un pò di sale. Sulla foglia di vite ponete una lista di lardo o di grasso di prosciutto, finissima di spessore ed un pò più grande della lista di foglia. Legate le due liste con spago, perchè rimangano bene aderenti alla quaglia e poi preparate tanti crostini di pane per quante sono le quaglie, quindi infilatele alternando una quaglia ed un crostino, ungete ogni cosa, spruzzatevi su un pochino di sale ancora e fate cuocere un quarto d'ora a fuoco piuttosto vivace.
preparate tanti crostini di pane per quante sono le quaglie, quindi infilatele alternando una quaglia ed un crostino, ungete ogni cosa, spruzzatevi su un
Modo di conservare le pera. — Scegliete sull'albero le più belle e tagliate loro il gambo colla forbice più alto che potete. Indi fate cadere sul taglio del gambo una goccia di ceralacca e annodate intorno ad esso gambo uno spago a cappio, per appendere poi le pere. Pigliate tanti fogli di carta bianca consistente quante sono le pera che volete conservare. Ravvolgete e chiudete con gomma ciascun foglio in guisa da farne tanti cartocci, a cui lascerete un piccolo buco sulla punta. Introducete lo spago d'ogni pera nel buco di un cartoccio, in modo che esse rimangano entro i detti cartocci. E finalmente chiudete così la punta come la bocca di ciascun cartoccio incerando, in modo che non possa penetrarvi entro l'aria. Così preparate, appendete la pera, per il loro spago a tanti chiodi e le conserverete per molto tempo, se le terrete in luogo asciutto e temperato.
bianca consistente quante sono le pera che volete conservare. Ravvolgete e chiudete con gomma ciascun foglio in guisa da farne tanti cartocci, a cui
Ammucchiate sopra una tavola ben netta e non verniciata (*) quella quantità di farina di frumento che vi occorre; nel bel mezzo del mucchio, colle dita della mano aggruppate, fate un buco, ed in questo rompete uno o più uova secondo il bisogno (un uovo per ogni 200 grammi di farina): aggiungete tante cucchiajate d'acqua tiepida, nella quale avrete prima fatto sciogliere un po' di sale, quante saranno le uova adoperate, e col cucchiajo medesimo cominciale a sbattere l'uovo e l'acqua insieme, incorporando a poco a poco al liquido porzione della farina circostante: quando poi non potrete più far uso del cucchiajo, per essersi la pasta resa alquanto densa, contornerete l'operazione colle mani, finchè abbiate fatto scorporare il rimanente della farina e la pasta sia divenuta dura ed uniforme. Se vi riescisse un po' molle, la correggerete aggiungendo altra farina; al contrario, se riescirà troppo dura, aggiungerete un poco d'acqua tiepida.
tante cucchiajate d'acqua tiepida, nella quale avrete prima fatto sciogliere un po' di sale, quante saranno le uova adoperate, e col cucchiajo medesimo
Prendete animelle di capretto o d'agnello, scottatele nell'acqua bollente, pulitele e mettetele in un recipiente di terraglia con olio, prosciutto tagliato a pezzetti, prezzemolo, cipollette e carota trinciati sottilmente, un pizzico di funghi secchi rinvenuti già nell'acqua calda, sale e pepe, lasciando in fusione per alcune ore. Preparate allora tante cassette di grossa carta quante sono le animelle, mettete ognuna di queste in una cassetta con porzione proporzionata della suddetta concia; indi disponete le cassette medesime, cosi accomodate, sopra una graticola, e fate cuocere lentamente a fuoco di brace, ponendo attenzione a che la carta non abbruci. Cotte che siano le animelle, spremetevi sopra del sugo di limone e servitele sur un piatto nelle loro cassette.
, lasciando in fusione per alcune ore. Preparate allora tante cassette di grossa carta quante sono le animelle, mettete ognuna di queste in una cassetta
Stendete sul fondo d'una casseruola tante sottili fette di lardo quante ne occorrono per coprirlo tutto; spargetevi sopra alquanti pezzetti di prosciutto: adagiatevi i tordi, mettendo del burro negl'interstizi; aggiungete un poco di sedano e mezza carota trinciati sottilmente, alcuni garofani e 3 o 4 coccole di ginepro acciaccate, e fate cuocere a fuoco moderato, tenendo coperta la casseruola. Dopo venti minuti rivoltate i tordi, bagnateli con poco vino, ricoprite e lasciate compiere la cottura. Allora ritirate dal fuoco la casseruola, mettete i tordi in disparte; digrassate l'intinto, passandolo allo staccio e sopprimendo i residui del lardo e del presciutto; rimettete l'intinto stesso al fuoco insieme a qualche tartufo tagliato sottilmente; unitevi i tordi, e lasciate sobbollire ancora per pochi minuti.
