Amido. — È sinonimo di fecola ed è un principio immediato che si trova nelle cellule di moltissime piante e si compone di carbonio, idrogeno e ossigeno. Crudo non è digerito dall'uomo, ma cotto si cambia in destrina o amido solubile, poi in zucchero ed in grasso. Secondo le, piante che lo forniscono, i granuli d'amido hanno sotto il microscopio forme diverse e quindi sapori diversi per il nostro palato. Il Prof. Solera ha trovato recentemente, che i diversi amidi si trasformano con diversa facilità in zucchero. L'amido del grano turco sarebbe quello che ad una più rapida saccarificazione unirebbe anche maggior produzione di zucchero. Gli amidi di frumento e di riso darebbero quantità eguale di zucchero, ma in tempo diverso, cioè più presto per il frumento che per il riso. L'amido di patate non si saccarifica più presto degli altri, ma dà meno zucchero, per cui si può dirlo più digeribile, ma meno nutriente. Abbiamo fra gli amidi indigeni quelli di castagne, di castagne d'India, di riso, di patate, di frumento o d'altri cereali, fra gli esotici il sago, l'arrow-root, la tapioca, ecc. Le fecole esotiche son spesso falsificate colle indigene. L'amido è ottimo cibo, quando entra in poca quantità nel nostro regime; ma quando invece ne costituisce la parte principale, rende difficile la digestione e ci fa troppo pingui.
, che i diversi amidi si trasformano con diversa facilità in zucchero. L'amido del grano turco sarebbe quello che ad una più rapida saccarificazione
Orduvre = Prendete quattro, o sei palati di manzo, fateli sgorgare nell'acqua vicino al fuoco, cambiategliela più d'una volta, e finalmente mettete la cazzarola sopra il fuoco andandoli sempre movendo fintantochè vedrete che si distacca la pelle; allora tirateli indietro, e ad uno per volta col coltello raschiatela, che si staccherà con ogni facilità, e passateli all'acqua fresca; ciò devesi praticare in tutti i palati. Fateli poscia quasi cuocere con brodo generale e poco sale, indi tagliateli in mostacciuoli, o grossi filetti, metteteli in una cazzaroia con un pezzo di butirro, un pezzo di prosciutto, un mazzetto d'erbe diverse, un poco di sale, una cipolla con due garofani, passateli sopra il fuoco, aggiungeteci un poco di farina, bagnateli con metà brodo, e metà consomè, o altro brodo bianco; fateli bollire a picciolo fuoco. Quando saranno cotti, e la salsa consumata al suo punto, digrassate, prendete una cucchiaia, levate pezzo per pezzo i palati, poneteli in altra cazzarola, e passateci unitamente la salsa per setaccio; ciò si fa per maggior pulizia. Allorchè volete servirli, legateli con una liason di tre rossi d'uova fresche stemperati con un poco di fiore di latte, e sugo di limone.
coltello raschiatela, che si staccherà con ogni facilità, e passateli all'acqua fresca; ciò devesi praticare in tutti i palati. Fateli poscia quasi
Rilievo di grasso, e di magro = Dopo che averete sventrata la Porcelletta, apritegli un pochino col coltello dalla parte del ventre l'osso della spina, e tirategli fuori il nervo, che verrà con facilità; quindi fatela cuocere in un corto Brodo, o in una Bresa, come lo Storione, e servitela con sopra un Ragù di grasso, o di magro, come alla Finansiera, Melè, d'Ostriche, di Gamberi, di Tartufi etc. Vedete questi Ragù nel Tom. IV., e in questo. La potete anche apprestare alla Santeminult, alla Tartara etc. Quando la Porcelletta è picciola si può preparare come la Spigola alla Dama Simona. Questo Pesce essendo raro, e di caro prezzo, (mentre in alcuni Paesi del Norde si vende quasi alla ragione di dieci paoli il palmo), non si disfà mai in pezzi, ma si serve sempre intero con un buon Ragù, o bella Guarnizione, o al corto Brodo sopra una salvietta; ciò che nobilita moltissimo qualunque mensa.
spina, e tirategli fuori il nervo, che verrà con facilità; quindi fatela cuocere in un corto Brodo, o in una Bresa, come lo Storione, e servitela con
Orduvre = Prendete quattro, o sei palati di manzo, fateli sgorgare nell'acqua vicino al fuoco, cambiategliela più d'una volta, e finalmente mettete la cazzarola sopra il fuoco andandoli sempre movendo fintantochè vedrete che si distacca la pelle; allora tirateli indietro, e ad uno per volta col coltello raschiatela, che si staccherà con ogni facilità, e passateli all'acqua fresca; ciò devesi praticare in tutti i palati. Fateli poscia quasi cuocere con brodo generale e poco sale, indi tagliateli in mostacciuoli, o grossi filetti, metteteli in una cazzarola con un pezzo di butirro, un pezzo di prosciutto, un mazzetto d'erbe diverse, un poco di sale, una cipolla con due garofani, passateli sopra il fuoco, aggiungeteci un poco di farina, bagnateli con metà brodo, e metà consomè, o altro brodo bianco; fateli bollire a picciolo fuoco. Quando saranno cotti, e la salsa consumata al suo punto, digrassate, prendete una cucchiaja, levate pezzo per pezzo i palati, poneteli in altra cazzarola, e passateci unitamente la salsa per setaccio; ciò si fa per maggior pulizia. Allorchè volete servirli, legateli con una liason di tre rossi d'uova fresche stemperati con un poco di fiore di latte, e sugo di limone.
coltello raschiatela, che si staccherà con ogni facilità, e passateli all'acqua fresca; ciò devesi praticare in tutti i palati. Fateli poscia quasi
Quanto al modo di castrare l'agnello, vedetelo nel Tom.II. Cap. I. La carne del castrato nutrisce molto, somministra un buono e salubre alimento, e si digerisce con facilità. Conviene in tutti i tempi, ma più l'Inverno, che in ogni altra stagione. Siccome la carne di questo animale è temperata, tenera carica di molte parti oleose, e balsamiche, e di molto sale volatile, onde viene ricercata, e servita sulle migliori, e più delicate mense. Il castrato dev'essere giovane di un anno, o poco più, nutrito di buoni alimenti, pratticata scolato in colline d'erbe odorifere ed aromatiche, e cresciuto in aria pura e serena. I migliori castrati, e li più stimati sono quelli delle parti di Perugina, di Urbino, e di alcune Città della Toscana. In Roma ne' mesi di Gennaio, di Febbraio e di Marzo ne abbiamo degli eccellenti, che ci vengono recati da Ascoli, e dalle nostre vicine montagne. Nulladimeno in Italia si scarseggia moltissimo di buoni castrati, e la loro carne non è generalmente stimata, a motivo che ordinariamente ha un sapore di becco, o di lana dissagradevole; lacchè non è così in Francia, in Inghilterra, in Germania, ed in tutti i Paesi del Nord, ove i castrati sono in molto pregio per l'ottimo, ed esquisito sapore della loro carne. II Popolo di Roma peraltro, e parte della Nobiltà non fa molto uso della carne di castrato, come lo stesso è in Napoli, ed altre città d'Italia; benchè venga ricercato e mangiato volentieri dagli altri, e specialmente da Forestieri, essendo il castrato, allorchè è di buona qualità, e ben preparato un delicato cibo. Si deve sciegliere giovane, mediocremente grasso, di carne oscura, di coscia corta, e di nervo fino, e sopra tutto che non abbia il sapore di becco, o di lana. Le parti, che si impiegano nella cucina sono il cervello, la lingua, i rognoni, i piedi, la coda, il cosciotto, la sella, il quarto di dietro, la spalla, il carrè, il petto, il filetto, l'armone, il collo. Il Quarto di dietro ed il Carrè, sono i pezzi migliori, e più stimati.
si digerisce con facilità. Conviene in tutti i tempi, ma più l'Inverno, che in ogni altra stagione. Siccome la carne di questo animale è temperata
Devesi avere attenzione a bene uccidere il porchetto da latte, d'onde dipende la bianchezza della sua carne, il suo buon gusto, e la facilità nel pelarlo. Perciò fare immergete il coltello nella gola del porchetto da latte, e spingetelo bene avanti acciò gli giunga al cuore e muoja subito. Abbiate un gran caldaio sopra il fuoco con acqua; quando è un poco più che tiepida, poneteci dentro il porchetto, tenendolo per i piedi di dietro per moverlo spesso fino a tanto, che stropicciandogli la coda, il pelo venga via facilmente. Levatelo allora dall'acqua, mettetelo sopra una tavola, strofinatelo prontamente colla mano a forza di braccia, onde torgli tutto il pelo. Tolto questo, lavatelo, e sventratelo finchè è caldo, levategli tutto ciò che ha nel corpo alla riserva dei rognoni, ed osservate bene di levargli il budello dell'ano, altrimenti avrà un cattivo sapore. Il porchetto da latte si serve, Arrosto, Rifreddo, in Galantina, all'Aspic ec. come ne parlerò all'Articolo dei Rifreddi Tom. VI. Cap. I.