Stendete sul fondo d'una casseruola tante sottili fette di lardo quante ne occorrono per coprirlo tutto; spargetevi sopra alquanti pezzetti di
26. Fegato di vitello alla gratella. — Tagliate il fegato a fette piuttosto grosse, disponetele in un piatto grande e spargetevi sopra il seguente composto: 2-3 cipolle pestate fine, un mazzetto d'erbe odorose trite (salvia, basilico, maggiorana ecc. ecc., anche prezzemolo se vi conviene), pepe e una presina di garofani, 3-4 cucchiai d'olio secondo l'occorrenza. Lasciate giacere le fette 2-3 ore in questa miscela che si chiama marinata, voltandole di quando in quando. Procuratevi tanti pezzetti di carta bianca quante sono le fette di fegato, involgetevi la carne dopo averle unte leggermente con un po' d'olio, collocate gl'involtini sulla gratella e lasciatevi cuocere il fegato adagio, salandolo alla fine e spruzzandovi un po' di limone.
, voltandole di quando in quando. Procuratevi tanti pezzetti di carta bianca quante sono le fette di fegato, involgetevi la carne dopo averle unte leggermente
38. Zuppa di pasta reale (petits choux) — Mettete entro una casseruola mezzo bicchiere d'acqua, 50 grammi di burro ed un po' di sale, e, quando bollirà, aggiungete un ettogramma di farina bianca setacciata; tramenate forte affinchè resti un impasto come una polenta molle; cottala adagio per 10 minuti, levatela dal fuoco ed aggiungete uno per volta, tramenando forte, tante uova quante bastino affinchè la polenta attacchisi appena alle dita. Avrete una siringa collo stampo di latta bucato tondo, empitela di pasta e pre-mete bene lo stantuffo della siringa facendo dei lunghi fili di maccheroni sulla tavola; rotolateli nella farina e tagliateli grossi come ceci; indi fateli cadere col coltello in un setaccio con farina e girateli in tondo che così prenderanno bella forma, poscia metteteli sopra una tegghia unta di burro in modo che non si toc-chino e fateli cuocere di color dorato al forno, ovvero mettendo fuoco sotto e sopra. Cotti dorati croccanti, metteteli in zuppiera con buon brodo caldo e serviteli — Si possono pure unire con ogni sorta di purée, tanto al grasso, che al magro.
minuti, levatela dal fuoco ed aggiungete uno per volta, tramenando forte, tante uova quante bastino affinchè la polenta attacchisi appena alle dita
33. Frittelle d'erbe alla cappuccina (soubriques verdi). — Mondate la quantità che desiderate d'erbe fresche, come bietola, borrana, spinaci, aglio, cipolline fresche, pimpinella, prezzemolo, menta, critamo; lavatele e tritatele finissime, mettetele in tegame con burro; fatele friggere ed asciugate l'erbe sul fuoco adagio; aggiungetevi un po' di cacio, pepe, spezie, noce moscata, un pizzico di zucchero, delle ostie trite fine od un po' di mollica di pane grattugiata fina; giusto di sale, mettete tante uova quante bastano a formare una pasta piuttosto densa sì che mettendone grosso come una noce a friggere nel burro non s'allarghi e rimanga nè troppo dura nè troppo molle; il tutto ben mischiato, fate le frittelle e friggetele come si è detto sopra, N. 31.
mollica di pane grattugiata fina; giusto di sale, mettete tante uova quante bastano a formare una pasta piuttosto densa sì che mettendone grosso come una
20. Polpettine e polpettone alla borghese. — Prendete 6 ettogrammi di coscia di vitello; netta dai nervi e dalla pellicola, tagliatela a fette larghe tre dita, spesse un dito; schiacciatele sottili e pareggiatele; fate una farcìa coi ritagli della coscia; avrete 3 ettogrammi di carne, 2 ettogrammi di lardo o grasso di rognone, un po' d'aglio, prezzemolo, quanto una noce di mollica di pane inzuppata nel latte e spremuta, sale, pepe e spezie; tritate il tutto ben fino, aggiungetevi un uovo intero e pestatelo nel mortaio; fatene tanti mucchietti quante sono le fette di carne, avviluppatene uno in ciascuna di queste; formate le polpette grosse come il dito pollice, leggermente spolverizzate di farina bianca, legatele; poste in tegame con un ettogramma di burro, fatele friggere adagio; un po' rosolate, bagnatele con un po' di brodo e fatele cuocere tenere a cottura ridotta; servitele con salsa sopra o con qualche purée (Vedi N. 21, guerniture). — Invece di fare tante polpettine se ne può fare una sola detta polpettone con una larga fetta di coscia battuta sottile.
; tritate il tutto ben fino, aggiungetevi un uovo intero e pestatelo nel mortaio; fatene tanti mucchietti quante sono le fette di carne, avviluppatene uno
Voi direte: ma lo dicono i medici; ma sta scritto in, tanti libri; ma è credenza universale e popolare. I medici! Lasciate che dicano e disdicano — la loro dogmatica e la loro casistica è conosciuta e stravecchia. A questo mondo non vi è nulla di assoluto: tutto è relatività. Il medico vostro sia il vostro istinto naturale e se qualche cosa vi è indigesta, datene colpa alla vostra ghiottoneria, all'ingordigia vostra. Quante verdure da fanciulli ci ributtano e ci tornano poi ghiotte, in altra età! Ditemi, perchè i fanciulli amano tanto i frutti acerbi ed acidi? L'età, la complessione, il genere di vita, la temperatura, il caldo, il freddo, l'umido, il secco, anche le passioni, tutto combina a formare questa relatività che è solo giudicabile da ciascuno di noi. — Sta scritto in tanti libri! — Vi rispondo col detto di Talleyrand:
il vostro istinto naturale e se qualche cosa vi è indigesta, datene colpa alla vostra ghiottoneria, all'ingordigia vostra. Quante verdure da fanciulli
Modo di conservare le pera. — Scegliete sull'albero le più belle e tagliate loro il gambo colla forbice più alto che potete. Indi fate cadere sul taglio del gambo una goccia di ceralacca e annodate intorno ad esso gambo uno spago a cappio, per appendere poi le pere. Pigliate tanti fogli di carta bianca consistente quante sono le pera che volete conservare. Ravvolgete e chiudete con gomma ciascun foglio, in guisa da farne tanti cartocci, a cui lascerete un piccolo buco sulla punta. Introducete lo spago d'ogni pera nel buco di un cartoccio, in modo che esse rimangano entro i detti cartocci. E finalmente chiudete così la punta come la bocca di ciascun cartoccio incerando, in modo che non possa penetrarvi l'aria. Così preparate, appendete la pera, per il loro spago, a tanti chiodi e le conserverete per molto tempo, se le terrete in luogo asciutto e temperato.
bianca consistente quante sono le pera che volete conservare. Ravvolgete e chiudete con gomma ciascun foglio, in guisa da farne tanti cartocci, a cui
Il suo nome, da ros, rugiada, e marinus, marina — rugiada di mare — nascendo spontaneo sulle rive di questo in tutta l'Europa meridionale. Nel linguaggio dei fiori: La tua presenza mi consola. È la pianta aromatica di tutti i poeti provenzali. Lo rosmarino, o ramerino, è un arboscello perenne, indigeno, originario dell'Oriente. Ama essere addossato ad un muro ad esposizione di meriggio e levante, terra leggera, piuttosto sabbiosa. Teme i venti e massime il freddo. Si moltiplica per divisioni diradici, per getti ed anche per via di margote. Varietà: l'augustifolius, l'argenteus, l'auratus e il latifolius. Tutta la pianta à odore forte aromatico e balsamico, sapore acre, amaretto. Il rosmarino si adopera in cucina a dar sapore agli arrosti, e alle carni che si mettono in fusione. In medicina, è stimato come stomatico, stimolante, emmenagogo. Se ne cava un olio essenziale, che nelle farmacie chiamasi Oleum Anthos. Dai cauli fioriti si compone l'acqua così detta della Regina d' Ungheria, contro l'isterismo. Il suo infuso dissipa le vertigini e l'isteralgia. Il dottor Comi dice che il suo decotto guarisce i tumori e le piaghe delle gambe, e ch' egli, mercè certe sue fasciature, ne à guarito 70,000 con infiltramento a ristagni umorali di tutte le forme, non esclusa l'elefantiasi degli Arabi e dei Greci. Settantamila! ma vi pajono poche? quante gambe! nè pensate che le abbia guarite a quattro a quattro. — Questo, il dottor Comi, ma un proverbio dice: Acqua di ramerino al corpo del bambino. In profumeria entra quale componente di varie acque odorose, tra le altre della famosa Acqua di Colonia. Dai Greci veniva chiamato Libantide Coronaria perchè tramanda, bruciando specialmente le radici, odore d'incenso, e perchè serviva ad intessere corone. Oltre i soliti scrittori di cose naturali ne fa cenno Virgilio:
poche? quante gambe! nè pensate che le abbia guarite a quattro a quattro. — Questo, il dottor Comi, ma un proverbio dice: Acqua di ramerino al corpo del
ha bisogno, per riuscire a dovere, di molte cure e di molta attenzione. Si prendono, a seconda delle persone, un certo numero di provature — in genere se ne calcolano due a persona — si dividono in fette piuttosto spesse e si condiscono con sale e pepe. Da un pane a forma di filoncino si tagliano tante fette quante sono le fette di provatura, più due cantucci che serviranno a reggere alle due estremità, la fila dei crostini. Si prende uno spiede, e s'incomincia coll'infilzare uno dei cantucci, alternando poi una fetta di provatura e una di pane per terminare con l'altro cantuccio. Fate accendere una fornellata di carbone e disponetelo con la paletta su un lungo letto di cenere in fondo al camino. Alle due estremità di questa striscia di brace accesa, mettete due ferri da stiro diritti o due mattoni appoggiati sulla costa e su questi appoggiate la punta e il manico dello spiede che girerete continuamente, avvertendo di ungere di quando in quando i crostini con un po' di burro liquefatto. E quando vedrete che la provatura sarà ben liquefatta e il pane abbrustolito e croccante, sfilate i crostini dallo spiede, accomodateli in un piatto lungo antecedentemente riscaldato, e versate sui crostini del burro liquefatto nel quale avrete stemperato con un cucchiaio di legno, qualche alice lavata e spinata. Per cinquanta grammi di burro bastano due o tre alici. I crostini vengono bene anche nel forno, ma certo il miglior modo resta sempre l'antico, quello che vi abbiamo descritto nella sua primordiale semplicità. S'intende che se avete il girarosto, tanto meglio.