Devesi avere attenzione a bene uccidere il porchetto da latte, d'onde dipende la bianchezza della sua carne, il suo buon gusto, e la facilità nel
Mescolate della farina d'orzo, alla quale averete levato la semmola, con latte caldo, affinchè sia tiepido quando dovrete governare Polli, osservate che questo alimento non sia nè troppo denso, nè troppo sciolto, nè grumeloso, onde possa scorrere con facilità, versatelo dentro un ordegno di latta fatto a guisa d'imbuto, lungo circa due palmi, e che abbia mezzo palmo di diametro, con un manico di ferro d'appendere in alto, come un secchiello, e da piedi un cannello di piombo, con una molle di ferro, che alzandosi, chiudo, mediante un picciolo piombo il buco, ossia l'orifice del cannello per il quale passa il mangiare nella bocca del Pollo. Prendete colla mano sinistra il Pollo, apritegli il becco, introduceteci il cannello della Plomba, che oltrepassi un pochino la trachea, sollevate alquanto con la mano destra la molle della Plomba, sospesa in alto, e con quella mano che tenete il Pollo obbligato al cannello della Plomba, sentirete cosi il tatto delle dita quando il gozzo del volatile sarà pieno a sufficienza, chiudete allora subito il cannello calando la molle, e ponete il pollo nella gabbia già governato.
che questo alimento non sia nè troppo denso, nè troppo sciolto, nè grumeloso, onde possa scorrere con facilità, versatelo dentro un ordegno di latta
Modo di uccidere, e di spennare i polli In due maniere differenti si uccidono i polli. La prima, e la più comune è quella di tagliargli la gola, e mai tirargli il collo, come d'alcuni viene pratticato, e subito ucciso dargli una botta in testa, ciò che si dice, gli distacca le penne; indi devesi subito spennare; avvertendo bene di rompergli la pelle, il che guasterebbe totalmente il Pollo; poscia col dito mignolo levargli gl'intestini dalla parte da basso, e lavarlo subito con acqua fresca stropicciandolo bene colle mani, e mentre è caldo aggiustarlo in guisa, che raffreddandosi prenda una bella forma. La seconda, che credo la migliore è la seguente. Tagliate con un picciolo coltello puntuto, e tagliente, le vene sotto le orecchie del Pollo, e subito nel medesimo sito immergete la punta del coltellino, e fatela giungere dentro il cervello e nucca dell'animale, il quale allora farà un picciolo irrido o fremito di morte; indi vedrete che si spiumerà con un soffio, e con la più grande facilità, in guisa che nel tempo che vi vuole a spennare una Pollanca morta, come all'ordinario, se ne spennano quattro o cinque, uccise in questa maniera. Per il rimanente gli si levano gli intestini, si lava, e si finisce come sopra.
picciolo irrido o fremito di morte; indi vedrete che si spiumerà con un soffio, e con la più grande facilità, in guisa che nel tempo che vi vuole a
Moltissimi fanno distinzione dalla, Pollarda, alla Pollanca, perchè suppongano, che la prima abbia principiato a far l'uovo, e che la seconda non l'abbia fatto ancora. Io però credo, che il nome di Pollarda sia derivato dal Francese; mentre nel nostro idioma il suo vero nome è pollanca; onde descriverò questo genere di pollo, col nome di Pollo, col nome di pollanca, e non di pollarda. Per conoscere dunque una pollanca giovane, che ordinariamente principia nel mese d'Aprile, bisogna che le zampe siano di un bigio chiaro, molto liscie, e unite, e la punta del petto non indurita, ovvero ossata, ma bensì tenera, e flessibile, la pelle fina, e bianca.Si conoscono ancora dalla cresta quando è tenera, e che si lacera con facilità; sul finire della stagione le Pollanche divengono vecchie ciò che rende la loro carne rossastra, e bigia. Si conosce facilmente quando vogliono abbioccare, osservandole sull'ano, allora la loro carne è coriacea, e secca. Le galline, che s'impiegano per i brodi devono essere freschissime, quelle poi che si vogliono mangiare, devono essere infrollite al loro punto, come tutti gli altri Polli. Si può far uso dei petti delle galline del brodo, per fare dei Culì alla Rena, ed altre cose simili. Le Pollanche in molte Città d'Italia, come si è osservato nel principio della Polleria, s'ingrassano con riso cotto con latte, o farina d'orzo impastata con latte, ciò che le rende di un sapore, o di un gusto squisito, assai delicato, e di una bianchezza sorprendente. Anche in molte cucine d'Ambasciatori, e Principi grandi si tiene un uomo espresso per ingrassare i Polli, o colla Plomba, o senza. Vedete pag. 109. Le picciole uovette nonnate delle Galline, sono molto utile nella buona cucina, per fare Guarnizioni, e Ragù; i Galli li credono ottimi per metterenel Consomè.
, ma bensì tenera, e flessibile, la pelle fina, e bianca.Si conoscono ancora dalla cresta quando è tenera, e che si lacera con facilità; sul finire
L'altra maniera, che è la più facile, e la più sicura è questa. Alzate la coscia diritta del Pollastrello, spennategli un poco questa parte, fategli un picciolo taglio nel ventre sotto la detta coscia, badando di non offendere qualche nervetto che trovasi da questo lato; introducete il dito nella ferita, e portate via con diligenza i due granelletti al Pollastrello, cucite, e ungete come sopra, tanto la ferita del fianco, quanto il taglio della cresta. Questo metodo è il migliore, perchè non vi bisogno di scansare gl'intestini, mentre i granelletti si trovano subito, e si tirano fuori con più facilità, perchè si castrano perfettamente, e non per metà, e perchè finalmente non si vede il taglio, nel caso che il Cappotte si abbia d'apprestare nella Cucina in usa maniera elegante.
facilità, perchè si castrano perfettamente, e non per metà, e perchè finalmente non si vede il taglio, nel caso che il Cappotte si abbia d'apprestare
Rilìevo di grasso, e di magro = Dopo che averete sventrata la Porcelletta, apritegli un pochino col coltello della parte del ventre l'osso della spina, e tirategli fuori il nervo, che verrà con facilità; quindi fatela cuocere in un corto Brodo, o in una Bresa, come lo Storione, e servitela con sopra un Ragù di grasso, o di magro, come alla Finanslera. Melè d'Oslriche, di Gamberi, di Tartufi ec. Vedete questi Ragù nel Tom. IV., ed in questo. La potete anche apprestare alla Senteminult, alla Tartara ec. Quanda la Porcdletta è picciola si può preparare come la Spigola alla Dama Simona. Questo Pesce essendo raro, e di caro prezzo, (mentre in alcuni Paesi del Nord si vende quasi alla ragione di dieci scudi il palmo), non si disfa mai in pezzi, ma si serve sempre intero con un buon Ragù, o bella Guarnizione, o al corto Brodo sopra una salvietta: ciò che nobilita moltissimo qualunque mensa.
spina, e tirategli fuori il nervo, che verrà con facilità; quindi fatela cuocere in un corto Brodo, o in una Bresa, come lo Storione, e servitela con
Con queste fette, foderate completamente le pareti interne imburrate di uno stampo a forma di cupola, riempite il vuoto dello stampo con un composto da budino fatto così: Mettete in una casseruola un litro di latte, con un baccello di vaniglia e fatelo bollire; poscia porrete in un polzonetto 150 grammi di farina, versate su di essa man mano il latte caldo dimenando con mestolo; quando avrete versato tutto il latte e che la farina sia stata ben disciolta vi aggiugerete 150 grammi di zucchero, e un granello di sale. Fate bollire sul fuoco, dimenando sempre affinchè il composto divenga ben liscio, e quando questi si distaccherà con facilità dal fondo del polzonetto, lo leverete dal fuoco per metterlo in una catinello. Lasciate divenir freddo il composto e metteteci dentro sei rossi d'uova, dimenando bene col mestolo. Unite poi 150 grammi di burro liquefatto e 50 grammi di zucchero; allorchè la pasta sarà ben lavorata, vi unirete quattro o cinque bianchi d'uova sbattuti alla fiocca.
liscio, e quando questi si distaccherà con facilità dal fondo del polzonetto, lo leverete dal fuoco per metterlo in una catinello. Lasciate divenir freddo
Si pongono le lingue in acqua e sale, con prezzemolo e qualche porro, non che alcune carote, e vi si lasciano cuocere finchè si possa levare la pelle con facilità. Si lardellano quindi con lardo tagliato a fili sottili, e si pongono in casseruola con lardo, cipolle, prezzemolo e carote, il tatto tagliato in fette sottili, e vi si lasciano a fuoco leggiero finchè sieno divenute tenere. Si levano quindi dalla casseruola, si fa passare la salsa per un pannolino, vi si uniscono due cucchiaj di buon aceto, e la si fa condensare in gelatina; in essa si ripongono allora le lingue di nuovo rivolgendole assai di frequente, e si servono in tavola con giro di cipollette cotte con buon brodo e zuccaro.
con facilità. Si lardellano quindi con lardo tagliato a fili sottili, e si pongono in casseruola con lardo, cipolle, prezzemolo e carote, il tatto
Quando così avranno preso colore, vi si porrà un poco di sugo, e lasciando consumare, si torni a fare lo stesso per tre volte; quindi levate dal fuoco si mettano a raffreddare, mentre preparerete un buon ripieno che comporrete come segue: La dose sia per esempio per quattro starne, una libbra e mezza di vitello magro, e due petti di pollastro, o meglio sei filetti mignon di tacchino che in Roma nella stagione invernale si possono avere con facilità le quali cose si battono bene insieme con coltello, poi vi si aggiunga un poco di prosciutto, osservando che non vi sia del rancido; e dopo si metterà il tutto in un mortaio e si pesterà ogni cosa per bene, ponendovi due rossi d'uova, una presa piccola di pepe pesto, quattro garofani pure pesti, ed un piccolo battuto di prezzemolo, cipolla, non che una piccola mollica di pane inzuppata nel sugo: disfatto tutto ciò assieme, si cavi dal mortaio, e si ponga in un piatto per l'uso che si dirà in seguito.