tante fette quante sono le fette di provatura, più due cantucci che serviranno a reggere alle due estremità, la fila dei crostini. Si prende uno spiede
Quando la pasta sarà ben lievitata battetela leggermente col palmo della mano per sgonfiarla. Stendete su una parte della tavola di cucina un abbondante strato di farina; poi con la mano infarinata prendete dalla terrinetta dei pezzi di pasta della grossezza di un uovo e lasciateli cadere sulla farina. Mettete intanto sul fuoco una padella con abbondante olio. Con le mani infarinate prendete un pezzo di pasta alla volta, giratelo tra le dita tirandolo ed assottigliandolo in modo da farne un disco il più largo e il più sottile possibile, poi sollecitamente lasciatelo cadere nella padella, che deve essere caldissima. Dopo qualche istante voltate con garbo la pizzetta e nel centro di essa stendete con un cucchiaio una cucchiaiata del composto preparato, poi con la schiumarola da frittura mandate pian piano sulla pizzetta l'olio bollente, innaffiandola. Ciò servirà a facilitare il fondersi della mozzarella. Un altro poco, e togliete via dal fuoco la pizzetta, che dovrà essere bionda e croccante; lasciatela sgocciolare e tenetela in caldo. Ripetete l'operazione fino ad avere esaurito tutta la pasta. Siccome le pizzette cuociono prestissimo e siccome vanno mangiate molto calde sarà bene essere in due persone: una friggerà e l'altra aprirà ed assottiglierà la pasta adagiandola nella padella. Per non avere sorprese sarà anche bene dividere il composto in tanti mucchietti per quante saranno i pezzi di pasta. Così ogni pizzetta avrà la sua quantità esatta di condimento. Queste pizzette così confezionate sono gustosissime. È però necessario, ripetiamo, che siano mangiate caldissime.
dividere il composto in tanti mucchietti per quante saranno i pezzi di pasta. Così ogni pizzetta avrà la sua quantità esatta di condimento. Queste
Mettete a rinvenire in acqua fresca una piccola manata di funghi secchi, nettateli bene, e poi tritateli sul tagliere. Fateli cuocere in un pochino d'olio in cui avrete fatto soffriggere uno spicchio d'aglio, bagnandoli di quando in quando con una cucchiaiata di acqua. Conditeli con sale, pepe, e un bel ciuffo di prezzemolo trito e appena cotti metteteli a freddare in un piatto. Quando saranno freddi unite loro una o due fettine di prosciutto tagliate in pezzettini. Avrete intanto nettato le triglie, che dovranno essere piuttosto grosse, e le avrete messe ad asciugare in una salvietta. Preparate tanti fogli di carta bianca pesante per quante sono le triglie e ritagliateli con le forbici, dando ad essi la forma di cuore ma un pochino più stretta. Ungete questi fogli con olio o burro e dentro ognuno mettete un pochino di funghi e prosciutto, una triglia leggermente untata d'olio e spruzzata di sale e sopra la triglia un altro po' di funghi. Ripiegate la papillote, chiudetela pieghettandola, e continuate così per tutte le triglie. Per il modo di confezionare la papillote e di chiuderla riferitevi a quanto è detto nel capitolo delle carni, per le costolette di vitello nella papillote. Vi troverete anche un disegno esplicativo. Poco prima del pranzo allineate le papillotes in una teglia — anche la teglia va leggermente unta — e lasciate cuocere le triglie a fuoco non troppo violento per un quarto d'ora. Se avete un po' di sugo di carne, ma senza pomodoro, ne potrete mettere un mezzo cucchiaino su ogni triglia prima di chiudere la papillote. È un'aggiunta non proprio necessaria ma che comunica al pesce una maggiore finezza e una più grande sapidità. Queste triglie vanno servite in un piatto con salvietta e con il loro involucro di carta.