facilità le quali cose si battono bene insieme con coltello, poi vi si aggiunga un poco di prosciutto, osservando che non vi sia del rancido; e dopo si
Queste vanno accomodate come le starne, ed il ripieno deve essere tutto di polpa di capponi, e di pollastri, facendolo nella stessa maniera di quello stato additato di sopra. Volendolo fare colla pasta, si potrà fare; ma perchè venga più delicato, si farà senza, ed in questo modo: — Si prenda una casseruola proporzionata alla quantità delle pernici, si fasci di lardo salato della grossezza di un soldo, osservando che non ve ne sia di rancido; nel fondo vi si metta il suddetto ripieno all'altezza di un dito traverso e ben disteso; sopra si pongano le pernici col petto voltato al fondo, ben serrate insieme, e nel frammezzo vi si mettano dei tartufi, e del ripieno, il simile facendo sopra le schiene; si comprima bene il tutto, e si cuopra con altre fette di lardo, e quindi con un foglio di carta bianca bene accomodato; si aggiunga un poco di sugo sostanzioso di carne, e così si metta a cuocere nel forno, osservando che non bollisca troppo forte; di cottura gli si daranno due ore abbondanti, e quando si leva, si deve cuoprirlo con un coperchio di casseruola, e così lasciarlo freddare. Quando sarà freddo, si levi con attenzione per non romperlo, essendo necessario per quanto è possibile che rimanga intiero, ed allora con un piccolo coltello gli si cavi tutto il suddetto lardo; e per servirlo colla gelatina si prenda un'altra casseruola nella quale possa capirvi il detto pasticcio, e vi rimanga all'intorno il traverso di un dito di vacuo; nel fondo di questa ci si metta della gelatina alta un dito, la quale si ponga a gelare: ciò seguito, vi si ponga sopra il pasticcio, e si versi sullo stesso dai lati e sopra altra gelatina, lasciandolo di nuovo gelare, poichè va adoperata allo stato ancora liquido. Quando poi sarà bene rappresa, si accomoderà in un piatto sul quale siasi piegata con buon garbo una salvietta di bucato, avvertendo che per levare con facilità il pasticcio dalla casseruola, converrà bagnare questa all'intorno con una spugna inzuppata di acqua calda. Si avverte che può essere servito questo pasticcio anche senza gelatina. Volendo poi farlo comparire maggiormente, si decora il fondo della gelatina con tartufi, e albume d'ova tostato.
piegata con buon garbo una salvietta di bucato, avvertendo che per levare con facilità il pasticcio dalla casseruola, converrà bagnare questa all
SENZA CAMERIERA — Un invito a pranzo senza cameriera può essere fatto con grazia e con un certo stile, se lo fate con naturalezza, evitando la confusione e non cercando di fare più di ciò che potete ottenere con facilità. In questo caso più che in ogni altro, il segreto della buona riuscita di un pasto tutto fatto da voi stesse, sta nel preparare quanto è possibile in anticipo, e nell'organizzare prima il servizio e la rimozione dei piatti, che saranno eseguiti da una sola persona: voi stesse, un membro della vostra famiglia o un ospite incaricato di ciò. Nulla è più disturbante e meno attraente di varie persone che balzano in piedi per aiutare la padrona di casa, causando confusione in cucina e complicando le cose in generale.
confusione e non cercando di fare più di ciò che potete ottenere con facilità. In questo caso più che in ogni altro, il segreto della buona riuscita di un
Una minestra molto calda dovrebbe essere servita solo quando gli ospiti sono già seduti. Un panino e dei grissini possono essere disposti sul piatto del burro, oppure possono essere fatti circolare. Se l'insalata è già preparata sui piatti in cui sarà servita e tenuta in ghiacciaia fino a quando non sia il momento di portarla in tavola, e se il dessert è preparato in anticipo, la padrona di casa deve pensare al momento di servire, solo a disporre sul piatto di portata, la pietanza. Se al padrone di casa piace trinciare la carne, la padrona può, nel frattempo, servire la verdura. Se al padrone di casa non piace trinciare, pietanze come il pollo arrosto, grosse costolette di agnello, bistecche di filetto, un pollo in una ricca salsa al « curry » — preparata in anticipo e che deve soltanto essere riscaldata, — renderanno più rapido il servizio. Le disposizioni per il servizio dei vari piatti dipenderanno, naturalmente, dal menu; ma la padrona di casa dovrebbe sempre comporlo tenendo presente la facilità e la rapidità, e facendo in modo che il passaggio dei piatti avanti e indietro sia minimo. Una verdura che il padrone di casa possa servire dal piatto di portata, mentre trincia, eliminerà un piatto.
piatti dipenderanno, naturalmente, dal menu; ma la padrona di casa dovrebbe sempre comporlo tenendo presente la facilità e la rapidità, e facendo in modo
SPOSINA DI PARMA. — La testina di vitello potete averla con facilità, dal vostro macellaio. Potete cuocerla in vari modi, per variare un po' l'ordinario della mensa. 1) Lessatela in acqua acidulata con succo di limone o con aceto. L'avrete, naturalmente, prima lavata e tagliata a pezzi. Nell'acqua avrete naturalmente fatto cuocere un mazzetto d'erbe odorose, e qualche ravanello e un po' di cipolla. E' la maniera più elementare. 2) Lessata nel modo anzidetto, e tagliata poi a fettine regolari, potrete farla sobbollire in una salsa costituita da un pezzetto di burro in cui avrete fatto rosolare tre o quattro cucchiaj di pangrattato, con la scorza di un limone tagliata a fettine sottilissime, e il sugo di due limoni. 3) Lessata come sopra, mettetela nella salsa costituita dal burro e dal pangrattato, e il limone, aggiungendo un po' di sugo di carne se ne avete, e dei capperi. 4) Preparata nel solito modo, si fa terminare di cuocere in una salsetta di burro e zucchero che abbiano prima preso il color rosso. 5) Idem idem, si finisce di cuocere come la trippa, in una tegliettina, aggiungendo all'ultimo il burro e il formaggio parmigiano grattugiato. 6) Idem idem idem, ma, insieme al burro e al formaggio, un pochino di salsa di pomodoro. 7) Lessata nel solito modo, si serve con una besciamella in cui il rosso dell'uovo sia acidulato dal succo del limone. 8) Dopo aver lessato la testina di vitella, fatela marinare in un poco di succo di limone con prezzemolo olio sale e pepe, e poi friggetela nello strutto bollente, dopo d'avere avvolto i pezzetti della testa in una pastella d'acqua e farina, o nell'uovo sbattuto con pangrattato. 9) Lessate la testina, lasciatela marinare per 24 ore nell'aceto, tagliatela a fettine, infarinate queste e friggetele in olio su fuoco vivacissimo. Operazione molto rapida, come per il fegato. Una volta fritte le fette di testina, cospargetele, al momento di andare in tavola, con una salsa piccante di vino e aceto (a parti uguali) nei quali avrete fatto bollire, a parte, chiodi di garofano, pezzetti di cannella, la scorza di mezzo limone e tre cucchiai da tavola di zucchero — se il vino e l'aceto erano un bicchiere per ciascuno: se eran meno, regolatevi in proporzione. La salsa risulta migliore se potete aggiungerci una presina di zafferano, della uva passolina e dei pinoli. Sparsa la salsa sulla testina fritta, lasciatela sobbollire lentamente per pochi minuti. 10) Lessata e marinata la testina nel modo precedente (alla marinata potrete aggiungere, se vi piace, un battuto d'aglio e cipolla) involgete le fette della testina, che avrete lasciato più grosse possibile, in pangrattato, e arrostitele sulla gratella, come se fossero bistecche o fette di cuore. 11) Lessata, tagliatela a fettine minute, e in una insalatiera aspergetela di sale, olio, pepe, senape all'estragone, o dragoncello (è la cosiddetta mostarda francese, ma si fa benissimo anche da noi). 12 e ultimo): lessatela e servitela con una salsa verde comune: quella, saprete certo prepararla, se no scrivetemi e ve la insegnerò. Come vedete, voi potete per 12 volte di seguito — se davvero conoscete un macellaio così benevolo da serbarvi sempre la testina — ammannire al vostro sposo questa vivanda in modo diverso, salvo, poi, a ricominciare. Grazie per gli abbonamenti che sono giunti graditissimi: spedito un magnifico romanzo uscito proprio ieri.
SPOSINA DI PARMA. — La testina di vitello potete averla con facilità, dal vostro macellaio. Potete cuocerla in vari modi, per variare un po' l
Dopo i mammiferi da macello, gli animali da cortile sono quelli che occupano la posizione più importante nella scala degli alimenti dell'uomo. Particolarmente in momenti eccezionali, come quello di guerra, gli animali da cortile acquistano un' importanza grandissima, sia per la produzione delle uova, sia per l'utilizzazione delle carni, che, se ben preparate, costituiscono sempre cibi nutrienti e gustosissimi. È consigliabile dunque alla massaia, appena le è possibile, di dedicarsi all'allevamento di questi animali e di sacrificare magari il terreno adibito a giardino per costruire il pollaio o la conigliera. La facilità dell'impianto e del mantenimento di questi minimi pollai domestici sono di per se stessi garanzia del successo. Infatti in ogni famiglia, specialmente se numerosa, si effettueranno sempre quotidianamente dei rifiuti di cucina: bucce di frutta, di patate, di pomodori, croste di formaggio, di polenta, foglie di verdura, che potranno essere integrati da granaglie e da cruscame in piccola quantità.
o la conigliera. La facilità dell'impianto e del mantenimento di questi minimi pollai domestici sono di per se stessi garanzia del successo. Infatti
Le fritture sono per lo più la combinazione di diverse sostanze formanti un sol gusto; si mangiano quasi dappertutto al principio del pranzo e dopo la zuppa. Le fritture si possono bensì preparare con comodo, ma il punto essenziale è di cuocerle al momento più davvicino per recarle a tavola; si friggono o con burro, od olio, o strutto, o del buon grasso, e al loro giusto punto della cottura di bel color dorato si servono scottanti, non però troppo fritte: si fanno digrassare col porle avanti di servire su carta asciugante o su tovaglia. Le fritture in generale non convengono agli stomachi deboli, però quelle ben fatte si digeriscono facilmente; giova quindi far attenzione nella scelta dei componenti, di non usare cose guaste o rancide, e soprattutto che i grassi o olii, già avanzi d'altre fritture, non siano conservati in vasi di rame, perchè si forma con facilità il potente veleno del verderame; è necessario quindi di osservare grande nettezza e di pulire la padella.
soprattutto che i grassi o olii, già avanzi d'altre fritture, non siano conservati in vasi di rame, perchè si forma con facilità il potente veleno del
295. Pollastra. Scegliete le pollastre ben grasse; quelle di pelle bianca sono le più fine, e devonsi preferire a quelle di pelle gialla. Per conoscere se sono giovani, provate se la cresta si lacera con facilità. Dopo averle ben vuotate e pulite, mettetele a cuocere con un soffritto di cipolla ed alcune erbe odorose, come carote e sedani, facendo loro prendere un bel colore da tutte le parti; dopo di che le bagnerete con brodo, ed aggiungerete sugo o conserva di pomidoro ed alquanti funghi secchi tritati. Lasciate concentrare l'intingolo, e quando le pollastre sieno quasi cotte mettete nella stessa casseruola i fegati delle medesime, perocchè questi hanno bisogno di minor cottura. Versate indi in un piatto l'intingolo, ed accomodatevi nel mezzo le pollastre così cotte.
conoscere se sono giovani, provate se la cresta si lacera con facilità. Dopo averle ben vuotate e pulite, mettetele a cuocere con un soffritto di cipolla ed
586. Torrone. Preparate una caldaja sopra un fornello, in mezzo della quale penda una lunga e grossa mestola, di cui avrete legata l'estremità superiore ad un anello di ferro fissato al muro. Mettete dentro alla caldaja 4 chilogr. di miele, e chiaritelo per tre volte a fuoco lento con chiare d'uova sbattute insieme ad un poco d'acqua (n.595). Seguitate a far cuocere il miele, agitando sempre in tondo colla mestola, finchè non sia venuto a cottura tale, che mettendone un poco sopra un dito ed immergendolo nell'acqua fresca si rompa con facilità: allora aggiungete 4 chilogr. di mandorle mondate e bene asciugate, e, se vi piace, anche alcuni pistacchi; seguitate a dimenare finchè il tutto non sia ben unito; aromatizzate a piacere con alcune gocce di qualche essenza, come di menta, di cannella, di garofani, ecc., e distendete questa pasta sopra ostie all'altezza di due dita circa, coprendola poi con altre ostie; quando sia quasi raffreddata, tagliatela con grosso coltello a pezzi lunghi e quadrati a guisa di piccoli travicelli, oppure a tavolette della dimensione che si usa per quelle di cioccolata (ed in questo caso avrete distesa più sottilmente la pasta fra le ostie), e serbate in luogo asciutto e al riparo dall'aria se il tempo è umido. Nel fare il torrone abbiate la cautela di cuocerlo a fuoco lentissimo, e di non cessare mai di agitarlo con la mestola; anzi, abbisognando di 6 o 7 ore di cottura, saranno necessarie più di due braccia per poterlo agitare senza interruzione, ed in particolare sulla fine, quando la pasta prende una forte consistenza.
cottura tale, che mettendone un poco sopra un dito ed immergendolo nell'acqua fresca si rompa con facilità: allora aggiungete 4 chilogr. di mandorle mondate
596. Istruzioni generali sui sciroppi. Quando si è fatto disciogliere lo zucchero in una certa quantità d'acqua, si è schiumato e chiarificato, e finalmente cotto sino a che il liquido abbia una consistenza tale che scoli lentamente, si è ottenuto il sciroppo più semplice, vale a dire il giulebbe di zucchero. Se invece di acqua pura, si adopera per disciogliere lo zucchero un'acqua saturata di certi principii, come succo di frutta e simili, si avrà il sciroppo della sostanza adoperata. La preparazione dei sciroppi, pertanto, ha per iscopo la conservazione dei succhi di parecchie frutta od aromi, mantenendo a questi l'odore, il sapore, e talvolta il colore loro proprio. Volendo adoperare una decozione, un'infusione o un succo già ben chiarificato, basta sciogliervi zucchero bianchissimo a bagnomaria, che il sciroppo sarà fatto senza altra cottura nè chiarificazione. Il più sovente però si fa cuocere dopo avere sbattuto nel liquido freddo una o più chiare d'uova, e si schiuma durante la cottura. I sciroppi debbono rimanere meno tempo che sia possibile sul fuoco, perchè vi prendono colore. Le bottiglie in cui si serbano i sciroppi debbono essere sempre piene e ben turate; perocchè lasciandole sceme ed aperte, il sciroppo potrebbe fermentare con facilità, nonchè, evaporandone la parte acquosa, si candirebbe, ossia si cristallizzerebbe lo zucchero. I sciroppi si alterano così facilmente quando non sono abbastanza cotti, come quando lo sono troppo; bisogna quindi procurare di raggiungere il grado conveniente di cottura senza oltrepassarlo: molti sono i segni che indicano questo grado, ma il più semplice e più sicuro consiste nella densità del giulebbe. Versandolo dall'alto, esso deve filare come un olio fino, cadere senza spruzzare, formarsi in gocce rotonde, le quali, collocate le une presso alle altre in un piatto, non si ravvicinano che lentamente; infine, soffiando sulla superficie, vi si deve formare una pellicola rugosa. La regola da tenersi per la dose dello zucchero di cui si deve far uso in ciascun sciroppo, sarebbe di mettervene tanto quanto può scioglierne il liquido o succo che si adopera. I succhi acidi ne disciolgono circa 160 gramme per ogni ettogr.; le decozioni e le infusioni ne possono disciogliere un poco più; ma in generale ve ne vuole sempre un po' meno del doppio in peso dei liquidi che si adoprano.
lasciandole sceme ed aperte, il sciroppo potrebbe fermentare con facilità, nonchè, evaporandone la parte acquosa, si candirebbe, ossia si
Gelatina di limone. — Mettete a gonfiare nell'aqua 20 grammi di colla di pesce per qualche ora, cambiando l'aqua in questo tempo per due volte. Gonfiata mettetela al foco con un bicchiere d'aqua pura a quando è sciolta, colatela con pannolino bagnato. A parte stemperate 350 grammi zuccaro bianco in un bicchiere d'aqua, mettetelo a foco perchè si fonda in sciroppo e passatelo a traverso un pannolino bagnato. Unite ora la colla allo sciroppo di zuccaro, e messo in uno stampo, aromatizzate il liquido col sugo di un limone e un bicchierino di alkermes, maraschino, kirs, o rhum, oppure con sugo di lamponi, fragole, o pomi granati passato allo staccio. Lasciate raffreddare la gelatina se d'inverno, o mettetela a gelare d'estate. Perchè si stacchi con facilità dalle pareti dello stampo, immergete questo nell'aqua calda per un istante. Aggiungendovi un po' d'amaranto liquido, quale si trova dai confetturieri, gli darete color gradevole. Se poi intanto che la gelatina è sul ghiaccio a gelare, la si diguazza con frullino, la si renderà soffice e spumosa come un soufflè.
stacchi con facilità dalle pareti dello stampo, immergete questo nell'aqua calda per un istante. Aggiungendovi un po' d'amaranto liquido, quale si trova dai
Quando dunque occorre di chiarificare un sciroppo, lo si deve far bollire al fuoco dopo avere sbattuto nel liquido alcune chiare d'uova (due chiare per ogni litro di sciroppo), e schiumarlo durante la cottura. Si procurerà non di meno di tenerlo il minor tempo possibile sul fuoco, poichè con facilità lo zucchero si colorisce. Parecchi sono i segni che indicano il giusto grado di cottura del sciroppo, ma il più semplice e sicuro consiste nella densità: versandolo dall'alto deve filare come un olio, cadere senza spruzzare, formarsi in gocce rotonde, le quali, collocate le une presso le altre in un piatto, non si ravvicinano che lentamente: infine soffiando sulla sua superficie, vi si deve formare una pellicola rugosa.
facilità lo zucchero si colorisce. Parecchi sono i segni che indicano il giusto grado di cottura del sciroppo, ma il più semplice e sicuro consiste nella
Le fritture sono per lo più la combinazione di diverse sostanze formanti un sol gusto; si mangiano quasi dappertutto al principio del pranzo e dopo la zuppa. Le fritture si possono bensì preparare con comodo, ma il punto essenziale è di cuocerle al momento più davvicino per recarle a tavola. Si friggono con burro, od olio, o strutto, o del buon grasso, e, al loro giusto punto della cottura, di bel color dorato, si servono scottanti, non però troppo fritte: si fanno digrassare col porle, avanti di servirle, su carta asciugante o su tovaglia. Le fritture in generale non convengono agli stomachi deboli, però quelle ben fatte si digeriscono facilmente; giova quindi far attenzione, nella scelta dei componenti, di non usare cose guaste o rancide, e sopratutto che i grassi o olii, già avanzi d'altre fritture, non sieno conservati in vasi di rame, perchè si forma con facilità la nociva sostanza detta verderame; è necessario quindi di osservare grande nettezza e di pulire la padella.
, e sopratutto che i grassi o olii, già avanzi d'altre fritture, non sieno conservati in vasi di rame, perchè si forma con facilità la nociva sostanza
Gelatina di limone. — Mettete a gonfiare nell'acqua 20 grammi di colla di pesce per qualche ora, cambiando l'acqua in questo tempo per due volte. Gonfiata mettetela al foco con un bicchiere d'acqua pura e quando è sciolta colatela con pannolino bagnato. Stemperate a parte 350 grammi di zuccaro bianco in un bicchiere d'acqua, mettetelo a foco perchè si fonda in sciroppo e passatelo attraverso un pannolino bagnato. Unite ora la colla allo sciroppo di zuccaro, e messo in uno stampo, aromatizzate il liquido col sugo di un limone e un bicchierino di alkermes, maraschino, kirs o rhum, oppure con sugo di lamponi, fragole o pomi granati passati allo staccio. Lasciate raffreddare la gelatina se d'inverno, o mettetela a gelare se d' estate. Perchè si stacchi con facilità dalle pareti dello stampo, immergete questo nell'acqua calda per un istante. Aggiungendovi un po' d'amaranto liquido, quale si trova dai confetturieri, gli darete color gradevole. Se poi intanto che la gelatina è sul ghiaccio a gelare, la si diguazza con frullino, la si renderà soffice e spumosa come un soufflè.