. Preparate tanti fogli di carta bianca pesante per quante sono le triglie e ritagliateli con le forbici, dando ad essi la forma di cuore ma un pochino più
Molti hanno una ingiustificata avversione per il baccalà, che è invece un elemento prezioso nell'alimentazione. La poca simpatia di taluni dipende dal fatto che non si portano al baccalà tutte le cure necessarie: da cui l'odore poco simpatico, l'eccessivo gusto salato, e la carne spesso stoppacciosa. Il baccalà va bagnato in casa un paio di giorni prima di cucinarlo, e gli va tolta la pelle prima di metterlo in bagno. Mettetelo in un recipiente con abbondante acqua e cambiategliela spesso, oppure tenetelo sotto la fontanella dell'acquaio ad acqua corrente. Levategli poi le spine principali, le pinne, dividetelo in pezzi, e vedrete che questo cibo merita tutta la considerazione. Quando dovrete scegliere una qualità di baccalà preferite il Labrador perchè più fine. Anche eccellente è il francese, ma non si trova sempre sul mercato. Il così detto S. Giovanni, di carne più scura, ha il torto di tramandare un odore forte; e l'Islanda, che è il più diffuso e il più a buon mercato, riesce troppo spesso insipido e sfilaccioso. Per otto persone sarà sufficiente un chilo di baccalà secco. Quando sarà bene bagnato, levategli quante più spine potrete e poi dividetelo in piccoli pezzi quadrati o rettangolari che metterete ad asciugare in un tovagliolo. Infarinate questi pezzi e friggeteli nell'olio, nel quale avrete fatto soffriggere uno spicchio di aglio. Friggete il baccalà di bel color d'oro e ben croccante. Accomodatelo in un piatto e ricopritelo con una salsa densa fatta con aglio, olio e pomodoro, e ultimata con una cucchiaiata di prezzemolo trito.
persone sarà sufficiente un chilo di baccalà secco. Quando sarà bene bagnato, levategli quante più spine potrete e poi dividetelo in piccoli pezzi quadrati
Mettete a dissanguare in acqua fredda 600 grammi di tonno fresco. Dopo averlo tenuto in bagno circa un'ora, cambiando più volte l'acqua, estraete il tonno, asciugatelo in una salvietta e tagliatelo in fette di circa tre dita di lato, e spesse un dito. Tagliate anche delle fettine di pane — tante quante sono le fette di tonno — di eguale dimensione. Prendete poi uno spiede lungo di ferro, o in mancanza di questo degli spiedini fatti economicamente, ritagliandoli da un pezzo di canna, e incominciate a infilzare una fetta di pane, una foglia di salvia, una fetta di tonno, una foglia di salvia, una fetta di pane, e via di seguito, fino ad avere esaurito tutto il pesce. La salvia comunica al tonno un gradevole sapore. Se non piacesse la salvia si potrà sostituire con delle mezze foglie di alloro. Ultimato lo spiede o gli spiedini, vi si spolvera su un po' di sale e pepe, e si unge pane e pesce con olio. Se avrete fatto degli spiedini li disporrete su una gratella esponendoli a fuoco moderato. Se invece avrete adoperato lo spiede lungo di ferro non ci sarà bisogno della gratella e arrostirete il tonno su della brace messa sul camino su uno strato di cenere, appoggiando lo spiede su due ferri da stiro. Voltate il pesce di quando in quando, ungendolo con poco olio se vi sembrasse troppo secco. Dopo una mezz'ora di cottura lenta i crostini saranno pronti. Sfilateli su un piatto facendo attenzione di non separarli, e prima di portarli in tavola spremeteci su un po' di sugo di limone. Sono sufficienti a sei persone.
quante sono le fette di tonno — di eguale dimensione. Prendete poi uno spiede lungo di ferro, o in mancanza di questo degli spiedini fatti
Aprite in due delle pesche cosidette spaccarelle, togliete loro il nocciolo, sbucciatele e mettetele in uno sciroppo caldo fatto con poca acqua, zucchero e un pochino di liquore, preferibilmente Maraschino o Kirsch o Rhum. Tenetele così vicino al fuoco per un po' di tempo senza che abbiano a sfarsi. Preparate tanti dischetti di pan di Spagna per quante sono le pesche. Questi dischetti dovranno essere alti un dito e avere un diametro di circa cinque centimetri. Metteteli in corona su un piatto, possibilmente di cristallo, spruzzateli con lo sciroppo delle pesche e disponete su ognuno di essi una mezza pesca, entro la cui cavità porrete una ciliegia candita. Avrete intanto preparato un zabaione leggero. Versate su ogni mezza pesca un po' di questo zabaione, e fate portare subito in tavola. I dischetti di pan di Spagna si ottengono regolari tagliandoli con un tagliapaste rotondo, di cinque centimetri.
. Preparate tanti dischetti di pan di Spagna per quante sono le pesche. Questi dischetti dovranno essere alti un dito e avere un diametro di circa
Ponete sopra una tavola ben netta e non verniciata quella quantità di farina di frumento che vi occorre; nel bel mezzo del mucchio, colle dita della mano aggruppate, fate un buco, ed in questo rompete uno o più uova secondo il bisogno (un uovo per ogni 200 grammi di farina); aggiungete tante cucchiaiate d'acqua tiepida, nella quale avrete prima fatto sciogliere un po' di sale, quante saranno le uova adoperate, e col cucchiajo medesimo cominciate a sbattere l'uovo e l'acqua insieme, incorporando a poco a poco al liquido porzione della farina circostante: quando poi non potrete più far uso del cucchiaio, per essersi la pasta resa alquanto densa, continuerete l'operazione colle mani, finchè abbiate fatto incorporare il rimanente della farina e la pasta sia divenuta dura ed uniforme. Se vi riescisse un po' molle, la correggerete aggiungendo altra farina; al contrario, se riescirà troppo dura, aggiungerete un poco d'acqua tiepida.
cucchiaiate d'acqua tiepida, nella quale avrete prima fatto sciogliere un po' di sale, quante saranno le uova adoperate, e col cucchiajo medesimo cominciate
Scottate nell'acqua bollente delle animelle di capretto o di agnello, pulitele e mettetele in un recipiente di terraglia con olio, prosciutto tagliato a pezzetti, prezzemolo, cipollette e carota trinciati sottilmente, un pizzico di funghi secchi rinvenuti già nell'acqua calda, sale e pepe, lasciando in fusione per alcune ore. Preparate allora tante cassette di grossa carta quante sono le animelle, mettete ognuna di queste in una cassetta con porzione proporzionata della suddetta concia; indi disponete le cassette medesime, così accomodate, sopra una graticola e fate cuocere lentamente a fuoco di brace, badando che la carta non abbruci. Cotte che siano le animelle, spremetevi sopra del sugo di limone e servitele su di un piatto nelle loro cassette.
, lasciando in fusione per alcune ore. Preparate allora tante cassette di grossa carta quante sono le animelle, mettete ognuna di queste in una cassetta con
Vicia da Vincia, che si attorciglia. Legume annuale, originario del mar Caspio e della Persia. Vuol terreno argilloso, sostanzioso, a mezzodì. Si semina d'autunno a Febbraio. Due varietà: la invernenga e la marzuola detta Cavallina più piccola. Celebre la fava di Nizza. Nel linguaggio dei fiori: Corbellare. La fava fresca che da noi si chiama Bagiana , si mangia in minestra. Secca si macina e serve anche pel bestiame. La fava è feculenta e flattulenta, deve essere mangiata di rado e tenera. La fava specialmente secca è cibo da carettiere. È il più grosso dei nostri legumi mangerecci. I Fenici ne facevano pane e furono i primi che la introdussero da noi. Nella Bibbia troviamo che la fava dava la farina da mischiarsi con altri grani a far pane (Ezech.). Gli scrittori greci e latini la raccomandavano come cibo gratissimo ai giumenti. Varone e Columella ne parlarono, ma mai come cosa idonea al cibo dell'uomo. I Latini presero il nome di Faba dai Falisci, popolo dell'Etruria, abitanti a Falerio, oggi Montefiasco. Essi la chiamavano Haba e poi per corruzione i Latini Faba. Da faba venne pure la parola fabula, ad indicare una cosa gonfiata, onde fabula, una piccola bala — e fabarii i cantori, perchè questi mangiavano le fave ad irrobustire la voce. La fava diede il nome alla famiglia dei Fabi. Ermolao Barbaro scrive che a' suoi tempi nell'Insubria e nella Liguria i venditori di fave andavano gridando per le strade : bajana, bajana! donde forse derivò a noi il nome di bagiana. Nel Veneto ai Milanesi si dava l'epiteto di bagiani, che da noi significa babbei. Fino dalla antichità la fava serviva nei comizi per la votazione. La bianca era segno di assoluzione, la nera di dannazione , teste Plutarco. Da qui ne venne che la parola fava servisse per dire suffragio, voto ed anche favore. Pittagora diceva, essere proibito mangiar le fave — cioè vendere i voti. Oh! quante fave mangiano i deputati! Le galline che mangiano le fave, fanno l' ovo col guscio molto fragile.
favore. Pittagora diceva, essere proibito mangiar le fave — cioè vendere i voti. Oh! quante fave mangiano i deputati! Le galline che mangiano le fave
Stendete sul fondo di un recipiente tante fettuccine di lardo quante ne occorrono per coprirlo tutto; spargetevi sopra alquanti pezzetti di prosciutto; adagiatevi i tordi, mettendo del burro fra l'uno e l'altro, aggiungetevi un poco di sedano, mezza carota trinciata sottilmente, alcuni garofani, e 3 o 4 coccole di ginepro ammaccate: poi fate cuocere a fuoco moderato, tenendo coperto il recipiente. Dopo 20 minuti rivoltate i tordi, bagnateli con un poco di vino, ricoprite e lasciate compiere la cottura. Allora ritirateli dal fuoco, mettendo i tordi in disparte; digrassate l'intinto, passandolo allo staccio e sopprimendo i residui del lardo e del prosciutto; rimettete l'intinto stesso al fuoco insieme con qualche tartufo tagliato sottilmente; unitevi i tordi, e lasciate bollire ancora per pochi minuti. Dopo potete servire.