si stacchi con facilità dalle pareti dello stampo, immergete questo nell'acqua calda per un istante. Aggiungendovi un po' d'amaranto liquido, quale si
A' tempi di Svetonio, il bulbo dello zafferano durava 8 anni. Nell'Avignonese, oggi limitasi a due soli, nella Sicilia a tre, ad Aquila a quattro. Il bulbo è amato dai topi, gli steli dalle lepri. Quantunque originario dei paesi del mezzodì, è coltivato oramai in quasi tutta Europa, perfino in Inghilterra. In Italia tale coltura è antica, specialmente in Sicilia e nel Napoletano, e propriamente nella provincia di Aquila, che per aroma e qualità tintoria, dà lo zafferano migliore del mondo. Il suo prezzo medio è di L. 150 al kgr. Lo zafferano si usa dai tintori, dai caffettieri, dai pasticcieri, dai profumieri, dai pittori, pizzicagnoli, maniscalchi, farmacisti e cuochi. Per la cucina si dovrebbe provvederlo in fili e non in polvere, onde evitare la falsificazione. La frode più innocente è quella di esporlo per qualche tempo in luogo umido, affinchè cresca di peso. Lo si falsifica benissimo coi fiori dello Zaffranone o falso zafferano (carthamus tintorius), che dà un colore scarlatto, con l'Oricella (rocella tinctoria), che dà pure un color porpora, col Sommaco (rhus coriara), ecc. I vapori che sparge lo zafferano nei luoghi chiusi ove non si possano con facilità dissipare, sono all'uomo malsani e talvolta micidiali, perchè à virtù eminentemente narcotica, ed in medicina passa come rimedio stimolante, analogo all'oppio. La scoperta dello zafferano si perde nella nebbia dei tempi. La mitologia vuole che abbia avuto origine da un giovinetto chiamato Croco, che, innamoratosi perdutamente di una ninfa, chiamata Smilace, nè piacendo a Barba Giove tale matrimonio, fu da lui cambiato nella pianta dello zafferano; da qui il suo nome di Crocus. Et in parvos versum cum Smilace flores, et Crocon (Ovidio, 4.a Metam.). Dioscoride lo raccomanda come eccellente condimento e ne suggeriva un unguento, tanto che Properzio lodecanta:
color porpora, col Sommaco (rhus coriara), ecc. I vapori che sparge lo zafferano nei luoghi chiusi ove non si possano con facilità dissipare, sono
Scegliete le pollastre ben grasse; quelle di pelle bianca sono le più fine, e devonsi preferire a quelle di pelle gialla. Per conoscere se sono giovani, provate se la cresta si lacera con facilità. Dopo averle ben vuotate e pulite, mettetele a cuocere con un soffritto di cipolla ed alcune erbe odorose, come carote e sedani, facendo loro prendere un bel colore da tutte le parti; dopo di che le bagnerete con brodo, ed aggiungerete sugo o conserva di pomidoro ed alquanti funghi secchi tritati. Lasciate concentrare l'intingolo, e quando le pollastre sieno quasi cotte mettete nella stessa casseruola i fegati delle medesime, perocchè questi hanno bisogno di minor cottura. Versate indi in un piatto l'intingolo, ed accomodatevi nel mezzo le pollastre così cotte.
giovani, provate se la cresta si lacera con facilità. Dopo averle ben vuotate e pulite, mettetele a cuocere con un soffritto di cipolla ed alcune erbe
La gelatina, la quale è l'accompagnamento indispensabile dei piatti freddi, è 'altra di quelle preparazioni che spaventano un poco le signore. E pure non c'è nulla di più facile e di meno faticoso. Si mettono in una casseruola dei legumi tagliuzzati, come carote, sedano, cipolla e prezzemolo, uno o due chiodi di garofano, mezza foglia di lauro, un pizzico di pepe nero in granelli, qualche fettina di prosciutto e qualche cotenna di lardo. Si aggiungono poi dei ritagli di carne cruda di vitello o di bue — la cosidetta polpa di stinco è preferibile, perchè ricca di principii gelatinosi — e, se si hanno, dei pezzi di carcassa di pollame, o ossa, o colli, spezzati col coltello. Si mette un dito d'acqua, un po' di sale e si fa cuocere a fuoco moderato finchè le carni e i legumi siano «tirati» e leggermente biondi. Si versa allora abbondante acqua nella casseruola, si fa bollire schiumando accuratamente e poi si aggiungono un paio di piedi di vitello — ben nettati a parte in acqua bollente — o della testina. Fate bollire adagio e regolarmente, per circa sei ore, passate il brodo e mettetelo a raffreddare, senza però coprirlo perchè, specie se nella stagione calda, potrebbe guastarsi con facilità. È buona norma fare la gelatina un giorno prima per avere il tempo di sgrassarla bene. Infatti, quando questo brodo aromatico e colloso che avrete preparato sarà freddo, vi riuscirà molto facile toglier via tutto il grasso rappreso alla superficie. Nel caso che non aveste tempo disponibile, sgrassate la gelatina mentre è ancora calda adoperando un cucchiaio, e poi qualche lista di carta asciugante bianca, che assorbirà ogni più piccola traccia di grasso. Uno dei pregi della gelatina è la limpidità. Occorre dunque, dopo averla sgrassata, chiarificarla. Per un litro di gelatina versate in una casseruola due chiare d'uovo e un bicchierino di Marsala; aggiungete la gelatina «fredda», o per le meno appena tiepida, mettete sul fuoco, e con una frusta di ferro sbattete il tutto, fino a che il liquido starà per levare il bollore. Vedrete allora che la chiara d'ovo si straccerà e negli interstizi apparirà limpidissimo il brodo. Coprite allora la casseruola e lasciatela vicino al fuoco per un buon quarto d'ora, in modo che la gelatina bolla e non bolla. Appoggiate intanto sul tavolo di cucina una seggiola rovesciata, e sui quattro piedi che rimangono in alto legate una salvietta bagnata e spremuta, mettendoci sotto una insalatiera o un tegame. Rovesciate allora la gelatina nella salvietta e raccoglietela nella insalatiera, passatala una seconda volta, sentite come sta di sale, e poi, quando sarà fredda, travasatela in una stampa e mettetela in ghiaccio a rassodare. Invece dei piedi o della testa di vitello, si può usare la gelatina «marca oro», che, prima di essere adoperata va tenuta un quarto d'ora in bagno nell'acqua fresca. Un litro di gelatina fatta senza piedi o testa di vitello, ha bisogno per solidificarsi di almeno 35 grammi di colla, ossia circa 15 foglietti. È buona precauzione provare prima la forza della gelatina mettendone un pochino sul ghiaccio in un cucchiaio. Se vedrete che è troppo molle bisognerà correggerla con qualche foglietto di colla. Quando la gelatina sarà ben rappresa si immerge per qualche secondo la stampa nell'acqua tiepida e si rovescia sulla tavola sopra una salvietta bagnata, dove si taglia a piacere per guarnire galantine, arrosti freddi, pasticci, ecc. Se la gelatina serve per ammalati si diminuiscono o si eliminano del tutto gli aromi e si abbonda invece nella carne di vitello, di manzo o di pollo, dipendendo il valore nutritivo della gelatina esclusivamente dalla quantità di carne impiegata. Generalmente per una buona gelatina se ne adoperano dai 700 ai 1000 grammi bagnandoli con circa due litri e mezzo d'acqua. Ciò che, dopo la prolungata ebollizione e la successiva chiarificazione permette di ottenere, su per giù, un litro di gelatina.
facilità. È buona norma fare la gelatina un giorno prima per avere il tempo di sgrassarla bene. Infatti, quando questo brodo aromatico e colloso che
Prendete delle aringhe comuni, tagliate loro la testa e poi con le dita portate via la pelle, che si stacca con la massima facilità. Spellate che siano, fate loro col coltellino una incisione lungo la schiena, e procedendo con garbo dividetele in due. Mettete da parte le uova o il così detto «latte» [immagine e didascalia: Utensile per ricavare le conchiglie di burro] che non servono per questa nostra preparazione, e poi col coltellino date alle due mezze aringhe bella forma, tagliando via le pinne dorsali e la parte inferiore del ventre la quale essendo formata soltanto di spine e pelle è immangiabile. Se le aringhe sono molto piccine lasciate i filetti come si trovano, altrimenti ritagliateli in due prima per lungo e poi trasversalmente, in modo da avere otto pezzi di ogni aringa. Fatto questo, preparate con un rosso d'uovo una salsa maionese, e nella salsa mescolate una cucchiaiata di prezzemolo trito, una cucchiaiata di capperi ben spremuti e poi tritati, quattro o cinque peperoncini sotto aceto ugualmente tritati, un pizzico di pepe e mezzo cucchiaino di mostarda. Con questo composto, che deve riuscire molto denso, ricoprite i filetti di aringhe, che disporrete correttamente in un piatto da antipasti, inframezzandoli con qualche rametto di prezzemolo e qualche fettina di limone.
Prendete delle aringhe comuni, tagliate loro la testa e poi con le dita portate via la pelle, che si stacca con la massima facilità. Spellate che
Prendete una piccola stampa liscia da bordura, del diametro di una quindicina di centimetri e dopo averla messa sul ghiaccio incamiciatela con uno strato di gelatina limpida. A questo scopo serve benissimo la nostra gelatina sbrigativa. Avrete intanto preparato qualche uovo sodo. Vi ricordiamo che le uova da assodare vanno messe in acqua fredda e che si contano sette minuti dal momento in cui l'acqua incomincia a bollire. Dopo lessate si rinfrescano in acqua fredda e si sbucciano. Dividete queste uova a metà e mettetele nella stampa incamiciata di gelatina disponendo ogni mezzo uovo ritto e col torlo in fuori. Aiutatevi in questa operazione immergendo le uova man mano che le mettete nella bordura in gelatina fredda ma non rappresa. Potrete anche facilitare questa operazione spuntando con un coltellino l' estremità di ogni mezzo uovo in modo che possa stare ritto con più facilità. Quando avrete guarnito di mezze uova tutta la bordura versateci dentro altra gelatina, procedendo pian piano e coprendo perfettamente le uova fino all'orlo della bordura. Mettete questa bordura sul ghiaccio e lasciatela rassodare. Intanto preparate una insalata composta di cuori di lattuga (cioè la parte centrale bianchissima), una barbabietola affettata e tenuta un paio d'ore in bagno nell'aceto allo scopo di non farle perdere più il colore, un tartufo nero o meglio un tartufo nero e uno bianco ritagliati in fettine e un paio di cucchiaiate di formaggio groviera ritagliato in asticciole come grossi fiammiferi di legno. Si condisce il tutto con sale, pepe, olio ed aceto e da ultimo si amalgama l'insalata con un paio di cucchiaiate di salsa maionese nella quale si sarà aggiunto un cucchiaino di mostarda francese (quella in vasetti di vetro) o più semplicemente una punta di cucchiaino di senape inglese sciolta in un po' d'acqua. Al momento di servire sformate la bordura in un piatto rotondo e nel vuoto accomodate a piramide la insalata preparata, sulla quale seminerete una cucchiaiata di capperi.