Stendete sul fondo di un recipiente tante fettuccine di lardo quante ne occorrono per coprirlo tutto; spargetevi sopra alquanti pezzetti di
Ammucchiate sopra una tavola ben netta e non verniciata quella quantità di farina di frumento che vi occorre; nel bel mezzo del mucchio, fate un buco colle dita aggruppate, ed in questo rompete uno o più uova, secondo il bisogno, (un uovo per ogni 200 grammi di farina); aggiungete tante cucchiaiate d'acqua tiepida, nella quale avrete prima fatto sciogliere un po'di sale, quante saranno le uova adoperate, e col cucchiaio medesimo cominciate a sbatter l'uovo e l'acqua insieme, incorporando a poco a poco al liquido porzione della farina circostante poi, non potendo più far uso del cucchiaio, essendosi la pasta resa alquanto densa, continuerete l'operazione colle mani, finché abbiate fatto incorporare il rimanente della farina, e la pasta sia divenuta dura ed uniforme. Se vi riescisse un poco molle, la correggerete aggiungendo altra farina; al contrario, se riescirà troppo dura, vi aggiungerete un poco d'acqua tiepida.
d'acqua tiepida, nella quale avrete prima fatto sciogliere un po'di sale, quante saranno le uova adoperate, e col cucchiaio medesimo cominciate a
Benché io non sia, ohimè, il più giovine del tuo reggimento, ora ti domando, o Marinetti, di portar io la bandiera di quest'ultima tua offensiva. Pare a me che la rivoluzione alimentare sia la più provvida fra quante mai tu abbia suscitate. E infatti appare la più difficile. Tu vedi come gli Italiani, toccati nell'epigastrio, già ti si ribellino. Accettano il tattilismo, le parole in libertà, l'intonarumori. Ma alla pasta asciutta non rinunciano. Accettano il pugno, il salto, il passo di corsa: però con la sua porzione di spaghetti. Accettano, e intendono, di riavere il primato nel mondo: disposti, tuttavia, questa priorità a cederla per un piatto di maccheroni, come già Esaù per uno di lenticchie. Tu vedi com'è fatta, purtroppo, questa gente nostra. Capace di rinunziare a tutti i comodi, a tutti i vantaggi, e non a un appetito. Ah, non credere, Marinetti, che stavolta la battaglia sia facile! Per ciò domando, appunto, l'onore di servirti. Ma credi a me: bisognerà avere coraggio. I fischi saranno molti; la pasta asciutta tornerà in tavola; e noi dovremo, chissà ancora per quanto tempo, predicare a pancie piene e a cuori deserti.
. Pare a me che la rivoluzione alimentare sia la più provvida fra quante mai tu abbia suscitate. E infatti appare la più difficile. Tu vedi come gli
Insomma tu hai capito perfettamente, mio caro Marinetti, il pericolo e il disdoro di questo mito dei maccheroni: macaroni che ci han fruttato, al di là dell'Alpi, qualche metafora indecorosa. Si diceva, un tempo, che gli spaghetti noi li mangiassimo con le mani: e forse il senso della maldicenza era che non potessero, da una siffatta golosità, andare disgiunte sciatteria e sudiciume. Poi ci concessero le forchette, forse per avere il diritto di dire a Ginevra che anche gli Italiani vanno armati fino ai denti: ma gli spaghetti non furono tolti dal nostro quadro folkloristico. Si sa oggi in tutta Europa quante porzioni ne mangi Primo Carnera, come nel 1894 si sapeva quante ne divorasse Francesco Crispi. L'italiano delle allegorie ha pur sempre l'avida bocca spalancata su un piatto di tagliatelle, quando non sia di vermicelli colanti sugo lungo le bramose canne. Ed è un'immagine offensiva: buffa, deforme, brutta. Vorrebbe insegnare la vanità di quel nostro appetito, insieme alla sua irruenza bestiale. In fondo, la pasta asciutta non nutre. Riempie: non risangua. La sua sostanza è minima in confronto al suo volume. Ma è appunto, vorrebbero dire le allegorie maligne, un vero cibo italiano. La nostra pasta asciutta è come la nostra retorica, che basta solo a riempirci la bocca. Il suo gusto sta tutto in quell'assalto a mascelle protese, in quel voluttuoso impippiarsene, in quell'aderenza totale della pasta al palato e alle viscere, in quel sentirsi tutt'uno con lei, appallottolati e rifusi. Ma è un gusto porcino. Ma è un gaudio da poco. Inghiottiti che siano, gli spaghetti infestano e pesano. E ci sentiamo, subito, impiombati come monete false. Qualche cosa ci trattiene, giù, come un ceppo. Non abbiamo più nè la sillaba facile nè l'immagine pronta. I pensieri sfilano l'uno dentro l'altro, si confondono, s'imbrogliano come i vermicelli assorbiti. Le parole s'appallottolano allo stesso modo. Il poco sugo che portano alle labbra è del sugo di pomodoro. Guai ad aver vicino, in quel momento, un interlocutore o una amante. Il madrigale è insulso, il frizzo è cretino, l'argomentazione è impossibile, interrotta com'è dai sussulti delle budella. Si sa che i peccati di gola sono i più rapidamente puniti dal Signore Iddio. Quello della pasta asciutta viene espiato all'istante. È la pancia che si gonfia a spese se del cervello. È l'incatenamento, o l'esilio, di tutti gli spiriti, concettosi od amorosi. Provatevi dunque, dopo una strippata di tagliatelle, a partire per una polemica. Oppure per Citera. Vi giuro che resterete fermi alla prima tappa, quando pure non sarete stronchi dalla partenza. Quanto paradiso perduto, per un attimo d'obliosa animalità! MARCO RAMPERTI