anche facilitare questa operazione spuntando con un coltellino l' estremità di ogni mezzo uovo in modo che possa stare ritto con più facilità. Quando
Grattare o raschiare con una lama di coltello 100 grammi di cioccolato e metterne da parte due o tre cucchiaiate. Versare il cioccolato in polvere in un polsonetto, bagnarlo con un dito d'acqua e lasciarlo ammorbidire vicino al fuoco. Aggiungere allora 300 grammi di zucchero naturale spezzettato nel mortaio e un bicchiere d'acqua. Attendere ancora un poco affinchè lo zucchero possa fondere, e poi mettere il polsonetto sul fuoco e condurre la cottura dello zucchero e del cioccolato fino al grado del «piccolo filo». Questo grado, che è il primo di quelli attraverso i quali passa lo zucchero durante la sua cottura, viene raggiunto assai presto e si riconosce con tutta facilità prendendo tra il pollice e l'indice un tantino di zucchero in cottura. Separando allora pian piano le due dita che tengono lo zucchero, si dovranno formare dei piccoli fili che si spezzeranno con facilità. Avendo portato dunque zucchero e cioccolato a questo grado, al quale — ripetiamo — si arriva dopo breve ebollizione, tirate indietro il polsonetto e versate in una terrinetta le due o tre cucchiaiate di cioccolato che avete tenuto in disparte. Prendete ora un cucchiaio di legno nella mano destra e il polsonetto nella sinistra, e fate cadere poche goccie di cioccolato cotto sulla cioccolata della terrinetta, mescolando con la spatolina. Continuate così a versare adagio adagio lo zucchero nella terrina, e sempre mescolando, come se si trattasse di montare una salsa maionese. Se vi occorrerà molta glace travasate nella terrinetta tutto lo zucchero cotto, altrimenti arrestate l'operazione quando vi parrà di avere sufficiente ghiaccia per il lavoro che dovrete fare. Se si tratta di rivestire dei sospiri o degli éclairs li tufferete uno alla volta in questa copertura tiepida. Se invece vorrete rivestire di ghiaccia al cioccolato una torta dovrete procedere in un altro modo. E cioè dovrete prendere un pochino di marmellata di albicocca, farla ricuocere un momento sul fuoco con un po' di zucchero e poi spalmarla con un pennello su tutta la superficie della torta. Questa operazione preliminare, utilissima se non strettamente necessaria, serve a conservare alla ghiaccia una maggiore brillantezza. Preparata così la torta, mettetela su una griglia da pasticceria e versateci sopra la ghiaccia tiepida. Operando lestamente e servendovi di una lama di coltello, cercate di uguagliare rapidamente lo strato, riportando col coltello la ghiaccia in quei punti che eventualmente rimanessero scoperti. Lasciate sgocciolare il superfluo, fate scivolare la torta su un piatto o su un cartone e aspettate che la ghiaccia si solidifichi. Se nel polsonetto vi rimarrà dello zucchero e del cioccolato cotto, non andranno sprecati. Voi travaserete il tutto in una tazza grande o in una altra terrinetta pulita, e sulla ghiaccia avanzata verserete un pochino d'acqua, la quale conserverà il composto e gli impedirà di fare la crosta. Quando si avrà bisogno di rivestire ancora della pasticceria, basterà di scolare l'acqua, e di aggiungere alla ghiaccia conservata dell'altro zucchero e dell'altro cioccolato, cotti nelle proporzioni date più sopra.
durante la sua cottura, viene raggiunto assai presto e si riconosce con tutta facilità prendendo tra il pollice e l'indice un tantino di zucchero in
Mettete in una terrinetta quattro rossi d'uovo con 100 grammi di zucchero in polvere e una puntina di vainiglina e con un cucchiaio di legno lavorate a lungo le uova affinchè montino bene. Quando le uova saranno ben spumose uniteci le quattro chiare montate in neve molto ferma. Ultimate il dolce con 73 grammi di cioccolata grattata, 50 grammi di farina e 15 grammi di fecola di patate. Mescolate delicatamente per unire tutti gli ingredienti, poi imburrate una teglia di una ventina di centimetri di diametro, spolverizzatela di zucchero in polvere, rovesciate la teglia per far cadere lo zucchero superfluo, e in questa teglia così preparata versate il composto, che metterete a cuocere subito, in forno di calore moderato, per una mezz'ora abbondante. È una specie di fine e squisito pan di Spagna al cioccolato, che vi raccomandiamo per la facilità della preparazione e per il suo buon gusto.
abbondante. È una specie di fine e squisito pan di Spagna al cioccolato, che vi raccomandiamo per la facilità della preparazione e per il suo buon gusto.
Cavate cinque rossi d'uovo e metteteli in un polsonetto, aggiungete un uovo intiero, 200 gr. di zucchero in polvere e tre cucchiai di caffè molto forte. Insistiamo su questo punto, perchè se il caffè non è forte ed aromatico il dolce risulterà di gusto scipito, essendo l'aroma del caffè che deve invece predominare. Collocate il polsonetto su delle ceneri calde, o anche in un recipiente più grande contenente acqua calda. L'acqua non dovrà essere bollente ma avere una temperatura media tra i 50 e i 60 gradi. Con una frusta in fil di ferro sbattete energicamente il composto e allorquando sarà ben montato toglietelo dalla brace o dall'acqua calda e continuate a sbattere fino a che sia completamente freddo. Avrete intanto messo a rammollire in acqua fredda sei fogli di gelatina marca oro. Quando la gelatina sarà ben rammollita estraetela dall'acqua, strizzatela tra le mani e mettetela in un tegamino vicino al fuoco, per farla liquefare. Questa gelatina deve essere quasi fredda e ben sciolta. Versatela pian piano nel composto di uova e caffè, mescolando con un cucchiaio di legno, e quando la gelatina sarà bene amalgamata ultimerete la preparazione con un quarto di litro di panna di latte montata (chantilly). Avrete intanto unto con un leggerissimo velo di olio di mandorle dolci una stampa possibilmente col buco in mezzo e a grossi ornati. Questa stampa dovrà avere la capacità di circa un litro. Versate il composto nella stampa oleata e circondate la stampa con ghiaccio pesto, lasciando rapprendere il dolce per un'ora e più. Quando il biscuit sarà ben solidificato e sarà giunto il momento di mandarlo in tavola, capovolgetelo su un piatto con salvietta. Il leggero velo di olio di mandorle permetterà di sformare il dolce con grande facilità. Per assicurare la perfetta riuscita del dolce, dovrete sbattere le uova per un quarto d'ora a caldo e per un quarto d'ora a freddo, in modo che questo zabaione di caffè risulti sostenuto e consistente.
un piatto con salvietta. Il leggero velo di olio di mandorle permetterà di sformare il dolce con grande facilità. Per assicurare la perfetta riuscita
La «Chantilly» si può ottenere in casa con discreta facilità. L'importante è procurarsi del fiore di latte. Avendo del latte munto di fresco, lo si versa in un recipiente largo e basso, e lo si lascia in riposo per qualche ora, al fresco ed all'oscuro. Meglio sarebbe far mungere il latte la sera e lasciarlo tutta la notte in riposo. Al mattino si troveranno alla superficie dei grumi cremosi che costituiscono appunto il fiore di latte o panna di latte. Facendo passare un cucchiaio alla superficie del latte si raccoglie completamente la crema, cioè si screma il latte. Questa panna, così com'è, sarebbe ottima per il burro, ma non altrettanto adatta per la «Chantilly» a causa della sua granulosità. Bisogna quindi passare la panna da un setaccino possibilmente di seta, e poi diluire questa crema passata con qualche cucchiaiata di latte in modo da averla liscia e piuttosto liquida. Si mette allora un caldaino sul ghiaccio con la crema dentro e quando questa crema è ben fredda s'incomincia a sbatterla adagio adagio con una frusta in fil di ferro, senza mai smettere fino a che la crema avrà raggiunto quel grado di sofficità che caratterizza la «Chantilly». L'operazione è di sicuro esito. Conviene tuttavia non oltrepassare il giusto limite altrimenti la crema si straccerebbe, ingiallirebbe e si convertirebbe in burro. A facilitare l'operazione si usa talvolta mettere nella crema che si sta montando un pizzico di gomma adragante in polvere. La «Chantilly» così ottenuta si dolcifica coll'aggiunta di zucchero al velo (qualche cucchiaiata) che si fa piovere da un setaccino, mescolando pian piano per non sciupare la crema. Volendo si può anche aromatizzare con qualche goccia di rhum, di cognac, di maraschino, ecc. ecc.
La «Chantilly» si può ottenere in casa con discreta facilità. L'importante è procurarsi del fiore di latte. Avendo del latte munto di fresco, lo si
Apparecchiata, come sopra, della pasta frolla o di timballo, stendetela col matterello allo spessore di mezzo centimetro circa, indi coprite una tortiera o 12 stampini da pasticcio o tartelette, ecc., stati preventivamente unti con una mezza noce di burro fuso; guarnite l'interno con un po' di marmellata di frutta o crema pasticciera o di frutta siroppata asciutta, misturata con un pochino di liquore, ecc. Coprite la torta o pasticcino con delle liste di pasta, formando un incrociamento; ovvero tagliate dei pezzi di pasta a vostro genio, applicandovi sopra quell'ornamento che più vi aggrada. — Si fanno pure, secondo la stagione, delle torte o pasticcierie con delle fragole, albicocche o pesche; queste due ultime qualità le tagliarete a piccoli dadi, ponendoli in una terrina polverizzati di zuccaro ed aromatizzati con un po' di rhum, rach o cognac. — Nella stagione estiva, il burro sciogliendosi facilmente, sarebbe bene tenerlo al ghiaccio. Fatta la pasta, mettetela in luogo fresco onde poterla lavorare con più facilità.
sciogliendosi facilmente, sarebbe bene tenerlo al ghiaccio. Fatta la pasta, mettetela in luogo fresco onde poterla lavorare con più facilità.
Qualora, dopo un certo periodo di attività si credesse necessaria la purificazione del filtro, questa potrà farsi sempre in modo radicale e con grande facilità. Liberata l'ampolla dal suo involucro, e staccata dal manicotto elastico che la mantiene appesa al rubinetto, dopo averla bene sciaquata e vuotata dell'acqua che contiene, potrà essere immersa, per circa un'ora, in un bagno di acqua acidulata con acido cloridrico al 5 % (dal quale non è attaccabile affatto il silicato di allumina di cui essa è costituita), e quindi esposta, per un paio d'ore, ad una temperatura dai 200° ai 300° gradi, per esempio, entro un forno comune scaldato per la cottura del pane. Il bagno acido varrà a ridisciogliere le deposizioni calcari che, per avventura, avesse lasciata un'acqua dura nella trama del biscotto; l'alta temperatura disorganizzerà completamente i microbi dell'acqua arrestati dalla porcellana, sterilizzandola così nuovamente.
grande facilità. Liberata l'ampolla dal suo involucro, e staccata dal manicotto elastico che la mantiene appesa al rubinetto, dopo averla bene sciaquata e
Dopo la ricetta secolare e borbonica del Cavalcanti, eccone una più recente; ma la fisonomia del piatto è sempre quella. Prendete dei biscotti da marinaio o gallette da soldato o crosta di pane raffermo, soffregate con aglio e accomodatele nel fondo di una insalatiera e versatevi sopra un bicchiere d'aceto misto con uno d'acqua e un poco di sale. A seconda della maggiore o minore facilità d'inzupparsi lasciate bagnare. Ora avrete avanzi di ortaggi, cavolfiore, sedano, fagiolini, carote, patate, barbabietole, scorzonere ecc. il tutto lessato e asciutto, indi condito come un'insalata solita. Ora fate una salsa pestando nel mortaio 4 tuorli d'uova sode, i filetti di tre acciughe, 30 olive in salamoia private del nocciolo, funghi sott'olio, pignoli tostati, prezzemolo, uno spicchio d' aglio e un poco di mollica di pane inzuppata nell'aceto. Diluite il tutto con un bicchiere d'olio e mezzo d'aceto e passate tutto per staccio cercando che questo intinto non sia troppo denso. Sulle gallette che sono già nella insalatiera spargete olio e adagiatevi fette di tonno sott'olio, un po' di salsa, indi verdure, salsa, e così via, alternando fino a farne una cupola che terminerete con pezzi di pesce lesso rimasto, bagnando il tutto con quel che resta della salsa. Questo come tipo in genere, ma potete introdurre le varianti che volete.
d'aceto misto con uno d'acqua e un poco di sale. A seconda della maggiore o minore facilità d'inzupparsi lasciate bagnare. Ora avrete avanzi di
« I soufflés, che nei libri italiani sono distinti col nome di soffiati, sono dolci assai leggieri e graditi, specialmente per i bambini. Essi si allestiscono con la massima facilità, ma esigono forni perfetti e molta precisione nel tempo della cottura. Per un desinare di famiglia si sogliono mettere al forno nel momento in cui si manda in tavola la minestra. Quando sono al punto, conviene servirli senza indugio, anzi se si tratta di soufflés leggerissimi, la persona che li porta in tavola, deve spolverizzarli di zucchero, durante il passaggio dalla cucina alla stanza da pranzo, perchè il composto non si abbassi. Solo l'esperienza può dare norme esatte sul calore del forno che deve essere moderato, ma costante e più forte nella parte inferiore.
allestiscono con la massima facilità, ma esigono forni perfetti e molta precisione nel tempo della cottura. Per un desinare di famiglia si sogliono
A' tempi di Svetonio, il bulbo dello zafferano durava 8 anni. Nell'Avignonese oggi limitasi a due soli, nella Sicilia a tre, ad Aquila a quattro. Il bulbo è amato dai topi, gli steli dalle lepri. Quantunque originario dei paesi del mezzodì, è coltivato oramai in quasi tutta Europa, perfino in Inghilterra. In Italia tale cultura è antica specialmente in Sicilia e nel Napoletano, e propriamente nella provincia di Aquila, che per aroma e qualità tintoria dà lo zafferano migliore del mondo. Il suo prezzo medio è di L. 150 al chilogrammo. Lo zafferano si usa dai tintori, dai caffettieri, dai pasticcieri, dai profumieri, dai pittori, pizzicagnoli, maniscalchi e cuochi. Per la cucina si dovrebbe provvederlo in fili e non in polvere, onde evitarne la falsificazione. La frode più innocente è quella di esporlo per qualche tempo in luogo umido, affinchè cresca di peso. Lo si falsifica benissimo coi fiori dello Zaffranone, o falso zafferano (carthamus tintorius) che dà un colore scarlatto, con l'Oricella (rocella tinctoria) che dà pure un color porpora, col Sommaco (rhus coriaria) ecc. I vapori che sparge lo zafferano nei luoghi chiusi, ove non si possano con facilità dissipare; sono all'uomo malsani e talvolta micidiali, perchè à virtù eminentemente narcotica, ed in medicina passa come rimedio stimolante analogo all'oppio. La scoperta dello zafferano si perde nella nebbia dei tempi. La mitologia vuole che abbia avuto origine da un giovinetto chiamato Croco che innamoratosi perdutamente di una ninfa, chiamata Smilace, nè piacendo a Barba Giove tale matrimonio, fu da lui cambiato nella pianta dello zafferano, da qui il suo nome di Crocus. Et in parvos versum cum Smilace flores, et Crocon . (Ovidio, 4, Mctam.). Dioscoride lo raccomanda come apposto. Sappi che le zucche più vuote di questo mondo, possono elevarsi alla più alta aristocrazia culinaria. Tu potresti apprestare a'tuoi amici, un abbondante, gustoso e variato pranzo, quasi colla sola zucca, vale a dire che essa formi d'ogni piatto, se non l'unico, almeno il principale coefficiente. Sono note le minestre di zucca d'ogni specie e fresche e secche. La si fa cuocere nel brodo, nell'aqua e burro, ovvero nel latte. Se ne rileva il sapore con erbuccie, ova, spezie e collo zuccaro. La polpa delle zucche ed anche i fiori si mangiano fritte, ripiene, accomodate, triffolate, in fricassèe, in stufato, ed in polpette. Se ne fanno torte, pasticci, e perfino salami. Colle piccole zucchette lessate o cotte alla brage, o colle tenere cime delle piante bollite nell'aqua si fa dell' insalata che si condisce coll'olio degli stessi semi della zucca. Il sugo di essa fermentato può fornire l'aceto. Colla zucca confettata con miele ed aromi, si provvede il dessert di saporite mostarde e confetture, che si rende ancor più vago abbellendole con piccole zucchettine imitanti le pera, le poma, gli aranci. Il pane si forma colla zucca ben cotta, impastata colla terza parte di farina. Finalmente coi semi di zucca, puoi comporre orzate e simili gustose bevande. Che se questo simposio, vuoi prepararlo a'tuoi amici all'aria aperta, lo potrai gentilmente offrire sotto un pergolato coperto colle foglie di una pianta di zucca. Che ne dirò poi delle zucche vuote? Colla scorza di esse puoi farne bottiglie, bicchieri, piatti, cucchiaj, forcine, coltelli, mestole, saliere, lucerne ove arda l'olio del seme suo, recipienti d'aqua, di vino, di liquori, tabacchiere, pipe e quello che vuoi. Le zucche vuote poi servono mirabilmente a sorreggere i mal pratici o novizi nuotatori. A questo proposito, vo' narrarti un aneddoto di Bellavitis e faccio punto. Bellavitis, mio illustre e celebre collega dell'Università di Padova, ora defunto, veniva un giorno supplicato da uno studente, perchè gli fosse propizio nell'esame: « Veda, professore, insisteva lo studente, se io non passo questo benedetto esame, ò l'inferno in casa mia! Sarei costretto a buttarmi in Brenta. » — A l che Bellavitis: « Oh no xe pericolo per hi, perchè el sa che le zucche i galleggia! » Insomma, io non mi perito a chiamare la zucca la più utile delle verdure ed è ingiusto adoperare il suo nome per insultare alle teste umane. Rispelta dunque le zucche e cava loro tanto di cappello, come lo cavi a tante nullità coperte coi galloni di prefetto, di senatore, di generale! Un bacio e vale. »
porpora, col Sommaco (rhus coriaria) ecc. I vapori che sparge lo zafferano nei luoghi chiusi, ove non si possano con facilità dissipare; sono all'uomo
Sgombri. Lo sgombro, quando è salato di recente, esente da avarie e alterazioni, si riconosce alla bellezza della sua pelle, le cui gradazioni, di un azzurro chiaro, cupo e bianco d'iride, sussistono in parte, sebbene non abbiano altrettanto lucido come allo stato di freschezza nel medesimo pesce. Quando si fa una provvisione alquanto considerevole di sgombri salati per il loro consumo in una numerosa famiglia, si deve conservarli in un bariletto di legno bianco, e far loro pigliare aria il meno possibile. Per ben dissalare lo sgombro bisogna lasciarlo immerso ventiquattr'ore nell'acqua fresca da rinnovarsi cinque o sei volte, dopo aver praticato cinque o sei volte nella pelle assai grossa di questo pesce tagli trasversali abbastanza profondi perchè l'acqua vi penetri con facilità.