tutta Europa quante porzioni ne mangi Primo Carnera, come nel 1894 si sapeva quante ne divorasse Francesco Crispi. L'italiano delle allegorie ha pur
Stendete sul fondo d'una casseruola tante sottili fette di lardo quante ne occorrono per coprirlo tutto; spargetevi sopra alquanti pezzetti di prosciutto; adagiatevi i tordi, mettendo del burro negl'interstizi; aggiungete un poco di sedano e mezza carota trinciati sottilmente, alcuni garofani e 3 o 4 coccole di ginepro acciaccate, e fate cuocere a fuoco moderato, tenendo coperta la casseruola. Dopo venti minuti rivoltate i tordi, bagnateli con poco vino, ricoprite e lasciate compiere la cottura. Allora ritirate dal fuoco la casseruola, mettete i tordi in disparte; digrassate l'intinto, passandolo allo staccio e sopprimendo i residui del lardo e del prosciutto; rimettete l'intinto stesso al fuoco insieme a qualche tartufo tagliato sottilmente; unitevi i tordi, e lasciate sobbollire ancora per pochi minuti.
Stendete sul fondo d'una casseruola tante sottili fette di lardo quante ne occorrono per coprirlo tutto; spargetevi sopra alquanti pezzetti di
Per grammi 700 di pesce trinciate fine mezza cipolla e mettetela a soffriggere con olio, prezzemolo e due spicchi d'aglio intero. Appena che la cipolla avrà preso colore aggiungete grammi 300 di pomodoro a pezzi, o conserva, e condite con sale e pepe. Cotti che sieno i pomodori versate sui medesimi un dito d'aceto, se è forte e due se è debole, diluito in un buon bicchier d'acqua. Lasciate bollire ancora per qualche minuto, poi gettate via l'aglio e passate il resto spremendo bene. Rimettete al fuoco il succo passato, insieme col pesce che avrete in pronto come sarebbero, parlando dei più comuni, sogliole, triglie, palombo, ghiozzi, canocchie, che in Toscana chiamansi cicale, ed altre varietà della stagione, lasciando interi i pesci piccoli e tagliando a pezzi i grossi. Assaggiate se sta bene il condimento; ma in ogni caso non sarà male aggiungere un po' d'olio tenendosi piuttosto scarsi nel soffritto. Giunto il pesce a cottura e fatto il cacciucco, si usa portarlo in tavola in due vassoi separati; in uno il pesce asciutto, nell'altro tante fette di pane, grosse un dito, quante ne può intingere il succo che resta.
'altro tante fette di pane, grosse un dito, quante ne può intingere il succo che resta.
Oppure. Mettete al fuoco 1/2 litro d'acqua con un pezzetto di burro, ovvero 1/2 litro di latte con pochissimo burro, ovvero 1/2, litro di panna senza burro affatto. Quando il liquido bolle, ritirate la padella sull'angolo del fornello e gettatevi tutt'a un tratto 7 cucchiai di farina finissima passata dallo staccio e salata, rimettete al fuoco e dimenate con forza acciò non si formino bozzoli. Quando la pasta si stacca dalla padella, mettetela in una catinella, e scocciatevi uno che non veda l'altro 2-3 uova. Procedete quindi come sopra. Quante più ova v'aggiungerete il composto si farà sempre più leggero. Ridottolo a pallottoline lo friggerete nello strutto o lo cuocerete nel brodo o farete l'uno e l'altro preparando così una minestra maritata, come dicono in Toscana.
in una catinella, e scocciatevi uno che non veda l'altro 2-3 uova. Procedete quindi come sopra. Quante più ova v'aggiungerete il composto si farà
Comperate 2 etti di biscotti savoiardi (in Lombardia si chiamano anche «di Novara»); in una scodella mettete parti uguali di acqua e di rhum o di kirsch (sia pure fatti all' economica colle essenze, in casa); inzuppatevi uno alla volta tutti i biscotti; con un po' di questi tappezzate il fondo di una insalatiera di vetro o di porcellana (la più stretta e fonda di quante possedete); sopra questi biscotti disponete prima uno strato di marmellata di albicocche; poi un altro strato di biscotti; su questo uno di marmellata di fragole e infine un altro di biscotti. Se al pranzo però foste in parecchi, sarà prudente raddoppiare e magari persino triplicare la saporita sovrapposizione.
una insalatiera di vetro o di porcellana (la più stretta e fonda di quante possedete); sopra questi biscotti disponete prima uno strato di marmellata