Mettete a gonfiare nell'acqua 20 grammi di colla di pesce per qualche ora, cambiando in questo tempo l'acqua per due volte. Gonfiata la colla, mettetela a fuoco con un bicchiere di acqua pura, e, quando vi si è sciolta, colatela con un pannolino bagnato. A parte stemperate tre etti di zucchero bianco in un bicchier d'acqua, mettetelo a fuoco perchè si fonda in sciroppo e passatelo attraverso ad un pannolino bagnato. Unitevi ora la colla allo sciroppo di zucchero, e, messo in uno stampo, aromatizzate il liquido col sugo di un limone ed un bicchierino di alkermes, o di maraschino, o di kirschwasser, o rhum. Invece di questi liquori potrete anche servirvi dei lamponi, delle fragole o dei pomi granati, schiacciandoli prima in una terrina e passandoli allo staccio. Lasciate raffreddare la gelatina, se d'inverno, o mettetela a gelare se d'estate. Acciocché si stacchi con facilità dalle pareti dello stampo, immergete questo per un istante nell'acqua calda. Aggiungendovi un po' d'amaranto liquido quale si trova dai confettieri, lo sciroppo prenderà un color gradevole. Se poi, intanto che la gelatina è sul ghiaccio a gelare, la si diguazza con un frullino, la si renderà soffice e spumosa come un soufflé.
passandoli allo staccio. Lasciate raffreddare la gelatina, se d'inverno, o mettetela a gelare se d'estate. Acciocché si stacchi con facilità dalle pareti
I polli si pelano, in genere, appena scannati, mentre sono ancora caldi; se sono freddi s'intingono tre volte di seguito per un secondo o due nell'acqua bollente, badando che non si scottino ; se non s'adoperano al momento vanno coperti, per quel po' che devono aspettare, con un pannolino umido a ciò la carne conservi il suo bel colore : più bianca ancora resterebbe se li immergeste nell'acqua fresca lasciandoveli due tre ore. Molti cuochi hanno quest'abitudine per togliere loro il nauseante odore di pollaio o di stia. Nel pelare i polli badate che la pelle non si rompa, ciò che le darebbe un aspetto disaggradevole. Gli altri volatili si pelano asciutti e al momento d'adoperarli. Alle anitre e alle oche leverete prima le piume leggere che possono servire per qualche uso, poi le cospargerete con della polvere fina di pece greca (colofonio) e le bagnerete con acqua bollente per levar loro con maggior facilità le penne, e la peluria, aiutandovi con uno strofinaccio e all'occorrenza anche con un coltellino. Tutti i volatili, dopo pelati, si fanno passare in fretta sovra una fiamma di spirito o di paglia asciutta, per abbrustiarli, a ciò restino puliti e appetitosi.
con maggior facilità le penne, e la peluria, aiutandovi con uno strofinaccio e all'occorrenza anche con un coltellino. Tutti i volatili, dopo pelati
La lamiera o gli stampini in cui si cuociono i pasticcini devono essere semplicemente spolverizzati di farina se una grande quantità di burro fa parte del composto; se il burro è scarso, o se non ve n'entra punto, conviene untarli bene con una carta prima di mettervi la farina. Nelle cucine moderne si preparano colla vasilina mettendovela in abbondanza e rovesciando poi gli stampini sul fornello per farli scolare prima di spolverizzarli di farina o di zucchero come molti usano. La vasilina dà ai biscottini una crosta eguale, liscia e regolare. Vi è un numero infinito di pasticcini più o meno fini; io non ho indicato che delle ricette che si possono mettere in pratica con facilità nella cucina di famiglia. I pasticcini da dessert devono essere sempre freschi.
fini; io non ho indicato che delle ricette che si possono mettere in pratica con facilità nella cucina di famiglia. I pasticcini da dessert devono
46. Biscottini di lievito di soda col ripieno. — Lavorate 60 gr. di burro solo prima, poi con 80 gr. di zucchero, 2 grosse ova, la scorza d'un limone tagliata fina, 10 mandorle amare trite, un pochino di macis e incorporatevi 300 gr. di farina che avrete fatta passare tre volte allo staccio con 20 gr. di lievito di soda, aggiungendovi un cucchiaio d'acquavite e latte, quanto ne occorre per maneggiare con facilità il pastone sulla spianatoia. Quando è bello e liscio, tiratene una sfoglia della grossezza d'una moneta da 5 lire, tagliatela a rotondini, unite questi dischi a due a due con della buona marmellata, cuoceteli sulla lamiera unta e infarinata a forno abbastanza caldo, poi velateli con una glace di limone o d'arancio.
gr. di lievito di soda, aggiungendovi un cucchiaio d'acquavite e latte, quanto ne occorre per maneggiare con facilità il pastone sulla spianatoia
Pesta nel mortajo un pugno di mandorle dolci pelate, fino al punto in cui cominciano a perdere la sostanza oleosa che in sé contengono, quindi impastale col bianco di un uovo. Fallo questo, le leverai fuora del mortajo, per riporne nel medesimo una libbra non meno, che pesterai come le prime, aggiugnendovi due libbre di zucchero finissimo e la scorza di due cedrati passati alla grattugia. Il tutto ben mescolato, v'unirai il bianco sbattuto di dodici uova e anche più, e in generale, quanto basti a formate una pasta piuttosto tenera, ottenuta la quale, le darai quella forma che più ti sembra opportuna, comecché ordinariamente si accostuma di dividerla in pezzetti ovali, larghi non più di due dita sopra un'altezza di mezzo dito. Finalmente la porrai in un forno mediocremente caldo sopra fogli di carta bianca, che stenderai sopra lamine di latte per lasciarvela non meno di tre quarti d'ora. Per ripromettersi una buona riuscita, è indispensabile l'osservare: 1oche le mandorle siano ben asciutte prima di metterle nel mortajo; 2.° che le uova sieno bene sbattute, e che gocciola di tuorlo insieme non si mescoli, mentre l'intera massa ne sarebbe guasta, e invece di alzarsi e perdere in peso in ragione del volume aumentalo, si ritirerebbe dal forno depressa e di nessuna bella apparenza; 3° che il forno riscaldato venga soltanto mediocremente; le mandorle e lo zucchero abbruciano con facilità alla superficie, e resta così impedito al calore di far provare la sua azione alle parti interne, che rimangono quindi cotte imperfettamente. A guarentirsi però da questo ultimo inconveniente v'ha un mezzo, e si è quello di far la prova con una piccola patte della pasta avanti di avventurarla per intero. Torna poi quasi inutile l'osservare, che innanzi di staccarla dalla carta fadi mestieri che sia compiutamente fredda.
mediocremente; le mandorle e lo zucchero abbruciano con facilità alla superficie, e resta così impedito al calore di far provare la sua azione alle parti
Tra le invenzioni più necessarie relative all'esercizio dell'arte importantissima della cucina economica a vapore, che in questi ottimi anni si è proposta e che ben presto ha ottenuti grandissimi miglioramenti, ed è stata veduta dal pubblico nella solenne esposizione degli oggetti d' industria premiati, e già da molti con vantaggio esperimentata. In un'epoca in cui il vapore è stato riconosciuto come uno dei primarj motori, e in generale come uno agente dei più validi in tutti quasi i bisogni e gli usi della vita, era ben naturale, che anche la cucina dovesse approfittare di questo mezzo energico e che dovesse organizzarsi a vapore, presentando da questo lato un oggetto importantissimo, quello cioè del risparmio del combustìbile e al tempo stesso la facilità di preparare le vivande più dilicate. Il merito di avere tra di noi propagata e di molto migliorata la cucina economica, appartiene al signor dottore Cattaneo chimico-farmacista; ma siccome il principio della invenzione dee ripetersi dal calefattore del signor Lamare, già da alcuni anni introdotto in Parigi, e commendato da quella R. Accademia, così in due separate Tavole abbiamo creduto opportuno di esporre tanto l'apparecchio Parigino, quanto quello che dire potrebbesi insubrico, dal Cattaneo grandemente migliorato.
stesso la facilità di preparare le vivande più dilicate. Il merito di avere tra di noi propagata e di molto migliorata la cucina economica
Qualunque cucina debb'essere ben chiara, ed aereata. La luce principalmente è necessaria, affinchè gli operatori distinguano con facilità le sostanze che hanno sotto la mano, la condizione loro e i loro più piccoli frammenti, che non debbono lasciarsi attorno con pericolo di infradiciare, e di generar quindi sporchezza e fetore; affinchè conoscano prontamente la bollitura e il colore, o il grado di coltura delle vivande, e più ancora affinchè essi con somma diligenza evitar possano la caduta o la mescolanza negli alimenti di qualunque minima sudicieria, come fuliggine, capelli, mosche o altri insetti, ecc. Per questo sarà ben fatto il tenere le pareti, e la vòlta o la soffitta della cucina sempre bianche; il prevenire quant'è possibile l'uscita del fumo, e il far imbiancare la cucina almeno una volta all'anno, contribuendo questo particolarmente alla chiarezza, alla nettezza, alla vistosità.
Qualunque cucina debb'essere ben chiara, ed aereata. La luce principalmente è necessaria, affinchè gli operatori distinguano con facilità le sostanze
Avvene tuttavia di differenti materie d'argento, di rame, di ferro gettato o battuto, di latta, di zinco, di terra cotta verniciata o non verniciata, e di pietra oliare, della quale sono fatti i vasi che tra di noi si nominano laveggi. Non si parla dell'argento, troppo raro nella nostra domestica economia, per potersi impiegare negli usi giornalieri della cucina. I vasi di rame per la loro riducibilità a belle forme e ad una bella apparenza, e per la lunga loro durata, sono i più comuni, e, come già si disse, possano divenire i più perniciosi, per la facilità con cui il metallo si ossida al contatto degli acidi, col quale mezzo facilmente si produsse il verderame, atto a cagionare i più terribili accidenti nella economia animale. Si vorrebbero dai cuochi più istrutti assolutamente banditi dalle cucine; ma se questo non può ottenersi, si raccomanda almeno di tenerli sempre bene stagnati e scrupolosamente puliti. Si consiglia inoltre di non cuocere in essi vivande nelle quali entrino sali o acidi, o altre sostanze che attaccare possano il metallo. Pericoloso è pure il lasciare per lungo tempo ospitante nei vasi di rame qualunque materia alimentaria e specialmente il brodo, e molto più il lasciare in essi raffreddare il brodo stesso o qualunque vivanda.
per la lunga loro durata, sono i più comuni, e, come già si disse, possano divenire i più perniciosi, per la facilità con cui il metallo si ossida al